Sepolcro di Camillo de' Medici

Il Sepolcro di Camillo de' Medici è un monumento sepolcrale di Girolamo D'Auria dedicato al giurista di Gragnano Camillo de' Medici (Gragnano, 1543- Napoli, 1598). L'opera, risalente all'ultimo lustro del Cinquecento, è ubicata in una cappella della chiesa dei Santi Severino e Sossio[1] di Napoli.

Geronimo d'Auria, sepolcro di Camillo de' Medici di Gragnano, 1596-1600, cm 350×280

Storia

 
Geronimo d’Auria, Sepolcro di Camillo de’ Medici, particolare, 1596, cm 350×280

Sempre un po’ in ombra di fronte alla storia ufficiale è rimasta la figura del committente e della famiglia, malgrado il ruolo di primo piano da essa esercitato nel tessuto della città per almeno cinque secoli, ovvero fin da quel 1269, anno in cui appare documentato un tal Guglielmo, “giudice et percettore di collette” in Gragnano, città in cui la famiglia si sarebbe stabilita per sfuggire alle "guerre" che dilaniavano da ormai molti anni la città di Firenze[2]. Sul solco della tradizione familiare, Camillo riuscì ben presto a guadagnarsi un'alta posizione di prestigio sociale, se già nel 1560 veniva chiamato a sovrintendere la spedizione antiturca di soccorso che Pio IV organizzò presso l'isola di Gerba[3]. Non privo di ostacoli fu il riconoscimento da parte del granduca di Toscana delle sue illustri radici fiorentine, a causa – come Camillo ebbe a ricordare in una sua memoria – di "sinistra informatione di maligni", che lo avevano accusato di essersi abusivamente appropriato di tal illustre cognome[4].

Un atto bancario registra nel 1596 lo scultore napoletano Geronimo d'Auria al lavoro per “guarnire il sepolcro di sua [di Camillo] cappella da tutte le bande”[5].

Il sepolcro, sulla parete a destra dell’altare, si uniforma al modulo collaudato della cassa sepolcrale addossata alla parete, sorretta da mensole, che accoglie la statua del personaggio. Si presenta scompartito verticalmente in tre zone, armonizzate dall’uso dei marmi policromi, che riprendono la cromia della parete retrostante (ai lati del basamento sono raffigurati gli stemmi di casa Medici e Orsini, il ramo della moglie Laura). La figura del committente giace all’interno di una nicchia nel muro, coricata su un fianco, in una posizione che esprime il godimento della pia attesa, l’anticipazione della salvezza, e non il sonno della morte: si tratta di “beati, di corpi gloriosi, eternamente giovani, membri terrestri della città di Dio, degli eletti che rivestono l’atteggiamento e la calma dell’eterno riposo, nella pacifica attesa dell’ultimo giorno, la resurrezione”[6]. L’effigie di Camillo de’ Medici può dunque considerarsi una perfetta espressione dell’idea neoplatonica sull’immortalità dell’anima, slegata dal corpo e da ogni attività intellettuale nell’intervallo fra la morte e il Giorno del Giudizio, allorché avrebbe raggiunto la pace eterna e divina[7].

 
Cappella Medici, parete a sinistra entrando con bassorilievo della Resurrezione di Lazzaro

L'inserto incorniciato che compare nell’edicola di coronamento del sepolcro lascia ritenere che potesse in origine racchiudere il bassorilievo della Resurrezione di Lazzaro (siglato dallo stesso autore del simulacro funebre), che vediamo insolitamente stagliato sulla parete opposta. L'ipotesi sarebbe corroborata dalle sue dimensioni, compatibili col bassorilievo di Lazzaro[8], e dal tema escatologico del bassorilievo, in linea con la richiamata simbologia del sepolcro, ma deve essere presa con estrema cautela, rammentando come la tradizione napoletana preferisse piuttosto accostare al simulacro del defunto l'iconografia della Resurrezione di Cristo, e ove si faccia riferimento alla testimonianza del Celano (primo a citare il bassorilievo), che nel 1692 riportava quanto ancora oggi osserviamo: "Vi si vede, ancora, dalla parte del Evangelo una tavola di marmo antica, nella quale sta’ espressa con diverse figure picciole di mezzo rilievo un’istorietta, degna d’essere osservata"[9]. Tale asserzione, vergata ad un secolo dai lavori, lascerebbe escludere l'eventalità del trasferimento, e ritenere la scansione delle paraste e dei riquadri affrescati[10] frutto della volontà di proporzionare questi ai pilastri angolari, ma non al bassorilievo, la cui posizione leggermente defilata nella parete non consentiva evidentemente di rispettare le esigenze della simmetria.

