Storia di Ravenna

vicende storiche della città di Ravenna
Voce principale: Ravenna.

Età antica

Ravenna preromana

Fin dalla preistoria il tratto della pianura padana su cui sorse Ravenna fu caratterizzato dalle frequenti esondazioni dei brevi fiumi ad andamento torrentizio che scendono dall'Appennino verso il Mare adriatico. Ciò portò alla formazione di ampie zone lagunari, che da Ravenna si estendevano fino a lambire il Po (che sfociava più a sud rispetto al corso attuale), creando un vasto agglomerato lagunare chiamato Valle Padusa.

Data la natura del luogo, mancano testimonianze archeologiche della fondazione di Ravenna. Le origini sono incerte. I primi insediamenti della zona furono opera di Tessali, Umbri o Etruschi. L'abitato consisteva di palafitte distribuite su una serie di piccole isole situate all'interno della Valle Padusa.

La più antica testimonianza archeologica della città è etrusca: una statuetta del VI secolo dedicata con un'iscrizione a un dio della guerra (corrispondente al latino Marte) depositata come offerta da un abitante di Volsinii.
Alla fine del IV secolo a.C. i Galli Senoni presero il controllo di Ravenna.

Ravenna romana

Ravenna si alleò con Roma nelle guerre contro i Galli. I Romani, in cambio, la risparmiarono durante la loro campagna di conquista della Gallia Cisalpina (III secolo a.C.). Dopo la vittoria definitiva sui Galli Boi (191 a.C.), la accettarono come "città alleata latina" (civitas fœderata), condizione che le garantì a lungo una relativa autonomia dall'Urbe.
La città era al centro di una laguna costiera ed era attraversata da una canalizzazione interna[1]. Ravenna distava solo 17 km dalla foce del ramo meridionale del Po, cui era collegata tramite il fiume Padenna, affluente del Po, che arrivava fino a lambire le mura settentrionali della città. I romani lo denominarono Padus Messanicus.

Nel trasporto terrestre, la strada più importante era la via Popilia, che partiva da Rimini e giungeva a Ravenna costeggiando il litorale. L'arteria entrava da sud tramite Porta Aurea, una porta monumentale, costruita a doppio arco. Rimase l'ingresso principale della città per tutto il periodo romano[2]. Passata Porta Aurea, si apriva l'interna via Decumana. Le mura della città si sviluppavano per una lunghezza di 2,5 km.

Nella guerra civile del I secolo a.C. Ravenna si schierò con Mario. Nell'89 a.C. ottenne lo status di municipium all'interno della Repubblica Romana.
Nel 49 a.C. Ravenna fu il luogo dove Giulio Cesare riunì le sue forze prima di attraversare il Rubicone.

 
Mosaico della cupola del Battistero Neoniano

Alla fine del I sec a.C. l'imperatore Augusto decise di fare del porto di Ravenna un'importante base militare. Vi si stanziò una flotta armata[3], una delle due di stanza in Italia[4]. Contestualmente fu realizzato il collegamento tra Ravenna e Classe. I romani sfruttarono il letto del Padenna per costruire un canale artificiale. Il canale, detto Fossa Augusta, traeva le sue acque dal fiume e scorreva parallelamente alla via Popilia verso sud. Attraversava la città longitudinalmente (dove ora c'è via di Roma) e terminava a sud-est, congiungendosi allo scalo portuale[5]. Poi fu realizzato il collegamento dal Padenna-Fossa Augusta alla laguna veneta e al sistema portuale di Aquileia. Divenne così possibile navigare ininterrottamente da Classe ad Aquileia (circa 250 km) in acque calme e a regime costante.

Nei primi secoli dell'Impero l'agglomerato urbano di Ravenna si espanse raggiungendo un'estensione circa quattro volte superiore all'età repubblicana. Ad Est, oltre il Padenna, fu realizzato un grande sobborgo tra la città e il mare, denominato "Cæsarum". Il fiume Padenna, che un tempo si trovava ai confini della città, ora scorreva all'interno dell'abitato. Anche a Nord furono costruiti nuovi edifici al di là delle mura. Sorse così il quartiere Domus Augusta, la zona imperiale di Ravenna.

CAPITALE DELL IMPERO ROMANO

Nel [402] [Flavio Onorio], figlio di Teodosio I, decise di trasferire a Ravenna la residenza dell'[Impero Romano d'Occidente da Milano, troppo esposta agli barbaro attacchi barbarici. Ravenna fu scelta come nuova capitale perché godeva di una migliore posizione strategica e di difendibilità data la sua condizione di città marittima avvantaggiandosi dell'incontrastato dominio romano sul mare. In breve tempo, da centro di periferia, Ravenna si trasformò in città cosmopolita, fulcro di gravitazione politica, culturale e religiosa. Dopo aver preso a modello il njkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkfasto di [Costantinopoli], Ravenna, ad essa legata da vincoli di parentela e continui scambi, assunse l'aspetto di una residenza imperiale bizantina: sorsero grandiose costruzioni civili e religiose che emulavano, nell'architettura e nelle decorazioni, quelle della capitale d'Oriente.

Monumenti fatti erigere da Onorio                                                                                                                                                 

Quando Onorio giunse a Ravenna, la città era già stata dotata di alcune importanti chiese. Nel [380] il vescovo Orso aveva cristianizzato una basilica romana, che da lui prese il nome di Basilica Ursiana. L'edificio venne ampiamente ristrutturato nella metà del [V secolo] per volontà del vescovo [Neone], che vi aggiunse, a fianco, il Palazzo Arcivescovile e il [battistero] chiamato oggi [Battistero Neoniano] [1732] la basilica è stata demolita per fare posto all'attuale cattedrale. In seguito al trasferimento della corte imperiale, Onorio fece erigere la basilica di San Lorenzo in Cesarea. Localizzata a meridione della città, all'esterno dell'area urbana, si trattava presumibilmente di un santuario legato all'area cimiteriale.

