Guerra del Pacifico (1941-1945)
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La guerra del Pacifico, in giapponese "guerra del Pacifico" (太平洋戦争?, Taiheiyō Sensō), o anche "Grande Guerra dell'Asia Orientale" (大東亜戦争?, Dai Tō-A Sensō), è stato un conflitto svoltosi nella metà occidentale dell'oceano Pacifico, nel sud-est asiatico e nella Cina occupata dall'Esercito imperiale giapponese. Venne combattuta tra l'Impero giapponese facente parte dell'Asse e le potenze alleate, ovvero gli Stati Uniti con le Filippine; il Regno Unito assieme all'India, sua colonia; la Cina, l'Australia, l'Olanda e la Nuova Zelanda. L'Unione Sovietica, che nel maggio del 1939 aveva sconfitto i giapponesi nella Battaglia di Khalkhin Gol, rimase neutrale fino al 1945 quando giocò un ruolo importante per la parte alleata negli ultimi giorni di guerra, irrompendo in Manciuria.
E' cronologicamente inclusa nella seconda guerra mondiale, in quanto ne comprende alcune tra le più importanti battaglie e campagne, ma ha le sue radici nel conflitto fra Cina e Giappone che si sviluppò tra il 1937 e il 1945. Questa guerra esacerbò i rapporti con le potenze occidentali, e insieme a motivi economici e politici spinse l'Impero giapponese all'attacco a sorpresa di Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, seguito dalla fulminea espansione nel Pacifico e nelle isole del Sud-Est asiatico a spese di territori e colonie statunitensi, olandesi, britannici e australiani. Il Giappone fu appoggiato dalla Thailandia, politicamente già sottomessa, e da vari movimenti indigeni nazionalisti. L'enorme ma effimero dominio che il Giappone si costruì con le conquiste militari prese il nome di Sfera di Prosperità Comune.
Dopo sei mesi di ininterrotte vittorie la potenza militare del Giappone subì un duro ed improvviso arresto a Midway nel giugno 1942: da allora iniziò un susseguirsi di disfatte aeronavali e di sanguinose sconfitte su atolli ed isole, mentre si intensificavano i bombardamenti aerei sul suolo metropolitano, iniziati nel giugno 1944 e culminati con il lancio della prima bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto 1945 e di una seconda su Nagasaki il 9 agosto.
Con il paese sull'orlo del collasso totale, l'imperatore Hirohito impose la sua decisione di cessare le ostilità al clan militarista e ai generali più intransigenti. Dopo un breve ammutinamento dei soldati più fanatici, la mattina del 15 agosto l'imperatore radiodiffuse la resa senza condizioni del Giappone agli Alleati. Il documento vero e proprio fu firmato il 2 settembre sulla corazzata Missouri, ancorata nella Rada di Tokyo.[1]
Tra le conseguenze della resa il Giappone dovette rinunciare a tutte le conquiste effettuate dal 1894, e i territori che aveva assoggettato divennero paesi sovrani prima degli anni '50. La fine della guerra del Pacifico aprì inoltre l'Asia e gli arcipelaghi oceanici al cammino verso la decolonizzazione e l'indipendenza, scontrandosi con l'intrasigenza delle potenze europee che avrebbero voluto reimpossessarsi dei loro imperi prebellici.[2][3]
Prima espansione giapponese in Asia
Alla fine del XIX secolo il continente asiatico era quasi completamente caduto sotto l'influenza dell'Occidente e solo il Giappone, grazie alla nuova politica intrapresa dall'imperatore Mutsuhito, era riuscito in capo a trent'anni a divenire una forte nazione sul modello dei paesi europei. Il processo di modernizzazione fu appoggiato dal clan militarista Satsuma, i cui membri intuivano gli enormi vantaggi bellici che sarebbero derivati dalla industralizzazione del paese: infatti riuscirono a ottenere che il Giappone impegnasse gran parte dei nuovi capitali per armare un forte e numeroso esercito oltre a una moderna flotta.[4]
A causa di dispute territoriali in Corea, il Giappone attaccò nel 1894 la Cina, decidendo in poche battaglie la sconfitta del grande paese asiatico. Con il trattato di Shimonoseki l'Impero nipponico annesse l'isola di Formosa ed espanse la sua influenza economica e politica in Corea, divenuta indipendente.[5] Nel 1900 il Giappone intervenne con le potenze europee contro la rivolta dei Boxer, acquisendo ulteriore importanza internazionale: fu firmato un trattato con la Gran Bretagna (1902), e la successiva vittoria nella guerra russo-giapponese gli consentì di occupare integralmente la penisola, poi annessa nel 1910, la metà dell'isola di Sakhalin e di porre le basi per una successiva penetrazione economico-militare in Cina.[6] L'espansione del potere nipponico venne aiutata dal fatto che la Cina aveva subito una profonda trasformazione politico-istituzionale, divenendo nel 1912 una repubblica con presidente Sun Yat-sen (fondatore del Kuomitang), ma la debolezza del cui governo provocò in capo a pochi anni la frammentazione del potere, assunto dai vari governatori militari chiamati signori della guerra.
Durante la prima guerra mondiale il Giappone si schierò con l'Intesa e conquistò rapidamente le concessioni territoriali tedesche in Cina e l'impero coloniale della Germania nel Pacifico (Isole Caroline, Marianne, Marshall); sempre nel corso del conflitto il Giappone impose alla Cina sconquassata dalle lotte politiche le Ventun Richieste. In questo periodo l'Impero nipponico conobbe una grande crescita economica e produttiva ed espanse i suoi mercati in Estremo Oriente.[7]
La svolta militarista
Finito il primo conflitto mondiale il Giappone si vide riconoscere le conquiste effettuate sottoforma di mandato. D'altronde l'Impero del Sol Levante godeva di importanza internazionale, tanto che occupava un posto fisso nell'assemblea della Società delle Nazioni, mentre la potenza della sua flotta lo posizionava terzo dopo Stati Uniti e Regno Unito.[8] Nel 1920-21, però, la crisi industriale postbellica guastò la floridezza economica di cui il Giappone godeva: le sue esportazioni caddero di colpo mentre le importazioni di alimenti, acciaio e petrolio provocarono un grave deficit statale.[9] Si ebbe una frattura nella dirigenza del paese: da una parte le personalità della finanza e della politica intendevano superare la crisi con un'onesta concorrenza commerciale. Dall'altra i capi militari, ispirandosi all'antico culto dello spirito egemonico Yamato,[10] propugnavano guerre d'aggressione di stampo imperialista per assicurarsi materie prime e mercati dove smerciare le eccedenze di produzione; inoltre a sostegno di questa tesi affiancavano il tema di una "missione civilizzatrice" del popolo nipponico verso gli altri paesi asiatici, per affrancarli dalla dominazione occidentale e guidarli sulla via dello sviluppo.[9] L'intransigente linea dei militari anche se riscosse successo venne rifiutata, e tranne per la creazione nel 1926 dello stato indipendente del Manciuria, strappata alla Cina e posta sotto la guida del signore della guerra Zhang Xueliang, il Giappone si attenne a una espansione commerciale pacifica. Il nuovo indirizzo fu seguito anche perché concideva con le opinioni personali dell'imperatore Hirohito, divenuto sovrano del Giappone il 25 dicembre 1926 con il nome Shōwa.[11]
La Grande Depressione determinò però un brusco cambio di vedute: il crollo dei mercati, l'inflazione, la disoccupazione, le gravi condizioni dei ceti contadini dettero ancor più credito alle proposte dei militari, i quali iniziarono a godere di vasti consensi e ad assumere cariche nel governo civile; il potere che riunirono tra il 1929 e il 1932 permise loro di agire indipendentemente dallo Stato, e qualche sporadica protesta da parte di esponenti moderati o velate critiche dell'imperatore non fermarono i progetti d'espansione dell'esercito e della marina. Sempre nei primi anni '30 si scatenarono feroci lotte politiche e un'ondata di omicidi e attentati a esponenti dei movimenti moderati, spesso compiuti da società segrete tradizionaliste e affiliate ai militari.[9]
Altri radicali cambiamenti si verificarono nello stesso periodo in Cina: nel grande stato asiatico, che pareva destinato a essere preda inerme delle mire giapponesi, era divenuto capo dei nazionalisti Chiang Kai-Shek, succeduto a Yat-sen morto nel 1925. Costoro, fiancheggiati dal partito comunista di Mao Tse-Tung e appoggiati dall'esercito e dai pochi grandi capitalisti, inviarono l'Esercito Rivoluzionario Nazionale a sottomettere i signori della guerra nel settentrione con la famosa spedizione verso il nord (1927-29), per riunificare il paese.[12] Chiang Kai-Shek, eletto presidente nel 1928, preferiva assicurarsi l'alleanza nominale dei signori della guerra della Cina settentrionale invece di abbatterli come sostenevano i comunisti: la diatriba provocò la guerra tra Chiang e Mao. In questo convulso contesto, i militari nipponici temettero che Zhang Xueliang stesse per dichiarare la sua alleanza con i nazionalisti: l'esercito fu mobilitato e a seguito dell'Incidente di Mukden, organizzato appositamente per l'occasione, fu invaso rapidamente lo stato indipendente della Manciuria (settembre 1931).[13] Al suo posto fu fondato l'Impero del Manchukuo, uno stato fantoccio al cui vertice misero un membro della decaduta monarchia cinese, Henry Pu Yi, che prestò un giuramento di fedeltà a Hirohito. Il governo civile giapponese non poté fare altro che accettare il fatto compiuto, anche considerando che adesso le ricche risorse naturali della Manciuria erano disponibili per l'industria nipponica.
Il leader cinese non reagì però all'invasione straniera, ne inviò truppe quando il Giappone occupò il Jehol, subito a sud della Manciuria. Era infatti impegnato a soffocare il movimento comunista di Mao, che riteneva un problema ben più grave della penetrazione economico-militare nipponica, e a costruirsi un regime di tipo autoritario, processo che accentuò con il procedere della lotta fratricida.[9]
La violenza dell'azione militare giapponese in Manciuria, in flagrante contrasto con la nozione di autodeterminazione dei popoli e l'impegno a rispettare l'integrità della Cina condussero ad aspre critiche da parte della Società delle Nazioni: per tutta risposta il Giappone lasciò l'organizzazione il 27 marzo 1933.[14] Da parte del neoeletto presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, si ebbe la richiesta di non riconoscere le conquiste effettuate dai nipponici oltre a provvedimenti più severi, ma non seguirono azioni concrete a causa dell'ascesa del nazismo in Europa, che interessava direttamente le potenze occidentali.[15] La condanna scosse il prestigio dei militari, che videro diminuire la loro influenza nella prima metà del 1933. Ma l'improvvisa espansione territoriale del Giappone e la sua politica economica competitiva, basata sulla svalutazione dello yen, su un vasto programma di riarmo e opere pubbliche per combattere la disoccupazione guastarono i rapporti con le altre nazioni, che si affrettarono a bloccare l'emigrazione e a adottare il protezionismo sulle merci nipponiche.[9] Nel 1934 i vertici dell'industria e della finanza si avvicinarono ai militari e organizzarono un'economia di tipo bellico. Gli esponenti dell'esercito avevano approfittato della difficile situazione interna per esasperare il nazionalismo nipponico, propagandare l'importanza delle forze armate, mezzo di difesa per il popolo giapponese, diffondere l'idea che il Giappone era destinato a un compito di storica portata, una dominazione mondiale da effettuare per l'imperatore elevato a rango di semi-dio.[9][16] Si assistette anche a un incremento di sentimenti antieuropei e ostili all'Occidente in generale, mentre ebbe parallelo sviluppo la credenza che lo sfruttamento e i soprusi compiuti in Cina potessero essere giustificati da teorie razziste.[17]
All'inizio del 1936 ci fu un tentativo di colpo di stato guidato da ufficiali ultranazionalisti, stroncato dal diretto intervento dell'imperatore che per la prima volta si impose ai militari grazie alla sua presunta natura divina.[18]
Il 25 novembre 1936, a Berlino, il Giappone firmò il Patto anticomintern con la Germania nazista, iniziando ad avvicinarsi alle dittature europee come era stato spesso consigliato dal Ministro degli Esteri Matsuoka.[19]
La guerra contro la Cina e l'Unione Sovietica
Nel 1937 Chiang venne rapito dal generale Zhang Xueliang durante l'Incidente di Xi'an. Come condizione per la sua liberazione Chiang promise di unirsi con i comunisti per combattere i giapponesi. In risposta a questo ufficiali dell'armata del Kwantung, all'insaputa degli alti comandi a Tokyo e del governo civile, il 7 luglio 1937[20] inscenarono l'Incidente del ponte di Marco Polo, che provocò lo scoppio della seconda guerra sino-giapponese:[21] l'esercito imperiale invase le regioni costiere della Repubblica Cinese, conquistando per la fine del 1938 le maggiori città della parte orientale del paese. A Nanchino, capitale dei nazionalisti, i soldati giapponesi commisero ogni sorta di nefandezze ai danni della popolazione, poi vi fu instaurato nel marzo del 1940 un governo fantoccio capeggiato da Wang Jingwei.[22][23] Chiang Kai-Shek non cedette però alle proposte di pace nipponiche e, forte dei primi rifornimenti inviatigli da Gran Bretagna e Stati Uniti, trasferì la capitale a Chongqing, da dove diresse le operazioni contro l'invasore.[24] La guerra aveva sì portato a una formidabile espansione territoriale, ma si era rivelata molto più ostica e impegnativa del previsto: fu perciò bloccata ogni iniziativa di vasta portata per riorganizzare le armate.
