Urbanistica a Roma tra il 1870 e il 2000
Lo sviluppo urbanistico di Roma nel periodo 1870-2000 costituisce un fenomeno di crescita urbana unico in Italia.

Demografia e piani regolatori
Nei decenni dal 1870 al 2000
- Milano passa da 290.000 a 1.256.000 abitanti,
- Napoli da 489.000 a 1.004.000,
- Torino da 210.000 a 1.200.000,
- Palermo da 224.000 a 887.000,
ma Roma incrementa i propri abitanti di 5 volte, passando da 512.000 a 2.800.000 nel 1981, anno in cui comincia il decremento che la porta, nel 2001, a poco più di 2.500.000 residenti. Questa voce descrive sinteticamente lo sviluppo urbanistico della città conseguente all'incremento demografico e alle scelte di sviluppo via via effettuate delle classi dirigenti della città capitale d'Italia.
Come notava Franco Ferrarotti nel 2003[1],
E, poco più avanti:
È su questo sfondo e in questa cornice che può leggersi lo sviluppo urbanistico della città.
I Piani regolatori (PRG) e le leggi speciali per Roma
- 1873: primo PRG, rimasto sulla carta;
- 1883: PRG di Alessandro Viviani a modifica e integrazione del precedente;
- 1909: il 10 febbraio il Consiglio comunale approva il nuovo piano regolatore di Edmondo Sanjust di Teulada;
- 1931: PRG di Piacentini, Giovannoni e altri su incarico del Governatorato di Roma;
- legge 24 marzo 1932, n. 355, che finanzia il PRG del '31;
- 1962: si approva il 18 dicembre il nuovo Piano Regolatore, al quale saranno apportate massicce varianti generali nel 1971, nel 1974 e nel 1978;
- 1966: legge 26 maggio 1966, n. 311 che proroga con modifiche la legge 355 del 1932;
- 2003: il 20 marzo il Consiglio comunale adotta il nuovo Piano Regolatore Generale.
Dalla capitale del Papa-re...
Al momento della presa di Roma lo Stato sabaudo si trova a dover trasformare la capitale di uno Stato teocratico assolutista, la cui economia locale era basata sulla rendita fondiaria e sul paternalismo assistenziale, nella capitale di un moderno Stato liberale.
La stratificazione sociale ed economica della città al momento dell'unità si può così sintetizzare:
- Al vertice le alte gerarchie clericali con funzioni di governo, proprietarie - attraverso ordini chiese e monasteri - di vastissime proprietà fondiarie, e la nobiltà, detentrice del resto della proprietà fondiaria e delle sue rendite. Entrambe le tipologie proprietarie avevano un dominante carattere latifondista.
- Alla base c'era un popolo complessivamente misero, ma saldamente vigilato in nome della fede e, in cambio, sufficientemente assistito nei propri bisogni materiali[2].
- In mezzo, c'era il clero e i cosiddetti ceti produttivi, che consistevano nell'insieme di alte cariche burocratiche (strettamente dipendenti nella selezione e nei comportamenti dalle gerarchie ecclesiastiche), rappresentanti delle professioni eredi delle medioevali arti liberali, e nei cosiddetti "mercanti di campagna"[3].
Costituivano, questi ultimi, il generone: un ceto di grandi affittuari dei latifondi (che a loro volta subappaltavano), garante fin dal XVI secolo della liquidità delle classi dominanti e della tutela degli approvvigionamenti alimentari - quello che più si avvicinava per condizioni materiali alla borghesia europea, che gareggiava con la nobiltà se non in stile certo in lusso, ma - trattandosi di intermediari, piuttosto che di produttori, di ricchezza - completamente subordinato, sul piano politico e culturale, alle classi egemoni.
Dal punto di vista della struttura economica, Roma era - come era sempre stata - assai più centro di consumo e di servizi che di produzione. Quasi completamente priva di industrie, produceva invece localmente artigianato di lusso e quel che oggi chiameremmo servizi.
Dal punto di vista urbanistico, la Roma del 1870 era ancora quella ridisegnata da Sisto V, mentre la burocrazia e le istituzioni del nuovo regno d'Italia chiedevano spazi.