All'attività di Onorio si deve anche la fondazione dell'Apostoleion, ovvero una chiesa dedicata ai Dodici apostoli L'edificio, modificato ampiamente attorno all'[1000 anno Mille], oggi è noto con l'intitolazione di [Chiesa di San Francesco (Ravenna) Chiesa di San Francesco].

Alla morte di Onorio, l'erede diretto alla successione al trono era Costanzo III. Morto prematuramente anche quest'ultimo, la vedova Galla Placidia riuscì ad ottenere la reggenza dell'Impero in nome del figlio Valentiniano III, di soli 6 anni. Galla Placidia giunse a Ravenna nel 424 e continuò l'azione di monumentalizzazione della città, che aveva avviato Onorio, per un quarto di secolo, fino al 450.

 
Mausoleo di Galla Placidia
Monumenti fatti erigere da Galla Placidia

La sovrana commissionò la costruzione della Basilica di San Giovanni Evangelista, con la quale scioglieva un voto fatto durante il viaggio che l'aveva condotta da Costantinopoli a Ravenna via mare. L'edificio è ancora in essere, anche se nella sua parte anteriore ha subito un pesante intervento di restauro, resosi necessario all'indomani dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
Forse all'imperatrice madre è da attribuire anche la committenza della chiesa di Santa Croce. L'edificio, che oggi è visibile solo parzialmente, era legato al sacello che generalmente viene denominato «mausoleo di Galla Placidia». La sovrana fece costruire il mausoleo per sé, per il marito Costanzo e per il fratello Onorio, ma non vi trovò sepoltura. Morì infatti a Roma il 27 novembre 450 e fu sepolta nella città eterna.

Nello stesso periodo fu eretta la nuova cinta muraria. La lunghezza complessiva del perimetro raggiunse i 5 km. Si ritiene che le mura fossero alte tra i 4 e i 5 metri. Il fiume Lamone che, proveniente da Faenza, passava a pochi km dalla città, fu deviato. Un ramo fu fatto scorrere lungo le mura per alimentare i fossati, mentre il corso principale venne arginato e fu fatto girare attorno alle mura di settentrione per poi riprendere il suo percorso verso Nord. Era successo infatti che, con gli anni, la Fossa Augusta si era interrata, a causa dell'apporto continuo di materiale dal Po e dai suoi affluenti.
La Porta Aurea rimase in piedi fino al XVI secolo, ultima delle vestigia imperiali a cadere. Le colonne della Porta vennero sparpagliate come trofei nelle chiese di Ravenna, e addirittura spedite a Venezia. Sculture di epoca romana decorano ancora la chiesa di San Giovanni in Fonte.

Capitale del Regno dei Goti (V-VI secolo)

 
Il mausoleo di Teodorico

A Ravenna si decisero le sorti dell'Impero d'Occidente allorché il 4 settembre 476 venne deposto l'ultimo imperatore, Romolo Augusto, per mano di Odoacre, re degli Eruli. Le insegne imperiali furono inviate a Zenone, imperatore d'Oriente, che nominò Odoacre patricius, riconoscendo e autorizzando il suo dominio sull'Italia. Pertanto la città divenne la capitale degli Eruli. Il regno di Odoacre ebbe vita breve: nel 493 fu spodestato dal re dei Goti, Teodorico, che ottenne il controllo della città dopo un lungo assedio. Il sovrano goto, che regno fino alla morte, nel 526, fu fautore di una politica di distensione, soprattutto dal punto di vista religioso. I Goti, infatti, erano di culto ariano ma consentirono alla popolazione di mantenere la propria fede cattolica. Teodorico dotò il popolo ariano di una cattedrale e di un battistero (oggi denominata dello Chiesa dello Spirito Santo) e nel vicino battistero (oggi Battistero degli Ariani). Il sovrano, inoltre, intervenne con opere costruttive sulla residenza palaziale che dotò di una chiesa palatina, successivamente denominata Sant'Apollinare Nuovo.

Teodorico si pose anche come arbitro nelle frequenti dispute tra cristiani ed ebrei. Negli ultimi anni del VI secolo, scoppiò a Ravenna un feroce scontro tra i fedeli delle due confessioni. Il motivo occasionale della lite pare fosse una provocazione degli ebrei, che gettarono in uno dei canali della città alcuni pani, forse consacrati. Il vero motivo, probabilmente, fu di natura politico-economica. In ogni caso, al termine di violenti scontri furono molte le vittime e risultarono bruciate tutte le sinagoghe della città. Gli ebrei si rivolsero alla corte di Verona[6]per avere giustizia, ottenendo un decreto di Teodorico che condannava la popolazione cristiana a sborsare una forte somma, sufficiente alla ricostruzione delle sinagoghe distrutte[7].
In questo periodo, il continuo afflusso di apporti alluvionali dei fiumi rese progressivamente inutilizzabile il porto di Classe e provocò l'interramento della Fossa Augusta. Nonostante ciò Ravenna continuò anche nell'Alto Medioevo ad essere una città d'acque: gli abitanti raccolsero le acque e ne impiegarono la forza per il mantenimento dei mulini.

Capitale dell'Esarcato d'Italia (VI-VIII secolo)

 
Giustiniano e la sua corte, nel mosaico della basilica di San Vitale.

Divenuto imperatore d'Oriente nel 527, Giustiniano avviò un programma politico mirato alla riconquista dei territori dell'Impero Romano d'Occidente occupati da regni barbarici. Per fare ciò diede l'avvio ad un'offensiva militare nota come Guerra Greco-Gotica. Anche l'Italia rientrò ben presto sotto il controllo dell'impero d'Oriente. Nel 539 venne così riconquistata Ravenna, che ritornò sede della Prefettura del pretorio d'Italia. I Bizantini ripresero a nominare il prefetto del pretorio, il primo dei quali fu Atanasio.

