Massacri delle foibe

eccidi della popolazione italiana di Venezia Giulia, Istria, Quarnaro e Dalmazia nel 1943-1945
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Con massacri delle foibe, o più comunemente foibe, si intendono gli eccidi perpetrati per motivi etnici e/o politici ai danni della popolazione italiana di Istria, Venezia Giulia e Dalmazia, durante ed immediatamente dopo la seconda guerra mondiale[1][2], per lo più compiuti dall'Esercito popolare di liberazione iugoslavo.

Massacri delle Foibe
File:Foiba basovizza2.jpg
Il monumento collocato all'ingresso della "foiba" di Basovizza
Tipoesecuzione di massa
Data1943 - 1945
LuogoVenezia Giulia, Istria e Dalmazia
StatoItalia (bandiera) Italia
Coordinate45°37′54″N 13°51′45″E{{#coordinates:}}: non è possibile avere più di un tag principale per pagina
Obiettivoetnia italiana, oppositori politici
ResponsabiliArmata Popolare di Liberazione della Jugoslavia
Motivazionepulizia etnica
Conseguenze
Morti5.000~11.000

Negli eccidi furono coinvolti prevalentemente cittadini di etnia italiana e, in misura minore e con diverse motivazioni, anche cittadini italiani di etnia slovena e croata.[3]

Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati e successivamente rinvenuti i corpi di centinaia di vittime, che in Venezia Giulia sono chiamati, appunto, "foibe". Per estensione i termini "foibe" ed il neologismo "infoibare" sono in seguito diventati sinonimi degli eccidi, che in realtà furono, in massima parte, perpetrati in modo diverso [4][5].

Nonostante la ricerca accademica abbia, fin dagli anni novanta, sufficientemente chiarito gli avvenimenti[6][7], la conoscenza dei fatti permane distorta ed oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica[8][9].

Inquadramento storico

Gli eccidi delle foibe ed il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe) e italiane. Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti. Nel XX secolo, furono decine di milioni le persone coinvolte nei conseguenti processi di assimilazione ed emigrazione forzata, che provocarono milioni di vittime[10][11]. Fra gli episodi più noti si ricordano il genocidio armeno, il drammatico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia e l'esodo dei tedeschi dall'Europa orientale. Molte delle realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in Europa ed Asia ne uscirono distrutte.

Le radici di questo fenomeno affondano nella fine dell'ancien régime, un sistema dove gli Stati erano il risultato delle lotte di potere delle classi dominanti[12]. Con la rivoluzione francese e la conseguente delegittimazione del potere monarchico, gli stati trovarono la loro nuova legittimità nel concetto di popolo, inteso come una comunità cementata da una comunanza di razza, religione, lingua, cultura ed avente quindi il diritto a formare il proprio stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno Stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la madre patria. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo, da parte di molti Stati, di assimilare od espellere le proprie minoranze, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.

La composizione etnica di Venezia Giulia e Dalmazia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Istria e Storia della Dalmazia.
File:MORLACCHI.QUARNARO.jpg
Suddivisione linguistica dell'Istria e del Quarnero in base al censimento austriaco del 1910.

     italiano (veneto e istrioto)

     serbocroato

     sloveno

     istrorumeno

Prima del XIX secolo, in Venezia Giulia e Dalmazia, avevano convissuto popolazioni di lingua romanza e slava, le cui eventuali tensioni non erano dovute ad ancor inesistenti concetti di nazionalità (le diverse etnie, viceversa, erano in larga misura mischiate).[13] Vi era una differenza di carattere linguistico - culturale fra città e costa (prevalentemente romanzo-italiche) e campagna ed entroterra (per lo più slavi o slavizzati). Le classi elevate (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche se di origine slava.

Gli opposti nazionalismi

Con la Primavera dei Popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse[14][15]. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana[16].Alla fine del processo si definirono le moderne identità nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi.

Lo scontro nazionale in Venezia Giulia

Dopo il 1848-49 pertanto, in Venezia Giulia, il senso di identità nazionale, prima pregogativa di parti della nobiltà e della borghesia italiane, cominciò ad investire tutti gli ambienti urbani. Al di fuori di città e borghi, fu il clero che svolse un ruolo fondamentale nel "risveglio nazionale" delle popolazioni slovene e croate (allora genericamente "slave"), maggioritarie nelle campagne. L'affermarsi delle nazionalità portò a una suddivisione della società in chiave nazionale, divisione che coincise con la precedente divisione fra centri urbani (prevalentemente costieri) e comunità rurali (prevalentemente dell'interno). Si vennero a creare le contrapposizioni nazionali: le tradizionali élite economiche e politiche, già culturalmente italiane, lo divennero anche su un piano di identificazione nazionale. Dall'altra parte nacquero delle élite di sentimenti slavi, inizialmente formate dal clero, ma successivamente anche da nuovi borghesi, che si fecero portavoce delle rivendicazioni culturali e politiche slave. Le élite italiane cercarono di mantenere i tradizionali poteri e prerogative. Fu così che, specie a partire dal 1880, la contrapposizione nazionale caratterizzò la vita e la cultura di Istria, Fiume e Trieste. Tale contrapposizione fu la causa remota dei massacri delle foibe, ed è un fenomeno che ancor oggi è tipico di diverse zone ad etnia mista (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell' ex Jugoslavia).

Lo scontro nazionale in Dalmazia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Dalmati italiani, Croatizzazione e Partito Autonomista.
 
Antonio Bajamonti in una cartolina propagandistica dei primi del '900
«La nazionalità italiana in Dalmazia è una parola vuota di senso, trovata dall'interesse, dall'impostura.»
«Nessuna gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in Dalmazia. A noi, italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di soffrire.»

In Dalmazia[18] inizialmente si inseguì l'ideale di una nazione dalmata, che racchiudeva in sé radici slave e romanze (v. Partito Autonomista).

Questa concezione venne combattuta dal Partito del Popolo croato (Narodna stranka), che richiedeva l'unione fra Dalmazia e Croazia, negava l'esistenza stessa di una componente italiana in Dalmazia e invocava l'eliminazione dell'uso dell'italiano nella vita pubblica e la croatizzazione delle scuole. La Dalmazia veniva considerata parte integrante della Croazia fin dall'alto medioevo. Gli italiani venivano considerati una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria.

In conseguenza della politica del Partito del Popolo, che conquistò gradualmente il potere, in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione e violenza[19]: nel 1845 i censimenti austriaci registravano quasi il 20% di Italiani in Dalmazia, mentre nel 1910 erano ridotti a circa il 2,7%.

Tutto ciò spinse sempre più gli autonomisti ad identificare sé stessi come italiani, fino ad approdare all'irredentismo.

Dopo la nascita del Regno d'Italia, il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni[20] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani[20][21]. Si intendeva così bilanciare non solo il potere delle ben organizzate comunità urbane italiane[22], ma anche l'espansionismo serbo[senza fonte], che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud.

Grande Guerra e annessione all'Italia

Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa, in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o del Regno d'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia[23].

Al termine della guerra, il regio esercito occupò i territori previsti dal trattato, cosa che provocò le reazioni opposte delle diverse etnie, con gli italiani che acclamarono alla "redenzione" delle loro terre, e gli slavi che guardavano con ostilità e preoccupazione i nuovi arrivati. La contrapposizione nazionale subì un nuovo e forte inasprimento. Successivamente, la definizione dei confini fra l'Italia e il nuovo stato Jugoslavo, fu oggetto di una lunga ed aspra contesa diplomatica, che trasformò il contrasto nazionale in una contrapposizione fra stati sovrani, che coinvolse vasti strati dell'opinione pubblica esasperandone ulteriormente i sentimenti. Forti tensioni suscito in particolare la questione di Fiume, che fu rivendicata all'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno jugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia. La questione dei confini fu infine risolta coi trattati di Saint Germain e di Rapallo. L'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso a Londra: in base alla dottrina Wilson, le fu rinfatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole).

 
Cartina della Dalmazia e della Venezia Giulia coi confini previsti dal Trattato di Londra e quelli invece effettivamente ottenuti dall'Italia

Col trattato di Rapallo Fiume venne eretta a stato libero, per poi essere annessa all'Italia nel 1924 (con l'esclusione di Sussak/Porto Barros).

I territori annessi erano abitati da circa 480.000 slavi (sloveni e croati).

Il dopoguerra e il "fascismo di frontiera"

Nel 1919-20 avvamparono in Italia tensioni sociali che coinvolsero anche la Venezia Giulia, dove scoppiarono proteste e agitazioni. Questa tensioni, sommate alle preesistenti tensioni nazionali e allo spandersi del mito della "vittoria mutilata", furono fertile terreno per lo sviluppo, in regione, del movimento fascista.

Gli squadristi fascisti compirono varie azioni violente, spesso con il tacito appoggio delle autorità, che li sfruttarono per sedare i disordini: i fascisti si presentarono infatti come i tutori dell'italianità e del mantentimento dell'ordine nazionale e sociale della Venezia Giulia. Il fascismo fu la soluzione da parte di chi temeva la crescita del movimento socialista e di chi voleva risolvere drasticamente il "problema slavo".

 
L'Hotel Balkan sede del Narodni Dom dopo l'incendio (1920)

Fra gli episodi violenti di cui si macchiò il cosiddetto "fascismo di frontiera", l'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste compiuto da squadristi nel corso di una manifestazione antijugoslava[24]. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.

Violenze per molti versi simili furono compiute anche contro le minoranze (incluse quelle italiane) rimaste sotto l'amministrazione jugoslava (Si veda, ad es., Incidenti di Spalato, Domenica di sangue di Marburgo).

L'italianizzazione fascista

  Lo stesso argomento in dettaglio: Italianizzazione (fascismo).
«Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani»

La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che comportò l'italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate, il divieto dell'uso della lingua straniera in pubblico, ecc. Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, ed erano applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come Francia[26] e Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia[27][28][29]. Tuttavia la politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo è stata considerata particolarmente pesante, anche perché l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, si accompagnava alle misure totalitarie del regime[30].

L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia.

Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.

L'invasione della Jugoslavia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione 25.
 
La spartizione della Jugoslavia.

Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Jugoslavia, la quale, dopo la resa dell'esercito, avvenuta il giorno 17[31], e l'inizio della politica di occupazione, fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi agli stati invasori.

A seguito del trattato di Roma l'Italia annesse parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro, divenendo militarmente responsabile della zona che comprendeva la fascia costiera, ed il relativo entroterra, della ex-Jugoslavia.

In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[32]. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata.

La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.

Il fronte Jugoslavo

La resa dell'esercito jugoslavo non fermò i combattimenti ed in tutto il paese crebbe un'intensa attività di resistenza che proseguì fino al termine della guerra e che vide da un lato la contrapposizione tra eserciti invasori e collaborazionisti e dall'altro la lotta fra le diverse fazioni etniche e politiche. Durante tutta la durata del conflitto vennero perpetrate da tutte le parti in causa numerosi crimini di guerra[33].

Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonché di zingari ed ebrei, simboleggiata dall'istituzione del campo di concentramento di Jasenovac, e contro il regime e gli occupanti presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, ed i cetnici, monarchici ed a prevalenza serba.[34], i quali perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente.

Nella Provincia di Lubiana fallì il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido: la repressione italiana fu dura ed in molti casi furono commessi crimini di guerra; furono istituiti campi di concentramento come quelli di Arbe e di Gonars ed anche nella Dalmazia, italiana e croata, si innescò dalla fine del 1941 una crudele guerra civile, che raggiunse livelli di massacro dopo l'estate 1942.

 
Vista del campo di concentramento di Arbe

A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regno d'Italia, cominciarono inoltre a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d'occupazione italiane; venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un'alleanza tattica tra le forze italiane ed i vari gruppi cetnici: gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista, provocando fortissime tensioni con il regime ustascia[senza fonte].

Gli eccidi

1943: armistizio e prime esecuzioni

 
Norma Cosseto

L'8 settembre 1943 con l'armistizio tra Italia e Alleati, si verifica il collasso del Regio Esercito.

Fin dal 9 settembre le truppe tedesche assunsero il controllo di Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentanemente sguarnito il resto della Venezia Giulia. I partigiani occuparono quindi buona parte della regione, mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Il 13 settembre 1943, a Pisino venne proclamata unilateralmente l'annessione dell'Istria alla Croazia, da parte del Consiglio di liberazione popolare per l'Istria.[35] Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di liberazione dell'Istria.

Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare.[36] A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, nella quale tuttavia apparivano anche persone estranee al partito e che non ricoprivano cariche nello stato italiano. Vennero tutti arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altre persone di etnia italiana e croata. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.[37]

Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 600-800 persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste sono Norma Cossetto, don Angelo Tarticchio, le tre sorelle Radecchi. Norma Cossetto ha ricevuto il riconoscimento della medaglia d'oro al valor civile.