La tipologia – che il Burckhardt amò dire napoletana – della figura "semigiacente" all’interno di un prospetto architettonico ad arco trabeato, divenuta dominante a Napoli fra i due secoli grazie soprattutto a Michelangelo Naccherino e allo stesso d’Auria – che la utilizza nella tomba della famiglia Mastrogiudice a Monteoliveto (1583), per esempio, e in quella di Giovanni Alfonso Bisvallo, marchese d’Umbriatico, in San Severo al Pendino (1616) –, sembra abbia origine in Napoli nella tomba di ambito malvitesco raffigurante Sante Vitaliano, nel chiostro di Santa Maria la Nova, la cui epigrafe reca la data 1497. Prototipo che doveva essere ben noto al d’Auria, dati gli innegabili riscontri tipologici tra i due sepolcri: il capo sostenuto dal braccio ripiegato all’altezza del gomito, gli occhi socchiusi rivolti verso l’alto, come alla ricerca di un contatto diretto col divino, le gambe incrociate l’una sull’altra, il modo di esibire il libro, simbolo della professione del committente, nonché della "dimensione eternatrice dell’ingegno e dell’immortalità arrecata dalla fama"[11].

Al rango di appartenenza del Medici si addice la nobiltà della posa, l’elegante toga forense, la croce dalle otto punte di cavaliere dell'ordine benedettino di Santo Stefano[12], sfoggiata in primo piano, e soprattutto quella austerità e fierezza del volto, come assente, sulla falsariga di altri ritratti di Geronimo D'Auria, quello di Fabrizio Brancaccio, per esempio, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli (1573-1577)[13], o quelli dei fratelli Annibale e Giovanni Mastrogiudice in Monteoliveto (1583).

 
Cappella Medici, 1590-1600

È evidente, dunque, nel sepolcro una radice devozionale molto forte, ma altrettanto forte è la tensione verso il mondo secolare, tradotta in una orgogliosa affermazione di status sociale e culturale, che sicuramente nasce dalla coscienza nel committente della posizione avuta in terra e dalla necessità di ricordarla ai posteri[14]. È nota, del resto, l’importanza che la nobiltà napoletana annetteva alla tomba e con essa alla cappella, quale luogo delle devozioni religiose familiari, ma anche e soprattutto quale controparte del “proprio essere nello spazio”, costituito dai sontuosi palazzi eretti nel luogo urbano[15] , e quindi strumento per accrescere il prestigio sociale della famiglia. “Il sepolcro mostra e pietrifica la storia della famiglia”: così si è espressa Maria Antonietta Visceglia in un suo studio sulle scelte relative alla sepoltura della nobiltà napoletana[16] . Ma ciò è certamente vero anche a proposito di quei rappresentanti di altri ceti che vanno man mano acquistando rilievo nel panorama sociale della città. La posta in gioco non è soltanto puramente devozionale o semplicemente celebrativa; la presenza del monumento funebre ben costruito e nel posto giusto è in diretto rapporto con tutta una dialettica sociale che è in atto e che a tinte sempre più crude mette di fronte antiche classi nobili e nuove classi emergenti, mercanti e togati in primis.

