Total factor productivity
In economia la Total Factor Productivity (TFP) o produttività totale dei fattori è definibile come il rapporto tra un indice di output e un indice di input, media ponderata degli indici di lavoro e capitale.
La Total Factor Productivity nell'analisi della produttività
A partire dal contributo di Robert Solow (1957), il calcolo della TFP venne messo in relazione alla funzione di produzione e alla teoria neoclassica della crescita. In particolare, Solow dimostrò come il tasso di crescita della TFP calcolato come la differenza fra l’indice di Divisia dell’output e l’indice di Divisia degli input risulta uguale al progresso tecnico Hicks-neutral, scorporato dai fattori di produzione e che lascia invariati i rapporti fra le produttività marginali dei singoli fattori.
Dopo diversi studi applicati alla fine degli anni 60 e nella prima metà degli anni 70,[1] negli anni 80 iniziò negli Stati Uniti una misurazione sistematica a livello settoriale della TFP, sotto la denominazione di MFP (Multifactor productivity), da parte del National Bureau of Economic Research (NBER) (cfr. ad es. Gullickson & Harper, 1987).[2]
Negli anni 90 gli studi sulla TFP si sono moltiplicati. A questi si sono aggiunti gli studi con approccio econometrico all’analisi della produttività, come ad esempio la Stochastic Frontier Analysis (SFA) (Battese & Coelli, 1992, 1995; Coelli et al., 2005), e quelli che applicano la programmazione lineare per la stima della funzione di produzione, come la Data Envelopment Analysis (DEA) (Cooper et al., 2000).
I suddetti approcci sono comunque da considerare in larga parte complementari e non sostitutivi alle analisi non-parametriche della TFP.
Nel 2001 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato un manuale sulle misure di produttività che indirizza gli uffici statistici nazionali e consiglia l’utilizzo della MFP basata sulla produzione lorda, chiamata anche KLEMS (la sigla sta per Kapital, Labour, Energy, Materials e Services) per la stima non parametrica dei tassi di variazione della produttività aggregata.
Recentemente l’Unione Europea ha finanziato un ambizioso progetto, l’EU KLEMS Project, finalizzato alla creazione di un database di serie storiche di misure di produttività settoriale basate sulla TFP.
Essendo ormai largamente condiviso e accettato l’uso di misure di produttività totale dei fattori, gli sforzi degli ultimi anni sembrano essere nel senso di:
- elaborare metodi condivisi di misurazione dello stock di capitale, dei servizi da capitale e del loro costo;[3]
- migliorare gli indici di quantità per tenere conto dei miglioramenti qualitativi dei beni attraverso la creazione di indici edonistici di prezzo (Triplett, 2004).
Critiche alla TFP
Nonostante l’utilizzo della TFP sia ampiamente diffuso e accettato, le critiche al suo utilizzo sono state numerose ed in molti hanno evidenziato, nel corso del tempo, limiti ed errori concettuali insiti nell’indicatore.
Già Abramovitz (1956) notava come in realtà il residuo così calcolato era alla fine il risultato non solo del cambiamento tecnologico e del miglioramento nell’efficienza produttiva, ma anche di una serie di possibili errori, come quelli di misura, quelli derivanti da aggregazione e quelli di errata specificazione del modello. Il residuo di Solow risultava così, a conti fatti, essere solo la "misura della nostra ignoranza".
Lo stesso Solow (1987) notava con meraviglia come la TFP non registrasse in alcun modo la rivoluzione digitale, e Nordhaus (1997) osservava come il Solow productivity paradox non era limitato a questo fenomeno: la TFP non aveva registrato tassi di crescita significativi in corrispondenza di nessuna delle rivoluzioni tecnologiche che si erano succedute nel corso degli anni, compresa quella della scoperta e della diffusione dell’energia elettrica.