L'armistizio in Dalmazia

 
Copertina del la Domenica del Corriere del gennaio 1944, che illustra l'annegamento del farmacista Pietro Ticina e della famiglia, nei pressi di Zara.

Il 10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a Spalato ed in altri centri dalmati entravano i partigiani. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di lotta, fra Spalato e Traù i partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ed alcuni civili.

La Dalmazia fu occupata militarmente dai tedeschi, dalla 7. SS-Gebirgsdivision "Prinz Eugen". La 77ª divisione fanteria italiana Bergamo, di stanza a Spalato e precedentemente impegnata per anni proprio nella lotta antipartigiana, in quel frangente appoggiò in massima parte i partigiani e combatté in condizioni psicologiche e materiali difficilissime contro le truppe germaniche, fra le quali la sopra citata divisione Prinz Eugen, nonostante l'atteggiamento aggressivo e poco collaborativo dei partigiani titini. Dopo la capitolazione ordinata dal comandante, generale Becuzzi, molti ufficiali italiani furono passati per le armi, in quello che è noto come il massacro di Trilj. La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di Croazia. Tuttavia Zara, restò - seppur sotto il controllo tedesco - sotto la sovranità della RSI, fino alla occupazione jugoslava dell'ottobre 1944.

L'occupazione tedesca della Venezia Giulia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Nubifragio.

A seguito dell'armistizio di Cassibile i tedeschi lanciarono l'Operazione Nubifragio, con l'obbiettivo di assumere il controllo della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana e dell'Istria.

L'offensiva ebbe inizio nella notte del 2 ottobre 1943 e portò all'annientamento della resistenza opposta da parte di nuclei partigiani, che furono decimati, catturati, costretti alla fuga o dispersi. I partigiani cercarono di ostacolare i tedeschi con imboscate, colpi di mano e agguati: questi reagirono colpendo la popolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioni indiscriminate, violenze, incendi di villaggi e saccheggi.
Uno dei momenti più significativi sul territorio italiano fu la battaglia di Gorizia combattuta fra i giorni 11 e 26 settembre 1943 tra l'esercito tedesco e la Brigata Proletaria, un raggruppamento partigiano forte di circa 1500 uomini, costituito in massima parte da operai dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone rafforzato da un consistente gruppo di partigiani sloveni.

L'Operazione Nubifragio si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno.

Dal 1943 al 1945 si susseguirono le repressioni nazifasciste che portarono la provincia di Gorizia ad essere la prima in Italia per numero di morti nei campi di sterminio nazisti, mentre quarta fu Fiume.[38]

I ritrovamenti dell'autunno 1943

 
Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d'Istria negli ultimi mesi del 1943
 
4 novembre 1943: accanto alla foiba di Terli vengono ricomposti i corpi di Albina Radecchi (A), Caterina Radecchi (B), Fosca Radecchi (C) e Amalia Ardossi (D)

Con l'espulsione dei partigiani divenne possibile eseguire varie ispezioni nelle foibe, dove furono rinvenuti i resti di centinaia di persone. Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse le indagini da ottobre a dicembre del 1943 in Istria.

La propaganda fascista diede ampio risalto a questi ritrovamenti, che suscitarono una forte impressione. Fu allora che il termine "foibe" cominciò ad essere associato agli eccidi, fino a diventarne sinonimo (anche quando compiuti in maniera diversa). Paradossalmente, l'enfasi data ai ritrovamenti da parte della Repubblica di Salò alimentò da un lato il clima di terrore che favorì il successivo esodo, dall'altro lato la reazione negazionista con cui le sinistre respinsero per molto tempo la fondatezza di un crimine denunciato per la prima volta dal nemico fascista.

Dalmazia 1944

 
Veduta di Zara distrutta dai bombardamenti (Molo di Riva Nuova)

Ulteriori eccidi si ebbero nel corso dell'occupazione delle città dalmate dove risiedevano comunità italiane.

Terribile fu la sorte di Zara, ridotta in rovine dai bombardamenti alleati, che causarono la morte e la fuga della maggior parte dei suoi abitanti. La città fu infine occupata dagli Jugoslavi il 1º novembre 1944: si stima che il totale delle persone soppresse dai partigiani in pochi mesi sia di circa 180.[39]

Fra gli altri furono uccisi i fratelli Nicolò e Pietro Luxardo (industriali, produttori del celebre liquore maraschino): secondo alcune testimonianze Nicolò fu annegato in mare[40]. Quella dell'annegamento in mare legati a macigni è una pratica di cui sono state date varie testimonianze[41], tanto da divenire nell'immaginario popolare la "tipica" modalità di esecuzione delle vittime zaratine, similmente alle foibe in Venezia Giulia.

Primavera 1945: l'occupazione della Venezia Giulia e la nuova ondata di eccidi

  Lo stesso argomento in dettaglio: Massacro di Bačka.

Nella primavera del 1945 la IV Armata jugoslava, puntò verso Fiume, l'Istria e Trieste. L'obiettivo era di occupare la Venezia Giulia prima dell'arrivo degli alleati, trascurando l'occupazione delle due capitali (Zagabria e Lubiana), che vennero lasciate in mano germanica, in quanto la loro successiva assegnazione alla Jugoslavia non era minimamente in discussione. Il 20 aprile 1945 le formazioni partigiane raggiunsero i confini della Venezia Giulia. Tra il 30 aprile ed il 1º maggio le formazioni del IX Korpus sloveno occuparono l'Istria, Trieste e Gorizia.

Il nuovo regime si mosse in due direzioni. Le autorità militari avevano il mandato di ristabilire la legittimità della nuova situazione creatasi con operazioni militari di occupazione. L'OZNA, la polizia segreta jugoslava, invece, operava nella più totale autonomia. Il compito della stessa era quello di arrestare i componenti del CLN e delle altre organizzazioni antifasciste italiane nonché tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, rivendicando l'appartenenza della stessa all'Italia.

A partire dal maggio del 1945, quindi, massacri si verificarono in tutta la Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Istria e Fiume). A Gorizia e Trieste (occupate dal 1º maggio), i massacri cessarono con l'arrivo degli alleati il 12 giugno: si riscontrò l'uccisione di diverse migliaia di persone, molte delle quali gettate vive nelle foibe.

Gli eccidi a Trieste ed in Istria

  Lo stesso argomento in dettaglio: Trieste § L'occupazione jugoslava.

I baratri venivano usati per l'occultamento di cadaveri con tre scopi: eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano (o avrebbero potuto opporsi) alle politiche del Partito Comunista Jugoslavo di Tito.

Gli scritti dell'allora sindaco di Trieste, Gianni Bartoli, nonché alcuni documenti inglesi riportano che molte migliaia di persone sono state gettate nelle foibe locali riferendosi alla sola città di Trieste e alle zone limitrofe, non includendo dunque il resto della Giulia, dell'Istria (dove si è registrata la maggioranza dei casi) e della Dalmazia. In possesso di queste informazioni il Governo De Gasperi nel maggio 1945 chiese ragione a Tito di 2.500 morti e 7.500 scomparsi nella Venezia Giulia. Tito confermò l'esistenza delle foibe come occultamento di cadaveri e i governi jugoslavi successivi mai smentirono.

 
Beato Francesco Bonifacio

Di nuovo si verificarono uccisioni efferate, come quella dei democristiani Carlo Dell'Antonio e Romano Meneghello e di don Francesco Bonifacio, torturato e quindi assassinato (il suo corpo non è mai stato ritrovato); ritenuto martire "in odium fidei" dalla Chiesa, è stato beatificato nel 2008.

Tra altri politici di riferimento del CLN, si segnalano i casi di Augusto Bergera e Luigi Podestà - che restano due anni in campo di concentramento jugoslavo - e quelli del socialista Carlo Schiffrer e dell'azionista Michele Miani, che miracolosamente riescono ad aver salva la vita[42].

Gorizia e provincia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Deportazioni di Gorizia.

Con l'arrivo dell'Armata Popolare Jugoslava anche a Gorizia iniziarono le repressioni che toccarono l'apice fra il 2 e il 20 maggio. Migliaia furono gli arresti e gli scomparsi non solo tra gli italiani, ma anche tra gli sloveni che si opponevano al regime comunista di Tito.

Fra le vittime si ricordano alcuni esponenti politici locali di riferimento del CLN: Licurgo Olivi del Partito Socialista Italiano e Augusto Sverzutti del Partito d'Azione, che non si sa ancora quando fu ucciso e se il suo cadavere fu infoibato[43].

Le autorità slovene a marzo del 2006 hanno consegnato al sindaco di Gorizia un elenco di 1.048 deportati dalla provincia di Gorizia, dei quali circa 900 non hanno fatto più ritorno. Secondo il presidente dell'Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, questa lista sarebbe ancora grandemente incompleta.[44]

Fiume

 
Lapide votiva nel cimitero di Cossala, a Fiume.

Fiume fu occupata il 3 maggio dagli jugoslavi, che avviarono immediatemente un'intensa campagna di epurazione.

Particolarmente violenta fu la caccia ai superstiti del Partito Autonomista Fiumano, particolarmente forte in città, che era visto come un potenziale ostacolo all'annessione della città alla Jugoslavia. Il quotidiano comunista La Voce del Popolo scatenò una violentissima campagna di denuncia contro gli autonomisti, che vennero accomunati ai fascisti. I partigiani uccisero nelle prime ore di occupazione della città i vecchi capi del partito, dei quali una buona parte fu schiettamente antifascista. Fra questi Mario Blasich (infermo da anni, venne strangolato nel suo letto), Giuseppe Sincich (prelevato dalla sua casa e abbattuto a raffiche di mitra), Mario Skull (ucciso a colpi di pistola), Giovanni Baucer, Mario De Hajnal e Giovanni Rubinich che fu fondatore del Movimento Autonomista Liburnico.

Toccante fu la storia dell'ebreo Angelo Adam. Già deportato a Dachau e miracolosamente salvatosi, al ritorno in città venne eletto nei comitati sindacali aziendali, che fra i mesi di luglio e dicembre 1945 videro impegnate le intere maestranze cittadine, su impulso del Partito Comunista Croato. Inaspettatamente, queste elezioni videro il trionfo delle componenti autonomiste, che ottennero oltre il 70% dei seggi. In procinto di partire per Milano per incontrare i componenti del CLNAI, Angelo Adam venne arrestato, così come in immediata successione la moglie Ernesta Stefancich e il giorno dopo la figlia minorenne Zulema Adam, recatasi presso le autorità per chiedere informazioni sulla sorte dei genitori. Di nessuno dei tre si ebbero più notizie.

Tra i politici furono uccisi i senatori fiumani Icilio Bacci e Riccardo Gigante che non si erano macchiati di crimini. In anni recenti vicino alla località di Castua è stata individuata la fossa dove riposano i resti di Gigante, ma risulta difficile il loro recupero.

La persecuzione colpì anche gli esponenti dei CLN, secondo una linea ampiamente usata anche a Trieste e Gorizia. Numerosi furono nelle tre città gli arresti e le deportazioni di antifascisti, dei quali solo alcuni faranno ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. Ancora nel 1946 - assai dopo le esplosioni di "jacquerie" - risulteranno comminate condanne capitali contro reclusi accusati di aver fatto parte dei CLN.[45]

Il numero di italiani sicuramente uccisi dall'entrata nella città di Fiume delle truppe jugoslave (3 maggio 1945) fino al 31 dicembre 1947 è di 652, a cui va aggiunto un altro numero di vittime non esattamente identificabile per mancanza di riscontri certi.[46]

Cause

«....già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica".»
 
Schema di una foiba tratto da una pubblicazione del 1946.

L'esatta qualificazione del fenomeno delle foibe è assai complessa. Dai fatti storici sopra esaminati emergono, comunque, una serie di cause remote, quali:

  • la contrapposizione nazionale ed etnica fra sloveni e croati da una parte e italiani dall'altra, causata dall'imporsi del concetto di nazionalità e stato nazionale nell'area;
  • gli opposti irredentismi, per cui i territori mistilingui della Dalmazia e dell'allora Litorale austriaco dovevano appartenere, in esclusiva, all'uno o all'altro ambito nazionale, e quindi all'uno o all'altro stato;
  • le conseguenze della prima guerra mondiale, con una fortissima battaglia diplomatica per la definizione dei confini fra il Regno d'Italia e il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e le conseguenti tensioni etniche, che portarono a disordini locali e compressioni delle rispettive minoranze fin dal primo dopoguerra;
  • il ventennio fascista, col tentativo di assimilazione forzata delle popolazioni slave della Venezia Giulia;
  • la seconda guerra mondiale, che conobbe nel teatro jugoslavo-balcanico uno dei fronti più complessi e violenti[48] (si pensi solo al comportamento degli ustascia croati).
  • il connubio fra una visione della guerra di liberazione jugoslava non solo "nazionale", ma anche "sociale", con la componente italiana percepita anche come "classe dominatrice".
  • la natura totalitaria e repressiva del costituendo regime comunista jugoslavo.

