Conciliarità
Con il termine Conciliarità alcuni teologi del nostro tempo, di varie confessioni cristiane, vogliono affermare che il Concilio - inteso come accordo di tutte le Chiese locali - è l'unica forma di espressione della Chiesa universale: la Chiesa cristiana dovrebbe cioè vivere la forma della sua unità nella "conciliarità permanente". Per questa idea si porta a sostegno l'immagine della Chiesa dei primi secoli: in realtà, dal punto di vista storico, la Chiesa dei Padri non si è mai considerata come un puro intreccio di chiese particolari con gli stessi diritti. Per la teologia cattolica solo l'unico successore di Pietro è il vero organo della Chiesa universale biblicamente fondato; questo dato in un primo momento del cristianesimo è coesistito con il rilievo che avevano alcune Chiese particolari: Roma e Antiochia, sedi di Pietro; Alessandria, che con la figura di S. Marco reclamava una derivazione petrina; Gerusalemme, non come sede normativa ma come luogo di origine della fede; è coesistito in seguito, ma per breve tempo, con la posizione dell'imperatore, a seguito della translatio imperii da Roma a Costantinopoli. Queste sedi di rilievo citate non danno comunque fondamento certo all'ipotesi di una conciliarità, casomai permettono di parlare di una "Pentarchia", coesistita insieme alla peculiare principalità della Chiesa di Roma (Si confronti Ireneo, Adversus haereses, III, 3, 2: PG 7,848: "A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità -propter potiorem principalitatem-, è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata...")