Negli anni 60, dato il collegamento esplicito posto da Solow (1957) con la funzione di produzione aggregata e con l’ipotesi di progresso tecnico neutrale à la Hicks, la TFP venne investita, in quella che è successivamente divenuta famosa come la Cambridge capital controversy, dalle critiche che colpirono queste ultime. In particolare, da un lato, si negava in nuce la possibilità di utilizzare misure aggregate del capitale e la tendenza all’uguaglianza tra tasso di rendimento del capitale e produttività marginale dello stesso, e tutto ciò minava alle basi la funzione di produzione aggregata neoclassica formulata in termini di lavoro e capitale; dall’altro, si criticava la concezione del progresso tecnico, propria del primo Hicks (1964) e dei neoclassici, che distingueva spostamenti lungo la funzione di produzione da spostamenti della funzione stessa.
Di diversa natura sono state le critiche di Read (1968), Rymes (1971, 1972, 1983), Cas & Rymes (1991) e Durand (1996). In particolare, nei suoi lavori pionieristici Thomas K. Rymes mise in evidenza come l’errore di trattare il capitale come un fattore produttivo scarso, al pari di lavoro e terra, assunzione implicita nella concezione di progresso tecnico Hicks-Meade-Solow, invece di un bene riproducibile nella riproduzione del quale si trasferiscono pertanto gli incrementi di produttivit`a conseguiti dal sistema, finisca per condurre a risultati a volte paradossali. Tra questi, il fatto che la distinzione tra progresso tecnico incorporato e scorporato, l’unico catturato dalla TFP, riposi in ultima istanza sulla possibilità di "incorporarlo" nel capitale a costo zero. La conseguenza è che ridefinizioni "statiche" di cosa è e cosa non è capitale inevitabilmente modificano il tasso stimato della produttività.Template:Rif
Un ulteriore difetto è la stretta dipendenza della TFP dal livello assunto di "lordità" (grossness) dell’output, difetto messo in luce recentemente anche da Gullickson & Harper (1999) e Balk (2003). Così ad esempio, la TFP calcolata sulla base del valore aggiunto `e necessariamente maggiore di quella calcolata sulla base del cosiddetto output settoriale,[4] che è a sua volta maggiore o uguale di quella calcolata sulla base della produzione lorda. Inoltre, essendo la relazione tra la TFP basata sul valore aggiunto ( ) e quella basata sulla produzione lorda ( ) la seguente:
dove VA è il valore aggiunto settoriale e M i consumi intermedi, la disintegrazione verticale e la riorganizzazione della produzione conseguenti alla diffusione dell’outsourcing, producendo un aumento del rapporto M/VA, necessariamente tendono a far aumentare la TFP calcolata sulla base del valore aggiunto anche se non si è prodotto alcun incremento nell’efficienza produttiva.
Note
- Template:Note Da ricordare a tale proposito l’aspro dibattito tra Jorgenson & Griliches (1967) e Denison (1972) circa la presunta tendenza della TFP a scomparire, essendo questa in fondo un residuo non spiegato, laddove si tenga conto di tutti i fattori che possono incidere sull’incremento della produzione.
- Template:Note La larga diffusione degli studi di TFP negli anni 80 fu in parte dovuta anche agli sviluppi in materia di numeri indice. In particolare, Diewert (1976) riuscì a dimostrare che l’utilizzo dell’indice di Törnqvist per approssimare in ambito discreto l’indice di Divisia fornisce una misura esatta del "residuo" laddove la sottostante funzione di produzione sia una translogaritmica. Inoltre, poiché la translogaritmica può essere considerata un’approssimazione al secondo ordine di una qualsiasi funzione di produzione, l’indice di Törnqvist sembra così dare buoni risultati anche laddove la sottostante funzione di produzione abbia una forma funzionale diversa.
- Template:Note In tal senso sembra andare il manuale recentemente pubblicato dall’OCSE (2001).
- Template:Note Così, ad esempio, Rymes osserva che, considerando le spese in Ricerca e sviluppo come esclusivamente spese in capitale fisico, invece che spese correnti, la TFP necessariamente diminuisce (Rymes, 1983, p.305). Rymes mostra anche come, nel caso semplificato di due economie in equilibrio di lungo periodo che sperimentassero lo stesso tasso di progresso Harrod-neutral, si osserverebbero TFP differenti qualora vi fossero differenze nelle elasticità di output del lavoro (Rymes, 1971, p.84).