Ciò premesso, il fenomeno delle foibe può essere considerato come un evento derivante da un movente politico, il cui duplice obiettivo era:[49]:

  • l'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare quelli (essenzialmente italiani) che si opponevano all'annessione di queste terre alla Jugoslavia.
  • l'avvento di un governo comunista in Jugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare reali o potenziali oppositori del costituendo regime comunista.

Per quanto riguarda un supposto aspetto "vendicativo", essendo i fascisti e i loro fiancheggiatori in gran parte italiani (sia pure non in numero superiore rispetto ad altre regioni italiane), ed opponendosi essenzialmente gli italiani all'annessione alla Jugoslavia, soprattutto a livello locale fu frequente l'equazione italiano = fascista[50] Il conseguente (riuscito) tentativo di disarticolare in tutti i modi il precedente ordine sociale e religioso, fu interpretato dagli istriani di lingua italiana come un inusitato attacco alla propria etnia. Questo aspetto provocò, localmente, episodi di "jacquerie" (insurrezioni spontanee dei ceti popolari), in cui molti colsero anche l'opportunità di portare avanti vendette personali o compiere rapine eliminando i testimoni. Tale jacquerie si rivolse non solo verso i rappresentanti del regime fascista, ma anche verso gli italiani in quanto tali.[51] Gli episodi di jacquerie si verificarono prevalentemente nel corso degli eccidi del settembre-ottobre del 1943, avvenuti in un contesto in cui vennero a mancare i poteri costituiti[senza fonte].

Pertanto gli eccidi furono in massima parte, il risultato di una "violenza di stato"[52], che fu uno strumento di repressione politica ed etnica[53], in vista dell'annessione alla Jugoslavia di tutta la Venezia Giulia (incluse Trieste e Gorizia)[54] e per eliminare gli oppositori (reali o presunti) del costituendo regime comunista. In vista di questi due obiettivi era infatti necessario reprimere le classi dirigenti italiane (compresi antifascisti e resistenti), per eliminare ogni forma di resistenza organizzata. Questo aspetto era particolarmente importante a Gorizia e Trieste, della cui annessione gli Jugoslavi non erano (a ragione) certi. Tito, pertanto, fece il possibile per occupare le due città prima di ogni altra forza alleata, per assicurarsi una posizione di forza nelle trattative. Neutralizzati i vertici italiani, tentò di far credere che gli jugoslavi fossero la maggioranza assoluta della popolazione: la composizione etnica sarebbe, infatti, stata un fattore decisivo nelle conferenze che sarebbero seguite nel dopoguerra e, per questo motivo, la riduzione della popolazione italiana sarebbe stata essenziale.[55]

Su questo dibattuto problema, gli storici italiani e sloveni (ma non quelli croati) hanno raggiunto conclusioni concordi, laddove affermano:

«Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l'impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell'avvento del regime comunista, e dell'annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L'impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l'animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani.»

Vittime

Tipologia delle vittime

Tra i caduti figurano non solo personalità legate al Partito nazionale fascista, ma anche ufficiali, funzionari e dipendenti pubblici, insegnanti, impiegati bancari, sacerdoti, parte dell'alta dirigenza italiana contraria sia al comunismo, sia al fascismo, tra cui compaiono esponenti di organizzazioni partigiane o anti-fasciste, autonomisti fiumani seguaci di Riccardo Zanella, sloveni e croati anti-comunisti, collaboratori e nazionalisti radicali e semplici cittadini.

Modalità delle esecuzioni

Nelle foibe sono stati gettati cadaveri sia di militari che di civili. In alcuni casi, com'è stato possibile documentare, furono infoibate persone non colpite o solo ferite[56].

Sebbene quest'ultima modalità di esecuzione fosse, come già detto, solo uno dei modi con cui vennero uccise le vittime dei partigiani di Tito[57], nella cultura popolare divenne il metodo di esecuzione per eccellenza ed un simbolo del massacro.

In realtà la maggior parte delle vittime, date per infoibate, sono state inviate nei campi di concentramento jugoslavi dove molte furono uccise o morirono di stenti o malattia.

Quantificazione delle vittime

Nel dopoguerra e nei decenni immediatamente successivi non furono mai effettuate stime scientifiche del numero delle vittime, che venivano usualmente indicate in 15.000[58] (e talvolta aumentate fino a 30.000).[59] Studi rigorosi sono stati effettuati solo a partire dagli anni novanta. Una quantificazione precisa è impossibile a causa di una generale mancanza di documenti. Il governo jugoslavo (e successivamente quello croato) non ha inoltre mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il numero di decessi. Alcuni commentatori ritengono inoltre che una parte della documentazione sia tuttora secretata negli archivi, in particolare dell'ex Partito comunista italiano[60]. Gli studi effettuati recentemente valutano il numero totale delle vittime (comprensive quindi di quelle morte durante la prigionia o la deportazione) come compreso tra poco meno di 5.000 e 11.000.[61][62] Di questi solo alcune centinaia furono gli "infoibati" veri e propri, ma nell'uso comune anche gli uccisi in altre circostanze legate all'avanzata delle forze jugoslave lungo il confine orientale italiano vengono comunque considerati vittime o martiri "delle foibe".

Testimonianze

 
Autunno 1943: recupero di una salma, gli uomini indossano maschere antigas per i miasmi dell'aria attorno alla foiba

Furono poche le persone che riuscirono a salvarsi risalendo dalle foibe comunque tra questi Graziano Udovisi, Giovanni Radeticchio e Vittorio Corsi hanno raccontato la loro tragica esperienza a storici e/o emittenti televisive.[63]

«dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell'alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri "facciamo presto, perché si parte subito". Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l'orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c'impose di seguirne l'esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell'acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole "un'altra volta li butteremo di qua, è più comodo", pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott'acqua schiacciandomi con la pressione dell'aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.»

Questa testimonianza della primavera del 1945 fu pubblicata il 26 gennaio 1946 sul periodico della Democrazia Cristiana triestina La Prora, e poi riportata integralmente e anonimamente nell'opuscolo Foibe, la tragedia dell'Istria, edito dal CLN dell'Istria [65]. A partire dall'inserimento della testimonianza in un libro di Giuseppe Bedeschi nel 1987[66], questa è stata poi varie volte ripresa dalla pubblicistica[67].

Anche le testimonianze degli scampati dalle foibe hanno causato delle polemiche politico-storiografiche: Pol Vice (pseudonimo di Paolo Consolaro) - un saggista di ispirazione marxista[68] ed esponente di Rifondazione Comunista[69] - ha sottoposto i testi ad una serrata critica, giungendo ad affermare che siamo in presenza di falsi testimoni[70]. Il libro di Pol Vice è stato presentato dall'editore - Alessandra Kersevan - come parte di un progetto più ampio comprendente anche dei similari testi di forte critica di Claudia Cernigoi[71], e Daniela Antoni[72]. La Kersevan - varie volte presentata dalla stampa come "negazionista"[73] -ritiene che sulle foibe stia «funzionando una propaganda forsennata (...) che ha come scopo preciso quello della rivalutazione del fascismo»: «un vero e proprio progetto mediatico di falsificazione della storia (...) costruito ed imposto all’opinione pubblica (...) dall'immediato dopoguerra ad oggi da forze politiche sociali ed economiche tuttora dominanti nel nostro Paese»[74], anche grazie a «storici compiacenti» come Pupo e Spazzali, con la Democrazia Cristiana in testa nell'appoggio politico ai «neo irredentisti ex fascisti»[75].

Vittime di nazionalità slovena e croata

In paralleli eccidi furono coinvolti cittadini italiani (o ex italiani) di nazionalità slovena e croata. Tali uccisioni ebbero una matrice esclusivamente politica, rimanendo esclusa quella etnica, intendendo il costituendo regime comunista eliminare le forme di opposizione. Questi eccidi, quindi, nel dibattito italiano non sono di solito considerati parte degli eccidi delle foibe[76], termine che si riferisce alle sole vittime di nazionalità italiana.

Tra gli sloveni uccisi vanno ricordati: Ivo Bric di Montespino (Dornberk), antifascista cattolico ucciso con la famiglia il 2 luglio 1943, Vera Lesten di Merna, poetessa e antifascista cattolica, uccisa nel novembre del 1943, la famiglia Brecelj di Aidussina (il padre Anton, le figlie Marica e Angela e il figlio Martin) uccisa nel luglio del 1944. Tra i sacerdoti uccisi (e spesso infoibati) dai comunisti vanno ricordati: don Alojzij Obit del Collio (scomparso nel gennaio 1944), don Lado Piščanc e don Ludvik Sluga di Circhina (uccisi con altri 13 parrocchiani sloveni nel febbraio del 1944), don Anton Pisk di Tolmino (scomparso e probabilmente infoibato nell'ottobre 1944), don Filip Terčelj di Aidussina, sequestrato dalla polizia segreta il 7 gennaio 1946 e successivamente scomparso, e don Izidor Zavadlav di Vertoiba, arrestato e fucilato il 15 settembre 1946. Un caso a parte rappresenta la sorte di Andrej Uršič di Caporetto, giornalista antifascista e anticomunista sloveno, ex membro del TIGR e co-fondatore dell'Unione Democratica Slovena in Italia, sequestrato dalla polizia segreta jugoslava nel 31 agosto del 1947, sottoposto a sevizie, probabilmente ucciso nell'autunno del 1948, e il suo cadavere gettato in una delle foibe della Selva di Tarnova.

La memoria delle foibe fra oblio, strumentalizzazioni e ricerca storica

L'oblio del dopoguerra

«... va ricordato l'imperdonabile orrore contro l'umanità costituito dalle foibe (...) e va ricordata (...) la "congiura del silenzio", "la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell'oblio".

Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell'aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali.»

La vicenda nel dopoguerra è stata a lungo trascurata per i convergenti interessi di governo e opposizione.[77]

Secondo lo storico Gianni Oliva il silenzio fu causato da tre motivi: prima di tutto vi fu un silenzio internazionale, provocato dalla rottura tra Tito e Stalin avvenuta nel 1948, che spinse tutto il blocco occidentale a stabilire rapporti meno tesi con la Jugoslavia, in funzione antisovietica (si era agli inizi della guerra fredda). Vi furono anche cause politiche[78] dal momento che il PCI non aveva interesse a evidenziare le proprie contraddizioni sulla vicenda e le proprie subordinazioni alla volontà del comunismo internazionale. Vi fu infine un silenzio da parte dello Stato Italiano che voleva sorpassare tutto il capitolo della sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Oltre a questo non si voleva inoltre riaprire il problema dei molti militari che commisero in Jugoslavia reati di guerra per i quali non furono mai perseguiti, nonostante le iniziali richieste del governo jugoslavo[79].

La memoria degli avvenimenti rimase per lo più ristretta nell'ambito degli esuli, di qualche intellettuale anticonformista e di commemorazioni locali. Solo una parte della destra ha sostenuto le ragioni delle vittime, sia pure strumentalizzandole in funzione anticomunista ed esagerando il loro numero.

Ciò non toglie che in opere storiche, l'argomento fosse dibattuto: ad esempio nel 1980, Arrigo Petacco - noto giornalista e saggista - illustrò la tragica realtà di questo massacro. Il suo racconto, pur all'interno di un'opera più ampia e con molte incertezze, prudenze ed omissioni, offriva un quadro sufficientemente completo, senza sottovalutare entità e ferocia delle stragi.

Il riemergere della vicenda negli anni '90

Tuttavia, fu solo a partire dai primi anni '90, a seguito della fine della guerra fredda, che il tema delle foibe venne pienamente in luce e iniziò ad essere trattato dai media, coinvolgendo cultura, società e politica. Anche su iniziativa degli ex comunisti[80], si è fatta luce su questi episodi, che hanno cominciato ad essere ufficialmente ricordati.

Dal 2005 la giornata del 10 febbraio è dedicata alla commemorazione dei morti e dei profughi italiani. La data del 10 febbraio ricorda il trattato di Parigi siglato nel 1947 che assegnò alla Jugoslavia il territorio occupato nel corso della guerra dall'armata di Tito.

In tale occasione fu trasmessa da Rai 1 la fiction Il cuore nel pozzo prodotta dalla RAI e liberamente ispirata alle stragi delle foibe. La trasmissione ebbe un vasta audience[81] e suscitò numerose polemiche per l'approssimazione con cui veniva trattato il contesto storico della vicenda[82]

Al di là dei differenti punti di vista che ancora animano l'analisi storica degli avvenimenti, resta la realtà di fondo che negli ultimi anni[quando?] la storiografia e tutta la classe politica italiana fanno finalmente preso coscienza ed ammesso la drammaticità e l'estensione degli avvenimenti che marcarono la fine della presenza italiana in Istria e Dalmazia.