La religione predominante in città ritornò quella cattolica; per gli ariani cominciò la diaspora. Giustiniano, inoltre, si preoccupò di fare occupare il soglio vescovile ravennate da Massimiano, suo uomo di fiducia, che assunse, per volontà dell'imperatore, il ruolo di arcivescovo.
Giustiniano e Massimiano promossero la costruzione di importanti monumenti sacri. Giustiniano commissionò la costruzione della Basilica di San Vitale. Mentre Massimiano promosse la costruzione della basilica di Sant'Apollinare in Classe. Il ricco banchiere Giuliano l'Argentario finanziò, inoltre, la costruzione della chiesa di San Michele in Africisco[8]. Infine, durante questo periodo sorsero le prime pievi del territorio ravennate, in stile romanico.

Nel 568 l'Italia venne invasa dai Longobardi. L'impero bizantino si trovò impreparato per fronteggiare l'avanzata della popolazione barbarica che, entrata attraverso le Alpi Giulie, scese verso la pianura padana seguendo la via Postumia. I Bizantini riuscirono solamente a mantenere il controllo di Ravenna, sede del loro governo in Italia, e di Roma, sede del potere spirituale. Le due capitali rimasero collegate poiché i Bizantini mantennero il controllo di una stretta fascia territoriale solcata dalla via Amerina, la via romana che seguiva il corso del Tevere attraversando Umbria e Flaminia (Corridoio Bizantino).

Nel 580, l'imperatore Tiberio II divise in cinque province o eparchie l'Italia bizantina: Ravenna fu inserita nell'Annonaria, di cui fu eletta capitale. Pochi anni dopo l'imperatore Maurizio prese nuovi provvedimenti per arginare l'invasione longobarda, il più importante dei quali fu la soppressione della Prefettura del pretorio d'Italia, che fu sostituita dall'Esarcato d'Italia, governato dall'esarca, la massima autorità civile e militare della nuova istituzione.

Medioevo

Dai Carolingi agli Ottoni (VIII-XI secolo)

I Bizantini difesero strenuamente l'Esarcato d'Italia per oltre duecento anni, nonostante i ripetuti attacchi da parte dei Longobardi ed il mutamento continuo delle linee di confine. Nel 712 il nuovo re Liutprando fece un gesto di distensione, restituendo all'esarca il porto di Classe. Ma cinque anni dopo, approfittando della guerra in corso tra Costantinopoli e gli Arabi, attaccò e saccheggiò Classe. Nel 732 Ravenna venne conquistata per la prima volta da Ildeprando, erede al trono di Liutprando, e da Peredeo, duca di Vicenza. L'esarca Eutichio riparò nella laguna veneta, in territorio bizantino. In breve tempo fu armata la flotta veneziana che, guidata dal duca Orso, riportò la capitale dell'Esarcato sotto l'autorità bizantina. Peredeo morì in battaglia, mentre Ildeprando fu fatto prigioniero. Successivamente Eutichio rientrò a Ravenna.

Ma i longobardi non si diedero per vinti. Intorno al 732, Liutprando mosse di nuovo guerra contro l'Esarcato d'Italia, occupando l'intera Pentapoli; ai Bizantini restarono solo il porto di Classe, Ravenna e la pianura intorno alla città. Nel 751 l'Esarcato cadde definitivamente sotto l'offensiva di re Astolfo. Papa Stefano II reagì chiamando in aiuto il re dei Franchi. Pipino il Breve nel 754 scese in Italia e sconfisse i Longobardi. Successivamente cedette Ravenna, Forlì, Rimini e le Marche settentrionali al neocostituito Stato della Chiesa (Donazione di Pipino).
La donazione di fatto non fu mai operativa, in quanto i Longobardi rimasero in città fino al 756. Successivamente a tale data il potere temporale fu esercitato dagli arcivescovi locali, con l'appoggio dell'aristocrazia locale ed in forza di antichi privilegi concessi dai bizantini, che avevano riconosciuto alla chiesa ravennate una sostanziale indipendenza da Roma.
Nell'803 Carlo Magno[9]rinnovò la promessa di donazione e s'impegnò a proteggere tutta l'area dell'ex Esarcato, che chiamò Romandiola. Il termine fece la sua prima apparizione assoluta in un documento ufficiale[10].
Alla morte di Carlo Magno l'Impero passò al figlio Ludovico il Pio, quindi venne diviso tra i suoi eredi, frammentandosi irreversibilmente. Venne costituito un Regno d'Italia con capitale a Pavia, principale città longobarda. Ravenna mantenne il suo prestigio come sede imperiale. Nell'892, infatti, Lamberto da Spoleto fu incoronato a Ravenna sacro romano imperatore da papa Formoso.
Il territorio dell'ex Esarcato entrò nelle mire degli imperatori, mentre legittimamente apparteneva alla Chiesa. Gli arcivescovi di Ravenna, però, seppero difendere il territorio sia dal potere del Pontefice sia dalle mire dell'Imperatore.
Dopo una lunga vacatio imperii (durata ben 38 anni), nel 962 il trono imperiale fu ripristinato. Il nuovo imperatore, Ottone I, rinnovò la promessa al papa della restituzione del territorio di Ravenna (Privilegium Othonis, 962). In realtà Ottone I mirava a controllare tutta l'area nordadriatica, quindi la promessa rimase sulla carta. Il districtus Ravennatis urbis venne ceduto alla moglie Adelaide, mentre i comitatus di Cervia, Cesena, Imola, Montefeltro, e altri patrimoni minori, passarono alla sede arcivescovile[11].
Ottone I fece costruire un suo palazzo in città. Inaugurato nell'aprile 967, fu l'ultimo palazzo imperiale costruito a Ravenna. Nello stesso anno l'imperatore, di ritorno in Germania dal sud della penisola, si fermò a Roma e, in compagnia del pontefice (Papa Giovanni XIII) celebrò la Pasqua a Ravenna. In aprile tenne nel suo palazzo una grande assemblea, cui furono convocati il re Corrado di Borgogna, numerosi nobili italiani e germanici, gli arcivescovi di Ravenna, di Milano, di Aquileia, e molti altri vescovi dell'Italia settentrionale e centrale.
Tra il 997 e il 999 l'arcivescovo Gerberto ottenne da papa Gregorio V la giurisdizione civile ("signoria"):

  • sulla città;
  • sulla fascia litoranea che si estende dalla foce del Po di Primaro fino a Cervia;
  • su tutto il territorio a mari usque ad Alpes, a fluvio Rheno usque ad Foliam (dal mare alle alture, dal fiume Reno al fiume Foglia)[12]. Nel periodo ottoniano vennero costruiti in città i grandi monasteri annessi alle basiliche (di S. Vitale, S. Apollinare Nuovo e di S. Giovanni Evangelista).