Note

  1. ^ Lawrence R. d'Aniello, La cappella Medici di Gragnano nella chiesa dei Santi Severino e Sossio a Napoli, in "Napoli Nobilissima", ser. 5., vol. 6, fasc. 1/4 (genn.-ago. 2005), pp. 21-64.
  2. ^ Camillo de’ Medici, Copia processus originalis super familia pro illustrissimis dominis Camillo de Medicis et fratribus, 1583, ms. inedito, Biblioteca Nazionale di Napoli, XI.A.80, c. 2; Della Vipera, Repertorium illustrium familiarum neapolitanarum ex registris archivij Regiae Siclae, ms. inedito, Bibl. Naz. di Napoli, IX-C-9, c. 145r. È dunque verosimile che fra i "consorti napoletani" dei Medici fiorentini menzionati dall’umanista Cristoforo Landino già un secolo prima dell'origine della dinastia medicea di Ottaviano (così lo scrittore: "Hanno e Medici consorti cittadini napolitani"), siano da enucleare proprio i Medici di Gragnano. Cristoforo Landino, Comento sopra la Comedia, 1481, ed. a cura di Paolo Procaccioli, Roma, 2001, I, p. 244. Ancora oggi antichi reperti architettonici disseminati fra varie chiese di Gragnano lasciano intendere lo spazio che i Medici riuscirono a ritagliarsi nella città, dove la sfera d'influenza comprendeva fin dalla prima metà del Quattrocento le chiese di San Marco, dell'Assunta, del Corpus Domini, di San Tommaso di Canterbury, il convento dei Carmelitani e quello degli Agostiniani Scalzi. Si ricordi che fin dal Medioevo i Medici sono registrati anche a Napoli, Nola, Aversa, Capua, Salerno, Eboli, ma non è sempre facile distinguere il cognome dalla professione. Giancarlo Bova, Nuove ipotesi sull'origine della famiglia Medici, Firenze, 2002.
  3. ^ Alfonso de Ulloa, La historia dell'impresa di Tripoli di Barbaria: fatta per ordine del Serenissimo re cattolico l'anno 1560 con le cose avenute a christiani nell'isola delle zerbe, In Venezia, Appresso Francesco Rampazetto, 1566, p. 56, accessibile su google libri.
  4. ^ Camillo de Medici, Memoria del fatto ch’è passato fra me Camillo de’ Medici con il serenissimo gran duca di Toscana, mio Signore, dal mese di aprile per tutto ottobre 1582, per conto della famiglia e uso dell’armi, in Idem, Copia processus, cit., p.n.n. Il manoscritto è una copia del volume presentato da Camillo alla Gran Corte della Vicaria in propria difesa, contenente antiche notizie d'archivio inviate al granduca di Toscana, Francesco de' Medici. Il riconoscimento della sua appartenenza all’illustre casato mediceo avvenne nel 1582, a seguito di un lungo carteggio epistolare col granduca di Toscana, del quale "ad consequentium temporum memoriam ex praescripto Magnae Curiae Vicariae factum est publicum testimonium [...], adhibitis iuratis testibus, ac fide dignissimis". Fabio Capece Galeote, in Camillo de Medici, Iuris responsa Camilli de Medicis iureconsulti, Neapoli, Ex Typographia Dominici de Ferdinando Maccarano, 1623. Su Camillo de' Medici, giurista e cavaliere commendatore del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano, e sulla sua antica genìa, si veda: Lawrence R. d'Aniello, art. cit., p. 24-26, 38-49, e la bibliografia a p. 58, nota 62; Eugenio Raffaelli, Biografia di Camillo Medici, Napoli, Stabilimento Tipografico dell'Ancora, 1879, 15 p, e, del medesimo, la biografia di Camillo Medici nella "Gazzetta del procuratore: rivista critica di legislazione e di giurisprudenza", 1880, pp. 61-62.