Dalla fine del 1938 in Cina iniziava dunque una guerra di logorio, preferendo i giapponesi consolidare le loro conquiste per sfruttarne le risorse; al contempo sulla frontiera russo-nipponica si verificarono alcuni combattimenti aerei e terrestri vinti dai giapponesi.[25] Le operazioni ripresero nel gennaio del 1939 con l'occupazione dell'isola di Hainan e dell'arcipelago delle Pescadores. Altri sbarchi sulla costa completarono il blocco marittimo della Cina per il 15 novembre 1939.[26]
Nel maggio dello stesso anno l'esercito del Kwantung aveva cercato di spingersi nell'Estremo Oriente Russo dalla Manciuria, ma fu duramente sconfitto nella battaglia di Khalkhin Gol dal generale Georgy Zhukov[27]
Le politiche giapponesi degli anni trenta sono rimarcabili per la loro natura disastrosamente autodistruttiva. La strategia generale del Giappone era basata sulla premessa che non avrebbe potuto sopravvivere ad una guerra contro le potenze europee senza prima assicurarsi fonti di risorse naturali, ma per assicurarsi quelle risorse decise di intraprendere quella guerra che già sapeva che non avrebbe potuto vincere. Inoltre le azioni giapponesi, come la loro brutalità in Cina e la pratica di prima installare e poi rimuovere governi fantoccio in Cina erano chiaramente antitetiche agli obiettivi globali del Giappone, ma nonostante ciò persistette in essi. Infine questa marcia verso l'autodistruzione è sintomatica nel fatto che molti individui nell'élite politica e militare ne realizzavano le conseguenze autodistruttive, ma non riuscirono a fare niente riguardo alla situazione. Pare non esserci stato alcun dibattito riguardo a politiche alternative che avrebbero potuto permettere al Giappone di perseguire ulteriormente i suoi scopi in Cina.[senza fonte]
Per tutti gli anni trenta il Giappone riuscì a inimicarsi l'opinione pubblica occidentale, particolarmente quella statunitense, in principio moderatamente pro-giapponese: i resoconti della brutalità nipponica descritti da missionari protestanti, dalla scrittrice Pearl Buck o dai giornalisti di testate occidentali come la rivista Time determinarono lo sdegno dell'opinione pubblica americana, già convinta della violenza giapponese da azioni deplorevoli quali l'incidente della Panay.[28]
Successi politici giapponesi prima del conflitto
La firma del patto tedesco-sovietico e la denuncia americana (luglio 1939) dei trattati economici firmati con l'Impero giapponese nel 1911 bloccarono momentaneamente l'espansionismo nipponico.[24] Nel luglio del 1940 il Congresso americano accettò il contigentamento delle esportazioni in Giappone, e il 19 il presidente Roosevelt approvava il Two-Ocean Navy Expansion Act, con il quale la flotta americana veniva divisa in Flotta dell'Atlantico e Flotta del Pacifico con un sensibile potenziamento nel numero di unità.[29] La catastrofe degli Alleati in Europa, però, privò le loro colonie di reali difese, per cui il Giappone riprese la sua prepotente politica estera: il 27 settembre 1940, con il consenso forzato della Francia di Vichy, il Giappone ottenne delle basi nell'Indocina settentrionali dalle quali poté dilagare in tutta la regione, dove però mantenne l'amministrazione coloniale francese fino al marzo 1945.[30][31] Lo stesso giorno veniva sottoscritto il Patto Tripartito con Germania e Italia.[32] Un successo limitato ma comunque importante il Giappone lo ottenne il 16 luglio 1940, quando il Regno Unito sospese, d'accordo con i nipponici, il proprio sostegno ai nazionalisti per tre mesi.[33]
L'aver aderito all'alleanza militare con i due totalitarismi europei distese in parte i rapporti con l'Unione sovietica, cosa che aiutò l'Impero del Sol Levante a stipulare un patto quinquennale di non aggressione con l'URSS (13 aprile 1941), firmato a Mosca dal Ministro degli Esteri Matsuoka. Con la Russia lo stato di pace fu comunque sempre inquieto, perchè Tojo e i suoi uomini la considerarono sempre il nemico numero uno[34][35]
Pearl Harbor e l'entrata in guerra degli Stati Uniti
Durante il 1941 la guerra in Cina registrava una stasi: nello Yunnan si erano stabiliti i comunisti di Mao, che si erano notevolmente diffusi e rafforzati; nelle zone occidentali e meridionali si trovava il governo di Chiang Kai-Shek; sulla costa e nel nordest dominavano i giapponesi, che però non detevano un assoluto controllo sulle campagne, luoghi di imboscate, episodi di guerriglia e sabotaggi: le offensive lanciate per sconfiggere definitavemente i due ostici avversari furono ostacolate dall'ampiezza del teatro bellico (3.000 chilometri di fronte) e dall'ostinata difesa. I governi fantoccio istallati dai nipponici, inoltre, non avevano ascendente sulla popolazione e la brutale occupazione contribuì a questo distacco e a favorire nazionalisti e comunisti.[36]
Profondamente impantanati in questo groviglio politico-militare, la reazione dei giapponesi si tradusse in massacri, fucilazioni di massa, sperimentazione di armi chimiche e biologiche ai danni della popolazione rurale, l'uso di civili per fini pseudomedici, nella speranza che il puro terrore potesse spezzare la volontà di resistenza cinese.[37]
Tali depravazioni peggiorarono la posizione internazionale dell'Impero del Sol Levante. Tentando di scoraggiare lo sforzo di guerra giapponese in Cina e indignati dall'annuncio che informava il mondo di un accordo stipulato con l'Indocina per assumerne la "difesa" (chiaramente una mera invenzione),[30] gli Stati Uniti il 26 luglio 1941 congelarono immediatamente i crediti nipponici e attuarono un embargo sulle esportazioni di materiali strategici (petrolio e rottami di ferro e acciaio), che fu rigidamente rispettato: il Giappone fu privato di più del 90% delle importazioni di carburante. Per continuare a soddisfare l'ingente interna era obbligato a conquistare nuovi territori con giacimenti di petrolio, che nelle Indie Orientali Olandesi.[38] Il Giappone considerò dunque l'embargo come un atto di aggressione, e congelò a sua volta i crediti americani in patria; il Capo del governo Principe Konoye di tendenze moderate cercò ciononostante di trovare un compromesso con gli americani: l'ambasciatore Nomura propose a Roosevelt l'8 agosto una conferenza con il Primo Ministro Konoe, ma il progetto venne respinto dagli Stati Uniti; ad aggravare la tensione tra i due paesi contribuì il traffico di navi mercantili americane che portavano alimenti e altri aiuti all'Unione Sovietica che da giugno del 1941 stava combattendo disperatamente contro la Germania di Hitler: esse continuarono a violare la territorialità delle acque giapponesi nonostante la protesta formale inoltrata il 27 agosto dall'Impero nipponico.[39] Le proposte di Konoe furono dunque rifiutate ed egli, ritenuto dai militari debole e incapace, dovette dimettersi. Il suo governo fu rovesciato, e il 18 ottobre 1941 gli succedette l'aggressivo generale Hideki Tojo.[40][41][42] Costui decise sia di preparare la guerra di conquista nel Pacifico, che di continuare le trattative con gli Stati Uniti. I piani d'espansione erano già stati abbozzati nel 1938 e furono ora completati per preparare la conquista della Sfera di Prosperità Comune.[43] Già verso la fine del 1940 il Giappone si era reso conto che gli USA sarebbero scesi in guerra se avesse modificato ulteriormente lo statu quo: per evitare il confronto diretto con la flotta americana di base a Pearl Harbor, l'ammiraglio Yamamoto ideò l'attacco a sorpresa alle navi nemiche ancora nel porto: subito furono addestrate le unità necessarie all'operazione.[44]
Nel frattempo i negoziati con gli Stati Uniti stavano languendo: il 21 novembre l'ambasciatore Nomura e l'inviato straordinario Saburo Kurusu consegnarono una nota al governo americano, nella quale dichiaravano che il Giappone avrebbe lasciato l'Indocina se gli Stati Uniti avessero annullato l'embargo del petrolio e sospeso ogni aiuto a Chiang Kai-shek. Il 26 novembre il Segretario di Stato Cordell Hull consegnava una controproposta che concedeva molti privilegi economici all'Impero giapponese ma solo se esso rinunciava all'Indocina, a ulteriori conquiste sul continente e all'alleanza con l'Asse. Il generale Tojo respinse sdegnato la nota americana e dette ordine che la flotta preparata per l'attacco a Pearl Harbor partisse: la macchina bellica giapponese si era messa in moto.[45]
Riunita il 22 novembre nella baia di Tankan dell'isola di Etorofu, nelle Curili, era al comando dell'ammiraglio Chuichi Nagumo e faceva affidamento sull'effetto sorpresa per massimizzare i risultati dell'attacco. La squadra giapponese salpò il 26 novembre alle 6 di mattina e il 2 dicembre Nagumo ricevette un messaggio già concordato con Tokyo: "Scalate il Monte Niitaka" (in giapponese: Niitaka Yama Nobore). Significava che le trattative con gli americani erano fallite e che l'attacco doveva svolgersi come previsto.[46]
Il 7 dicembre, alle ore 7.55 di mattina, oltre 350 aerei giapponesi, ricevuto il celebre messaggio "Tora! Tora! Tora!", condussero il massiccio attacco contro la flotta statunitense ormeggiata a Pearl Harbor, senza preventiva dichiarazione di guerra.[47] Dopo i primi giorni di smarrimento, si poté conoscere il bilancio delle perdite: 2.403 morti o dispersi, 1778 feriti, 3 navi da battaglia (Arizona, Oklahoma, Utah - quest'ultima riclassificata con pennant number AG-16 come nave da addestramento cannonieri[48]), e un posamine (Oglala) affondati, 178 aerei distrutti, 159 danneggiati e gravi danni alle strutture portuali. Numerose navi che ancora galleggiavano dovevano lamentare danni di varia entità.[49][50][51]
Le portaerei americane però non furono mai avvistate: erano uscite dal porto per far atterrare alcuni aerei a Midway e Wake, e sarebbero state di ritorno solo l'indomani; anche i depositi di siluri e carburante non furono bombardati. Il non aver conseguito questi due obiettivi di fondamentale importanza strategica avrà un peso decisivo nella futura sconfitta dell'Impero nipponico.[52]
Pare che il Giappone sapesse già che un conflitto contro l'America sarebbe stato un azzardo: il 27 agosto 1941 il governo giapponese ricevette un rapporto stilato da esperti di economia e da statisti appoggiati da personalità della Marina imperiale tra le quali lo stesso Ministro della Marina, ammiraglio Shimada; vi era scritto che l'industria nipponica non avrebbe potuto sostenere la campagna militare in Cina per altri 5 o 10 anni, andando incontro a una grave crisi; veniva inoltre dichiarato che in caso di guerra con gli Stati Uniti il Giappone non avrebbe avuto speranze alcune di vittoria.[53] Ma la dirigenza nipponica, composta per lo più da esponenti dell'esercito, sembra che non tenne in conto tale documento: le ragioni sono da ricercare nella relativa facilità con la quale si erano svolte tutte le operazioni in Cina e Indocina, nella modernità della flotta, che poteva disporre della miglior componente aeronavale dell'epoca (addirittura superiore a tutte le altre marine militari) e nel poter vantare equipaggi bene addestrati e dotati di mezzi eccellenti, quali il caccia Mitsubishi A6M Zero o sommergibili che coniugavano una vasta autonomia a un numeroso armamento;[54] anche il fatto che il servizio di spionaggio giapponese fosse assai esteso e fornisse informazioni di ogni genere sugli apparati militari dei paesi occidentali e americano in particolare contribuì certo alla decisione di pianificare una guerra di espansione che si preannunciava poco costosa e dai risultati certi e grandiosi, abbandonando ogni prudenza.[55] Infine si nutriva la segreta speranza che di fronte ad una massiccia e improvvisa sconfitta unita alla rapida istituzione di un dominio forte e ben protetto nel Pacifico questi avrebbero negoziato un accordo che permettesse all'Impero del Sol Levante di avere libertà di manovra in Cina:[56] la velocità e la rapidità furono perciò alla base delle operazioni militari giapponesi. Gli Stati Uniti, però, si rifiutarono sempre di trattare.