L'epoca comunale e le signorie

 
Bassorilievo di Dante nella tomba del poeta

Al principio del secolo XII Ravenna si era data un ordinamento comunale (la prima attestazione dell'esistenza del Comune a Ravenna risale al 1106 circa). Ma il libero Comune doveva fare i conti con il forte potere imperiale. Nel 1195 Enrico VI creò il Ducato di Ravenna, indicando direttamente nel testamento i territori spettanti al proprio legato in Italia, Marquardo di Annweiler: Ducatum Ravennae, Terram Brictinorii[13], Marchiam Anconae &c.. Il Ducato ebbe breve vita, in quanto nel 1198 le città romagnole si sollevarono e, con l'aiuto di papa Innocenzo III cacciarono Marquardo.

Federico II di Svevia, salito al trono nel 1212, ripristinò il controllo imperiale sui territori italiani, favorendo le famiglie ghibelline a lui amiche. A Ravenna l'imperatore poté contare sull'alleanza con il potente casato dei Traversari. Ma nel 1239 i Traversari mutarono campo, alleandosi con la parte guelfa e cacciando dalla città gli esponenti ghibellini. Alla morte di Paolo II Traversari (8 agosto 1240), l'imperatore decise di reimpossesarsi di Ravenna e, dopo 3 giorni di assedio, cacciò i Traversari dalla città (15 agosto).

Il dominio imperiale su Ravenna subì una battuta d'arresto nel 1248. In febbraio Federico II riportò una grave sconfitta a Parma. Subito i guelfi si coalizzarono contro le città ghibelline. Un esercito comandato dal card. Ottaviano degli Ubaldini invase la Romagna e conquistò in maggio Ravenna.

Nel 1275 Guido di Lamberto Da Polenta, guelfo, prese la città con l'aiuto dei Malatesta di Rimini. Da quell'anno Ravenna fu governata dalla sua famiglia. Sotto la signoria dei Da Polenta vennero eseguiti nuovi lavori di irregimentazione delle acque che resero stabile la zona per oltre quattro secoli. Era successo che il Lamone[14] aveva subito due diversioni (1232-1254), che lo avevano allontanato da Ravenna. Gli ingeneri portarono i fiumi Ronco (Bidente) e Montone a scorrere attorno alle mura della città, circondandola rispettivamente a sud e a nord-ovest per poi riunirsi verso il Mare adriatico. Furono inoltre costruiti una serie di canali deviatori, le cui acque servivano principalmente per i mulini, e venne scavato il «canal naviglio» fin sotto le mura come valido alternativo del Bidente nelle idrovie di comunicazione con il Po.
La sistemazione permise di rifornire meglio di acqua la città e di assicurare il funzionamento di opifici e mulini. L'aspetto di Ravenna era molto diverso da quello dell'età imperiale: i fiumi e canali interni che l'attraversavano erano limacciosi, le case povere e basse, fatte di malta con tetto di paglia o canna palustre. La popolazione si era ridotta a circa diecimila abitanti.

Il 15 settembre 1321 Dante Alighieri, che aveva trovato ospitalità a Ravenna, quivi morì per la malaria contratta durante il viaggio di ritorno da Venezia, dove aveva tenuto un'ambasceria per conto della famiglia Da Polenta.

Ravenna era parte costitutiva della Provincia Romandiolæ et Exarchatus Ravennæ. Essendo sede vescovile era a capo di un comitatus. Nella Descriptio provinciæ Romandiolæ del card. Anglico de Grimoard (9 ottobre 1371) si legge: «Civitas Ravennæ, posita est in provincia Romandiola […] cuius comitatus est in confinibus comitatus Cerviæ, Cesenæ, Forlivii, Faventiæ, Casemuratæ, Bagnacavalli et Argentæ, in qua Civit.(atis) sunt focul.(aria) MDCCXLIII».

Tra XIV e XV secolo si formò la pineta costiera. I pini domestici, originari di climi più caldi, furono impiantati dai monaci dei delle quattro abbazie storiche (San Vitale, Porto, San Giovanni e Classe). L'opera laboriosa e continuativa dei monaci favorì la creazione sulla costa di un grande bosco, esteso dalla foce del Lamone fino a Cervia[15].

La dominazione veneziana

La signoria dei Da Polenta durò fino al 1441, anno in cui la città passò sotto il dominio della Repubblica di Venezia.
La Ravenna nel Quattrocento era una città agricola. Il porto si era interrato, così come le vie d'acqua di collegamento con il Po. Solo il «canal naviglio» era stato conservato. Per quanto riguardava i canali interni alla città, erano stati mantenuti solo quelli che servivano per far funzionare i mulini; tutti gli altri furono tombati. I veneziani costruirono la nuova rocca (oggi denominata Rocca Brancaleone, dal nome dell'architetto che la progettò).

Il dominio veneziano cessò nel 1509 quando, sotto il pontificato di Giulio II, Ravenna ritornò allo Stato Pontificio, cui rimase legata per i successivi 350 anni.

Ravenna nello Stato Pontificio

Il Cinquecento

Nel 1512, in occasione della guerra della Lega Santa, Ravenna fu teatro di scempio e sangue in quella che passò alla storia come la prima grande guerra con armeria moderna mai combattuta. La città fu anche saccheggiata dalle truppe francesi.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Ravenna.