- Template:Note Per sectoral output si intende la produzione lorda settoriale al netto delle transazioni intraindustriali.
Riferimenti bibliografici
- Abramovitz, M. (1956) Resource and output trends in the United States since 1870, American Economic Review, 46(2), pp. 5–23;
- Balk, M. (2003) On the relation between gross-output and value-added based productivity measures: The importance of the Domar factor, Working paper, Centre for Applied Economic Research;
- Battese, G. E. & Coelli, T. J. (1992), Frontier production functions, technical efficiency and panel data: with application to paddy farmers in India, Journal of Productivity Analysis, 3, pp. 153–169;
- Battese, G. E. & Coelli, T. J. (1995) A model for technical inefficiency effects in a stochastic frontier production function for panel data, Empirical Economics, 20, pp. 325–332;
- Cas, A. & Rymes, T. K. (1991) On Concepts and Measures of Multifactor Productivity in Canada, 1961-1980, Cambridge, Cambridge University Press;
- Coelli, T. J. et al. (2005) An Introduction to Efficiency and Productivity Analysis, Springer;
- Cooper, W. W. et al. (2000) Data Envelopment Analysis: A Comprehensive Text with Models, Applications, References and DEA-Solver Software, Boston, Kluwer Academic Publishers;
- Denison, E. F. (1972) Some major issues in productivity analysis: an examination of the estimates by Jorgenson and Griliches, Survey of Current Business, 49(5, Part II), pp. 1–27;
- Diewert, W. E. (1976) Exact and superlative index numbers, Journal of Econometrics, 4, pp. 115–145;
- Durand, R. (1996) Canadian input-output-based multi-factor productivity accounts, Economic Systems Research, 8(4), pp. 367–389;
- Gullickson, W. & Harper, M. J. (1987), Multifactor productivity in U.S. manufacturing, 1949-83, Monthly Labour Review, pp. 18–28;
- Hulten, C. R. (2001) Total factor productivity: A short biography, in C. R. Hulten, E. R. Dean & M. J. Harper (eds.), New Directions in Productivity Analysis, Studies in Income and Wealth, Chicago, University of Chicago Press for the National Bureau of Economic Research;
- Jorgenson, D. W. & Griliches, Z. (1967) The explanation of productivity change, Review of Economic Studies, 34, pp. 349–383;
- Nordhaus, W. D. (1997) Do real output and real wage measures capture reality? The history of lighting suggests not, in T. Bresnahan & R. J. Gordon (eds.), The Economics of New Goods, Studies in Income and Wealth, vol. 58, Chicago, University of Chicago Press for the National Bureau of Economic Research;
- OECD (2001), Measuring Productivity. Measurement of Aggregate and Industry-Level Productivity Growth, Parigi, OECD;
- Pasinetti, L. L. (1959) On concepts and measures of changes in productivity, The Review of Economics and Statistics, 41, pp. 270–282;
- Pasinetti, L. L. (1977) On "non-substitution" in production models, Cambridge Journal of Economics, 1, pp. 389–394;
- Read, L. M. (1968) The measure of total factor productivity appropriate to wage-price guidelines, Canadian Journal of Economics, 1(2), pp. 349–358;
- Rymes, T. K. (1971) On Concepts of Capital and Technical Change, Cambridge, Cambridge University Press;
- Rymes, T. K. (1972) The measurement of total factor productivity in the context of the Cambridge theory of capital, Review of Income and Wealth, 18(1), pp. 79–108;
- Rymes, T. K. (1983) More on the measurement of total factor productivity, Review of Income and Wealth, 29, pp. 297–316;
- Solow, R. M. (1957), Technical change and the aggregate production function, Review of Economics and Statistics, 39, pp. 312–320;
- Solow, R. M. (1987), Book review, New York Times, 36;
- Triplett, J. E. (2004) Handbook on hedonic indexes and quality adjustments in price indexes: Special application to information technology products, STI Working Paper 2004/9, OECD Directorate for Science, Technology and Industry, Parigi;