Il 7 dicembre fu indicato come il Giorno dell'Infamia durante il discorso che il presidente Roosevelt tenne l'8 dicembre, dove gli USA dichiaravano guerra all'Impero giapponese.[57] Applicando le clausole del Patto Tripartito la Germania, seguita subito dall'Italia, dichiarava l'11 dicembre la guerra agli Stati Uniti, obbligandoli a uno scontro su due fronti. L'opposizione all'entrata in guerra degli Stati Uniti svanì a seguito del violento attacco nipponico, sebbene si fornissero dal giugno 1940 aiuti militari al Regno Unito e dall'estate del '41 all'Unione Sovietica mediante il programma Affitti e prestiti.[58]
L'espansione giapponese
Il Giappone allineava un formidabile schieramento di forze aeronavali e terrestri per le simultanee offensive nel Pacifico e in Asia. Le forze anglo-australiane al contrario erano già a corto di personale e materiali dopo due anni di guerra contro la Germania e pesantemente impegnate nel Medio Oriente e in Nordafrica; gli Stati Uniti avevano tardivamente inviato qualche moderno appoggio alle truppe dislocate nelle Filippine, mentre il Regno dei Paesi Bassi dovette fare affidamenti su obsolete unità da guerra e armamenti superati. Perciò gli Alleati furono capaci di opporre solo una scarsa e disordinata resistenza alle temprate truppe giapponesi, soffrendo molte e umilianti sconfitte nei primi sei mesi di guerra.[59]
Il sud-est asiatico
Hong Kong
La città di Hong Kong era praticamente l'unico centro sulla costa cinese non conquistato dai giapponesi; essa era però vicina a Formosa e rappresentava un pericolo per le flotte aeree là dislocate, pronte all'attacco delle Filippine. Per cui, in contemporanea all'attacco di Pearl Harbor, anche se tecnicamente l'8 dicembre 1941 a causa di differenze di fuso orario, le forze giapponesi attaccarono la colonia britannica: già il 13 dicembre le truppe inglesi avevano dovuto ripiegare sulle isole della concessione, dove dal 18 furono prese sotto il tiro dell'artiglieria pesante nipponica. I giapponesi sbarcarono facilmente e spezzarono in due la difesa inglese. Il pomeriggio del 25 dicembre il governatore e il generale di Hong Kong si arresero.[60][61]
Catastrofe nel Golfo di Kuantan
Il 2 dicembre 1941 le due navi da battaglia Repulse e Prince of Wales erano giunte a Singapore a causa degli ultimi inquietanti eventi prima dello scoppio del conflitto. Al comando dell'ammiraglio Thomas Phillips, le due unità e 4 cacciatorpediniere salparono la notte dell'8 dicembre per sventare gli sbarchi che si diceva i giapponesi stessero effettuando in Malesia, ma non avendo scoperto nulla la mattina del 10 dicembre Phillips fece rotta su Singapore. Fu però intercettato da un centinaio di apparecchi giapponesi che, con lievi perdite, colarono a picco le due corazzate, infliggendo un gravissimo colpo all'impero britannico.[62][63]
La Malesia e Singapore
Il convoglio d'invasione della Malesia era partito già prima dell'attacco e Pearl Harbor e trasportava la 25ª Armata del generale Tomoyuki Yamashita. Il mattino dell'8 dicembre Singapore fu bombardata dai giapponesi mentre truppe sbarcavano a Singora in Thailandia, il cui governo si sottomise. Il 9 altri reparti mettevano piede nella Malesia settentrionale, conquistavano gli aeroporti locali e avanzarono celermente, perchè gli inglesi avevano fortificato Singapore più per respingere uno sbarco che per fermare una discesa attraverso la Malesia. Il 7 gennaio 1942 il fronte era già a meno di 200 chilometri da Singapore. Sebbene a metà gennaio un convoglio americano avesse portato rinforzi in armi e uomini, la situazione era drammatica: il 23 gennaio le forze alleate ripiegarono sull'isola di Singapore. Dopo giorni di incursioni aeree, l'8 febbraio le truppe nipponiche sbarcarono: la battaglia durò fino al 15 febbraio 1942, quando il generale Arthur E. Percival si arrese a Yamashita: i giapponesi fecero circa 103.000[64][65] prigionieri tra soldati indiani, australiani e britannici.[66]
La Birmania, l'Oceano Indiano e Ceylon
Dopo che gli inglesi avevano respinto un'inizio di penetrazione il 15 dicembre, i giapponesi dettero inizio all'invasione della Birmania il 20 gennaio 1942, appoggiati dalla Thailandia. Sebbene riuscissero a fermare per circa un mese la spinta giapponese, i britannici cedettero infine alle truppe nipponiche che si irradiarono in tutto il paese: Rangoon cadde il 18 marzo, Mandalay il 1° maggio e Myitkyina l'8. Inoltre, con la conquista di Lashio avvenuta il 29 aprile, l'Impero giapponese raggiungeva uno dei suoi principali obiettivi con l'interruzione della strada della Birmania, togliendo così ai cinesi il supporto logistico degli Alleati. Per la metà di maggio 1942 l'esercito imperiale minacciava i confini dell'India e solo nell'estremo nord della Birmania resistevano truppe cinesi rifornite da un ponte aereo.[67][68]
Alla prodigiosa avanzata sulla terraferma i giapponesi affiancarono azioni aeronavali nell'Oceano Indiano per proteggere i convogli navali di truppe e contro l'isola di Ceylon, base della flotta e dell'aviazione inglesi in Estremo Oriente. La flotta di Kondō attaccò ai primi di aprile con aerei imbarcati Colombo e Trincomalee, ma le navi inglesi erano già al largo e solo alcune furono affondate: infatti l'ammiraglio James Somerville, comandante navale del settore, aveva disperso le sue unità nelle varie basi sulle coste africane e indiane. La puntata giapponese provocò comunque timori tra i capi inglesi e fece pesare minacce sulle rotte britanniche in quest'aerea di grande importanza strategica.[69][70]
Il Pacifico centrale
Guam e Wake
Le basi statunitensi su Guam, nelle Marianne, e Wake non avevano ricevuto nessun tipo di rinforzo durante i mesi carichi di tensione precedenti la guerra. Quando Guam fu bombardata il 7 dicembre e conquistata dai giapponesi senza difficoltà il 10 dicembre. Wake, attaccata anch'essa il 7, dette invece luogo ad una resistenza più coordinata che sventò il primo tentativo nipponico dell'11 dicembre. Gli americani subirono allora numerosi bombardamenti aerei e navali, e il 22 dicembre i giapponesi toccarono terra senza difficoltà. Dopo alcuni scontri il 23 dicembre Wake si arrese.[71]
Il Pacifico sud-occidentale
Le Filippine
Le Filippine, colonia degli Stati Uniti dal 1898, erano in stato di allarme fin dall'inizio di dicembre, ma gli americani al comando di Douglas MacArthur non presero nessuna iniziativa quando si apprese del disastro di Pearl Harbor. La mattina dell'8 dicembre 1941 aerei giapponesi bombardarono gli aeroporti Clark e Iba, provocando gravissimi danni. Mentre altre incursioni provavano gli americani e l'esercito filippino, i giapponesi sbarcarono il 10 dicembre nel nord di Luzon, e tra il 20 e il 21 misero piede a terra nel settore occidentale. Le truppe nipponiche avanzarono rapidamente sfondando le improvvisate linee di difesa, tanto che la capitale Manila cadde il 2 gennaio 1942.[72] Americani e filippini si ritirarono nella penisola di Bataan, ove continuarono i combattimenti fino all'inizio di aprile: il 9 si arresero e in circa 80.000 furono fatti prigionieri.[73][74][75] Il generale MacArthur, che si era asserragliato nell'isola di Corregidor, lasciò le Filippine il 10 marzo su ordine del presidente Roosevelt.[76] Anche quest'ultimo baluardo, però, capitolò l'8 maggio 1942 consegnando tutte le Filippine ai giapponesi.[77]
Le Indie Orientali Olandesi
Le colonie olandesi erano il vero obiettivo della campagna nipponica nel Pacifico a causa dei loro ricchi giacimenti di petrolio. Le operazioni ebbero inizio il 17 dicembre, dopo bombardamenti aerei preliminari: il Borneo inglese subì quattro successivi sbarchi e l'11 gennaio 1942 era conquistato. Il giorno dopo truppe giapponesi conquistarono con un attacco anfibio Tarakan, nel Borneo olandese, e sebbene ostacolate da una rapida azione americana[78] sbarcarono anche a Balikpapan; per la metà di febbraio tutte le coste dell'isola erano in mani nipponiche.[79] Frattanto gli Alleati si erano organizzati unificando i loro comandi nell'ABDA (American-British-Dutch-Australian) suddividendosi l'onere della difesa[80]
Conquistate le Molucche e Celebes, i giapponesi iniziavano i bombardamenti aerei su Giava e fermavano una puntata navale alleata; il 15 febbraio sbarcavano poi a Sumatra, che nel giro di una settimana cadeva. Pochi giorni Bali era invasa e conquistata, seguita il 20 febbraio da Timor. Il 14 febbraio gli Alleati subirono un grave colpo: i componenti dell'ABDA tornarono quasi tutti in patria, per cui sui soli olandesi gravò la difesa. Mentre gli sbarchi giapponesi si susseguivano rapidamente nelle isole vicine a Giava, l'eterogenea flotta alleata veniva parzialmente distrutta il 27 febbraio.[81] Gli ammiragli olandesi e americani sull'isola decisero dunque di mandare le superstiti navi in Australia, ma quasi nessuna vi riuscì: esse furono affondate tra il 28 febbraio e il 1° marzo o nello Stretto della Sonda o al largo di Giava mentre tentavano di fuggire.[82][83]
Contemporanenamente i comandanti olandesi a terra stavano combattendo contro le truppe giapponesi sbarcate senza opposizione sull'isola di Giava. I combattimenti si trascinarono fino al 9 marzo, quando il generale Hein ter Poorten si arrese. Con la sua capitolazione l'Impero nipponico si assicurava un ricco e vasto dominio e gli essenziali rifornimenti di carburante.[84]
Le Bismarck, le Salomone e la Nuova Guinea
I piani di conquista giapponesi progettavano la conquista dell'arcipelago delle Isole Bismarck, ovvero della Nuova Britannia e della Nuova Irlanda, sia per creare uno scudo orientale a difesa dell'Indonesia sia per appropriarsi di basi da dove iniziare l'espansione nelle Salomone, quindi nella Nuova Guinea e infine attaccare l'Australia, agognato obiettivo che affascinava molti degli ufficiali nipponici. La flotta dell'ammiraglio Nagumo fiaccò le simboliche difese australiane con alcuni bombardamenti, seguiti il 23 gennaio dallo sbarco in forze delle truppe, che occuparono facilmente la base australiana di Rabaul, futura grande piazzaforte nipponica; nei giorni seguenti anche Kavieng, sulla punta nordoccidentale della Nuova Irlanda, veniva conquistata rapidamente e anch'essa sarebbe divenuta un importante scalo dell'Impero.[85][86]
Scudi insulari del grande continente australe, le Isole Salomone e la Nuova Guinea dovevano inevitabilmente scatenare la cupidigia giapponese: erano ottimi avamposti per la protezione di Rabaul e al contempo trampolini di lancio verso l'Australia. Le operazioni iniziarono il 22 gennaio 1942 con lo sbarco di reparti della Marina Imperiale a Bougainville, che dopo brevi scaramucce contro i rari distaccamenti anglo-australiani conquistarono l'isola.[87]
A metà febbraio la flotta di Nagumo bombardò le posizioni australiane sulla costa settentrionale delle Nuova Guinea, dove l'8 marzo sbarcavano incontrastati reparti dell'esercito imperiale presso Lae e Salamua, dilagando ovunque: Port Moresby, sul litorale sud, fu l'unica base che rimase in mani alleate.[88]