L'eversione dell'asse ecclesiastico aveva già preparato il terreno, con le leggi del 1866 e del 1867. Per il trasferimento della capitale da Firenze a Roma si emanò un'apposita legge, il 3 febbraio 1871, che dava allo Stato ampie facoltà di esproprio, e poco dopo, con legge del 19 giugno 1873, si estese anche a Roma e provincia la legislazione sulla soppressione delle corporazioni religiose del 1866/67, che a Roma toccò 134 delle 221 case religiose esistenti (furono risparmiate quelle che si occupavano di assistenza, beneficenza, missioni) e consentì l'assegnazione al comune o ad enti pubblici, o la destinazione ad utilità pubblica, o la vendita, dei loro beni immobili.
Entro il 1877 era stato liquidato l'80% del patrimonio degli enti soppressi. Le tenute agricole furono acquistate all'80% da "mercanti di campagna", ma passarono di mano anche vasti patrimoni edilizi. I principali proprietari di immobili in città restavano comunque gli Odescalchi, i Doria Pamphili e i Pallavicini. Li seguiva, però, il non nobile Augusto Silvestrelli, mercante di campagna.
La scomunica di Pio IX, che accompagnava queste transazioni, non spaventò evidentemente nessuno.
Il vertice della modernizzazione tecnologica consentita da Pio IX era stato l'introduzione dalla ferrovia, il cui primo tratto da Roma a Frascati era stato inaugurato nel 1856, seguito, entro il 1867, dalla linea Roma-Civitavecchia-Orbetello, dalla Roma-Orte e dalla Roma-Ceprano[4]. La scelta di centralizzare i punti d'arrivo ferroviari all'Esquilino, localizzando a Termini la nuova stazione centrale inaugurata nel 1867, fu fortemente voluta da Monsignor de Merode, che aveva acquistato ampi terreni nella zona, e con la creazione della direttrice di Via Nazionale verso il Corso vincolò fortemente il primo sviluppo urbanistico postunitario.
All'arrivo dei piemontesi, Roma era piena di conventi e di edifici destinati ad usi collettivi, se non pubblici, che furono utilizzati nella fase di primo insediamento dello Stato sabaudo: tra il 1871 e il 1875 ne furono espropriati una cinquantina.
Si danno qui alcune notizie circa il primo insediamento delle nuove istituzioni statali: alcune furono temporanee, altre divennero stabili (Vittorio Vidotto, Roma contemporanea, Laterza 2001, 2006).
- Ministero delle Finanze e poi Ministero della Pubblica Istruzione al convento dei Domenicani a Santa Maria sopra Minerva
- Ministero della Guerra al convento dei Minori Conventuali ai Santi Apostoli
- Ministero dei Lavori pubblici al convento delle Clarisse a San Silvestro in Capite
- Ministero della Marina al convento degli Agostiniani a Sant'Agostino
- Tribunali al convento dei Filippini a Santa Maria in Vallicella
- Caserma e poi Archivi di Stato nella Casa professa dei Gesuiti al Gesù
- Liceo Visconti e Biblioteca nazionale al Collegio Romano
- Ufficio del Registro al convento dei Teatini a Sant'Andrea della Valle
- Carcere giudiziario al convento delle Carmelitane scalze a Santa Maria Regina Coeli (sta ancora lì)
- Questura al convento dei Serviti a San Marcello al Corso
- Facoltà di Ingegneria al convento dei canonici lateranensi a San Pietro in Vincoli (sta ancora lì)
inoltre furono subito scelte le sedi delle massime istituzioni:
- il Palazzo del Quirinale, già residenza estiva del Papa, fu destinato a Palazzo reale;
- a Palazzo Madama, già sede del Ministero delle Finanze pontificio, fu insediato il Senato;
- a Palazzo Montecitorio, già sede dei tribunali, fu insediata la Camera dei deputati, convertendo in aula il cortile centrale.