Nel 1545 il papa nominò un legato apostolico per la Romagna, con sede a Ravenna. Nacque così la Legazione di Romagna, circoscrizione amministrativa dello Stato della Chiesa.

Tra Seicento e Settecento

 
Pianta del territorio di Ravenna nel 1604-05. I fiumi Montone (a Nord) e Ronco (a Sud) circondano la città; a sud-est vi è il porto. Ancora più a sud, Classe.

Nel maggio del 1636 Ravenna fu colpita da una catastrofica alluvione, che vide l'acqua sommergere la città per oltre due metri. Fu provocata dall'esondazione dei fiumi Ronco e Montone.
Probabilmente la causa del disastro fu il progressivo innalzamento del letto dei due fiumi (ormai pensili attorno alla città) e le numerose costruzioni lungo gli argini, che nel tempo avevano rallentato il deflusso delle acque.
L'esondazione dagli argini avvenne il 27 maggio, dopo sei giorni ininterrotti di pioggia. A mezzanotte l'acqua del Montone, che cingeva le mura della città a nord-ovest, straripò verso sud e andò ad unirsi con quella del Ronco. Le acque saltarono le mura ed irruppero nelle strade.
Il livello delle acque all'alba del 28 maggio fu talmente elevato che raggiunse il secondo piano delle case. Le strade erano diventate fiumi. Gli abitanti vennero messi in salvo caricandoli sulle barche.
Per tre giorni le strade furono praticabili solo dalle imbarcazioni, poi dai cavalli. Alla fine si contarono 140 case crollate, 320 danneggiate e 240 puntellate. Il numero dei morti fu fortunatamente basso: non più di una dozzina[16].

 
Pianta del territorio di Ravenna - XVII secolo.

L'irregimentazione delle acque di Ronco e Montone si rivelò improcrastinabile. Il governo del legato pontificio elaborò un ampio piano di sistemazione idraulica dell'area ravennate che comprendeva:

  1. diversione delle acque di Ronco e Montone;
  2. costruzione di un nuovo canale che collegasse la città al mare;
  3. costruzione di un nuovo porto.

Le opere furono realizzate dai seguenti legati di Romagna:

  • card. Alderano Cybo: nel 1648 fece spostare la confluenza di Ronco e Montone a circa 3 km dalla città.
  • card. Giovanni Stefano Donghi: nel 1651 fece scavare un nuovo canale per congiungere la città con il mare. Tale canale, denominato Panfilio, era lungo 7 km e sfociava in mare presso il vecchio porto Candiano.
  • card. Marcello Durazzo si occupò della riparazione dei danni causati dal terremoto del 1688[17] e dall'alluvione del 1700.
  • card. Ulisse Gozzadini (1713-17) chiese e ottenne dal governo dello Stato pontificio un prestito di 15.000 scudi, fondamentali per ripristinare la navigazione nel canale Panfilio, ormai quasi interrato.
  • card. Giulio Alberoni (1735-39), fece confluire i fiumi Ronco e Montone in un unico corso, utilizzando come alveo il canale Panfilio, che aveva un letto più basso (1737). Dal Panfilio, la via d'acqua fu fatta proseguire nel letto del vecchio canale Candiano fino al mare. Nell'alveo spento fu condotto fino al mare il vecchio canale dei molini, che continuò ad alimentare l'unico mulino idraulico della città[18].

L'antico porto canale cadde in disuso in seguito a questo intervento. Il card. Alberoni decise di costruire il nuovo porto nell'ampia insenatura della Baiona. Nel 1738 chiese e ottenne da Papa Clemente XII (al secolo Lorenzo Corsini) la proroga di un anno del mandato per consentirgli di completare i lavori. Nel 1739 fu avviata la costruzione del nuovo canale-naviglio per collegare la città al mare. La parte iniziale fu scavata ex novo, mentre nella parte finale il canale fu inalveato sulla vecchia foce del Montone. Nel settembre dello stesso anno, però, l'Alberoni dovette ritornare a Roma senza aver visto la fine dei lavori.

  • card. Pompeo Aldrovandi (1743-46): terminò l'opera dell'Alberoni. Il nuovo canale mantenne il nome Candiano, mutuandolo dal precedente.
  • card. Giacomo Oddi: alla foce del canale Candiano fu costruito il nuovo porto (1748) che in seguito, dal nome del pontefice, fu denominato Porto Corsini.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Canale Candiano e Porto Corsini.

Nella città, liberata dalla minaccia delle acque, venne costruito il nuovo Duomo in sostituzione della cattedrale Ursiana, e numerose opere fra cui il sepolcro di Dante (architetto Camillo Morigia).
Nel 1785 fu celebrata l'apertura della nuova strada per Forlì, la "via Ravegnana", che conserva questo nome ancora oggi[19].

L'Ottocento

Dopo il ventennio di dominazione napoleonica (1796-1815)[20], Ravenna tornò nuovamente allo Stato pontificio.
Subito dopo la Restaurazione, nacque per la prima volta la discussione su quale città, tra Forlì e Ravenna, meritasse di più il ruolo di capoluogo della Legazione di Romagna. Negli anni 1815-1816 si scatenò una lunga polemica tra i due centri, a colpi di pamphlet e di pressioni più o meno nascoste verso Roma. Alla fine fu presa una decisione salomonica: la Romagna venne divisa in due Legazioni distinte, così entrambe si poterono fregiare del titolo di capoluogo.