All'inizio di aprile i giapponesi avanzarono nelle Salomone centrali senza difficoltà, occupando poi l'isola di Tulagi, mentre il 3 luglio mettevano piede a Guadalcanal, ove cominciarono immediatamente i lavori per un aeroporto sito a Punta Lunga, nel nord dell'isola, strategicamente importante in quanto all'imbocco del Mar dei Coralli e destando vivi timori in Australia.[89][90]
L'attacco all'Australia
I comandanti giapponesi avevano compreso che solo l'Australia poteva fungere da base di ripiego e dispensatrice di soccorsi per gli Alleati in difficoltà; in particolare alcune navi del comando unificato ABDA erano già fuggite nei porti australiani, e i nipponici era decisi a non permettere che le unità avversarie continuassero a poter usufruire di tale appoggio: a tal fine la flotta di portaerei dell'ammiraglio Nagumo, già presente nel settore, fu impiegata per bombardare Port Darwin, unica città della costa nord ad avere un porto attrezzato. L'incursione aerea giapponese colpì duramente il 19 febbraio 1942, devastando sia gli edifici che le navi ancorate nel porto e provocando la fuga della popolazione.[91] Il 3 marzo un secondo attacco portato dalle portaerei ai danni della città di Broome distrusse quasi tutti i velivoli e gli idrovolanti Do.24 e Catalina che erano giunti nei giorni precedenti da Giava e da altre isole olandesi.[92]
Riorganizzazione dei comandi e prime reazioni americane
Mentre il Giappone iniziava la sua espansione, gli Stati Uniti si impegnarono per ricostruire Pearl Harbor, ancora distrutta: la prima azione concreta in tal proposito fu la nomina a Comandante in capo della flotta del Pacifico (CINCPAC) il 31 dicembre dell'ammiraglio Chester Nimitz, che giunto ad Oahu il 15 dicembre 1941 si dedicò subito alla rivitalizzazione della base. La marina statunitense fu divisa in due sottoteatri d'operazione: quello centro-settentrionale, al comando di Frank Jack Fletcher, comprendente le distese marittime e di atolli dell'Oceano Pacifico; quello meridionale, al comando di William F. Halsey. Già il 30 dicembre Nimitz ricevette dall'ammiraglio Ernest King, Comandante in capo della Marina (COMINCH), l'ordine di proteggere a qualunque costo le Hawaii e le comunicazioni tra Stati Uniti ed Australia.[93]
Alcuni mesi dopo, svanita ogni speranza di difendere con successo le Filippine, MaArthur era stato costretto a lasciare l'arcipelago per rifugiarsi in Australia, ove ricevette la nomina a Comandante Alleato Supremo per il Pacifico Sud Occidentale, ponendo il suo quartier generale a Brisbane. La sua nuova posizione lo portò a lavorare in stretto contatto con l'ammiraglio Halsey.[94]
Negli ambienti militari statunitensi erano in molti a richiedere l'esecuzione di operazioni per frenare l'avanzata nipponica e ristabilire in parte il prestigio del paese: il problema era che la flotta era stata gravemente mutilata e nessun piano prebellico aveva previsto una simile condizione. Fu comunque adottato il Piano di guerra numero 46, un attacco aereo da condursi contro il protettorato giapponese delle Marshall per il 31 gennaio 1942; una flotta composta dalle portaerei Yorktown ed Enterprise con una scorta di incrociatori e cacciatorpediniere al comando di Halsey condusse a termine la missione con il bombardamento di diversi atolli.[95] Fu tentata una azione simile contro Rabaul, ma gli americani furono avvistati dalla ricognizione nipponica e si ritirarono; invece una squadra formata dalla Enterprise e altre 9 navi attaccò il 23 e il 24 febbraio Wake con successo, e anche un incursione aerea condotta dalla stessa flotta contro Marcus ebbe esito positivo; infine la formazione che avrebbe dovuto attaccare Rabaul fu rivolta contro la Nuova Guinea, dove il 10 marzo affondò alcune unità nipponiche all'ancora.[96]
La riuscita di queste prime offensive servì ad allenare ed addestrare gli equipaggi, ridette fiducia alla popolazione e alle forze armate e costrinse la Marina Imperiale a distaccare numerose unità nel Pacifico centrale e meridionale per evitare il ripetersi di analoghe incursioni.[97]
Le battaglie del Mar dei Coralli e di Midway
All'inizio del 1942 i governi delle potenze minori iniziarono a far pressioni per stabilire un concilio di guerra intergovernativo Asia-Pacifico, basato in Washington D.C.. Un concilio di guerra venne stabilito a Londra, con un corpo sussidiario a Washington, ma le prime, insoddisfatte, continuarono a fare pressioni. Il Pacific War Council ("Consiglio di guerra del Pacifico") venne formato a Washington l'11 aprile 1942 e suoi membri erano il presidente degli Stati Uniti Roosevelt, il suo consigliere chiave Harry Hopkins e rappresentanti di Regno Unito, Cina, Australia, Olanda, Nuova Zelanda e Canada, a cui si aggiunsero in seguito anche rappresentanti delle Indie britanniche e delle Filippine. Il concilio non ebbe mai un controllo operativo diretto e tutte le sue decisioni vennero rimesse al Combined Chiefs of Staff statunitense-britannico, anch'esso con sede in Washington.[98]
In campo giapponese, frattanto, era sorta nel marzo una disputa tra la marina e l'esercito: la prima, appoggiata dalle personalità politiche, sosteneva che bisognava concentrarsi sullo sfruttamento e rafforzamento della neocostituita Sfera di Prosperità Comune, usando la flotta aeronavale per parare ogni offensiva alleata; il secondo invece invocava il proseguimento dell'espansione che così fulmineamente aveva portato il Giappone a governare un ottavo del pianeta.[99] Le discussioni furono violente e durarono parecchi giorni. L'ultima parola fu data a Yamamoto, che consigliò di procedere nelle conquiste, approfittando dei vantaggi strategici acquisiti con le ostilità e del morale, altissimo, delle forze armate.[100] Altre riunioni si ebbero per scegliere l'obiettivo della nuova spinta, e alla fine si optò per l'Australia, che i capi giapponesi intuivano essere la piattaforma dalla quale sarebbe partita una controffensiva americana. Condizione necessaria era però l'eliminazione di Port Moresby, che continuava ad arginare i giapponesi nella Nuova Guinea settentrionale, lasciando la parte sudorientale dell'isola in mano agli australiano-americani comandati da MacArthur, che aveva fatto della città la principale base e piazzaforte alleata a difesa del continente australe.[101]
I giapponesi adottarono perciò l'Operazione Mo: lo spiegamento di forze programmato era vasto e quindi la battaglia si preannunciava relativamente facile per l'Impero del Sol Levante, che sperava di chiudere una volta per tutte la partita in Nuova Guinea e di adoperare l'isola come trampolino per invadere le province settentrionali dell'Australia, scongiurando ogni azione offensiva alleata a sud della Sfera di Prosperità Comune.[102]
L'incursione Doolittle su Tokyo
Mentre i giapponesi mettevano a punto i piani per una nuova espansione, gli Stati Uniti avevano deciso già dall'inizio del 1942 che era necessaria un'azione spettacolare per rialzare il morale americano e più in generale alleato: immediatamente i comandanti pensarono che solo il bombardamento di Tokyo avrebbe potuto ottenere grandi risultati in campo psicologico, ma la perdita di tutte le basi vicine all'arcipelago nipponico rendeva impossibile questo progetto,[103] e certo le azioni condotte nel mese di febbraio e marzo contro i territori insulari appena conquistati dall'Impero nipponico non erano state decisive.[104] Un colonnello, James "Jimmy" Doolittle, propose allora un piano che quasi tutti i generali giudicarono grottesco: condurre l'attacco alla capitale giapponese imbarcando su portaerei dei bombardieri B.25 che, dopo l'incursione, sarebbero atterrati in territorio cinese amico. Solo grazie a un alto ufficiale, suo amico, Doolittle ebbe via libera per organizzare la parte tecnica della missione, che ebbe inizio il 14 aprile.[105]
Nonostante la fitta vigilanza delle unità navali giapponesi, i sedici B.25 con Doolittle in testa alla formazione decollarono e portarono a termine il bombardamento per poi puntare subito verso est alla massima velocità.[106]
L'incursione di Doolittle fu un bombardamento simbolico e irrilevante, ma provocò grande costernazione tra gli ambienti delle forze armate nipponiche e contribuì ad affrettare i preparativi dell'Operazione Mo, oltre a far dileguare le ultime opposizioni alla sortita generale della flotta imperiale contro gli Stati Uniti, circostanza che avrebbe provocato il più importante scontro aeronavale della guerra del Pacifico.[107]
Battaglia del Mar dei Coralli
Secondo le direttive dell'Operazione Mo, le forze giapponesi incaricate di sbarcare a Port Moresby, di conquistare le Isole Louisiade e la Nuova Caledonia si suddivisero in 4 flotte distinte al comando dell'ammiraglio Inoue e partirono dalle basi nelle Salomone. In campo alleato si sospettava che il Giappone avrebbe tentato, dopo la prima grande espansione, una nuova offensiva: dopo giorni di elucubrazioni l'ammiraglio Nimitz concluse che il solo obiettivo plausibile era Port Moresby. Furono dunque inviate nel teatro del Pacifico sudoccidentale due Task Forces al comando dell'ammiraglio Fletcher. La battaglia si combattè tra il 4 e l'8 maggio 1942.[108]
Alla fine del combattimento le perdite dei due schieramenti erano più o meno equivalenti, ma i giapponesi non avevano raggiunto nessuno degli obiettivi che si erano prefissi: Port Moresby e l'Australia erano salvi.[109]
La battaglia decisiva a Midway
La realizzazione della Sfera di Prosperità Comune era stata così rapida che il Gran Quartier Generale imperiale non aveva ancora pronti piani da utilizzare per continuare razionalmente l'espansione. Le forze armate nipponiche avevano la possibilità di attaccare l'India, l'Australia o le Hawaii, tutti e tre obiettivi di grande importanza strategica: le riunioni tenute in merito furono però infruttuose. Fu allora richiesto il parere dell'ammiraglio Isoroku Yamamoto, il quale godeva di grande popolarità ed autorevolezza a causa delle strepitose vittorie raccolte dall'Impero giapponese grazie ai suoi piani: egli affermò che era di vitale importanza attaccare a est, verso le Hawaii, per eliminare il bastione americano; all'inizio le sue proposte non incontrarono grandi entusiasmi, ma l'incursione di Doolittle fece sparire ogni opposizione negli ambienti militari giapponesi.[110]
Fu allineata la quasi totalità della flotta imperiale mentre gli Stati Uniti poterono schierare solo 26 navi: sembrava dunque che il Giappone dovesse riscuotere una grande vittoria, ma i servizi segreti americani contribuirono non poco ad avvantaggiare la modesta flotta statunitense, mentre alcuni imprevisti ed indecisioni inficiarono la fattibilità del piano nipponico.[111]