... alla capitale umbertina
La scommessa immobiliare di de Merode si sommò all'urgenza dello stato sabaudo di creare nuovi spazi direzionali da saldare a quelli tradizionali di Roma che erano localizzati nei rioni storici e lungo Via del Corso; la zona individuata - l'altura tra Porta Pia e il Quirinale, comprese la zona delle Terme di Diocleziano fino al Viminale e l'Esquilino fino alla via Labicana - era occupata da ville, orti e vigne, ed era poco urbanizzata; i proprietari delle ville cominciarono a lottizzare, altri investitori si misero ad acquistare terreni sulle orme del de Merode e lo Stato stesso, nella persona di Quintino Sella, grande dominus delle prima organizzazione di Roma capitale, scelse quella direttrice come spazio di espansione dell'edilizia pubblica (i nuovi ministeri allineati tra Porta Pia e il Quirinale lungo quella che sarebbe diventata Via XX Settembre), orientando la prima urbanizzazione postunitaria nella zona "alta" a nordest della città.
Lavori pubblici
Per quanto riguardava le opere pubbliche, le scelte dei primi due o tre decenni di Roma capitale furono completamente assoggettate alla volontà dell'Amministrazione centrale dello Stato, e alla sua immagine della capitale del nuovo stato unitario [5]. I costi altissimi dei lavori pubblici necessari alla modernizzazione e all'espansione di Roma furono coperti in parte dalle alienazioni dei beni ecclesiastici, e furono anche ridotti dal sistema delle convenzioni con i privati che avrebbero costruito sui terreni concordati attraverso una prima bozza di Piano regolatore, che fu discusso e approvato alla fine del 1873 dal Consiglio comunale, poco convinto, peraltro, che fosse necessario fare grandi programmi e piuttosto incline a lasciare spazio alle scelte dei privati. Haussmann, che faceva scuola di modernizzazione urbana in tutta Europa, fu interpellato anche da Crispi, grande decisore della riorganizzazione della nuova capitale. La soluzione demolitoria che il francese proponeva venne tuttavia applicata assai marginalmente, almeno fino al fascismo, sicché Roma poté conservare ad esempio, a differenza di Parigi e di Milano, la sua cinta muraria.
In pratica, la città fu per una trentina d'anni un grande cantiere: l'arginatura del Tevere (che si protrasse per cinquant'anni) s'intrecciò con la costruzione della rete fognante e l'ampliamento del sistema idrico, e con la costruzione dei ministeri
Edilizia privata
Per quanto riguardava l'edilizia privata, poi, i protagonisti furono i finanzieri - italiani ma anche francesi, belgi e tedeschi - che vedevano nella nuova capitale da costruire una grande occasione di investimento e di speculazione.
Le prime convenzioni, già nel 1871, vennero stipulate con Monsignor de Merode per la zona attorno a Termini e il primo tratto di via Nazionale, e per l'Esquilino. Nei due anni successivi vennero firmate le convenzioni per il Celio, Castro Pretorio e la zona attorno a Santa Maria Maggiore.
Le infrastrutture all'edilizia privata furono assicurate da convenzioni, con le quali i proprietari dei terreni ne cedevano una parte allo Stato, che provvedeva alle opere di urbanizzazione (strade e fognature soprattutto), ed autorizzava i privati a costruire "per pubblica utilità" - dichiarazione grazie alla quale le imprese potevano anche, se necessario, procedere direttamente ad espropri.
In questo modo lo Stato non doveva farsi carico del costo dei terreni e dell'eventuale contenzioso.
Nathan e il piano regolatore del 1909
Ernesto Nathan assunse la carica di sindaco, che fino al 1893 non era eletto dal popolo ma designato dalla giunta, si ritrova sul tavolo il piano del 1907 eseguito da Bonfiglietti. In questo momento però preferisce affidare la redazione del nuovo piano ad una persona esterna alla città, che quindi non avesse interessi personali. Fu così chiamato Edmondo Sanjust di Teulada che seppe interpretare nel migliore dei modi le leggi per Roma capitale del 1904 e 1907 promulgate da Giolitti. Il piano fu presentato già nel 1908 e reso legge nel 1909. L'interesse principale di questo piano è la presentazione di 2 tipologie edilizie: -il fabbricato (non più alto di 24 metri), -il villino. Tipologia modificata nel 1920 in palazzina con decreto regio per far fronte al grande bisogno di abitazioni post-guerra.