Processi a criminali di guerra

I vari governi italiani succedutesi negli anni mai consegnarono i responsabili dei crimini nei Balcani, sia a causa della così detta "amnistia Togliatti"[83] intervenuta il 22 giugno 1946, sia perché il 18 settembre 1953 il governo Pella approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948,[84] a cui si aggiunse quella del 4 giugno 1966.[85] All'epoca la sola città di Belgrado chiese di imputare oltre 700 presunti criminali di guerra italiani[86] e i generali Mario Roatta, Vittorio Ambrosio e Mario Robotti, che non furono mai consegnati nonostante gli accordi internazionali prevedessero la loro estradizione.[87]

Nel 1992 è stato istituito un procedimento giudiziario in Italia contro alcuni dei responsabili dei massacri ancora in vita.[88] Tali inchieste furono giustificate dal fatto che all'epoca la Venezia Giulia era ancora ufficialmente sotto sovranità italiana; inoltre i crimini di guerra non sono soggetti a prescrizione. Partite dalla denuncia di Nidia Cernecca[89], figlia di un infoibato, videro come principali imputati i croati Oscar Piskulic e Ivan Motika. L'inchiesta fu istituita dal pubblico ministero Giuseppe Pittitto. Nel 1997 diversi parlamentari sollecitarono il governo affinché avanzasse richiesta di estradizione per alcuni degli imputati.[90] Il procedimento si è concluso con un nulla di fatto: nel 2004 fu infatti negata la competenza territoriale dei magistrati italiani.

Anche in questa occasione fiorirono le polemiche: fra le altre cose Pittitto fu accusato di volere imbastire un "processo alla resistenza".[91]

Le tesi militanti

La ricerca storica ha ormai pubblicato molteplici studi sugli avvenimenti, molte opere divulgative sono, inoltre, state pubblicate. Nell'opinione pubblica, tuttavia, persiste una forte enfasi, di origine ideologica, sulle responsabilità che comunismo e fascismo hanno avuto nelle foibe[92].

Comunismo e fascismo: il dibattito sulle responsabilità

In particolare, in alcuni ambienti della destra si afferma che le foibe sono state semplicemente un crimine del comunismo (spregiativamente chiamato "barbarie slavocomunista"), un genocidio di cittadini inermi che avevano la "sola colpa di essere italiani"[93], in preparazione alla successiva pulizia etnica. Il numero delle vittime viene talvolta esagerato[senza fonte].

D'altra parte, in alcuni ambienti della sinistra, è diffuso un atteggiamento "giustificazionista" e si presentano gli eccidi come una "reazione" alla brutalità fascista.[94][95][96] È diffuso, inoltre, un atteggiamento "riduzionista"[97] che contesta il numero delle vittime delle foibe correggendolo al ribasso e che sostiene che gli eccidi abbiano coinvolto essenzialmente esponenti fascisti, sia militari che civili, responsabili di repressioni e di crimini di guerra.[98]

Si è visto sopra come le cause degli eccidi siano, in realtà, molto più complesse rispetto a queste semplificazioni.

Responsabilità del regime comunista jugoslavo

File:Marsal Tito.jpg
Josip Broz Tito
«... le "foibe" (...) sono state una variante locale di un processo generale che ha coinvolto tutti i territori i cui si realizzò la presa del potere da parte del movimento partigiano comunista jugoslavo ...»

Gli eccidi, come detto, avevano anche l'obiettivo di eliminare i possibili oppositori del costituendo regime comunista jugoslavo[100] e furono uno dei tanti eccidi che caratterizzarono la sua ascesa al potere[99], fra questi è rimasto tristemente celebre il massacro di Bleiburg. Repressioni di tale portata furono consentite dalle caratteristiche dittatoriali del regime comunista di Tito. Simili repressioni furono, inoltre, caratteristiche dell'ascesa al potere di gran parte dei regimi comunisti del periodo (che all'epoca conicidevano con lo stalinisimo), fatto che ha spesso portato a presentare le foibe 'tour court' come un "crimine del comunismo".

La posizione del Partito Comunista Italiano

  Lo stesso argomento in dettaglio: Treno della vergogna.
 
Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano. Le sue posizioni sulla questione giuliano-dalmata sono controverse.
«Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi.[101]»

Il P.C.I. non ebbe responsabilità dirette negli eccidi. Tuttavia, già nel corso del conflitto, aveva acconsentito a lasciare la Venezia Giulia e il Friuli orientale sotto il controllo militare dei partigiani di Tito,[102] avallando così la successiva occupazione jugoslava.[103] Fu per questo motivo che aveva ordinato ai propri partigiani operanti nella regione, di porsi sotto comando jugoslavo (fu in questo contesto che maturò il celebre eccidio di Porzûs)[104].

Terminato il conflitto molti militanti[senza fonte] comunisti italiani collaborarono con il governo jugoslavo e molti ebbero un ruolo attivo nelle repressioni. Va detto che le scelte dei comunisti italiani (spesso tacciati di "tradimento") furono coerenti al loro internazionalismo, secondo il quale l'affermarsi del comunismo era un valore moralmente superiore a quello di patria e di nazione. Coerenti a questo ideale giunsero anche ad auspicare la formazione di una settima repubblica federativa jugoslava, di carattere italiano, comprendente Trieste, Monfalcone e il Friuli orientale.[105][106] Negli anni successivi furono tuttavia molti gli ex partigiani e i militanti a prendere la via dell'esodo, come conseguenza delle politiche nazionaliste e repressive del comunismo jugoslavo[107][108], oltre che per la disputa che opponeva Tito a Stalin, e che vedeva i comunisti italiani schierati su posizioni rigidamente staliniane[109].

Negli anni successivi il P.C.I. contribuì a dare, all'opinione pubblica italiana, una visione alterata degli avvenimenti, volta a minimizzare e a giustificare le azioni dei comunisti jugoslavi.[110] Di questo atteggiamento ne fecero le spese i profughi, ai quali fu ingiustamente cucita addosso l'odiosa nomea di "fascisti in fuga".[111]

A tutt'oggi, come si dice avanti, persiste in taluni ambienti comunisti e post-comunisti, in particolar modo quelli più legati all'epopea partigiana un atteggiamento che tende a minimizzare e a giustificare gli eccidi.[112][113][114][115][116]

Negazionismo sulle foibe

File:Posterfoibe.jpg
Manifesto in occasione del Giorno del ricordo 2011

In un suo libro del 1997, la giornalista triestina Claudia Cernigoi, ha definito tutto il processo di riflessione storiografica sulle foibe sviluppatosi in Italia nel corso degli anni '90 come frutto diretto della «propaganda nazifascista» e teso a riproporre un «neoirredentismo» italiano[117]. Uno degli scopi dichiarati dall'autrice è quello di «liberare finalmente anche gli Sloveni e la sinistra tutta da quel senso di colpa che si portano dietro come "infoibatori"»[118]. In questo libro, il numero degli infoibati nella provincia di Trieste per opera degli jugoslavi venne determinato in 517[119], oltre a ciò - per l'autrice - «non vi furono massacri indiscriminati: della maggior parte degli arrestati si sa che erano militari e comunque collaboratori del nazifascismo»[120]. Allo stesso tempo, con riferimento alle onoranze concesse negli anni più recenti agli infoibati, la Cernigoi affermava che «visti i ruoli impersonati dalla maggior parte degli "infoibati", personalmente ci rifiutiamo di onorarli. Si può provare umana pietà nei confronti dei morti, ma da qui ad onorare chi tradiva, spiava, torturava, uccideva, ce ne corre»[121].

Il testo provocò moltissime polemiche, tanto che un ricercatore vicino alle associazioni degli esuli istriani - Giorgio Rustia - pubblicò nel 2000 un saggio fortemente critico delle metodiche di studio della Cernigoi[122]. Rustia contestò alla radice l'intera impostazione del saggio della Cernigoi, fra l'altro individuando all'incirca altri duecento nomi di persone soppresse dagli jugoslavi a Trieste e nella provincia[123] e ricostruendo la storia personale di alcuni degli infoibati, dalla Cernigoi accusati di gravi reati che secondo Rustia non sono stati commessi[124].

In uno studio del 2003, gli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali hanno pertanto inserito Claudia Cernigoi fra i «negazionisti o riduzionisti» delle foibe[125]. Claudia Cernigoi ha reagito molto duramente a tale accusa, con due articoli apparsi sulla rivista on-line La Nuova Alabarda - da lei diretta - a marzo del 2003[126] e a febbraio del 2007[127], nei quali affermò di ritenere «inesatta e fuorviante, oltreché offensiva, questa definizione» e ribadendo che - a suo dire - sulle foibe sarebbe stata artatamente creata una «mitologia (...) a scopi politici», «a scopo anticomunista, antipartigiano e soprattutto in funzione razzista contro i popoli della ex Jugoslavia (...)», sperando nel contempo che in Italia «non siamo già arrivati al fascismo completo». In una lettera aperta di marzo 2010, la stessa Cernigoi si lamentò che «da un po’ di tempo (...) gli studiosi Claudia Cernigoi (che scrive), Sandi Volk ed Alessandra Kersevan (che è anche titolare della casa editrice Kappa Vu di Udine) sono accusati di essere dei “negazionisti delle foibe”, dove va considerato che il termine di “negazionista” è genericamente usato, in ambito storico, per definire in senso negativo gli studiosi ed i propagandisti che cercano di dimostrare che non vi fu una politica di sterminio nazista nei confronti del popolo ebraico[128]».

In un saggio del 2009 da lui curato[129], lo storico italiano di etnia slovena Jože Pirjevec per primo nel panorama degli storici accademici[130] ha utilizzato come fonte gli studi della Cernigoi. Anche questo saggio è stato fortemente criticato da molti storici e giornalisti italiani, fra i quali Paolo Mieli[131] (per il quale Pirjevec ha scatenato «polemiche di fuoco»), Roberto Spazzali[132], Raoul Pupo e Giuseppe Parlato[133].

Tesi sul primo utilizzo delle foibe

 
La Foiba di Pisino, dove si inabissa l'omonimo torrente

Più volte, a partire dagli anni ottanta, sono stati ricordati alcuni scritti del gerarca fascista Giuseppe Cobolli Gigli, che in una guida turistica del 1915 aveva riportato il testo di una filastrocca popolare[134]: «A Pola xé l'Arena/ la Foiba xé a Pisin:/ che i buta zò in quel fondo/ chi gà un certo morbin»[135]. Otto anni dopo, Cobolli riprendeva la tematica in una articolo sul periodico del PNF "Gerarchia"[136]La musa istriana ha chiamato Foiba[137] degno posto di sepoltura per chi nella provincia d'Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell'Istria».

Sulla base di questi scritti si è affermato che l'utilizzo delle foibe, per eliminare le vittime di stragi, fosse di ideazione fascista. Tuttavia, secondo lo storico Elio Apih, il nesso fra le foibe e gli scritti di Cobolli è suggestivo e non credibile, e tali scritti, anche se definibili come "cattiva letteratura" e testimonianza di una "ostilità scherzosa", non possono essere certo presentati, retrospettivamente, come un antefatto alle stragi[138]. Nel 2003, il giornalista e scrittore Giacomo Scotti ha ripreso la tesi[139] affermando, sulla base degli srcritti di Cobolli, che le foibe sarebbero state un'"invenzione fascista"[140]. A riprova di un effettivo utilizzo delle foibe da parte fascista, Scotti cita una lettera, a firma di Raffaello Camerini, pubblicata sul quotidiano triestino Il Piccolo nel 2001, dove si riferisce di supposti eccidi compiuti dai fascisti e dell'occultamento dei cadaveri delle vittime in alcune foibe. Le affermazioni contenute nella lettera non hanno però trovato riscontri specifici presentanto contraddizione e incongurenze, pertanto la sua autenticità viene posta in dubbio[141].

La tesi di Scotti, inoltre, non è stata citata in nessuna opera storiografica. Ad esempio, lo storico Elio Apih, che pure ha effettuato un'analisi dei possibili precursori delle Foibe, non reputa neppure di menzionarla[142].

Lo stesso Apih ricorda che l'utilizzo delle foibe quale fossa comune, non costituisce una caratteristica originale degli eccidi giuliani. In gran parte delle stragi che caratterizzarono la seconda guerra mondiale difatti, insorse la necessità pratica di seppellire e/o occultare in fretta e con poca fatica le vittime. Le foibe furono utilizzate semplicemente perché era ciò che la Venezia Giulia offriva allo scopo, a fianco, peraltro, di miniere abbandonate e di cave[143].

Lo storico Raoul Pupo è sostanzialmente in linea con quest'ultima affermazione laddove parla di una tecnica di omicidio "diffusa in tutta l'area Jugoslava"[144].