L'incertezza giapponese, la scoperta tardiva delle forze navali statunitensi e le affrettate decisioni dell'ammiraglio Nagumo provocarono una disfatta terribile: il 4 giugno 1942 4 moderne portaerei furono affondate dagli americani, che vinsero clamorosamente la battaglia con perdite minori.[112][113]
Lo scontro rivestì un'importanza capitale: la flotta combinata nipponica, la più esperta al mondo, era andata perduta privando il Giappone di navi all'avanguardia, centinaia di aerei e piloti ed equipaggi bene addestrati, che mai più furono ricostituiti.[114] L'Impero giapponese perse l'iniziativa bellica e subì un grave contraccolpo psicologico per la sconfitta patita, tanto che molti ufficiali arrivarono a criticare le decisioni di Yamamoto. Furono imposte draconiane misure di sicurezza perché la vastità del disastro non trapelasse e soprattutto perché la popolazione civile non ne venisse a conoscenza.[115]
La conquista delle Aleutine
L'unico successo i giapponesi lo ottennero a nord, quando il gruppo navale dell'ammiraglio Moshiro Hosogaya iniziò le operazioni nelle Isole Aleutine: dal 3 al 5 giugno furono bombardate le istallazioni americane, e il 7 giugno reparti dell'esercito imperiale sbarcavano sull'isola di Kiska, seguita l'8 da quella di Attu: le due isole, conquistate entrambe il 10 giugno, furono gli unici territori degli Stati Uniti a essere invasi e occupati dalle truppe giapponesi.[116][117]
L'iniziativa passa agli Alleati
Stallo giapponese in Birmania
Nel sud-est asiatico i giapponesi erano arrivati ai confini dell'India, ma non riuscirono a penetrare nella colonia inglese; la parte settentrionale della Birmania era invece in mano a truppe cinesi male armate ma numerose, rifornite precariamente da aerei da trasporto che partivano dall'Assam. Volendo completare la gigantesca manovra a tenaglia per isolare la Cina, i giapponesi iniziarono la costruzione di ponti sul fiume Salween per poi dilagare nella Cina meridionale, ma i loro piani fallirono in quanto le Tigri Volanti vanificarono ogni loro sforzo, tanto che i nipponici nel mese di agosto rinunciarono, permettendo così ai cinesi di presidiare saldamente il fiume.[118]
Riorganizzatisi dalla disastrosa ritirata compiuta a maggio, gli anglo-indiani lanciarono un'offensiva nella zona dell'Arakan, nella parte sud-occidentale della Birmania, ma le operazioni che si protassero tra dicembre 1942 e i primi di febbraio del 1943 ottennero risultati limitati a fronte di feroci combattimenti e perdite abbastanza pesanti.[119][120]
Le Salomone meridionali: Guadalcanal
La catastrofe giapponese a Midway fece passare l'iniziativa in mano agli alleati, ai quali si offrivano molteplici direttrici d'attacco e obiettivi: si scelse di sbarcare sull'isola di Guadalcanal, in quanto vicina all'Australia, con una guarnigione relativamente esigua rispetto alle sue dimensioni e soprattutto perché era stato scoperto, il 4 luglio, che i giapponesi stavano costruendo un aeroporto nella parte settentrionale, che poteva minacciare le comunicazioni tra America e Australia. Anticipati i preparativi per l'Operazione Watchtower (nome in codice dell'attacco), forze americane sbarcarono quasi incontrastate il 7 agosto sull'isola di Guadalcanal.[121] Entrambi gli schieramenti riversarono gran parte delle proprie risorse nei combattimenti per Guadalcanal, che si protrassero per i sei mesi seguenti in una crescente battaglia di attrito, vinta infine dagli Stati Uniti, in quanto i giapponesi, resisi conto che l'isola era perduta, evacuarono le loro forze ponendo così termine ad una delle più lunghe battaglie combattute nel Pacifico.[122][123][124]
Nuova Guinea sudorientale
Il Giappone non aveva ancora rinunciato alla distruzione di Port Moresby, per cui decise di effettuare un attacco terrestre attraverso i Monti Owen Stanley. Iniziata a metà agosto, l'offensiva nipponica andò incontro a ogni genere di difficoltà in questo selvaggio territorio, e vicino la base alleata fu respinta dagli australiano-americani di MacArthur, il quale riconquistò entro la fine di dicembre Buna e Gona; per il mese di gennaio 1943 l'intera Nuova Guinea sudorientale era in mano agli Alleati. Il generale MacArthur si dedicò allora a pianificare una nuova offensiva.[125] [126]
Perdite e disfatte giapponesi nel 1943
All'inizio del 1943 il Giappone, sebbene avesse subito perdite più o meno pesanti nei ranghi dell'aviazione navale e della Marina, si fosse dovuto ritirare dalle Salomone meridionali e avesse dovuto rinunciare all'invasione dell'Australia, manteneva comunque un dominio vasto, ricco e fortificato[127], che gli Alleati si prepararono ad attaccare da tutti i lati: si decise di iniziare con la neutralizzazione della base di Rabaul mediante una duplice offensiva, i cui aeroporti rendevano pericoloso il movimento di navi e davano appoggio tattico alle truppe giapponesi in Nuova Guinea.[128]
Reazioni inglesi in Birmania
In Birmania l'offensiva giapponese, che era riuscita a cacciare l'esercito indo-britannico di Wavell anche dal nord ovest del paese, perse slancio a metà del maggio 1942, in quanto le linee di comunicazione e d'approvvigionamento si erano incredibilmente allungate e gli effettivi erano insufficienti per controllare un così vasto territorio.[129] Mentre i giapponesi si riorganizzavano, attestandosi a pochi chilometri dall'India, un generale inglese, Orde Wingate, riuscì a costituire nonostante l'opposizione di alcuni alti ufficiali un reparto con il quale si proponeva di condurre una guerriglia nelle retrovie nipponiche in Birmania, per rendere possibile una controffensiva alleata e scuotere la sicurezza giapponese.
Partiti il 10 febbraio 1943 da Imphal, i Chindit (nome assunto dagli uomini del generale durante la guerriglia) si divisero in colonne penetrando in Birmania e giunsero all'inizio di marzo alla linea ferroviaria Rangoon-Myitkyina, che interruppero in 25 punti per centinaia di metri;[130] Wingate intendeva proseguire oltre il fiume Irrawaddy, ma l'imminenza dei monsoni e la stanchezza degli uomini fecero sì che Wavell gli ordinasse, il 26 marzo, di ritornare. La ritirata durò mesi, ma a giugno i due terzi dei Chindit erano in salvo, in Cina o in India, e la ferrovia birmana era stata gravemente danneggiata, rendendo assai difficile ai giapponesi le comunicazioni e i rifornimenti.[131]
Battaglia nel Mare di Bismarck
L'isola della Nuova Guinea rivestiva ancora grande importanza strategica per i giapponesi: fungeva da scudo occidentale per Rabaul e controllava numerosi stretti e passaggi tra l'Oceano Pacifico centrale e quello meridionale; inoltre l'aviazione lì dislocata poteva ancora contrastare le operazioni alleate che avevano come centro logistico l'oramai munita base di Port Moresby. Fu deciso che gli aeroporti di Lae e Salamua dovevano essere massicciamente riforniti mediante un grande convoglio, in quanto si sapeva di una prossima offensiva alleata, ma il tentativo fu sventato dalle forze aeree di MacArthur.[132][133]
La morte di Yamamoto
Il disastro nel mare di Bismarck impressionò i comandi giapponesi, e lo stesso ammiraglio Yamamoto riconobbe che la situazione nel Pacifico meridionale si era fatta difficile, tanto più che le ricognizioni aeree suggerivano una nuova avanzata degli americani: recatosi a Rabaul, ideò l'Operazione A (I-go Sakusen in giapponese), ovvero una grande offensiva aerea da scatenarsi nelle Salomone per infliggere gravi danni agli statunitensi.[134]
Il 7 aprile iniziavano gli attacchi a Guadalcanal, e l'11 alle baie della Nuova Guinea, affollate di navi americane, ma i risultati di tali azioni aeree furono grami.[135] Yamamoto, male informato da rapporti erronei, pianificò operazioni dello stesso genere, preparò le difese nelle Salomone centrali e, volendo supervisionarle, decise di passare in rassegna le posizioni più importanti, anche per alzare il morale dei soldati.[136]
Le trasmissioni radio giapponesi furono però intercettate e decifrate dagli americani il 17 aprile, che vennero così a sapere dei progetti dell'ammiraglio giapponese. Il segretario di stato Frank Knox propose di organizzare un attacco durante gli spostamenti aerei che il comandante nipponico avrebbe fatto: subito 18 P.38 furono riuniti per condurre l'imboscata[137] che avvenne il 18 aprile nei cieli delle Salomone, mentre l'ammiraglio stava dirigendosi a Balalle; il bombardiere Betty che trasportava Yamamoto fu abbattuto ed egli rimase ucciso.[138] Il colpo al morale fu gravissimo, in quanto Yamamoto rappresentava da sempre la potenza delle forze armate giapponesi e della Marina soprattutto; i funerali in suo onore furono solenni e vi partecipò un milione di giapponesi costernati.[139] Fu sostituito dall'ammiraglio Mineichi Kōga, nominato comandante delle forze aeronavali il 21 aprile.[140]
Isole Aleutine
Relegate in questa remota parte del globo dal giugno 1942, le guarnigioni giapponesi di Attu e Kiska subivano dall'inizio dell'anno bombardamenti navali e aerei, mentre i rifornimenti venivano loro tagliati dal blocco americano. Il viceammiraglio Moshiro Hosogaya, preoccupato della situazione, inviò un convoglio che arrivò indenne a destinazione; soddisfatto, ripeté l'operazione il 26 marzo, ma le sue navi s'imbatterono nella squadra americana del contrammiraglio Charles H. MacMorris che in inferiorità numerica respinse i giapponesi ottenendo un'importante vittoria tattica.[141] Gli americani completarono il blocco delle due isole, riducendole alla fame, per poi sbarcare l'11 maggio ad Attu, fanaticamente difesa da 2380 soldati giapponesi.[142] Conquistata l'isola il 30 maggio, gli americani sbarcarono il 15 agosto a Kiska, ma non ci furono scontri, in quanto era stata già sgomberata dai giapponesi alla fine di luglio.[143]
Le offensive degli Alleati in Nuova Guinea
I timori dei comandanti giapponesi riguardo una prossima offensiva in Nuova Guinea erano fondati: il 30 giugno, in contemporanea all'offensiva di Halsey nelle Salomone MacArthur dette avvio a un massiccio bombardamento aereo sulle basi giapponesi in Nuova Guinea, subito seguiti da una serie di sbarchi: dopo feroci combattimenti durati fino all'inizio di ottobre l'esercito imperiale era stato ricacciato a nord, e solo alcune posizioni resistevano sulle alture vicino Finschhafen: MacArthur era così riuscito a porsi in una eccellente posizione strategica per andare all'attacco della Nuova Britannia, dove si trovava Rabaul, importante base nipponica.[144]
Nella seconda metà di aprile del 1944 il generale MacArthur iniziò la terza offensiva in Nuova Guinea, la più lunga e impegnativa mai condotta in questo teatro operativo, ma anche quella che raccolse i maggiori risultati: per il mese di luglio tutta le basi strategiche dell'isola era in mani americane, che conquistata anche Morotai il 15 settembre si prepararono al grande attacco anfibio delle Filippine, obiettivo ultimo del comandante americano.