  5. ^ Archivio Storico del Banco di Napoli, Banco dello Spirito Santo, giornale copiapolizze di banco del 1596, matr. 13, partita di 80 ducati estinta il 7 agosto, f. 683. L’altro estremo cronologico è fornito dall’epigrafe, che data il compimento dell’opera al 1600: CAMILLO EX MEDICEA MAGNORUM AETHRURIAE DUCUM GENTE, / AEQUESTRIS MILITIAE DIVI STEPHANI DIGNITATE ORNATO, / IURECONSULTO INSIGNI, / SEIUNCTAS QUI PER TOT SAECULA SCIENTIAM IURIS / ATQUE ELOQUENTIAM IN CAUSSIS PATROCINANDIS / SUMMA CUM LAUDE CONIUNXIT, OBLATISQUE ULTRO / A PHILIPPO II REGE SAPIENTISSIMO AMPLISSIMIS / MAGISTRATIBUS, MAGNA ANIMI MODERATIONE / ABSTINUIT, IN QUO SE IPSO MAIOR APPARUIT / VIRO EX TOT NOMINIBUS B<ENE> M<ERENTIBUS>. / LAURA URSINA CONIUX F<IERI> C<URAVIT> / ANNO MDC.
  6. ^ Cfr. Philippe Ariés, L’homme devant la mort, Paris, 1977; trad. it. cons.: L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi, a cura di Maria Garin, Roma-Bari, 1980, p. 275. Lo studioso ricorda come l’uso di esporre il corpo a somiglianza dell’effigie del semigiacente fosse molto diffuso nel mondo cristiano: gli ebrei dell’Antico Testamento, per esempio, seppellivano i corpi di profilo, riconoscendo in questa posa “una virtù profilattica che metteva il morto, corpo e anima, al riparo dagli assalti diabolici”.
  7. ^ Per una discussione sulla teoria neoplatonica della morte e la sua applicazione artistica, si veda Yoni Ascher, Form and content in some roman reclining effigies from the early sixteenth century, in “Gazette des beaux-arts. La chronique des arts”, CXXXIX, 144, 2002, pp. 319-320, 325.
  8. ^ Si riportano le misure della Resurrezione di Lazzaro: cm 81×149 (cm 70,8×141,8 senza cornice), e quelle del pannello verdastro della nicchia sepolcrale: cm 66,3×136,9 (cm 82×153 includendo la bordatura bianca).
  9. ^ Carlo Celano, Delle notizie del bello, dell’antico, e del curioso della città di Napoli per i signori forastieri raccolte dal canonico Carlo Celano, vol. III, Napoli, Raillard, 1692, giornata terza, p. 222.
  10. ^ Si tratta di superfetazioni neoclassiche del Settecento, periodo al quale risale l'iscrizione papale sotto il bassorilievo, recante la data 1789.
  11. ^ Vincenzo Pacelli, L’ideologia del potere nella ritrattistica napoletana del Seicento, in “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, XVI, 1986, p. 231.
  12. ^ La prestigiosa nomina gli fu conferita il 13 ottobre 1589 dal gran maestro Ferdinando de' Medici, granduca di Toscana, a seguito del riconoscimento delle sue origini fiorentine. Fabio Capece Galeota, in Camillo de’ Medici, Iuris responsa Camilli de Medicis iureconsulti, Napoli, 1623, [p. 720], accesssibile qui; Gino Guarnieri, L’ordine di Santo Stefano, Pisa, 1966, IV, p. 138
  13. ^ L'opera fu eseguita in collaborazione con Annibale Caccavello e i suoi soci. Filippo Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua, vol. VI, Firenze 1726 (Torino 1820), p. 250, accessibile su google libri.
  14. ^ Nel 1880 l'avvocato commendatore Eugenio Raffaelli lo giudicava "napoletano per giuredizione, europeo per dottrina e mondiale per fama". Eugenio Raffaelli, Biografia di Camillo Medici, in "Gazzetta del procuratore: rivista critica di legislazione e di giurisprudenza", 1880, p. 62.
  15. ^ Cfr. Gérard Labrot, Baroni in città. Residenze e comportamenti dell’aristocrazia napoletana 1530-1734, Napoli, 1979, specialmente il cap. III, “Il palazzo di città”.
  16. ^ Maria Antonietta Visceglia, Il bisogno di eternità. I comportamenti aristocratici a Napoli in età moderna, Napoli, 1988, p. 139. Già il Vasari del resto, nella vita di Girolamo Santacroce, aveva parlato di Napoli come della città "dove molto si costuma fare le cappelle e le tavole di marmo".

Bibliografia

  • Lawrence R. d'Aniello, La cappella Medici di Gragnano nella chiesa dei Santi Severino e Sossio a Napoli, in "Napoli Nobilissima", ser. 5., vol. 6, fasc. 1/4 (genn.-ago. 2005), pp. 21–64.

Voci correlate

Collegamenti esterni