Architetture umbertine
- I muraglioni del Tevere 1 e 2
- I Ministeri a via XX settembre
- il Teatro Costanzi
- il Planetario e museo astronomico
- l'Acquario Romano
La capitale del fascismo
Durante il ventennio, il centro della città fu interessato da importanti lavori di riqualificazione. Il motivo era principalmente dettato da ragioni simboliche, atte a isolare i monumenti e farli - come disse Mussolini - "giganteggiare nella necessaria solitudine". La decisione riprendeva però una pratica ottocentesca già sperimentata a Parigi e in altre grandi città[senza fonte]. Le opere snaturarono l’originaria trama architettonica di alcuni monumenti, da sempre legati al contesto urbano in quanto inseriti senza soluzione di continuità tra le viuzze dei quartieri popolari. Il caso più clamoroso fu la creazione di Via della Conciliazione che - sorta dopo l’abbattimento della “spina” dei borghi - permetteva la visione di San Pietro da lontano e annullava gli studi prospettici ideati da Gian Lorenzo Bernini. L’artista, infatti, aveva voluto che la grande piazza si aprisse improvvisamente tra gli angusti vicoli del centro. Per mitigare l’eccessiva larghezza della via, fu creata una doppia fila di obelischi soprannominati “lanternischi”. L’altro grande sventramento ebbe luogo a Piazza Venezia e intorno al Foro Romano, con l’eliminazione delle case fatiscenti che nascondevano la vista delle rovine e la creazione della scenografica Via dell’Impero (oggi Via dei Fori Imperiali), che unisce Piazza Venezia al Colosseo.
Il discorso di Mussolini al nuovo Governatore
Le demolizioni
Le borgate
Le borgate di Roma possono essere divise in ufficiali e spontanee. Le prime furono frutto di una pianificazione urbanistica tesa a liberare il Centro Storico di tutte quelle attività artigianali che ne avevano costituito il fulcro, e a trasferirle in periferia, ben oltre quello che era, allora, il centro abitato. Ciò allo scopo di dare una nuova veste coreografica alla città, e di tracciare una netta linea di demarcazione tra la vita civile e quella rurale. Attuate a partire dal 1924 e realizzate fino al 1937 (con una piccola appendice nell’immediato dopoguerra), sono riconoscibili ancora oggi sebbene ormai inglobate nel tessuto urbano della Capitale.
Per quanto riguarda le borgate spontanee, esse furono costruite principalmente da lavoratori provenienti da fuori della Capitale che non avevano diritto alla residenza in città: solo quando, alla metà degli anni sessanta, tale diritto fu loro riconosciuto, fu possibile anche un censimento abbastanza preciso di tali insediamenti, sparsi in vari punti di Roma, spesso nelle vicinanze delle borgate ufficiali. Gli alloggi ricavati in tali borgate, essendo costruiti con materiali di risulta o di fortuna, senza servizi igienici e spesso a ridosso di fossati per garantire lo smaltimento dei rifiuti organici, presentavano giocoforza caratteristiche di estrema precarietà, scarsa igiene quando non addirittura inabitabilità. Una volta censite, si poté procedere al loro progressivo smantellamento - essendo praticamente impossibile realizzare qualsivoglia intervento che ne potesse garantire l’abitabilità e l’accatastamento - messo in atto dopo il cambio di colore politico della giunta comunale di Roma, passata nel 1976 da una maggioranza guidata dalla DC a una guidata dal PCI, che espresse Giulio Carlo Argan come sindaco. Gli abitanti delle borgate spontanee (spesso definiti, anche con intento spregiativo, baraccati) furono progressivamente trasferiti in alloggi di edilizia popolare a cura sia del Comune di Roma che dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari della provincia di Roma, e verso la seconda metà degli anni ottanta le borgate spontanee erano praticamente scomparse. Attualmente esistono, in maniera ridotta, sotto altre forme, a opera di lavoratori stranieri immigrati che vivono in condizioni di precarietà del lavoro quando non di clandestinità
L'E42
Architetture fasciste
La capitale democratica e cristiana
Forti gli intrecci, in questo periodo del capitale di oltretevere e l'urbanisitica in Roma, la Società Generale Immobiliare, di proprietà del vaticano, contribuì in maniera marcata allo sviluppo urbanistico di Roma tra gli anni '50 e i '60 numerosi quartieri vennero edificati: Balduina, Pigneto, Vigna Clara, numerose aree sulla Nomentana, Torrevecchia, ma in particolare vanno citati i quartieri cosiddetti "organici" di Casal Palocco e dell'Olgiata, in cui il rapporto tra abitazione e servizi al quartiere non possono essere scissi, l'intenzione dei progettisti dell'Immobiliare era di integrare le strutture sia ricreative che culturali con l'abitazione.