Le tesi di Scotti, malgrado fossero di origine prettamente giornalistica (e quindi non accettate dalla storiografia), hanno avuto una certa diffusione, venendo riportate anche da un intellettuale come Predrag Matvejević[145] e in molti ambienti vicini alla resistenza (soprattutto a quella comunista) come l'ANPI[146] e in quotidiani di ispirazione comunista, quali il Manifesto e Liberazione. La tesi è inoltre popolare in svariate associazioni neo e post comuniste.

Nel già citato saggio del 2009, curato dallo storico italiano (di etnia slovena) Jože Pirjevec, è stata utilizzata la testimonianza di Camerini[147], primo e unico caso nell'ambiente della ricerca storica. Come detto tale saggio è stato fortemente criticato da molti storici e giornalisti.

Un'altra ipotesi, che attribuisce al comandante di polizia della RSI Gaetano Collotti l'utilizzo di foibe per eliminare i cadaveri di perseguitati politici[148], è stata proposta nel già citato testo "Operazione foibe a Trieste", della giornalista Claudia Cernigoi.

Il punto di vista sloveno e croato

La Slovenia ha ufficialmente adottato la relazione di una commissione congiunta italo-slovena che descrive i rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1956.

 
Il presidente della Repubblica di Croazia Stipe Mesic; pur condannandole ha circoscritto le ragioni dei massacri delle foibe a semplice vendetta[149] dei partigiani di Tito per i crimini commessi dalle forze fasciste italiane.

Le autorità italiane, pur avendo sostenuto l'operato della commissione, non hanno adottato la relazione, ritenendo inopportuno conferire ad essa uno status di ufficialità che non è compatibile con il principio della libera ricerca[senza fonte].

Il Governo italiano nel 2007, rispondendo ad una interrogazione parlamentare del deputato Cardano, ha precisato che, godendo già la relazione della Commissione bilaterale dello Status di ufficialità, ed essendo passati ormai ben 7 anni dalla sua prima pubblicazione sulla stampa e dal riconoscimento ufficiale del governo sloveno, non ritiene di pubblicarla perché gode già dello Status di ufficialità.[150] In Croazia sono diffuse opinioni di carattere riduzionista e si ritiene che i massacri siano stati solo una limitata reazione alle angherie del regime fascista, tanto nel '43 quanto nel '45.[senza fonte]

Il ricordo e la memoria

Con la Legge n. 92 del 30 marzo 2004 si è istituito nella giornata del 10 febbraio di ogni anno il "Giorno del ricordo", in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Lo stesso provvedimento legislativo ha anche istituito una specifica medaglia commemorativa destinata ai congiunti delle vittime :

  Medaglia commemorativa del Giorno del Ricordo ai congiunti degli infoibati

Elenco di foibe

In questo elenco sono segnalate foibe e cave nelle quali son stati trovati resti umani o che secondo le testimonianze conterrebbero dei resti umani, dei quali solo una minima parte è stata recuperata[151].

  • Foiba di Basovizza (Trieste) monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti)
  • Foiba di Monrupino (Trieste) monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti)
 
Mappa delle principali foibe
  • Foiba di Barbana
  • Foiba di Beca
  • Foiba Bertarelli (Pinguente)
  • Foiba di Brestovizza
  • Foiba di Campagna (Trieste) (assieme alle foibe di Opicina e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foibe di Capodistria (una commissione slovena fece ispezionare le ottantun cavità con entrata verticale che circondano la città: in diciannove di esse sono stati trovati resti umani. Recuperati cinquantacinque corpi, secondo le testimonianze nella zona furono eliminati centoventi italiani e sloveni di San Dorligo della Valle)
  • Foiba di Casserova (vicino a Fiume: tedeschi, sloveni e italiani gettati dentro. Estremamente difficile il recupero)
  • Foibe di Castelnuovo d'Istria
  • Foiba di Cernizza (due salme recuperate nel 1943)
  • Foiba di Cernovizza (Pisino) (testimonianze di circa cento uccisioni)
  • Foiba di Cocevie
  • Foiba di Corgnale (assieme alle foibe di Campagna e Opicina, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foiba di Cregli (otto corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Drenchia (presenza di cadaveri della divisione partigiana Osoppo, secondo Diego De Castro)
  • Cava di bauxite di Gallignana (ventitré corpi recuperati nel mese di ottobre del 1943)
  • Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) (circa ottanta morti, secondo le testimonianze)
  • Foiba di Gimino
  • Foiba di Gropada (trentaquattro persone eliminate con colpo alla nuca il 12 maggio 1945. Corpi non recuperati)
  • Foiba di Iadruichi
  • Foiba di Jurani
  • Cava di bauxite di Lindaro
  • Foiba di Obrovo (Fiume)
  • Foiba di Odolina
  • Foiba di Opicina (assieme alle foibe di Campagna e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati)
  • Foiba di Orle (un numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946)
  • Foiba di Podubbo (cinque corpi individuati e non recuperati)
  • Foiba di Pucicchi (undici corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Raspo
  • Foiba di Rozzo
  • Foiba di San Lorenzo di Basovizza
  • Foiba di San Salvaro
  • Foiba di Scadaicina
  • Abisso di Semez (individuati i resti di ottanta/cento persone. Corpi non recuperati)
  • Foiba di Semi (Istria)
  • Abisso di Semich (un centinaio di corpi individuati ma non recuperati)
  • Foiba di Sepec (Rozzo)
  • Foiba di Sesana (un numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946)
  • Foiba di Terli (ventisei corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Treghelizza (due corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Vescovado (sei corpi recuperati)
  • Foiba di Vifia Orizi (testimonianze di circa duecento persone eliminate)
  • Foiba di Villa Surani (ventisei corpi recuperati nel 1943)
  • Foiba di Vines (cinquantaquattro corpi recuperati nel mese di ottobre 1943)
  • Foiba di Zavni (Selva di Tarnova) (secondo le testimonianze, vi sono stati gettati i corpi dei Carabinieri di Gorizia, oltre che di centinaia di sloveni oppositori di Tito)

