Mortacci tua
Mortacci tua o li mortacci tua o 'tacci tua, letteralmente significa "gli spregevoli defunti tuoi, della tua famiglia". È una tipica espressione romanesca, ed una parolaccia della categoria specifica degli insulti generici. Di uso comune a Roma, ma ormai diffusa anche in altre regioni italiane ad opera soprattutto del cinema, rievoca in forma spregiativa i defunti dell'insultato con lo scopo di offenderlo nella sua rispettabilità accusandolo di discendere da parenti riprovevoli nel loro comportamento o di deriderlo, anche solo scherzosamente. Si può riferire a persone e a cose.
Viene utilizzata sovente come espressione di stupore o meraviglia. Al plurale si usa li mortacci vostra.
Forme derivate
"Mortacci tua" è una forma abbreviata della parolaccia "Li mortacci tua" come "Tacci tua", "'Cci tua" "Li mejo mortacci tua" mentre "Alimortè" è una semplice esclamazione derivata dalla parolaccia principale: come se si dicesse "caspita", "accidenti" dove "li mortacci" non hanno più niente a che fare.
Un'altra forma derivata dalla principale è "Li mortanguerieri" con lo stesso valore spregiativo ma dove oggetto dell'insulto non sono i prossimi defunti ma i lontani progenitori che si suppone essere stati antichi guerrieri. In caso contrario, l'allocuzione "li mortacci stracci" sta ad identicare avi la cui professione era lo stracciarolo.
Quando invece si vuole limitare l'insulto nel tempo passato, ma non fino ad arrivare a lontani antenati, si usa la forma "'tacci tua e de tu' nonno". In particolare la locuzione "e de tu' nonno" viene usata per controbattere da chi ha ricevuto l'insulto e riversarlo su chi l'ha profferito. (Dice uno: «Li mortacci tua!» e l'altro replica: «...e de tu' nonno!»)
Un'ulteriore forma estesa dell'ingiuria precedente è "li mortacci tua e de tu' nonno in cariola" che deriva dalla necessità che si verificava in occasioni di epidemie di aggiungere nell'ala sistina dell'Arcispedale di Santo Spirito in Saxia altri letti al centro della corsia chiamate "cariole". La parolaccia quindi è rivolta all'avo morto in soprannumero.[1] Ancora, nell'uso vernacolare trasteverino fu presente, sino agli anni Cinquanta, "... e de tu' nonno in cariola intint'ar piscio", e cioè "intinto nella sua urina", a rimarcare ancor più severamente la vecchiaia degli antenati evocati, addirittura incontinenti.
L'espressione può essere enfatizzata, divenendo L'anima de li mortacci tua, L'anima de li mejo mortacci tua.
Nell'uso diffuso l'espressione sta prendendo anche un significato meno incisivo, col significato di mannaggia a te.
La "metafisica" de "li mortacci tua"
Questa "classica" parolaccia romana [2] assume contrastanti significati a seconda del tono, delle sembianze facciali e corporali che ne accompagnano l'espressione: può infatti significare, se accompagnata da un viso che manifesta meraviglia, sentimenti positivi di ammirazione, sorpresa e compiacimento per un evento fortunato o straordinario («Li mortacci tua, ma quanto hai vinto?»); oppure, con un viso ilare, gioia ed affetto per un incontro inaspettato e gradito («Li mortacci tua, ma 'ndo se' stato finora?»); oppure ancora comunicare sentimenti sia negativi che neutri: con un viso dall'aspetto contrariato o sconsolato, con un tono della voce alterato o sommesso, può rivelare, nello stesso tempo, rabbia o desolazione («Li mortacci tua, ma c'hai fatto?»).
La consistenza "materiale" della parolaccia, il contenuto stesso infamante sparisce, diviene "metafisico", di fronte agli stati d'animo con cui viene pronunciata, e sono questi solo veramente reali.
In tutti questi casi la parolaccia diviene ininfluente, non è offensiva ma è come un rafforzativo, l'equivalente di un punto esclamativo, alle parole che seguono all'invettiva: tant'è vero che può essere rivolta anche a se stessi («Li mortacci mia, quant'ho magnato!»).
La stessa parolaccia[3] può significare stati d'animo del tutto negativi, come rancore, odio o dolore, se accompagnata da un aspetto del viso adeguato ma in tutti i casi citati, la parolaccia non è rivolta tanto ad offendere gli antenati defunti del soggetto a cui è indirizzata - offesa di cui forse questi potrebbe anche non risentirsi - quanto usata come locuzione generica rivolta alla persona stessa: nel senso che può essere indirizzata anche verso chi, magari per la giovane età, non ha defunti prossimi di cui onorare la memoria.
La parolaccia nei sonetti del Belli
Un illustre precedente della parolaccia non poteva non trovarsi nel cantore della romanità plebea Giuseppe Gioachino Belli.