Altri interventi urbanistici inerenti allo sviluppo urbanistico di Roma furono la costruzione di ville sull'Appia Antica e la costruzione dell'Hotel Cavalieri-Hilton, entrambi costruiti con varianti ai vari piani particolareggiati, cui il Consiglio Comunale, di maggioranza democristiana, autorizzò nonostante numerose proteste da parte dell'opinione pubblica.
Il completamento dei piani del fascismo
Borgate, borghetti, baracche - e le Olimpiadi
L'inizio del risanamento
Architetture del dopoguerra
La capitale del nuovo millennio
I personaggi dell'urbanistica romana
Note
- ^ fonte: Attualità di Ernesto Nathan in Lettera internazionale n. 78, 2003
- ^ Si calcola che nel 1870 circa il 30% della popolazione vivesse "di sussidi pubblici, di elargizioni benefiche, di elemosine"
- ^ Così Carducci tratteggiava sprezzante la sociologia della Roma papalina: «[…] una borghesia di affittacamere, di coronari, di antiquari, che vende di tutto, coscienza, santità, erudizione, reliquie false di martiri, false reliquie di Scipioni, e donne vere; un ceto di monsignori e abati in mantelline di più colori, che anch'esso compra e vende e ride di tutto; un'aristocrazia di guardiaportoni»
- ^ L'investimento fu della Società generale strade ferrate romane, a capitale prevalentemente francese. Nel consiglio di amministrazione sedevano tuttavia anche esponenti della nobiltà romana, come il principe Marcantonio Borghese e il conte Antonelli, fratello del Segretario di Stato di Pio IX Giacomo Antonelli
- ^ Del resto, la rappresentanza sociale del Consiglio comunale aveva una nettissima fisionomia oligarchica: alle liste elettorali delle prime amministrative tenute il 13 novembre 1870 erano iscritti solo 7.721 elettori (tutti maschi, naturalmente, visto che il suffragio universale, in Italia, fu introdotto solo nel 1946); di questi meno della metà si presentò ai seggi. E quasi vent'anni dopo, nel 1889, benché fossero stati assai ampliati i requisiti per l'ammissione al voto, le liste non superarono i 45.563 iscritti, pari a poco meno dell'11% della popolazione. Il Consiglio comunale era costituito esclusivamente da rappresentanti delle classi più abbienti - mercanti di campagna come il Silvestrelli, rappresentanti della nobiltà storica, liberi professionisti e docenti universitari - e il partito clericale, impedito dal Non expedit di partecipare alle competizioni elettorali politiche, ma presente in quelle amministrative, vi rimaneva in minoranza.
Bibliografia
- Gianni Accasto, Vanna Fraticelli, Renato Nicolini, L'architettura di Roma capitale 1870-1970, Golem 1971.
- Leonardo Benevolo, Roma dal 1870 al 1990, Laterza 1992
- Comune di Roma, L'invenzione dei Fori Imperiali - demolizioni e scavi: 1924-1940 (Catalogo della mostra ai musei capitolini 23 luglio - 23 novembre 2008), Palombi & Parner, 2008.
- Italo Insolera, Roma Moderna, un secolo di storia urbanistica 1870-1970, Einaudi, 1962, 1971, 2001. ISBN 880615931
- Mario Sanfilippo, La costruzione di una capitale. Roma 1945-1991, Credito Fondiario e Industriale, 1994.
- Mario Sanfilippo, Il generone romano tra fine Settecento e primo Novecento, Bardi Editore, 2005
- Vittorio Vidotto, Roma contemporanea, Laterza 2001, 2006.
Voci correlate
Collegamenti esterni
Informazioni
- Assessorato all'Urbanistica del Comune di Roma
- Area Metropolitana di Roma (a cura dell'Istituto Nazionale di Urbanistica)
Opinioni
- Il nuovo Piano regolatore di Roma: documenti dell'Ordine degli architetti di Roma
- Attualità di Ernesto Nathan di Franco Ferrarotti (in Lettera internazionale n. 78, 2003)