Le operazioni nelle Salomone e in Nuova Britannia
La sconfitta a Guadalcanal aveva fatto retrocedere il perimetro difensivo giapponese nelle Salomone centrali, facendo definitivamente sfumare ogni progetto offensivo verso l'Australia, che comunque era ormai irrealistico nonostante la foga con cui era difeso dai capi dell'esercito imperiale. Il Giappone era però certo di poter bloccare qui la marcia degli Alleati, grazie alla munita base di Rabaul e al grande numero di isole, la cui conquista avrebbe richiesto molto tempo, del quale si sarebbe approfittato per rafforzare i territori dietro la linea del fronte e riunire una grande flotta per sferrare un colpo mortale agli americani. Le cose non andarono però come previsto: l'ammiraglio Halsey, in contemporanea al generale MacArthur, iniziò il 30 giugno 1943 una massiccia offensiva nelle Salomone con obiettivo finale Rabaul: le operazioni durarono fino al termine dell'anno quando, dopo diverse battaglie navali, scontri aerei e sbarchi, che videro l'applicazione della nuova strategia del salto della rana, la base giapponese fu resa inoffensiva.[145]
Per sostenere efficacemente le azioni di Halsey nelle Salomone, il generale MacArthur pianificò uno sbarco da effettuarsi a dicembre 1943 nella parte occidentale della Nuova Britannia, da dove giapponesi potevano ancora rifornire le loro forze in Nuova Guinea; inoltre si sarebbe potuto interrompere ogni aiuto alla base di Rabaul, obiettivo finale dell'offensiva. Gli americani sbarcarono a Capo Gloucester e dopo tre mesi di feroci battaglie contro la guarnigione nipponica MacArthur era ormai in possesso di punti chiave che resero indifendibile Rabaul, martoriata dalle incursioni delle portaerei di Halsey. Per il mese di febbraio 1944 l'arcipelago delle Bismarck era passato sotto il controllo americano, e le guarnigioni nipponiche saltate rimasero inoffensive per il resto della guerra.[146][147]
La riconquista delle Gilbert
La preponderanza numerica e qualitativa di cui ormai gli americani godevano fece prendere in esame all'ammiraglio Nimitz la possibilità di attaccare anche da est l'Impero giapponese. La nuova offensiva (Operazione Galvanic) fu fissata per il 10 novembre e fu rivolta contro l'arcipelago delle Gilbert. La campagna aprì la lunga serie di spettacolari ma sanguinose operazioni anfibie nel Pacifico con la micidiale battaglia di Tarawa, combattuta sull'isola di Betio. Anche qui gli americani applicarono il salto della rana, conquistando solo l'atollo di Tarawa, quello di Makin e quello di Abemama.[148][149]
Avvenimenti politici
Stati Uniti e Alleati
Durante il 1943 gli Alleati erano dunque riusciti a spingersi profondamente nelle difese giapponesi, rendendo i tempi di conquista molto meno dispendiosi in termini di tempo e uomini grazie all'incredibile schieramento di mezzi bellici forniti copiosamente dall'industria americana e a nuove strategie, che lasciavano sconcertati i comandanti nipponici.
Considerando che la situazione era ormai sotto controllo e volendo affrettare il crollo dell'Asse, Inghilterra e Stati Uniti organizzarono di incontrarsi in una conferenza per discutere problemi di carattere militare riguardo il teatro europeo e quello del Pacifico: il luogo scelto fu il Quebèc. Churchill e Roosevelt, affiancati dal presidente canadese Mackenzie King, decisero di ristabilire i contatti terrestri con la Cina di Chiang Kai-Shek mediante una forte offensiva in Birmania e l'intervento della flotta britannica nella lotta contro il Giappone. La conferenza durò dal 17 al 24 agosto e furono trattati altre questioni quali lo sbarco da effettuare in Francia, il comportamento da mantenere con de Gaulle, l'imposizione della resa senza condizioni alle potenze del Tripartito.[150]
Una seconda conferenza si tenne al Cairo dal 22 al 25 novembre. Il presidente Roosevelt, il generale Chiang Kai-Shek e il primo ministro Winston Churchill si coordinarono per le future azioni militari da intraprendere nel Pacifico al fine di fiaccare la resistenza giapponese e per far capitolare l'Impero nipponico senza condizioni.[151]
Il più importante incontro tra i vertici alleati si svolse a Teheran, in quanto vi parteciparono Winston Churchill, Roosevelt e Stalin, che per la prima volta dalla presa del potere in URSS lasciava il suo paese: i Tre Grandi, tra il 28 novembre e il 1° dicembre, si accordarono per la data dello sbarco in Francia e perchè i russi intrevenissero nella guerra contro il Giappone il prima possibile.[152]
Impero giapponese
Il 1943 era stato un anno assai negativo dal punto di vista militare per il Giappone: le Salomone e le Gilbert erano perdute, e la base di Rabaul era ormai sempre più indifendibile e provata dalle incursioni nemiche; i sommergibili americani stavano facendo strage dei mercantili e petroliere, aggravando la situazione già precaria della disponibilità di carburante e del sostentamento della popolazione civile.[153] Ma Tojo e i militari in genere credevano ancora che fosse possibile ristabilire la supremazia dell'Impero e battere gli Stati Uniti, e d'altronde non avevano affatto rinunciato ai piani relativi alla creazione della Sfera di Prosperità Comune intesa come insieme di nazioni "liberate" e guidate dal Giappone.[154]
In questo contesto dev'essere inserito l'annuncio dell'indipendenza della Birmania il 1° agosto, la fondazione della Repubblica delle Filippine il 14 ottobre e la creazione del Governo Provvisorio dell'India libera guidato da Chandra Bose il 21 ottobre.[155] Il 5 novembre 1943 i territori dipendenti dal Giappone e le nazioni da esso istituite e appoggiate si riunirono nella Conferenza per la Grande Asia Orientale a Tokyo. Durante la riunione, terminata l'8 dello stesso mese, era stata decisa la reciproca collaborazione tra gli Stati costituenti la Grande Asia (governi delle Filippine, della Birmania, del Manciukuò, della Thailandia e di Nanchino), oltre all'intangibilità dei rispettivi confini e sovranità, delle culture particolari di ogni nazione e soprattutto uno sforzo comune per sviluppare l'economia di ogni paese membro.[156]
Tutti questi progetti rimasero ad uno stato embrionale e spesso furono disattesi dagli stessi giapponesi, che sfruttavano i territori conquistati come colonie, provocando risentimenti e disillusioni nei movimenti nazionalisti e antieuropei che prima li appoggiavano: il risultato fu l'intensificazione delle guerriglie e la perdità di credibilità dei governi istaurati dal Giappone.[157]
I combattimenti durante il 1944
L'ottimo andamento delle operazioni militari aveva fatto ritenere agli Alleati che la guerra potesse finire entro l'anno: in conseguenza di ciò furono intensificati i trasporti di uomini, armi e mezzi al fronte per aumentare la pressione sulla difesa nipponica o per riunire nuove formazioni destinate a penetrare da altre direzioni nella traballante Sfera di Prosperità Comune. Gli Stati Uniti, che avevano aperto l'anno con l'eliminazione di Rabaul, pianificarono la conquista delle Marshall.
La liberazione delle Marshall e le conseguenze in Giappone
Ultima posizione giapponese avanzata, le Marshall subirono grandi bombardamenti aeronavali che devastarono le difese nipponiche e decimarono le guarnigioni. Applicando il salto della rana, gli americani sbarcarono sull'atollo centrale di Kwajalein, conquistandone le isole più importanti: Roi-Namur il 2 febbraio, Kwajalein il 4 febbraio, seguite da quelle occidentali di Eniwetok e Engebi il 19 e il 23 febbraio; nel quadro delle operazioni nelle Marshall fu lanciata anche una violenta incursione aerea sulla base nipponica di Truk, che il 16 e il 17 febbraio fu devastata in larga misura privando il Giappone di un importante punto strategico.[158][159]
La distruzione di Truk e la conquista delle Marshall da parte degli Stati Uniti fecero perdere appoggi e credibilità a Tojo, il cui governo fu attaccato dagli avversari, numerosi nella Marina imperiale, i quali criticavano le scelte finora fatte nella condotta della guerra. Tojo e i suoi collaboratori non si fecero intimorire e destituirono l'ammiraglio Takagi, latore di un rapporto giudicato pessimistico, il maresciallo Sugiyama, comandante in capo dell'esercito giapponese, e l'ammiraglio Nagano, capo di stato maggiore della Marina: Tojo assunse la carica di Ministro della Guerra, mentre Nagano fu sostituito dall'ammiraglio Shimada. Si decise inoltre di incrementare le costruzioni navali, irrigidire ancora di più la resistenza alla spinta americana, rifornire mediante grandi sommergibili le guarnigioni rimaste isolate, attaccare con un grande spiegamento di forze la Cina meridionale per conquistare le piste da dove sarebbero decollati i superbombardieri B.29: il Giappone si trovava davvero alle strette e ogni azione avesse intrapreso non avrebbe potuto ormai cambiare le sorti del conflitto.[160]
L'Inghilterra riprende l'iniziativa in Birmania
A partire dall'inizio del 1943 il fronte birmano si era stabilizzato in una logorante guerra di posizione: ai confini dell'India giapponesi e anglo-indiani si combattevano in scaramucce, mentre a nord-est i cinesi bloccavano ogni tentativo d'infiltrazione, che del resto furono sempre modesti. La situazione permise dunque agli Alleati di accumulare scorte, mezzi e truppe per sferrare un grande attacco e riprendere così la Birmania ai giapponesi. I comandanti nipponici sapevano però dei preparativi avversari e li precedettero: il 4 febbraio iniziò l'offensiva che raccolse subito buoni risultati, isolando forti contingenti inglesi nell'Arakan, che però non si arresero. Il maresciallo Terauchi lanciò allora un secondo attacco sulla città di Imphal minacciando anche il vicino centro di Kohima, ma l'esercito inglese non cedette: tra aprile e giugno 1944 gli Alleati vinsero i giapponesi, li respinsero alle basi di partenza e scatenarono la controffensiva che li portò a conquistare Myitkyina; a ottobre la XIV armata attaccò da nord e arrivò a occupare Mandalay nel marzo 1945: l'avanzata anglo-cinese si sarebbe rivelata ingestibile per i comandi nipponici.[161]
Le Isole Marianne e la catastrofe giapponese
Le Isole Marianne rientravano nei piani statunitensi perchè da quest'arcipelago potevano partire i superbombardieri B.29 per attaccare le città giapponesi senza scali intermedi. Per prepararsi il terreno gli americani lanciarono incursioni aeronavali sulle Caroline (compresa Truk), le Palau, le Filippine e le Bonin. Il Giappone subì un ennesimo grave colpo: l'ammiraglio Kōga, fuggito dalle Palau, era precipitato il 31 marzo con il suo aereo su Mindanao ed era morto nell'incidente. La Marina imperiale giapponese perse un competente capo in modo simile all'illustre predecessore Yamamoto. Kōga fu sostituito dall'ammiraglio Soemu Toyoda, che non aveva mai avuto incarichi sul campo.[162]
Egli ideò il piano A-Go per la difesa delle Isole Marianne, che prevedeva il massiccio concorso dell'aviazione terrestre a sostegno delle azioni della marina, riorganizzata in modo simile alle Task Forces statunitensi. L'attacco americano (Operazione Forager) scattò l'11 giugno 1944[163] con spaventosi bombardamenti preliminari; il giorno dopo l'enorme flotta che l'Impero giapponese aveva riunito salpò. Il 15 giugno gli americani sbarcavano a Saipan, ove i combattimenti si trascinarono ferocemente fino al 10 luglio. Frattanto le marine contrapposte si erano affrontate in una gigantesca battaglia aeronavale il 19 e il 20 giugno, durante la quale i giapponesi subirono gravissime perdite in termini di velivoli e portaerei: l'efficacia dei gruppi imbarcati fu ridotta a zero, segnando il tramonto nipponico in tale campo.[164] [165] Le ultime operazioni si svolsero su Guam, riconquistata il 10 agosto, e su Tinian che cadde poco dopo: si concludeva così la campagna delle Marianne, che vedeva una schiacciante vittoria statunitense sia tattica che strategica.[166]
Il contraccolpo della sconfitta
La tremenda emorragia subita in beni, uomini, mezzi e basi provocò una grave crisi politica in Giappone: il 15 luglio l'ammiraglio Shimada si ritirava dalla carica di Ministro della Marina, e il 18 luglio il generale Tojo rassegnava le dimissioni dal posto di Primo Ministro, evidentemente conscio del fatto che aveva perduto molto ascendente e autorevolezza, scosso dalla vastità del disastro. Furono sostituiti rispettivamente dall'ammiraglio Mitsumasa Yonai e dal generale Kuniaki Koiso, al quale il Consiglio Supremo di Guerra ordinò di studiare la situazione globale per riprendere in mano l'iniziativa bellica: questa feroce volontà di proseguire la lotta era dovuta alle gravi umiliazioni e perdite patite e anche dal primo vero bombardamento strategico effettuato dagli Stati Uniti sul Giappone, condotto da 68 B.29 partiti dagli aeroporti sud-occidentali in Cina.[167]
Le Isole Palau
Nell'attesa che le truppe che avevano combattuto nelle Marianne fossero riorganizzate e per preparare l'attacco alle Filippine, al quale ci si era dovuti risolvere a causa dell'intrasigenza di MacArthur e della sua promessa fatta due anni e mezzo prima («Tornerò!»), Nimitz progettò la conquista delle Isole Palau, a sud-ovest delle Marianne, e degli atolli di Yap e Ulithi: se le ultime due posizioni erano in pratica indifese, le Palau e in particolare l'isola di Peleliu erano massicciamente difese, come si constatò amaramente sia durante lo sbarco del 15 settembre che nella sanguinosa battaglia, terminata solo il 25 novembre. Già dal 17 settembre era stata conquistata l'isola di Angaur e Ulithi, presa il 23, divenne una grande base navale statunitense, vicinissima alle Filippine.[168]
L'invasione delle Filippine: distruzione della flotta imperiale
Le Filippine rappresentavano per il Giappone la difesa principale della fondamentale rotta che dall'Indonesia distribuiva il tanto prezioso carburante in tutto l'Impero: se cadevano, i rifornimenti via mare sarebbero cessati e la guerra sarebbe stata perduta. Fu fatto un enorme sforzo per radunare il maggior numero di navi da scagliare contro la flotta da sbarco americana, distruggerla e ribaltare le sorti del conflitto (Sho-go, Operazione della vittoria).