Negli anni seguenti si diffusero a Ravenna, come in molte altre città, le sette segrete, tra cui la Carboneria. Un cittadino ravennate, nella sua autobiografia[21], spiega che «In Ravenna la Carboneria dividevasi in tre sezioni: la prima portava il nome di Protettrice, perché reggeva le altre; la seconda di Speranza, perché composta in gran parte di giovani studenti; e la terza, [poiché] era un miscuglio di ogni sorta di gente, operai quasi tutti, i più pronti all’azione, ebbe il nome di Turba».
L'attività delle sette fece registrare un notevole aumento dei delitti di sangue in tutta la Legazione. Il cardinale Ercole Consalvi, Segretario di Stato della Santa Sede, temendo un'invasione del confinante Impero austriaco[22]a causa della presenza di società segrete ai confini del Lombardo-Veneto, ordinò nel 1821 al legato di Ravenna, Rusconi, di cacciare o di confinare i carbonari più pericolosi.
Ma il problema non fu risolto e negli anni seguenti Consalvi temette più volte che l'Austria approfittasse di un qualsiasi pretesto per scendere a sud del Po.
Nel 1824 venne assassinato il direttore di polizia della città. Ciò indusse Roma ad inviare uno dei suoi uomini più in vista, il cardinale Agostino Rivarola. Rivarola, nominato cardinal legato a latere, fece condurre un'indagine che portò alla celebre sentenza del 31 agosto 1825, con la quale vennero condannate a varie pene (compresa quella capitale, poi commutata in ergastolo), oltre 500 persone, appartenenti a tutti gli strati sociali.
Rivarola avviò anche una politica di modernizione amministrativa, ma fu ricordato soprattutto per il pugno di ferro con il quale esercitò il potere di comando e la durezza con cui cercò di colpire i cospiratori. La Carboneria decise allora di preparare un attentato contro di lui, che fu effettuato senza successo il 23 luglio 1826.
Visto il clima pericoloso, il governo pontificio ritenne prudente richiamare Rivarola a Roma. Al suo posto fu inviata in Romagna una commissione di giudici con l'incarico di trovare e condannare i responsabili dell'attentato. La commissione d'inchiesta, presieduta da monsignor Filippo Invernizzi, avviò un'indagine in cui, per raccogliere prove, non esitò a ricorrere a delazioni e carcerazioni arbitrarie, inimicandosi la popolazione. Dopo due anni l'inchiesta si concluse con la condanna a morte di cinque persone, sentenza pronunciata il 26 aprile 1828. La condanna fu eseguita, nel successivo mese di maggio, in piazza Garibaldi (all'epoca "Piazza degli Svizzeri").

Negli stessi anni il governo pontificio aveva rilevato la proprietà del porto, situato all'imbocco del Canale Corsini. Il porto crebbe fino a diventare, durante il pontificato di Papa Pio IX, "il più frequentato ed il più centrale pel commercio delle quattro Legazioni". In un rapporto del Giornale agrario toscano, organo dell'Accademia dei Georgofili, si legge che nel 1836 attraccavano nel porto di Ravenna circa 500 navi mercantili all'anno. Considerando che il numero di navi che uscivano dal porto fosse altrettanto, si può concludere che il movimento annuale dovesse arrivare ad un migliaio di unità. Il movimento rimase costante per molto tempo. Verso la fine dell'Ottocento la quota era sostanzialmenta la stessa.

L'11-12 marzo 1860, in seguito ad un plebiscito, Ravenna venne annessa al Regno di Sardegna, che divenne dal 1861 Regno d'Italia. La Legazione divenne provincia, cui però fu tolta Imola[23].

Dall'unificazione dell'Italia ad oggi

Ravenna nel Regno d'Italia

Due anni dopo la proclamazione del nuovo Regno, a Ravenna arrivò la ferrovia. Il capoluogo venne messo in comunicazione con Bologna tramite la linea Ravenna-Castel Bolognese (circa 40 km), inaugurata il 23 agosto 1863. Commissario della tratta fu Alfredo Baccarini.
Nel 1885 si apriva il collegamento con Rimini. L'anno prima la Provincia di Ravenna però aveva subito una seconda defezione: i comuni della Valle del Santerno[24] venivano annessi alla Provincia di Bologna.
L'impulso dei commerci portò alla fine del secolo ad abbattere in gran parte le mura cittadine, come stava accadendo anche in altre città. Venne costruita una nuova stazione ferroviaria coi relativi viali che la collegarono al centrocittà. Nacque la lunga strada che porta due nomi: Via Farini e Via Armando Diaz. Venne dedicato un monumento a Luigi Carlo Farini e ai caduti delle guerre d'indipendenza.
Tra Otto e Novecento si costruirono anche nuove opere pubbliche come il lavatoio, il macello (il cui edificio esiste ancora) e il cimitero monumentale. Dopo l'esproprio delle proprietà ecclesiastiche (legge del 1866), nei locali del monastero Classense venne aperta la biblioteca cittadina (oggi una delle più prestigiose d'Italia); l'ex convento di San Giovanni venne riadattato a ospedale; l'ex complesso di San Vitale venne riutilizzato come caserma e deposito.
Si avviò anche il completamento della piazza Garibaldi, adiacente alla centralissima piazza del Popolo, e fu edificata la pescheria (poi trasformata nell'attuale mercato coperto).

Ravenna possedeva un patrimonio monumentale vastissimo, che però non veniva curato né valorizzato. Alla fine del secolo lo stato di conservazione dei monumenti storici era preoccupante: il sepolcro di Galla Placidia si allagava normalmente d'inverno, e qualche volta anche la Basilica di San Vitale. Questa grave situazione portò all'appello degli intellettuali ravennati del 28 gennaio 1897, esteso da Giosuè Carducci, all'epoca presidente della Regia Deputazione di Storia Patria per le Romagne.
La risposta dello Stato non si fece attendere. Nell'autunno dello stesso anno si recò a Ravenna una delegazione del Ministero dell'Istruzione. Dopo aver effettuato un sopralluogo nei luoghi simbolo della città, si decise di intervenire con un finanziamento. Oltre ai fondi, il Ministero decise, sollecitato dagli stessi proponenti, di creare di una struttura in loco che guidasse e sopraintendesse ai lavori di riqualificazione e recupero dei monumenti storici della città.
Nacque così la prima Soprintendenza ai monumenti d'Italia. Fu scelto come primo soprintendente Corrado Ricci, personaggio molto conosciuto in città, che abbinava la fama di storico con l'esperienza di ex funzionario della Pubblica Istruzione. Ricci fu affiancato dall'architetto Icilio Bocci.
La struttura fu varata nel dicembre 1897, dieci anni prima della definitiva sistemazione del servizio a livello nazionale.