Un rancore frustrato e rassegnato esprime, ad esempio, l'espressione nel sonetto Li cancelletti, datato 2 ottobre 1831, nel quale un popolano maledice bonariamente il Papa Re Leone XII, reo di aver proibito il consumo di alcolici all'interno dei locali:
e sembra dire: ma non ci può lasciar stare in pace? Deve inventarne ogni giorno una?
L'espressione può indicare anche diffidenza, ostilità, livore, risentimento come nel caso del sonetto n. 792, Er vecchio, 20 gennaio 1833, in cui un frequentatore di teatro rivolge l'insulto alle forze dell'ordine, in questo caso ai Carabinieri, rei di voler cacciare i disturbatori dal teatro:
Impazienza e fastidio esprime la stessa espressione nel sonetto 251, Er falegname cor regazzo, datato 21 dicembre 1831, in cui un vecchio falegname redarguisce duramente un garzone che non riesce a seguire le sue istruzioni:
cosa te freghi, pe l’amor de Ddio!
Nu lo vedi che ddritto nun ce vai,
«Fammi il piacere, ma che stai facendo!,
cosa seghi, per l’amor di Dio!
Non lo vedi che dritto non ci riesci ad andare,
mannaggia a li mortacci di tuo zio?»
Dispetto, irritazione, stizza esprime nel sonetto n. 2052, L’incontro der ladro, datato 9 dicembre 1844, in cui la voce narrante racconta l'incontro con un ladro, piccolo e basso, che però riesce a scappare:
"Che vvòi, mannaggia li mortacci sui!,
«"E allora tu non l'hai preso di petto?!"
"Che ci vuoi fare, mannaggia li mortacci sui!,
mi è scappato via per il vicoletto".»
Varianti linguistiche
Varianti regionali italiane
L'espressione è diffusa anche in altre regioni:
- In Puglia l'espressione analoga è: li murte tuue, in Salento è li muèrti tua (con la possibile accezione "li muèrti de mammata/sirda/fraita/sorda" -madre/padre/fratello/sorella- o la variante "chi t'ha 'mmuertu" -anche questo con plurime variazioni a seconda della zona, con rafforzamenti quali "chi t'ha stramuertu", "li muerti toi squagghiati" o apparenti paradossi quali "chi t'ha 'vvivu", ove i "bersagli" della vittima sono i parenti ancora in vita.)
La frase in base al contesto e a ciò che vuole esprimere può variare e al posto di tuue si aggiunge d' mammat (in italiano: di tua madre), d'attand (di tuo padre), d'i studc (degli stupidi).
- In Campania: chi t'è mmuort con la variante rafforzativa chi t'è stramuort. Una variante bonaria e non offensiva è chi t'è bbiv (chi ti è vivo). La chiamata dei morti è detta murtiata.
- In Veneto: ti ta morti, oppure va remengo ti ta morti
Varianti internazionali
- Me cago en tus muertos è il corrispondente in spagnolo
Musica
- L'espressione è citata nella canzone Serenata di Pierangelo Bertoli ("Frammenti", 1983)
- L'espressione è citata nella canzone Testardo di Daniele Silvestri ("Occhi da Oriente", 2000)
- Gli Elio e le Storie Tese hanno scritto la canzone Li immortacci (in Eat the Phikis), descrizione in dialetto di "cantanti feretri", cioè musicisti immortali come Jimi Hendrix (er Chitara/Er Voodoochildaro), Freddie Mercury (er Mafrodito), Bob Marley (er Rastamanno) e Elvis Presley (er Pelvicaro).
Note
- ^ Cfr. Ospedale Santo Spirito
- ^ Cfr. P. Carciotto - G. Roberti "L'anima de li mottacci nostri - Parolacce, bestemmie inventate, modi di dire e imprecazioni in bocca al popolo romano" - Grafiche Reali Ed.
- ^ Cfr. P. Carciotto - G. Roberti op.cit.
- ^ I Carabinieri
- ^ Cioè, come facevano le donne del ghetto ebraico, che si diceva fossero capaci di ricucire due panni talmente bene che non si fosse poi in grado di vederne la cucitura
Bibliografia
- P. Carciotto - G. Roberti "L'anima de li mottacci nostri - Parolacce, bestemmie inventate, modi di dire e imprecazioni in bocca al popolo romano" - Grafiche Reali Ed.
- Roberto Piumini, Libro delle parolacce , EditoreFabbri - Bompiani - Etas - Sonzogno,Collana I girini, 2000
- Valentino De Carlo, Piccolo manuale della parolaccia. Istruzioni per l'uso pubblico e privato, Ed. La Spiga-Meravigli – 1993
- Valentino De Carlo, Gran libbro de la parolaccia (Er),Editore: Meravigli, Collana: Biblioteca romana, ISBN 8879540343
- Ditelo in latino. Insulti, ingiurie, contumelie dell'Antichità romana, Longanesi 1982