Per l'invasione delle Filippine (Operazione Roi II) gli Stati Uniti avevano riunito la più grande flotta che si fosse finora vista nel Pacifico, comprendente centinaia di navi di ogni tipo e un bene addestrato corpo di spedizione. Il grande attacco fu preceduto da devastanti bombardamenti navali ed aerei che interessarono tutto l'arcipelago: il 20 ottobre gli americani sbarcavano a Leyte, incontrando una resistenza disordinata.[170]
Le battaglie a Samar, Surigao e Capo Engaño
Frattanto le flotte giapponesi erano partite e furono scovate quando erano già penetrate tra le isole filippine: la prima a essere individuata fu quella di Nishimura; fu poi scoperta quella di Kurita che attaccata il 23 e il 24 ottobre da sommergibili e aerei perse tre incrociatori pesanti e la grande corazzata Musashi; infine fu avvistata la flotta di Shima.[171] La formazione al comando di Ozawa fu individuata per ultima il pomeriggio del 24, ma la presenza di portaerei fece cadere gli americani in trappola: Halsey si portò a nord lasciando senza protezione i mezzi da sbarco e le portaerei di scorta dinanzi Leyte, mentre lo Stretto di Surigao veniva potentemente sorvegliato.[172]
Proprio qui nella notte del 25 ottobre i giapponesi subirono una catastrofe: la flotta di Nishimura incappò nel formidabile sbarramento americano, che distrusse quasi tutte le navi nipponiche. L'ammiraglio Shima, giunto poco dopo il disastro fu attaccato due volte e decise di ritirarsi dopo la perdita di due navi.[173]
Lo stesso giorno la flotta di Kurita sbucò d'improvviso al largo dell'isola di Samar, ove incrociavano le forze aeronavali leggere di Kinkaid: i giapponesi attaccarono battaglia ma senza coordinazione e lo scontro si risolse in una mischia confusa dalla quale gli americani uscirono con perdite contenute.[174] Ritiratasi la flotta giapponese le navi statunitensi furono bersagliate per ore dall'aviazione nipponica, che qui iniziò i primi attacchi Kamikaze di massa, lasciando sconcertati e scossi i marinai americani e aggravando il bilancio della battaglia.[175][176]
Nel frattempo la flotta di Halsey aveva preso contatto con le forze di Ozawa, che per otto ore furono obiettivo degli aerei imbarcati statunitensi, i quali gettarono nel caos più completo la formazione nipponica per poi decimarla separatamente.[177]
Le forze navali americane tentarono di distruggere le navi nipponiche superstiti, ma dopo qualche successo abbandonarono l'inseguimento la mattina del 26 ottobre. Quella che molti storici definiscono la più grande battaglia navale di tutti i tempi[178] si concludeva con una schiacciante vittoria degli Stati Uniti, che affondarono 28 navi giapponesi per un totale di 318.667 tonnellate riportando per contro la perdita di sole 36.300 tonnellate.[179][180][181] La battaglia del Golfo di Leyte ebbe tra le sue conseguenze la scomparsa della flotta giapponese, le cui navi non ebbero quasi più nessuna parte nel conflitto, e il grande sviluppo degli attacchi kamikaze, che furono generalizzati e organizzati dall'ammiraglio Onishi e in seguito dall'ammiraglio Ugaki.[182]
La liberazione dell'arcipelago
La battaglia per Leyte si concluse alla fine di dicembre, e il mese successivo ebbero inizio le operazioni a Luzòn, che portarono alla conquista di Manila a febbraio e alla progressiva liberazione della grande isola. Mediante numerosi sbarchi secondari gli americani si assicurarono il possesso delle Filippine tra marzo e giugno 1945, schiantando le disperate resistenze giapponesi. A inizio luglio la campagna si concluse ufficialmente.[183]
I bombardamenti del Giappone
Da aprile anche nel Pacifico fu applicata la pratica degli attacchi aerei strategici per fiaccare la resistenza avversaria, bloccare la produzione industriale, atterrire la popolazione, inchiodare l'aviazione imperiale lontano dai teatri operativi. Le operazioni ebbero inizio a metà giugno 1944 con obiettivi sull'isola di Kyushu, per poi estendersi alla Manciuria. Iniziati con grami risultati a causa dell'inesperienza nell'uso dei nuovi B.29, i bombardamenti rivestirono importanza secondaria fino a ottobre: poco dopo fu istituito un organo direttivo per supervisionare tutte le sortite aeree, il 21° Comando bombardieri del generale Hansell. Furono elaborate nuove tattiche d'impiego, ma nonostante i miglioramenti non si vedevano ancora risultati definitivi.[184]
Il sanguinoso epilogo del 1945
L'anno si apriva per il Giappone con prospettive inquietanti, a causa delle disastrate condizioni economico-militari, ma si faceva grande affidamento sui kamikaze per annichilire l'US Navy e rinviare lo sbraco sul territorio nazionale, ritenuta imminente. Inoltre era già stato deciso di fortificare due isole a sud del Giappone, Iwo Jima e Okinawa, per tentare di fermare lì l'inesorabile marcia americana. Gli Stati Uniti, consci della loro superiorità e dello stato di prostrazione degli avversari, pianificarono la conquista delle due isole per poi procedere con l'invasione finale del Giappone.
Le dure battaglie di Iwo Jima e Okinawa
Le posizioni giapponesi contavano guarnigioni numerose e bene armate, ma senza possibilità di essere rifornite una volta iniziato l'attacco: il blocco americano sarebbe stato impenetrabile e la flotta era a corto di ogni risorsa. La lotta fu dunque di una violenza inaudita anche per questi motivi. I Marines sbarcarono a Iwo Jima il 19 febbraio 1945, e solo a fine marzo ebbero ragione della resistenza nipponica. Su Okinawa, assaltata il 1 aprile, i combattimenti si trascinarono feroci fino alla seconda metà di giugno 1945, con perdite tremende in entrambi gli schieramenti. La battaglia vide sia una travolgente partecipazione dei kamikaze, che l'ultima apparizione della Marina imperiale.[185][186]
La morte di Roosevelt e la nomina di Suzuki
A poca distanza dall'inizio della campagna di Okinawa, accaddero due importanti eventi a livello politico: il 5 aprile era caduto il governo Koiso, a seguito della notizia che l'Unione Sovietica non avrebbe rinnovato il trattato di non aggressione dell'aprile 1941. La carica di primo ministro andò per volontà dell'imperatore al pacifista Kantarō Suzuki, deciso a por fine a una guerra ormai perduta; assieme a Hirohito iniziò dunque ad agire contro i potenti membri del clan militarista, che detenevano un grande potere e non intendevano assolutamente arrendersi. Poco dopo, il 12 aprile, morì Roosevelt per emorragia cerebrale e fu sostituito dal vicepresidente Harry S. Truman.[187][188]
Continuazione della campagna aerea
Nello stesso periodo le isole metropolitane subirono immani devastazioni a causa dei B.29, che arrivando dalle basi nelle Marianne e in Cina radevano al suolo le città giapponesi con il lancio massiccio di ordigni incendiari introdotti da gennaio; la distruttività degli attacchi americani era anche dovuta alla nuova tattica d'utilizzo dei bombardieri, messa a punto dal generale Curtis LeMay, da gennaio a capo del 21° Comando: il più catastrofico fu quello del 9-10 marzo 1945, condotto sulla stessa Tokyo, dove morirono più di 100.000 persone. Nei giorni seguenti furono semidistrutte Nagoya, Kobe, Osaka, Kure, Yokohama, ed entro il 26 maggio la capitale era bruciata in gran parte; da giugno cominciarono i bombardamenti sulle città di media grandezza, e luglio vide un vertiginoso incremento delle incursioni statunitensi, tra loro contemporanee, lanciate anche da portaerei e coadiuvate dal cannoneggiamento navale. La caccia e la contraerea nipponiche si dimostrarono incapaci di arginare l'enorme numero di velivoli statunitensi.[189][190][191]
L'attacco nucleare a Hiroshima e Nagasaki
Le perdite inaspettatamente alte subìte a Iwo Jima e Okinawa soprattutto resero i comandanti americani poco propensi a uno sbarco in Giappone, che di sicuro avrebbe comportato un'ecatombe da una aprte e dall'altra. L'esito positivo della prova effettuata il 16 luglio nel poligono di Alamogordo indusse il presidente Truman a ordinare l'uso della nuova arma atomica: la mattina del 6 agosto 1945 la città portuale di Hiroshima fu spazzata via dal primo ordigno nucleare mai lanciato. Una seconda bomba atomica fu sganciata a mezzogiorno del 9 agosto su Nagasaki: i morti assommarono a oltre 200.000, ma molti sopravvissuti perirono poco dopo o negli anni a venire a causa delle radiazioni.[192][193]
L'intervento sovietico
Il 3 febbraio 1945 anche l'Unione Sovietica accettò in linea di principio di entrare nel conflitto del Pacifico, ma la sua dichiarazione di guerra arrivò l'8 agosto[194][195], circa tre mesi dopo la fine della guerra in Europa, così da soddisfare gli obblighi dell'Unione Sovietica verso gli alleati.
Il 9 agosto l'Unione Sovietica iniziò i combattimenti contro il Giappone lanciando un un grande attacco in Manciuria con un milione di soldati, veterani del Fronte Orientale, per poi sfondare anche in Corea.[196] Contemporaneamente vennero occupate senza difficoltà di sorta le isole Curili, che non vennero più restituite al Giappone originando una disputa territoriale ancora aperta.
La capitolazione dell'Impero giapponese
In Giappone il 14 agosto viene considerato il giorno del termine della guerra del Pacifico. Comunque l'Impero Giapponese si arrese formalmente il 15 agosto. L'ordine di resa non venne immediatamente inviato alle forze giapponesi in Manciuria, che continuarono a combattere i sovietici fino al 19 agosto. La resa formale del Giappone venne firmata il 2 settembre 1945 alle ore 8 sulla nave da battaglia USS Missouri, ancorata nella Baia di Tokyo. La resa venne firmata dal generale Douglas MacArthur come Supremo Comandante Alleato, alla presenza di rappresentati di ogni nazione alleata e da una delegazione giapponese guidata da Mamoru Shigemitsu.[197]
Combattimenti di piccola entità, con tattiche di guerriglia, continuarono a occorrere per tutto il Pacifico, in alcuni casi per molti anni. Le guarnigioni giapponesi che seppero della resa del loro paese, infatti, non credettero alla notizia, pensando che si trattasse di un colossale inganno degli americani. L'ultimo caso registrato di soldato giapponese che continuò a combattere, ignaro della fine del conflitto, fu quello del tenente in seconda Hiroo Onoda, che si arrese il 9 marzo del 1974 sull'isola di Lubang, nelle Filippine; negli anni successivi furono registrati altri casi, ma si trattava di giapponesi che erano comunque a conoscenza della resa, ma che si erano uniti a gruppi di guerriglia indigena per altri motivi.[198]
Una cerimonia di resa separata tra la Cina e il Giappone venne tenuta a Nanchino il 9 settembre 1945.
Successivamente MacArthur stabilì basi in Giappone per supervisionare lo sviluppo post-guerra della nazione. Questo periodo è conosciuto nella storia giapponese come occupazione. Il presidente statunitense Harry Truman proclamò ufficialmente la fine delle ostilità il 31 dicembre 1945. Il trattato di pace verrà firmato a San Francisco solo nel 1951[199].