Quattro anni prima, nel 1893, era stata aperta la filiale ravennate della Banca d'Italia[25].

La prima guerra mondiale

Ravenna vanta un triste primato: il suo porto fu l'obiettivo del primo atto di guerra ordito contro l'Italia nella prima guerra mondiale. Il 25 maggio 1915 (l'Italia aveva dichiarato guerra all'Impero austriaco appena il giorno prima) un cacciatorpediniere austriaco forzò il porto penetrando nel canale Corsini, scaricando colpi di cannone su tutto ciò che incrociava. L'unica vittima, l'operaio Natale Zen, fu probabilmente la prima vittima italiana del conflitto.
Il 12 febbraio 1916 la città fu bombardata dall'aviazione austriaca, con danni all'ospedale civile e alla Basilica di Sant'Apollinare in Classe.[26]

Ravenna sotto il fascismo

I piani regolatori del 1927, del 1937 e del 1942 impressero a Ravenna modificazioni strutturali.
Vennero edificate in questo periodo la Casa del Mutilato (nell'odierna piazza J. F. Kennedy), la Capitaneria del Porto, il nuovo Liceo Classico e la prima Colonia di Marina di Ravenna, lido balneare che stava prendendo forma.
Nel 1928 venne ultimato il nuovo Palazzo della Provincia, su progetto dell'architetto Giulio Ulisse Arata. Arata realizzò anche l'intervento urbanisticamente più pregevole di questi anni: la sistemazione della zona attorno alla Tomba di Dante Alighieri.

La seconda guerra mondiale

Dopo l'8 settembre 1943 Ravenna, come tutta la Romagna, finì nell'orbita della Repubblica Sociale Italiana.
L'esercito tedesco penetrò nella pianura padana e prese il controllo del territorio. Gli Alleati bombardarono per la prima volta la città bizantina il 30 dicembre 1943. Un secondo attacco fu effettuato il 22 marzo 1944. Tra giugno e luglio del 1944 la X Armata dell'esercito germanico costruì la Linea Verde. Gli Alleati, dopo la conquista di Roma (4 giugno 1944), proseguirono la risalita della penisola e giunsero a ridosso della linea fortificata in agosto. L'VIII Armata britannica si dispose lungo il tratto romagnolo, che scorreva lungo il crinale appenninico e terminava a Rimini.

Le incursioni aeree sui cieli di Ravenna si moltiplicarono: tra luglio e agosto i bombardamenti furono pressoché quotidiani. Il 24 agosto, il 4 e 9 settembre furono effettuati anche bombardamenti notturni. I danni causati furono ingenti; furono colpiti anche mosaici e monumenti del V e del VI secolo. I tesori inestimabili, artistici e storici, custoditi nella città furono salvati grazie a un tacito accordo tra tedeschi e Alleati. All'indomani del bombardamento del 9 settembre, il podestà, Gualtieri, scrisse al ministro dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale, Carlo Alberto Biggini, pregandolo di fare pressioni sul comandante dell'esercito tedesco, il generale Albert Kesselring, affinché risparmiasse Ravenna da ulteriori bombardamenti[27]. Gli sforzi di Biggini ebbero successo: il 23 settembre Kesselring inviò una lettera segreta ai comandi locali annunciando loro la prossima partenza della città. Contestualmente, il generale tedesco indirizzò un'analoga missiva al comando Alleato per metterlo al corrente della propria unilaterale decisione.

Ravenna fu evacuata dai tedeschi il 3 dicembre; l'indomani fu occupata dall'VIII Armata britannica senza che fosse sparato un colpo[28].
Nelle campagne a nord di Ravenna si svolse la "battaglia delle Valli". Durante gli scontri caddero Terzo Lori (medaglia d'oro al valor militare) e Primo Lacchini (medaglia d'argento al valor militare). I partigiani liberarono Sant'Alberto il 4 dicembre, ma la frazione fu ripresa dai tedeschi. Sant'Alberto ritornò alla libertà grazie all'offensiva alleata dell'aprile 1945.

Il secondo dopoguerra

Il porto venne subito riedificato con il finanziamento dello stato. Intorno all’importante nodo di scambio nacque la prima azienda petrolchimica ravennate, la Sarom (Società Anonima Raffinazione Olii minerali, 1950). Negli anni successivi l'attività industriale registrò ritmi di crescita annuali costanti. Il polo petrolchimico iniziò ad attirare manodopera. Contadini e braccianti trovarono un nuovo lavoro come operai nella costruzione dei nuovi impianti. Su tutti, lo stabilimento dell'Anic (Azienda Nazionale Idrogenazione Carburanti, l'azienda petrolchimica dell'ENI).

L'ENI, proprietaria dell'Anic, aveva deciso di fare di Ravenna il porto per le spedizioni dei suoi prodotti verso l'Africa ed il Medio oriente. L'Ente di Enrico Mattei aveva trovato un'ottima convenienza ad investire a Ravenna, dato che in loco esistevano ampi giacimenti di metano [29] e data l'ampia disponibilità di aree a basso costo.

Nello stesso periodo aumentarono i flussi migratori dai territori circostanti: tra il 1953 e il 1956 si ebbe una prima ondata di ben 5.000 nuclei familiari. Provenienti dalla collina faentina e forlivese, andarono a coltivare i poderi lasciati liberi da contadini e braccianti del posto.