Note

  1. ^ Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, Bruno Mondadori, 2003. ISBN 88-424-9015-6, p. 2.
  2. ^ Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2003, ISBN 88-0448978-2, pag. 4
  3. ^ Relazione della Commissione mista storico-culturale italo-slovena, Periodo 1941-1945, § 10-11, su kozina.com. URL consultato il 17-12-2011.
  4. ^ Pupo 1996: «È noto infatti che la maggior parte delle vittime non finì i suoi giorni sul fondo delle cavità carsiche, ma incontrò la morte lungo la strada verso la deportazione, ovvero nelle carceri o nei campi di concentramento jugoslavi.»
  5. ^ Pupo, Spazzali, p. 1: «È questo un uso del termine [NdR: "foibe"] consolidatosi ormai, (...), anche in quello [NdR: linguaggio] storiografico, (...) purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale.»; pag. 3 «solo una parte degli omicidi venne perpetrata sull'orlo di una foiba (...) la maggior parte delle vittime perì nelle carceri, durante le marce di trasferimento o nei campi di prigionia ... nella memoria collettiva "infoibati" sono stati considerati tutti gli uccisi...»
  6. ^ Pupo 1996: «...dietro l'apparente caoticità delle situazioni e degli interventi sembra possibile discernere con una certa chiarezza le spinte fondamentali dell'onda di violenza politica che spazza la regione, fino a ricostruire le linee essenziali di una proposta interpretativa generale, che certo andrà vagliata ed integrata alla luce dei nuovi apporti documentari, ma i cui connotati di fondo appaiono già delineati in maniera sufficientemente nitida.»
  7. ^ Pupo, Spazzali, p. XI
  8. ^ Pupo, Spazzali, p. X, 110: «A tutt'oggi, nonostante esse [N.d.R.: le tesi militanti] abbiano dimostrato tutta la loro fragilità sul piano scientifico, continuano a essere largamente diffuse, anche perché si prestano ad un uso politico che non è mai venuto meno…»
  9. ^ Raoul Pupo, "Il lungo esodo", BUR, 2005, ISBN 88-17-00949-0, pp. 17-24.
  10. ^ Pupo, Spazzali, p. 218: «Il forzato abbandono da parte degli italiani dell'Istria,di Fiume e di Zara costituisce infatti un aspetto particolare ed emblematico di un fenomeno più generale, che travolse nel vecchio continente milioni di individui, legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori nazionalmente misti, che distrusse in larga misure le realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell'Europa centrale.»
  11. ^ Pupo, pp.17-18
  12. ^ (monarchie o, in qualche caso, oligarchie)
  13. ^ "L'Adriatico orientale e la sterile ricerca delle nazionalità delle persone" di Kristijan Knez; [[La Voce del Popolo (quotidiano di Fiume)]] del 2/10/2002, su xoomer.alice.it, Consultato il 10 luglio 2009. Wikilink compreso nell'URL del titolo (aiuto) «... è privo di significato parlare di sloveni, croati e italiani lungo l'Adriatico orientale almeno sino al XIX secolo. Poiché il termine nazionalità è improponibile per un lungo periodo, è più corretto parlare di aree culturali e linguistiche, perciò possiamo parlare di dalmati romanzi, dalmati slavi, di istriani romanzi e slavi.» «Nel lunghissimo periodo che va dall'alto Medioevo sino alla seconda metà del XIX secolo è corretto parlare di zone linguistico-culturali piuttosto che nazionali. Pensiamo soltanto a quella massa di morlacchi e valacchi (...) che sino al periodo su accennato si definivano soltanto dalmati. Sino a questo periodo non esiste affatto la concezione di stato nazionale, e come ha dimostrato lo storico Federico Chabod, nell'età moderna i sudditi erano legati soltanto alla figura del sovrano e se esisteva un patriottismo, questo era rivolto soltanto alla città d'appartenenza.»
  14. ^ Sul conflitto fra italiani e slavi a Trieste si veda: Tullia Catalan, I conflitti nazionali fra italiani e slavi alla fine dell'impero asburgico, scheda in Pupo, Spazzali, p. 25-39
  15. ^ Sul conflitto nazionale fra italiani e slavi nella regione istriana, si consultino i seguenti link (sito del "Centro Di Documentazione della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata"):[1][2][3]
  16. ^ AA.VV., "Istria nel tempo", Centro Ricerche Storiche di Rovigno, 2006, cap. V, par. 3,4
  17. ^ Cartoline storiche di Istria, Quarnaro e Dalmazia (contiene un commento critico del testo citato), su istriadalmaziacards.com, Consultato il 10 luglio 2009.
  18. ^ Sul conflitto nazionale fra italiani e croati in Dalmazia, si consultino i seguenti link (sito del "Centro Di Documentazione della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata"): [4][5]
  19. ^ Raimondo Deranez, Particolari del martirio della Dalmazia, Stab.Tipografico dell'ORDINE, Ancona, 1919
  20. ^ a b Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Capitolo 1980-1918", Capodistria, 2000
  21. ^ L.Monzali, Italiani di Dalmazia (...), cit. p. 69[6]
  22. ^ Pupo, Spazzali, p. 38
  23. ^ Si vedano la voce Trattato di Londra e il testo integrale del trattato su Wikisource
  24. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953, pp. 79:"Mentre si svolgeva l'imponente comizio e Francesco Giunta, segretario del fascio, parlava, uno slavo uccise un fascista, che s'era intromesso per salvare un ufficiale da quello aggredito
  25. ^ Storia d'Italia nel periodo fascista Di Luigi Salvatorelli, Giovanni Mira; Pubblicato da G. Einaudi, 1956
  26. ^ Fabio Ratto Trabucco, Il regime linguistico e la tutela delle minoranze in Francia, su "Il politico (Rivista italiana di scienze politiche)", Anno 2005, Volume 70)
  27. ^ Sull'assimilazione della minoranza tedesca in Slovenia si veda: Harald Heppner (Hrsg.): Slowenen und Deutsche im gemeinsamen Raum: neue Forschungen zu einem komplexen Thema; Tagung der Südostdeutschen Historischen Kommission (Maribor), September 2001; Oldenbourg, München 2002.[7]
  28. ^ Sito sui tedeschi del Gottschee (Slovenia).
  29. ^ Sulle politiche di assimilazione cui furono soggetti gli ungheresi della Vojvodina, si veda, ad esempio: Károly Szilágyi, Good Neighbors or Bad Neighbors? Hungarians and Serbs during the centuries, Budapest 1999.[8]
  30. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena; Periodo 1918 - 1941. Consultato il 1 settembre 2010
  31. ^ L'atto di resa fu firmato a Belgrado alla presenza del Ministro degli esteri Aleksandar Cincar-Marković e del generale Janković in rappresentanza della Jugoslavia, del generale Maximilian von Weichs per la Germania e del colonnello Bonfatti per l'Italia. V. Salmaggi e Pallavisini, La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989, pag. 119.
  32. ^ Regio decreto-legge del 3 maggio 1941, n. 291 (istituzione della Provincia di Lubiana: "ART. 2- Con decreti reali (...) saranno stabiliti gli ordinamenti della provincia di Lubiana, la quale, avendo una popolazione compattamente slovena, avrà un ordinamento autonomo con riguardo alle caratteristiche etniche della popolazione, alla posizione geografica del territorio e alle speciali esigenze locali"
  33. ^ Diari di guerra: Il diario di Renzo Pagliani, bersagliere nel battaglione "Zara", su digilander.libero.it. URL consultato il 10 novembre 2009.
  34. ^ L'Italia in guerra e il Governatorato di Dalmazia, su arcipelagoadriatico.it, Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata, 2007. URL consultato il 10 novembre 2009.
  35. ^ Galliano Fogar. Le foibe: Istria, settembre-ottobre 1943, «Patria indipendente», 27 febbraio 2005.
  36. ^ Cfr. G. La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia
  37. ^ M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino, 2007, p. 244
  38. ^ I dati si riferiscono all'insieme dei detenuti politici ed ebrei. Cfr. Brunello Mantelli - Nicola Tranfaglia, Il libro dei deportati, vol. 1, tomo 3, Mursia, Milano, 2010, p. 2533. ISBN 9788842542285
  39. ^ Sul tema, ed in particolare sulla morte di Niccolò e Pietro Luxardo, si veda Nicolò Luxardo De Franchi, Dietro gli scogli di Zara, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1999, ISBN 8886928246.
  40. ^ La Luxardo e la Romagna, su xoomer.alice.it, La Voce di Rimini, 14-06-2004. URL consultato il 16-10-2009.
  41. ^ Padre Flaminio Rocchi, Zara, un sestiere veneziano, in L'esodo dei 350 mila giuliani, fiumani e dalmati. URL consultato il 16-09-2009.
  42. ^ Paolo Mieli, Trieste, la guerra di Tito contro gli antifascisti - Corriere della Sera (6 aprile 2010) pagina 036/037.
  43. ^ Articolo de Il Piccolo
  44. ^ La Repubblica, 09 marzo 2006 Quei 1048 nomi riemersi dalle foibe di Paolo Rumiz;I 1.048 deportati da Gorizia (raccolta di articoli sui deportati goriziani), Altri articoli sul tema:[9][10][11]
  45. ^ Pupo 1996
  46. ^ Società di Studi Fiumani-Roma, Hrvatski Institut za Povijest-Zagreb Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947)[12], Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione Generale per gli Archivi, Roma 2002. ISBN 88-7125-239-X.
    Nello studio per ogni vittima individuata nominativamente, sono stati indicati tutti i dati personali conosciuti (nome, cognome, data di nascita, ultimo indirizzo conosciuto ecc.), la data e la causa di morte. Lo studio è ritenuto non esaustivo dagli stessi autori che affermano che lo stesso è da considerarsi «una buona base di partenza per quanti in futuro vorranno cimentarsi in questa difficile problematica», dato che «nessuna ricerca storica di carattere complesso come questa ha mai dato finora una risposta chiara e definitiva» (p. 149). Le tabelle riassuntive sono alla pag. 206.
  47. ^ Presidenza della Repubblica, Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del "Giorno del ricorso" Quirinale, 10 febbraio 2007 [13]
  48. ^ Raoul Pupo, Le stragi del secondo dopoguerra nei territori amministrati dall'esercito partigiano jugoslavo (PDF), su italia-liberazione.it. «Quella combattuta sui campi di battaglia della Jugoslavia non è stata soltanto una guerra di liberazione, ma anche una terribile guerra civile, in cui – dalle prime stragi ustaša del 1941 in poi – determinazione e orrore hanno sostituito la pietà. Per i prigionieri slavi quindi non c'è scampo: quelli caduti nelle mani dei partigiani vengono fucilati, ma anche quelli che sono riusciti a consegnarsi agli alleati, non per questo hanno trovato la salvezza.»
  49. ^ Elio Apih, "Le foibe giuliane", Libreria Editrice Goriziana, 2010, ISBN 9788861020788; p.21 «Una delle argomentazioni più diffuse al riguardo (chiaramente giustificazionista, va notato subito, ma non certo infondata) è che le foibe sarebbero - a parte errori ed eccessi - ritorsione ai crimini di guerra commessi da militari e fascisti italiani nel corso della loro occupazione (...). Ad essi vengono connessi i crimini della politica fascista e nazionalista (...). La tesi è stata sostenuta fino ad anni recenti, e oggi (...), viene ancora menzionata (...), anche se è sempre più pacifica(...) la constatazione del movente politico dei fatti. Ciò però vale soprattutto per i fatti del 1945 e poco per quelli del 1943, tuttora spesso oscuri e non documentati, specie in Croazia.»; p.70,71: «"i fatti del maggio 1945 sono certo caratterizzati da 'furor popolare' come più volte si è detto. Ma esso è lo scenario, e il dramma che vi si svolse aveva sostanza politica. La presenza di volontà organizzata non è dubbia. Eliminazione fisica dell'oppositore e nemico (di forze armate giudicate collaborazioniste) e, insieme, intimidazione e, col giustizialismo sommario, coinvolgimento nella formazione violenta di un nuovo potere."»
  50. ^ "La nostra è la cronaca di una storia negata annunciata: l'identificazione tout court con il nemico secondo la tragica equazione italiano uguale fascista...".[14] Dal discorso del presidente della Giunta esecutiva dell'Unione Italiana Maurizio Tremul, alla presentazione del manuale “Istria nel tempo. Storia regionale dell'Istria con riferimenti alla città di Fiume”, Collana degli Atti N° 26 del CRS di Rovigno.
  51. ^ http://www.controstoria.it/foibe.htm Cadono nella rete della ghepeù slava, come ora la chiamano, centinaia di cittadini del gruppo etnico italiano: gerarchi locali, podestà, segretari, ma anche messi comunali, guardie civiche, levatrici, ufficiali di posta, insegnanti, bidelli, proprietari terrieri, impiegati, sorveglianti, carabinieri e guardie forestali. Nella maggioranza dei casi, se a costoro possono essere mosse delle accuse queste derivano dall'appartenenza a una classe sociale che definiremmo borghese o di avere nutrito idee politiche diverse da quelle degli occupanti. Da notare che, in epoca fascista l'ottenimento di un posto di lavoro di qualunque livello nel pubblico impiego implicava l'iscrizione al PNF, almeno formalmente ed indipendentemente dal loro pensiero, i dipendenti pubblici potevano tutti essere classificati come "fascisti". Su tutti comunque pesava la grave colpa di essere italiani. (da "L'esodo - La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia", pag. 57-58)
  52. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Periodo 1941-1945", Capodistria, 2000
  53. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena; Periodo 1941 - 1945, su kozina.com, consultato il 11 gennaio 2009. «Influì anche negativamente l'eco degli eccidi di italiani dell'autunno del 1943 (le cosiddette "foibe istriane") nei territori istriani ove era attivo il movimento di liberazione croato, eccidi perpetrati non solo per motivi etnici e sociali, ma anche per colpire in primo luogo la locale classe dirigente, e che spinsero gran parte degli italiani della regione a temere per la loro sopravvivenza nazionale e per la loro stessa incolumità.»
  54. ^ Le rivendicazioni di Tito, tuttavia, includevano anche la maggior parte del Friuli, volendo portare il confine al Tagliamento.
  55. ^ Paolo Sardos Albertini (2002-05-08). "Terrore" comunista e le foibe - Il Piccolo
  56. ^ Cosa vuol dire "infoibare", su foibadibasovizza.it, consultato il 11 gennaio 2009. «In taluni casi le vittime furono allineate in fila lungo l'orlo della foiba, legati l'un con l'altro con filo di ferro: dopo essere stato ucciso con un colpo alla nuca il capofila precipitava trascinando il resto del gruppo.»
  57. ^ Gaetano La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia, nonché La via dell'esilio, supplemento a Storia illustrata n° 10, 1997
  58. ^ Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti: quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile. sedicesima edizione. p.371, Sperling & Kupfer, 2003, ISBN 9788820035662.
  59. ^ Il dato corretto fu poi raccolto grazie al Centro Studi Adriatici fissandole a 10.137. Vedi anche Giuseppe Dicuonzo, Nato in rifugio p. 56, UNI Service, 2008, ISBN 9788861782396.
  60. ^ Cfr. L'Esodo di Arrigo Petacco, Mondadori, 1999, p. 171 Nazareno Mollicone, "Foibe: la storia rivendica i suoi diritti" in Il Secolo d'Italia di giovedi 22 agosto 1996; Fassino: Foibe, apriamo tutti gli archivi, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 13-10-2010. dove l'esponente politico parla di tutti gli archivi di Stato e dei diversi movimenti politici italiani. La presenza di documentazione nei diversi archivi italiani è contestata dall'ANPI, che sostiene che gli archivi "siano stati scandagliati da tempo". Dossier: Foibe: una pagina di storia nazionale, su storiaxxisecolo.it. URL consultato il 13-10-2010. di Giannantonio Paladini
  61. ^ Lo storico Mario Pacor afferma che nelle foibe istriane finirono dopo l'armistizio 400-500 persone, nonché 4.000 italiani furono deportati, dei quali molti furono uccisi dopo procedimenti sommari quindi forse infoibati successivamente. Questi dati fanno riferimento ai documenti dei vigili del fuoco di Pola. La Commissione storica italo-slovena, instaurata dai ministeri degli esteri dei due rispettivi paesi e composta sia da storici sloveni che italiani, ha esaminato i rapporti tra i due Paesi tra il 1880 e il 1956. Il rapporto non approfondisce l'argomento delle foibe, ma indica il numero delle sole esecuzioni sommarie in "centinaia". Questo rapporto non tratta però delle foibe in territorio croato. Lo storico Raoul Pupo indica in circa 5.000 il numero dei morti.
  62. ^ Guido Rumici, Infoibati (1943-1945). I Nomi, I Luoghi, I Testimoni, I Documenti, Mursia, 2002, ISBN 9788842529996.: «Lo storico Guido Rumici stima invece il numero delle vittime in minimo 6.000, cifra che salirebbe però ad oltre 11.000 se si considerano anche tutti coloro che sono scomparsi nei campi di concentramento jugoslavi.»
  63. ^ Guido Rumici riporta le testimonianze dei tre citati alle pagine 250 e 251 nel suo libro Infoibati
  64. ^ Pupo, Spazzali, p. 98, sezione Un superstite
  65. ^ CLN Istriano,Foibe, la tragedia dell'Istria, 28 pp, data di stampa e tipografia non indicata
  66. ^ Giuseppe Bedeschi, Fronte italiano: c'ero anch'io, Mursia, Milano 1987. In quel caso, la testimonianza venne firmata unicamente con le iniziali G.U.
  67. ^ Pupo, Spazzali
  68. ^ L'ideologia del mercato caritatevole, in Sottolebandieredelmarxismo, 9 settembre 2009. URL consultato il 12 dicembre 2011..
  69. ^ Comune di Vicenza - Servizio Elettorale, Elezioni provinciali 1997, il candidato di Rifondazione Comunista Paolo Consolaro prende 577 voti.
  70. ^ Pol Vice, Scampati o no. I racconti di chi "uscì vivo" dalla foiba, Edizioni Kappa Vu, Udine 2005. Il libro è stato scritto in collaborazione con Claudia Cernigoi.
  71. ^ C.Cernigoi, Operazione foibe fra storia e mito, KappaVu, Udine 2005.
  72. ^ D.Antoni (cur.), Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della repubblica, KappaVu, Udine 2008. Il libro riporta gli atti del convegno "Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico", organizzato dalle associazioni "L’altra Lombardia - Su la testa" di Milano, "Društvo Promemoria per la difesa dei valori dell’antifascismo e dell’antinazismo/zavarovanje vrednot protifašizma in protinacizma" di Trieste, "Centro popolare La Fucina" di Sesto San Giovanni, "Collettivo Comunista Antonio Gramsci" di Trento; "Comitati contro la guerra" di Milano; "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia", "Lotta e Unità per l'organizzazione proletaria" e "Resistenza storica" di Udine e tenutosi presso la Biblioteca Comunale di Sesto San Giovanni (MI) il 9 febbraio 2008. Le relazioni vennero tenute da Matteo Dominioni, Alessandra Kersevan, Luka Bogdanić, Sandi Volk, Claudia Cernigoi e Paolo Consolaro (Pol Vice).
  73. ^ A titolo d'esempio si veda Maria Vittoria Cascino, E a La Spezia parla la prof «negazionista», in Il Giornale, 7 febbraio 2007.
  74. ^ Pol Vice, op. cit., presentazione dell'editore, senza numero di pagina.
  75. ^ Pol Vice, op. cit., p. 3.
  76. ^ Raoul Pupo, op. cit.
  77. ^ Articolo su un sito dell'A.N.P.I.
  78. ^ La differenza fra giustizia e vendetta
  79. ^ Cfr. 10 febbraio 2008: Giornata del ricordo: italiani in Jugoslavia a cura del Ministero della Pubblica Istruzione italiana, p. 4, "In effetti il governo jugoslavo richiese già nel febbraio del 1945, a guerra ancora in corso, la consegna di 40 criminali di guerra italiani (tra i quali Ambrosio, Roatta e Robotti), che divennero 302 dopo le investigazioni dalla commissione jugoslava per i crimini di guerra.".