Gli Stati Uniti continentali
Il Giappone tentò di portare la guerra sul suolo nazionale americano, ma gli sforzi compiuti si rivelarono fallimentari: attacchi di sottomarini, rare incursioni aeree, uso tardivo di palloni bomba furono azioni trascurabili che influenzarono minimamente il corso del conflitto.
Note
- ^ Millot1967, p. 994-997
- ^ Michel993, p. 48-49, 92
- ^ La seconda guerra mondiale, vol. II, p. 306-309
- ^ Millot1967, p. 18
- ^ Millot1967, p. 19
- ^ Millot1967, p. 19-20
- ^ Millot1967, p. 20-21
- ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, p. 21-22
- ^ a b c d e f Antenati: Gli Anni '30: verso la guerra. Introduzione, su girodivite.it. URL consultato il 1º agosto 2011.
- ^ Yamato è l'antico nome del Giappone, propriamente "Il paese delle montagne"
- ^ Traducibile come "Pace Illuminata"; Antenati: Gli Anni '30: verso la guerra. Introduzione, su girodivite.it. URL consultato il 1º agosto 2011.
- ^ Antenati: Gli Anni '30: verso la guerra. Introduzione, su girodivite.it. URL consultato il 1º agosto 2011.
- ^ Millot1967, p. 22
- ^ H. Michel, La seconda guerra mondiale, p. 98
- ^ Millot1967, p. 22
- ^ Giunti 2000, pag. 18
- ^ Millot1967, p. 23, 26
- ^ Michel993, p. 102
- ^ Michel993, p. 104
- ^ Secondo Michel993, p. 106 la data di inizio della guerra è l'8 luglio
- ^ Millot1967, p. 23
- ^ Michel993, p. 118
- ^ Wang era ex-compagno di lotta di Chiang Kai-Shek Giunti2000, p. 161
- ^ a b Millot1967, p. 24
- ^ Millot1967, p. 23-24
- ^ Michel993, p. 114
- ^ Nomonhan: The Second Russo-Japanese War, su militaryhistoryonline.com, Military History Online. URL consultato il 9 giugno 2011.
- ^ The USS Panay memorial website, su usspanay.org. URL consultato il 31 maggio 2011.
- ^ Luglio 1940, su digilander.libero.it. URL consultato il 7 agosto 2011.
- ^ a b Millot1967, p. 25, 878-879
- ^ Secondo Michel993, p. 36, 124 tali acquisizioni risalgono al 30 agosto
- ^ Michel993, p. 126
- ^ Michel993, p. 122
- ^ Millot1967, 625
- ^ Giunti 2000, pag. 230. In Manciuria rimasero per tutta la guerra ben 1.350.000 soldati
- ^ Giunti2000, p. 161
- ^ Questo "sterminio scientifico", che ricorda le atrocità commesse dai nazisti in Europa, fu condotto principalmente dalla famigerata Unità 731
- ^ Giunti2000, p. 112, 156; Luglio 1941, su digilander.libero.it. URL consultato il 7 agosto 2011.
- ^ Agosto 1941, su digilander.libero.it. URL consultato il 7 agosto 2011.
- ^ Millot1967, p. 26
- ^ Giunti2000, p. 113
- ^ Michel993, p. 140
- ^ Progetto lanciato dal generale Arita alla fine degli anni trenta, ricorda l'idea di spazio vitale teorizzata da Hitler Millot1967, p. 32
- ^ I progetti giapponesi furono grandemente influenzati dall'attacco britannico alla Regia Marina a Taranto, nel novembre 1940
- ^ Millot1967, p. 38; Novembre 1941, su digilander.libero.it. URL consultato il 7 agosto 2011.
- ^ Millot1967, p. 39-46
- ^ Millot 1967, p. 38, 55, 62; la dichiarazione di guerra avrebbe dovuto essere consegnata alle ore 13 a Washington, quindi alle 7.30 alle Hawaii, ovvero venti minuti prima dell'attacco. La difficoltà incontrata nella decrittazione e traduzione dei testi fece sì che venisse consegnata alle 14, quando il disastro stava già compiendosi
- ^ USS Utah (Battleship # 31, later BB-31 and AG-16), 1911-1941 -- Overview and Special Image Selection, su history.navy.mil. URL consultato il 1º giugno 2011.
- ^ Le corazzate West Virginia, California e Nevada affondarono, ma furono recuperate e rimesse in efficienza. Millot1967, p. 62
- ^ Giunti2000, p. 113-115
- ^ Michel993, p. 142
- ^ Millot1967, p. 48
- ^ Mondadori 2010 vol. II, p. 290
- ^ Il Giappone e la guerra sottomarina, su storiain.net. URL consultato il 18 luglio 2011.
- ^ Millot1967, p. 28-29, 32
- ^ Giunti2000, p. 109
- ^ Millot 1967, p. 149
- ^ Giunti 2000, p. 65, 86; inizialmente consistente in aiuti navali, divenne legge nel marzo del 1941 e sostenne anche la Cina nazionalista, che fino ad allora era appoggiata ufficiosamente
- ^ Giunti2000
- ^ Millot1967, p. 71-74
- ^ Tosti1950, p. 9
- ^ Millot1967, p. 75-83
- ^ Tosti1950, p. 6
- ^ The fall of Singapore, 15 February 1942
- ^ Millot1967, p. 86-89
- ^ Giunti2000, p. 147 indica 80.000 prigionieri di tutte e tre le nazionalità
- ^ Tosti1950, p. 7, 11, 15, 28-35
- ^ Giunti2000, p. 119
- ^ Giunti2000, p. 153
- ^ Tosti1950, p. 7, 11, 15, 28-35
- ^ Giunti 2000, p. 149
- ^ Tosti1950, p. 5-6, 9-11
- ^ Millot1967, p. 108
- ^ Tosti1950, p. 26 riporta 30.000 prigionieri militari e 25.000 civili
- ^ Giunti 2000 riporta circa 50.000 prigionieri
- ^ Secondo Michel 1993, p. 148 MacArthur abbandonò le Filippine il 12 marzo
- ^ Tosti1950, p. 26-28, 35-37
- ^ La flotta americana di stanza nelle Filippine era stata evacuata a fine dicembre e si era aggregata alla difesa delle Indie Olandesi
- ^ Millot1967, p. 113-114, 116
- ^ Millot1967, p. 115-116
- ^ Millot1967, p. 129-137
- ^ Millot1967, p. 137-143
- ^ Tosti1950, p. 23
- ^ Millot1967, p. 144-145
- ^ Millot1967, p. 122
- ^ Tosti1950, p. 14
- ^ Millot1967, p. 171
- ^ Tosti1950, p. 25
- ^ Tosti1950, p. 71
- ^ Millot1967, p. 281
- ^ Michel 1993, p. 121, 170-172
- ^ Millot1967, p. 144
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- ^ Michel 1993, p. 36
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- ^ Millot1967, p. 174
- ^ Millot1967, p. 151-156
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- ^ Tosti1950, p. 73
- ^ Millot1967, p. 212-214
- ^ Le truppe giapponesi erano infatti meglio addestrate per i combattimenti nella giungla; inoltre la malaria e le difficoltà logistiche inficiarono fin dall'inizio l'offensiva anglo-indiana.Giunti2000, p. 167
- ^ Secondo Michel993, p. 156 l'offensiva fallì già il 16 dicembre
- ^ Millot1967, p. 281-283
- ^ Millot1967, p. 440-442
- ^ Tosti1950, p. 80
- ^ Secondo Michel993, p. 158 fu lo stesso Imperatore a ordinare il ritiro da Guadalcanal
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- ^ A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, p. 165, 336, riporta che il Giappone teneva un perimetro difensivo di circa 15.000 chilometri, un'area complessiva di circa 3 milioni di miglia quadrate e governava quasi 500 milioni di persone; in Giunti 2000, p. 152, il Giappone possiede i 3/4 delle riserve mondiali di caucciù e 2/3 dello stagno, oltre a ricchi giacimenti di petrolio
- ^ Millot1967, p. 471
- ^ Millot1967, p. 454
- ^ Millot1967, p. 456-461
- ^ Millot1967, p. 461
- ^ Millot1967, p. 472-476
- ^ Tosti1950, p. 165-166
- ^ Millot1967, p. 476-478; furono radunati 350 aerei, dei quali 190 appartenenti all'esercito e 160 provenienti dai gruppi imbarcati. Essi erano suddivisi nelle 21ª e 26ª flottiglie (con basi Rabaul, Kavieng e Buin) e nelle 1ª e 2ª divisioni (Rabaul e Kahili, vicino Buin)
- ^ Millot1967, p. 478; furono affondati un cacciatorpediniere, una corvetta, una petroliera e due trasporti, e i giapponesi persero circa 50 velivoli
- ^ Millot1967, p. 479
- ^ Millot1967, p. 480-481
- ^ Millot1967, p. 482-484
- ^ Giunti2000, p. 110
- ^ Millot1967, p. 484
- ^ Millot1967, p. 463-466
- ^ Millot1967, p. 468-469; i giapponesi reagirono con tale ferocia che molti americani impazzirono, e tutti rimasero sconcertati dalla violenza dei combattimenti e di come la guarnigione giapponese si fosse annientata con un estremo attacco Banzai
- ^ Tosti1950, p. 169
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- ^ Giunti 2000
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- ^ Mondadori 2010 vol. II, p. 208
- ^ Tosti1950, p. 247-248
- ^ Michel993, p. 168
- ^ Michel993, p. 168
- ^ Mondadori 2010 vol. II, p. 254; nel solo periodo compreso tra giugno e novembre i sottomarini americani avevano affondato più di un milione di tonnellate di navi mercantili o da trasporto, assieme a 73 navi da guerra; il tonnellaggio della flotta mercantile nipponica era sceso sotto i 4 milioni alla fine dell'anno
- ^ Michel993, p. 37
- ^ Michel993, p. 176
- ^ Tosti1950, p. 251-252
- ^ Per molti popoli asiatici il Giappone rappresentava una garanzia di autonomia e indipendenza dalle potenze coloniali, ma le loro aspettative e speranze furono deluse dalla rapace occupazione a cui l'Impero nipponico sottopose le zone strappate agli occidentaliGiunti2000, p. 149, 154
- ^ Tosti1950, p. 336-339 riporta che i giapponesi persero 27 navi e 200 aerei
- ^ Mondadori 2010 vol. II, p. 210, riporta che i giapponesi persero 9 navi da guerra e altre 32 unità per un complesso di 200.000 tonnellate
- ^ Millot1967, p. 615-616
- ^ Giunti 2000, p. 232, 234-235
- ^ Millot1967, p. 633-639
- ^ Da ricordare che la campagna delle Marianne si svolse parallelamente allo sbarco e alla battaglia di Normandia: la contemporanea realizzazione di due grandi attacchi anfibi è sintomatica della grande potenza industriale americana
- ^ Millot1967, p. 665-686
- ^ Tosti1950, p. 341-342
- ^ Michel993, p. 174, 176
- ^ Millot1967, p. 704-705; l'incursione di Doolittle era infatti considerata una pura vendetta
- ^ Millot1967, p. 705, 708, 712-719
- ^ Mondadori 2010 vol. II, p. 253
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- ^ Mondadori 2010 vol. II, p. 253
- ^ Millot1967, p. 805 dove quantifica le perdite nipponiche in 305.710 tonnellate
- ^ Giunti 2000, p. 227 afferma che la marina imperiale perse 26 unità
- ^ Millot1967, p. 830-838
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- ^ Michel 1993, p. 186, 190
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- ^ Michel 1993, p. 186
- ^ Millot1967, p. 882-885, 887-890, 956-958; a luglio le perdite americane ammontavano allo 0,03% della forza impiegata, quando a marzo esse erano del 4% circa; tali risultati erano dovuti anche alla robustezza dei B.29 e all'assai limitata disponibilità di proiettili per l'antiaerea
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Voci correlate
- Hirohito
- Fascismo giapponese
- Grande area di prosperità dell'Asia orientale
- Seconda guerra sino-giapponese
- Hideki Tojo
- Attacco di Pearl Harbor
- Campagna delle Indie Olandesi
- Battaglia delle Midway
- Campagna di Guadalcanal
- Battaglia di Tarawa
- Conferenza del Cairo
- Lista di conferenze della seconda guerra mondiale
- Battaglia del Golfo di Leyte
- Battaglia di Iwo Jima
- Battaglia di Okinawa
- Bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki
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