Lo stabilimento Anic, costruito sulle sponde del Canale Candiano entrò in attività nel 1958. Produceva fertilizzanti, urea e nitrato d'ammonio. L'insieme di queste iniziative economiche fecero decollare Ravenna come polo industriale. Lo scalo ravennate, nonostante le ancora ridotte dimensioni e la poca profondità del pescaggio, diventò il porto principale dell'Adriatico per i prodotti petroliferi dell'ENI. L'ENI, oltre a costruire lo stabilimento, edificò anche le case per i dipendenti. Nacque così il «Villaggio Anic», una cittadella di 25 ettari realizzata per una popolazione di 10.000 abitanti. Il Villaggio fu costruito tra il 1958 e il 1962 nell'area insediativa a sinistra del Porto canale.

In pochissimi anni si insediarono in questo quartiere circa 500 famiglie (duemila persone), provenienti soprattutto dalle vicine Marche. Ravenna registrò un flusso immigratorio senza precedenti. Il nuovo quartiere disponeva di tutti i servizi: dalle scuole ai negozi alla chiesa parrocchiale. Anche la fornitura di energia elettrica era autonoma, poiché era stata costruita una centrale termica ad olio combustibile in loco. Per decenni tra il quartiere e la città non ci furono contatti. Il Villaggio Anic fu totalmente autosufficiente.

Negli anni settanta, la crisi energetica determinata dall'enorme aumento del prezzo del petrolio causò l'inizio della parabola discendente per il polo petrolchimico ravennate. Negli anni ottanta l'ENI cessò progressivamente l'attività in tutti gli impianti. Le attività dell'Anic furono assorbite dalla nuova società EniChem, con sede a San Donato Milanese (1983). Nel 1993 il Villaggio venne venduto agli abitanti. L'area aveva raggiunto la dimensione di 60.000 metri quadrati ed ospitava 466 famiglie [30].

Nei primi quarant'anni del dopoguerra la città fu - assieme alla vicina Forlì - il principale bacino di voti del Partito Repubblicano Italiano.

Note

  1. ^ La canalizzazione fu tombata solo nella seconda metà del XV secolo.
  2. ^ Fu demolita nel 1582 per fornire materiale da costruzione.
  3. ^ Il termine latino per "flotta" è Classis: tale nome rimase nei secoli e indica ancora oggi la località dove al tempo dei romani sorgeva il porto cittadino.
  4. ^ L'altra fu insediata a Miseno, porto naturale nel golfo di Napoli.
  5. ^ Fonte: Plinio (I secolo d.C.).
  6. ^ Città a sud del Po non più esistente.
  7. ^ Luigi Bossi, Della istoria d'Italia antica e moderna Libro III, Cap. XVI, Vol. XII, pag.117, Giegler-Bianchi & C., Milano, 1820
  8. ^ Dell'edificio oggi restano solo pochi avanzi, inglobati in un edificio moderno.
  9. ^ Carlo Magno fu presente a Ravenna tre volte: nel 787, nell'anno 800 e nell'810.
  10. ^ Annali d'Italia, pag. 393., su books.google.it. URL consultato il 22/04/2010.
  11. ^ Il passaggio avvenne gradualmente negli anni tra il 962 e il 999.
  12. ^ Rimaneva esclusa solo l'enclave di Bertinoro, all'epoca ancora indipendente.
  13. ^ Fino ad allora il castello di Bertinoro era rimasto indipendente da Ravenna.
  14. ^ Il Lamone medievale fu chiamato anche con l'appellativo di Teguriense.
  15. ^ Fino all'inizio dell'Ottocento la pineta si estendeva su circa 8.000 ettari; i disboscamenti effettuati soprattutto nel XX secolo l'hanno ridotta a circa 2.000 ettari.
  16. ^ Andrea Casadio (a cura di), 52 storie e luoghi di Romagna, Forlì, Edizioni InMagazine, 2008.
  17. ^ Nell'aprile 1688 Ravenna fu colpita da un forte terremoto. Il sisma causò danni a edifici storici come la Basilica di Sant'Agata Maggiore e il campanile della Basilica di San Vitale.
  18. ^ Il manufatto rimase in funzione fino alla metà del XX secolo.
  19. ^ «Via Ravegnana» è chiamata anche l'arteria che collega Faenza con Ravenna.
  20. ^ Nel 1797 Ravenna fu capoluogo del Dipartimento del Savio, prima di essere inglobata nel Dipartimento del Lamone (capoluogo Faenza) e poi in quello del Rubicone (capoluogo Forlì). Tra 1813 e 1814 ebbe vita effimera il Dipartimento della Pineta.
  21. ^ Primo Uccellini, Memorie di vecchio carbonaro ravegnano, a cura di Tommaso Casini, Dante Alighieri, Roma – Milano.
  22. ^ Il territorio soggetto alla Corona d'Austria si estendeva a Sud fino al fiume Po, oltre il quale cominciava il Ducato di Ferrara, provincia di confine dello Stato Pontificio.
  23. ^ Per decisione del plenipotenziario di Cavour in Romagna, Luigi Carlo Farini.
  24. ^ Casalfiumanese, Tossignano, Fontana Elice e Castel del Rio.
  25. ^ La filiale venne chiusa il 28 febbraio 2009, in seguito ad un piano di razionalizzazione elaborato nel 2007 che prevedeva la chiusura di 39 filiali su tutto il territorio nazionale.
  26. ^ Biografia di una bomba, su biografiadiunabomba.it. URL consultato il 04/02/2011.
  27. ^ Nella lettera Gualtieri chiese anche di far dichiarare Ravenna «città aperta».
  28. ^ Luciano Garibaldi, La guerra (non è) perduta, Edizioni Ares, 1988, pagg. 129-30.
  29. ^ Si conosceva da secoli l'esistenza di giacimenti di questo gas naturale, nell'entroterra e nel mare Adriatico. L'ENI iniziò ad estrarlo con moderne tecnologie.
  30. ^ Successivamente, la centrale termica è stata convertita in un impianto a metano. Dal 2001 il Villaggio ha assunto la denominazione di «Quartiere San Giuseppe».

Voci correlate

Collegamenti esterni

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