  80. ^ Il Pds: Foibe, tragedia del totalitarismo Il Corriere della Sera, 21 agosto 1996
  81. ^ Fiction foibe, record d'ascolti La Repubblica, 8 febbraio 2005
  82. ^ La tragedia delle foibe diventa piccola Corriere della Sera, 6 febbraio 2005.
  83. ^ Tale amnistia promulgata con il D.P.R. 22 giugno 1946, n. 4, il cui testo è disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1946/lexs_139245.html, comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio, pene allora punibili fino ad un massimo di cinque anni. I reati commessi al Sud dopo l'8 settembre 1943 e l'inizio dell'occupazione militare alleata al Centro e al Nord.[15] [16]
  84. ^ D.P.R 19 dicembre 1953, n. 922, testo disponibile sul sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1953/lexs_33552.html
  85. ^ D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, testo disponibile dal sito della Corte Suprema di Cassazione all'indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/nir/1966/lexs_39092.html
  86. ^ A tal proposito sono stati scritti libri di denuncia, come "Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)" a cura di C. Di Sante.
  87. ^ Art. 45 del Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate - Parigi, 10 febbraio 1947
  88. ^ Il processo agli infoibatori
  89. ^ http://www.nidiacernecca.it/ Nidia Cernecca: sito ufficiale.
  90. ^ Interrogazione parlamentare e Atto depositato in senato
  91. ^ Intermax (rivista virtuale di analisi e critica materialista) Processo alle Foibe, processo alla Resistenza di Claudia Cernigoi
  92. ^ Pupo, Spazzali, p.: «...l'eco delle stragi del 1943 e del 1945 fu assai forte presso l'opinione pubblica italiana: da ciò un'immediata esigenza di spiegare l'accaduto, che non poteva non inserirsi nel clima di violente contrapposizioni nazionali e politiche del momento. Così, quasi subito, presero corpo due opposte versioni dei fatti e due letture antagoniste del loro significato, l'una italiana e l'altra jugoslava. Il perdurare delle tensioni italo-jugoslave fino alla seconda metà degli anni cinquanta (la "questione di Trieste" venne risolta nel 1954 e l'esodo degli italiani dall'Istria si concluse non prima del 1956) fece sì che tali interpretazioni "militanti", finalizzate cioè a mettere polemicamente in crisi l'avversario, si consolidassero presso le forze politiche e la pubblica opi­nione. A tutt'oggi, nonostante esse abbiano dimostrato tutta la loro fragilità sul piano scientifico, continuano a essere largamente diffuse, non solo perché ben radicate nella memoria locale, ma anche perché si prestano a un uso politico che non è mai venuto meno, mentre le semplificazioni, spesso assai grevi, di cui sono intessute, ne favoriscono l'utilizzo da parte dei mezzi di comunicazione.»
  93. ^ Francesco Alberti, Le stragi delle foibe furono violenza di Stato, Corriere della sera, 4 aprile 2001 (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2009).
  94. ^ La Nuova Albarda, In merito al film "Il cuore nel pozzo” ...
  95. ^ il Manifesto del 10 febbraio 2009, Articolo di Gabriele Poli
  96. ^ Il Manifesto del 11 febbraio 2005, "Alle radici dell'odio tragedie incomparabili sull'orlo di una foiba Alle radici dell'odio tragedie incomparabili sull'orlo di una foiba" di Enzo Collotti
  97. ^ Fabio Andriola La Casta e la Storia, in Storia in rete n° 30 dell'aprile 2008 e www.lefoibe.it
  98. ^ Si veda per esempio il manifesto di Rifondazione Comunista sulla "Memoria delle Foibe" in cui si afferma che le foibe furono solo «l'eliminazione di decine di fascisti e collaborazionisti» assieme ad alcuni «eccessi e vendette personali». Secondo la storica Alessandra Kersevan (cfr. intervista sul periodico TrentaGiorni, febbraio 2007) «Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del '43, e con l'occupatore tedesco per quanto riguarda il '45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al movimento di liberazione. Va detto inoltre che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni: è ormai assodato che in Istria nel '43 le persone uccise nel corso dell'insurrezione successiva all'8 settembre sono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel '45 le persone scomparse, sono meno di 500 a Trieste e meno di 1000 a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia. Uso il termine "scomparsi", ma purtroppo è invalso l'uso di definire infoibati tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel '45 le persone "infoibate" furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. Insomma se si va ad analizzare la documentazione esistente si vede che si tratta di una casistica varia che non può corrispondere ad un progetto di "pulizia etnica" da parte degli jugoslavi come si è detto molto spesso in questi anni».
  99. ^ a b Raoul Pupo; Le stragi del secondo dopoguerra nei territori amministrati dall'esercito partigiano jugoslavo
  100. ^ Vedere il sopra citato "Rapporto della commissione mista italo slovena"; paragrafo 11.
  101. ^ Lega Nazionale. Rassegna di articoli apparsi sulla stampa nazionale nell'immediato dopoguerra
  102. ^ Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Resistenza e questione nazionale: atti del Convegno "Problemi di storia della resistenza in Friuli", Udine 5/6/7 novembre 1981, Volume 1, Del Bianco, 1984 cit.: «Per tutte queste ragioni il PCI invita i comunisti della Venezia G. e delle regioni che entreranno nel campo delle prossime operazioni militari di Tito, a far appello, a tutte le forze sinceramente democratiche e antifasciste delle loro località perché appoggino con la più grande fiducia ed il più grande entusiasmo tutte le iniziative, tutte le azioni sia politiche che militari che l'OF intenderà intraprendere per la liberazione dei territori da loro abitati. (...) Anche su questo punto delle direttive del compagno E., concordate con Birk e gli altri due compagni dirigenti jugoslavi, ci permettiamo di ricordare il nostro perfetto accordo già manifestato nel "Saluto ai nostri amici ed alleati jugoslavi".»
  103. ^ Raoul Pupo, Fulvio Anzellotti, Venezia Giulia: immagini e problemi 1945, Editrice Goriziana, 1992, p.58 cit.:«Ciò che invece sembra ormai assodato, è che la decisione del PCI di favorire l'occupazione jugoslava dell'intera Venezia Giulia, quale viene espressa ad esempio nel Saluto ai nostri amici e alleati jugoslavi pubblicato nell'ottobre 1944 su "La nostra lotta"»
  104. ^ Pier Paolo Pasolini sull'Eccidio di Porzûs
  105. ^ Arrigo Petacco, Foibe e torture. I quaranta giorni dell'orrore rosso., Corriere della Sera (24 ottobre 2004). Cit.: «Per rendere completamente jugoslava l'occupazione di Trieste, avevano anche fatto trasferire in Slovenia le brigate partigiane italiane "Natisone", "Fontanot" e "Trieste", impegnate nel territorio italiano. (...) Tutti i membri del CLN (dal quale erano usciti i rappresentanti del PCI) finirono in carcere o costretti a tornare nella clandestinità e così molti partigiani italiani che non avevano accettato il nuovo corso.»
  106. ^ I 40 giorni del terrore (a cura della Lega Nazionale di Trieste) in Riccardo Basile, L'occupazione jugoslava di Trieste, cit: «Tra le migliaia d'insorti troviamo i rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani e molti Militari dei Carabinieri, della Guardie di Finanza, e della Guardia Civica. Fra loro non ci sono comunisti. (...) Il 1° maggio, fra lo stupore, che poi diviene costernazione, i "liberatori" che arrivano in città sono i partigiani jugoslavi. (...) Disconoscono i "Volontari della Libertà" e, costringono i partigiani del CLN a rientrare nella clandestinità. Per la parola "Italia", per la Bandiera nazionale e per la Libertà "vera" ci sono soltanto porte chiuse. Per contro "stelle rosse", bandiere rosse con falce e martello e Tricolore con stella rossa al centro vengono imposti ovunque. (...) Dispongono il passaggio all'ora legale per uniformare la Città al "resto della Jugoslavia"! Fanno uno smaccato uso dello slogan Smrt Fazismu - Svoboda Narodu, "Morte al Fascismo - Libertà ai popoli", per giustificare la licenza di uccidere chi si suppone possa opporsi alle mire annessionistiche di Tito. (...) L'otto maggio proclamano Trieste "città autonoma" nella "Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia. Sugli edifici pubblici fanno sventolare la bandiera Jugoslava affiancata dal Tricolore profanato dalla stella rossa. L'unico quotidiano è "Il nostro Avvenire", schierato in funzione anti italiana.
  107. ^ Guido Rumici, Fratelli d'Istria. 1945-2000: italiani divisi, Mursia, 2001.
  108. ^ Arrigo Petacco; "L'esodo. La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia"; Mondadori, Milano, 1999
  109. ^ Per una ampia trattazione dell'argomento si veda Patrick Karlsen, Il PCI , il confine orientale italiano e il contesto internazionale 1941-1955, Tesi di dottorato, Università degli studi di Trieste, 2009
  110. ^ Dossier Foibe ed Esodo, curato da Silvia Ferretto Clementi, Consigliere Regionale AN-UDC della Lombardia.
  111. ^ Documento video sul "Treno della Vergogna"
  112. ^ http://www.pmli.it/bertinottiattaccafoibe.htm
  113. ^ http://www.anpitreviso.it/memoria_osservatorio.php?idoss=3
  114. ^ http://anpibrescia.myblog.it/archive/2009/12/22/foibe-il-contributo-di-adriano-moratto.html
  115. ^ http://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm
  116. ^ http://www.storiaxxisecolo.it/dossier/Dossier1a2.htm
  117. ^ Il titolo completo del libro è infatti: Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo, Kappavu, Udine 1997. Il libro è pubblicato anche on-line.
  118. ^ C.Cernigoi, op.cit., Introduzione.
  119. ^ Anche l'elenco nominativo di questi morti appare on-line.
  120. ^ L'affermazione è contenuta all'interno delle conclusioni del II capitolo.
  121. ^ Ivi.
  122. ^ G.Rustia, Contro Operazione foibe a Trieste, Trieste 2000.
  123. ^ G.Rustia, op. cit, pp. 205 ss.
  124. ^ Si possono citare come esempio i casi di Vittorio Cima, Luciano Manzin e Mauro Mauri, che vennero ammazzati ed infoibati dopo un processo sommario: per Cernigoi (op. cit, p. 130) i tre erano «tre ferrovieri che avevano rubato generi alimentari nel paese di Opicina» (...) che erano caduti vittime di «vendette personali contro crimini comuni (comunque molto gravi, dato il periodo di ristrettezze generali)»; Rustia (op. cit., p. 34) riportò che i tre - membri della Milizia Ferroviaria - erano stati uccisi con una pistolettata alla nuca e gettati nella foiba di Monrupino essendo stati riconosciuti colpevoli del furto di un maialetto, ma nel gennaio del 1948 la Corte d'Assise di Trieste aveva stabilito che nel processo popolare da essi subito «nessuna prova esisteva al momento di cui si occupa (quello dell'arresto) che valesse a stabilire che autori di questi reati fossero stati i più nominati tre militi. Tutti i derubati hanno affermato di aver subito le rapine ad opera di militi fascisti, ma nessuno ha riconosciuto questi nei tre (...)».
  125. ^ Pupo, Spazzali, pp. 126-127
  126. ^ Comunicato del direttore in merito al libro "Foibe" di Pupo e Spazzali.
  127. ^ Negazionista!.
  128. ^ Claudia Cernigoi, Emergenza negazionismo a Trieste, in La Nuova Alabarda, marzo 2010.
  129. ^ J.Pirjevec, Foibe, Einaudi, Torino 2009.
  130. ^ S.Lusa, Foibe. Una storia d'Italia, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 23 novembre 2009.
  131. ^ P.Mieli, Trieste, la guerra di Tito contro gli antifascisti, in Corriere della Sera, 6 aprile 2010.
  132. ^ R.Spazzali, Pirjevec: le foibe solo propaganda, in Il Piccolo, 13 ottobre 2009
  133. ^ G.Parlato, Dalla Slovenia (via Einaudi) un altro falso storico sulle foibe, in Libero, 13 ottobre 2009.
  134. ^ Pupo, Spazzali, p. 366: «Anche il quotidiano sloveno 'Promorsky Dnevik' se ne occuperà, ma non direttamente almeno in questa fase, limitandosi a commentare gli esiti del dibattito tenuto negli studi di 'Radio Opcine' ed a riportare alcune affermazioni degli intervenuti, in modo particolare quella atta a dimostrare l'estraneità da sempre dalla cultura slovena e croata del termine 'foibe'; termine, secondi i conduttori della trasmissione, introdotto a pieno titolo dalla cultura fascista, se risulta vera, come appare, la citazione di uno scritto risalente al 1932 di Giuseppe Cobol-Cobolli sulla storia della 'Foiba' di Pisino, 'degno posto di sepoltura (...), e ciò riferito agli equilibri tra i centri urbani e le campagne croate.» (si veda 'Primosky Devik', Kdo se Koga in Kdaj (Chi, a chi e quando), di Stanilav Renko, 30 aprile 1987)
  135. ^ Giulio Italico (Giuseppe Cobolli Gigli), Guida descrittiva di Trieste e dell'Istria, Torino 1919 e Trieste 1923, pp. 199-200
  136. ^ Su "Gerarchia", IX, 1927
  137. ^ Da osservare che Cobolli Gigli si riferisce all'abisso noto come "Foiba di Pisino" e non alle "foibe" in generale.
  138. ^ Elio Apih, Le foibe giuliane, Libreria Editrice Goriziana, 2010, ISBN 9788861020788; p. 15: «... ripetutamente è stata ricordata una canzonetta istriana, di Pisino, dove appunto scorre il torrente "Foiba", quale primo incitamento a "infoibare" [...] Si tratta di una canzonetta presentata, all'inizio del secolo, ad un concorso della Lega Nazionale [...], testimonianza letteraria di un sentimento di ostilità, espresso scherzosamente, ma con un sentimento meno scherzoso (?), benché ciò si dica in retroprospettiva, prima mai. Cattiva letteratura, anche se popolare, certo; ma naturalmente non è nella letteratura la matrice dei fatti di "infoibamento"»; p. 21: «[...] la documentazione letteraria - se tale vogliamo considerare la canzonetta - non rappresenta un precedente, era solo un vago richiamo psicologico.»
  139. ^ Intervento al convegno "La guerra è orrore - Le foibe tra fascismo, guerra e resistenza", Venezia, 13 dicembre 2003 (convegno organizzato da Rifondazione Comunista)[17][18][19]
  140. ^ Articolo di Giacomo Scotti su Il Manifesto di venerdì 4 febbraio 2005 (contiene le medesime tesi esposte al convegno "La guerra è orrore ...). Lo Scotti afferma precisamente: «La canzoncina di Sua Eccellenza (testo dialettale e traduzione italiana a fronte) diceva: "A Pola xe u'Arena/ la Foiba xe a Pisin:/ che i buta zo' in quel fondo/ chi gà certo morbin". (A Pola c'è l'Arena,/ a Pisino c'è la Foiba:/ in quell'abisso vien gettato/ chi ha certi pruriti). Dal che si vede che il brevetto degli infoibamenti spetta ai fascisti e risale agli inizi degli anni Venti del XX secolo. Purtroppo essi non rimasero allo stato di progetto e di canzoncine. Riportiamo qui, dal quotidiano triestino Il Piccolo del 5 novembre 2001, la testimonianza di Raffaello Camerini, ebreo, classe 1924...»
  141. ^ "Nuove illazioni sulle foibe", di Liliana Martissa, membro del consiglio direttivo di Coordinamento Adriatico
  142. ^ Si veda, Elio Apih, Op. cit, p. 26-30 e pp. 58-60, dove l'autore fa una descrizione dei possibili precursori delle foibe senza mai menzionare gli episodi descritti dal Camerini; in particolare a p. 36: «[...] come e dove avviene l'infoibamento nella Venezia Giulia? C'è qualche antecedente rispetto all'8 settembre 1943 [...] (N.d.R: si cita quindi l'eccidio di Podhum, del 23 maggio 1943, dove si utilizzarono foibe come fossa comune, quindi un eccidio di zingari, in data e luogo incerti, ad opera di Ustasha croati; entrambi i fatti avvennero in Croazia.» Di nuovo nessun riferimento alla testimonianze del Camerini).
  143. ^ Elio Apih, Op. cit., p. 23, «Ma c'è un altro aspetto, del tutto pratico, che spiega le "foibe" [...]. { la loro potenziale funzione di "discarica mortuaria" che ha altro significato del termine "camera mortuaria" [...] utili sia per esigenze di occultazione dei cadaveri, che per esigenze di liberarsi dai ... prodotti di un eccidio. Da tenere presente la particolare natura del terreno istriano e carsico, sassoso e con poco manto, che rende laborioso e difficile scavare fosse comuni [...]. Le "foibe" come soluzione pratica come soluzione pratica per liberarsi dei cadaveri senza scavare fosse.»
  144. ^ Raoul Pupo, La tragica scelta tra foibe ed esilio, in Il Giornale, 17 maggio 2005. URL consultato il 12 dicembre 2011.: «Episodicamente, le foibe furono usate come barbare sepolture anche in altri casi: forse dai fascisti nel '42 e nel '43, sicuramente dai partigiani jugoslavi negli ultimi anni di guerra. Ma il punto non sta in una tecnica di omicidio diffusa in tutta l'area jugoslava: il punto sta nella strage di fasce di popolazione inerme, nell'inserirsi della violenza politica programmata sul terreno di odi nazionali, contrapposizioni ideologiche e rancori personali creatosi nei precedenti decenni.»
  145. ^ Predrag Matvejevic, Luka Zanoni (traduzione), Predrag Matvejević: le foibe e i crimini che le hanno precedute, in Novi List, 12 febbraio 2005. URL consultato il 12 dicembre 2011.
  146. ^ vedi Federico Vincenti, Quando si cominciò a parlare di Foibe? (PDF), in Patria indipendente, 19 settembre 2004. URL consultato il 12 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2007). che rilancia l'ipotesi di Scotti
  147. ^ J.Pirjevec, Op. cit., p.34
  148. ^ Fisicamente.net - 16-02-2005 L'ispettorato speciale di pubblica sicurezza;Le foibe tra mito e realtà. Intervista ad Alessandra Kersevan.
  149. ^ Si veda al minuto 2:20, la video intervista a Mesjc e i relativi commenti: La storia siamo noi - Le Foibe.
  150. ^ Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Seduta del' 8/2/2007 (PDF), su camera.it, consultato il 17 gennaio 2009. «Il Deputato Cardano presenta una interrogazione al Ministro degli affari esteri, al Ministro della pubblica istruzione, al Ministro dell'università, chiedendo nell'interrogazione scritta "... se i Ministri interrogati non ritengano di dover adoperarsi affinché la suddetta relazione italo-slovena e tutti i materiali preparatori della stessa vengano resi pubblici e, per questa via, diffusi nel mondo della cultura e della scuola". Nella risposta scritta il rappresentante del Governo italiano afferma che non si riteneva necessaria una sua pubblicazione ufficiale in quanto il "testo" di tale Relazione è già stato "riconosciuto" dai membri della Commissione congiunta che lo hanno elaborato e inoltre già pubblicato ufficialmente dalla parte slovena nell'agosto 2001. Il rappresentante del Governo italiano, nella risposta scritta, specifica testualmente che "...Tenuto quindi conto anche del lungo tempo trascorso, non appare opportuna una nuova pubblicazione ufficiale della relazione, mentre potrebbe essere utile una sua diffusione nel mondo della cultura e della scuola". Ossia, per le autorità italiane, non si ritiene di dover procedere a una sua "ulteriore" pubblicazione in quanto il testo è già noto ed è già garantita la sua "veridicità". Inoltre se ne consiglia la sua diffusione nel mondo della cultura e della scuola.»
  151. ^ Documento riassuntivo dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD

Bibliografia

Nota alla bibliografia

S'indicano di seguito dei testi utili per approfondire l'argomento. Si tenga presente che questo argomento è molto discusso e spesso soggetto a condizionamenti politici quindi non tutti i testi seguono un metodo storico canonico o, se lo fanno, comunque hanno come obiettivo la dimostrazione di una tesi. Molti autori non nascondono di essere schierati per una fazione politica piuttosto che per un'altra quindi la neutralità dell'analisi appare fortemente condizionata.

In molti testi, notano alcuni, spesso si discute di argomenti storici secondari come i soli numeri dell'eccidio o delle foibe, mentre si tralasciano argomenti più importanti come le cause e le conseguenze.

Per questo motivo si consiglia un approccio critico a ogni tipo di testo quindi s'invita a operare un confronto prima di giungere a conclusioni personali. Vengono qui indicati, infatti, testi rappresentativi di tutte le visioni e di tutti i punti di vista.

Saggi storici

  • AA.VV., "Istria nel tempo: manuale di storia regionale dell'Istria con riferimenti alla città di Fiume", Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, 2006
  • Claudia Cernigoi, Operazione Foibe - Tra storia e mito, Edizioni Kappa Vu, Udine, 2005
  • Mafalda Codan, Diario di Mafalda Codan in: Mario Dassovich, Sopravvissuti alle deportazioni in Jugoslavia, Istituto Regionale per la Cultura Istriana – Unione degli Istriani - Bruno Fachin Editore – Trieste 1997 ISBN 8885289541
  • Paolo De Franceschi Foibe, prefazione di Umberto Nani, Centro Studi Adriatici, Udine 1949
  • Federico Goglio: "Foibe : inferno a nord-est", Editore Baranzate di Bollate Cidal, 2001
  • Jožko Kragelj, Pobitim v spomin: žrtve komunističnega nasilja na Goriškem 1943-1948, Goriška Mohorjeva, Gorizia 2005
  • Giancarlo Marinaldi (vero nome Carlo Gonan), La morte è nelle foibe, Cappelli, Bologna 1949
  • Adamo Mastrangelo, Foibe, ciò che non si dice, Calendario del Popolo, Luglio 2008, Nicola Teti Editore
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra vol 1. Le Lettere. Firenze, 2004
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. 1914-1924 vol 2. Le Lettere. Firenze, 2007
  • Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano 2003, ISBN 88-0448978-2
  • Frank Perme e altri, Slovenia, 1941, 1948, 1952: Anche noi siamo morti per la patria, Milano 2000.
  • Luigi Papo, L'Istria e le sue foibe, Settimo sigillo, Roma, 1999
  • Luigi Papo, L'ultima bandiera. Storia del reggimento Istria, L'Arena di Pola, Gorizia 1986
  • Eno Pascoli, Foibe: cinquant'anni di silenzio. La frontiera orientale, Aretusa, Gorizia 1993
  • Pierluigi Pallante, La tragedia delle foibe, Editori Riuniti, Roma 2006
  • Arrigo Petacco, L'esodo. La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, Mondadori, Milano 1999
  • Raoul Pupo, Le foibe giuliane 1943-45, in L'impegno, a.XVI, n. 1, aprile 1996. URL consultato il 13 gennaio 2009.
  • Raoul Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l'esilio, Milano, Rizzoli, 2005, ISBN88-17-00562-2.
  • Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, Bruno Mondadori, 2003, ISBN 88-424-9015-6.
  • Raoul Pupo, Trieste '45, Laterza, Roma-Bari 2010 ISBN 978-88-420-9263-6
  • Leonardo Raito, Il PCI e la resistenza ai confini orientali d'Italia, Temi, Trento, 2006
  • Franco Razzi, Lager e foibe in Slovenia, E.VI, Vicenza 1992
  • Guido Rumici, Infoibati. I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Mursia, Milano 2002
  • Giorgio Rustia, Contro operazione foibe a Trieste a cura dell'Associazione famiglie e congiunti dei deportati italiani in Jugoslavia e infoibati, 2000
  • Fulvio Salimbeni, Le foibe, un problema storico, Unione degli istriani, Trieste 1998
  • Cesare Salmaggi-Alfredo Pallavicini, La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989 ISBN 88-04-39248-7
  • Giacomo Scotti, Dossier Foibe, Manni, San Cesario (Le), 2005
  • Frediano Sessi, Foibe rosse. Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel '43, Marsilio, Venezia 2007.
  • Giovanna Solari, Il dramma delle foibe, 1943-1945: studi, interpretazioni e tendenze, Stella, Trieste 2002
  • Roberto Spazzali, Foibe: un dibattito ancora aperto. Tesi politica e storiografica giuliana tra scontro e confronto, Lega Nazionale, Trieste 1990
  • Roberto Spazzali, Tragedia delle foibe: contributo alla verità, Grafica goriziana, Gorizia 1993
  • Giampaolo Valdevit (cur.), Foibe, il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1997

Romanzi

  • Carlo Sgorlon, La foiba grande, Arnoldo Mondadori, Milano 1992

Voci correlate

Personalità legate alle foibe

Collegamenti esterni

Video: