Aspetti innovativi

A parte il subitaneo ballet pantomime de terreur che una parte delle Furie, nella quarta scena dell'atto secondo, danza d'intorno al corpo semiaddormentato di Oreste, mentre le altre lanciano invettive furenti contro il matricida, l'Iphigénie contiene una sola breve scena autonoma di danza, o divertissement, come in Francia si era usi chiamare i momenti di balletto che facevano parte integrante di tutte le tipologie di spettacolo lirico che venivano date all'Académie Royale de Musique. Si tratta del coro e danza degli Sciti collocati poco prima della fine del primo atto.[1] Il poco spazio lasciato alla danza era così inusuale che dopo le prime cinque rappresentazioni, le autorità dell'Opéra vollero che fosse aggiunto un ulteriore divertissement finale, scritto appositamente da Gossec,[2] e che fu del resto presto lasciato cadere.

In entrambi gli interventi di danza, è il coro a primeggiare, ed il coro viene utilizzato nell'opera con una frequenza che non ha confronti nel Settecento, "e pochi anche nell'Ottocento", secondo Piero Mioli, il quale così ne descrive il ruolo:

«[Il coro] è misto nel caso delle Eumenidi e del finale, ma in genere è scelto: maschile quando dà volto agli Sciti efferati, femminile quando si presta alle trepidanti Sacerdotesse; e se con costoro riesce a diventare un'affettuosa e continua proiezione collettiva dell'anima di Ifigenia, trattandosi di fanciulle greche lontane dalla patria come lei, con coloro diventa la caotica rappresentazione della violenza, della barbarie, dell'irrazionalità, mediante un Allegro scattante, "alla breve", tanto semplice di verticalità armonica quanto caratteristico di colori grazie a una scrittura per triangolo, piatti e tamburo. "Il nous fallait du sang", gridano i forsennati, e al critico del "Journal de Paris" sembrò che il suono del volgare coraccio trasportasse gli spettatori "tra i cannibali danzanti intorno al palo".[3] Così nel primo atto, ma il secondo chiude con una trenodia lenta e desolata che sulle parole "Contemplez ces tristes apprèts" si compone di un Lento strumentale, del coro, di un arioso del soprano sullo stesso tema e della ripresa del coro: è una delle scene più commosse, più liriche, più nobili del teatro di Gluck, che si accoppia forse al finale secondo di Alceste (là dove la donna s'avvia alla morte e nello sgomento delle ancelle saluta l'amato talamo) [...]»[4]

Berlioz, Gluck e l'Iphigénie en Tauride
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La devozione che, seppur mai completamente acritica, Hector Berlioz provò per tutta la vita nei contronti di Gluck, risale agli anni della sua fanciullezza a La Côte-Saint-André, e si approfondì dopo il suo trasferimento a Parigi per studiare medicina.[5] In effetti, come lo stesso Berlioz raccontò nei suoi Mémoires, i suoi primi mesi nella capitale francese furono da lui invece occupati a compulsare, copiare e mandare a memoria le partiture di Gluck nella biblioteca del Conservatorio (dove ebbe tra l'altro uno scontro memorabile con l'inflessibile e scorbutico rettore Luigi Cherubini), e fu al termine della sua prima presenza da spettatore all'Opéra, proprio per una rappresentazione dell'Iphigénie en Tauride, che egli maturò definitivamente la sua determinazione di diventare un musicista, a dispetto di tutti, "padre, madre, zii, zie, nonni e amici".[6] La profondità della conoscenza delle opere di Gluck (e non solo) che egli acquisì durante questo periodo, è pittorescamente testimoniata dall'aneddoto da lui stesso raccontato sempre nei Mémoires.[7]

"Così un giorno, si trattava allora dell'Ifigenia in Tauride, accadde ch'io mi fossi accorto che, nel corso della rappresentazione precedente, erano stati aggiunti dei piatti nella prima aria di danza degli Sciti in si minore, dove Gluck non ha impiegato che degli strumenti ad arco, e che nei grandi recitativi di Oreste, al terzo atto, le parti dei tromboni, così ammirevolmente motivate dalle ragioni della scena, e scritte nella partitura, non erano state eseguite. Avevo deciso che, se gli stessi errori si fossero ripetuti, li avrei segnalati. Quando dunque il balletto degli Sciti iniziò, aspettai i miei piatti al varco; si fecero sentire, come la volta precedente, all'aria che ho detta. Ribollivo dalla collera, ma mi trattenni tuttavia fino alla fine del pezzo, e, approfittando del breve momento di silenzio che separa dal brano seguente, mi misi a gridare con tutta la forza della mia voce:
«Non ci sono piatti lì dentro; chi dunque si permette di correggere Gluck?».[8]
Si immagini il brusio! Il pubblico, che non ci vede mai molto chiaro in queste faccende d'arte, e al quale era assolutamente indifferente se si cambiava o no la strumentazione dell'autore, non capiva nulla del furore di quel giovane pazzo della platea. Ma ben di peggio accadde quando, al terzo atto, dato che, come previsto, la soppressione dei tromboni nel monologo di Oreste ebbe luogo, la medesima voce fece udire queste parole: «I tromboni non hanno attaccato! È insopportabile». [...]
... alla rappresentazioni seguenti tutto ritornò al dovuto ordine, i piatti tacquero, i tromboni suonarono, e io mi accontentai di borbottare tra i denti: «Ah! è ben bello!»"[9]

Berlioz mantenne viva e costante negli la sua ammirazione per Gluck, fino a culminare, tra il 1859 e il 1861, nei fortunati rifacimenti dell'Orphée et Euridice e dell'Alceste. Tuttavia, anche l'Iphigénie en Tauride rimase sempre oggetto della sua ammirazione. Nel corpo della voce sono già riportati estratti degli articoli che egli scrisse per la «Gazette Musicale de Paris» negli anni Trenta dell'Ottocento: alla questione di quella che è stata poi definita l'«orchestrazione psicologica» dell'aria di Oreste del secondo atto, egli volle peraltro dedicare una trattazione dallo spessore tecnico più elevato, anche nel suo Grand Traité d'Instrumentation et d'Orchestration Modernes. In apertura del terzo capitolo, dedicato alla viola (francese: "alto"), in particolare, egli formulò le seguenti osservazioni:[10]

"È nota l'impressione profonda che produce sempre la viola nel pezzo d'Ifigenia in Tauride, allorquando Oreste abbattuto dalla fatica, ansante, divorato dai rimorsi, si assopisce [ripetendo]: Le calme rentre dans mon cœur! nel mentre che l'orchestra, sordamente agitata, fa sentire singhiozzi, pianti convulsivi, dominati incessantemente dallo spaventevole ed ostinato mormorar delle viole. Quantunque in codesta inesprimibile ispirazione non trovisi una nota sola, né della voce né degli strumenti senza un'intenzione sublime, è mestieri tuttavia convenire, che il fascino da essi esercitato sugli uditori, che la sensazione d'orrore trascinante alle lagrime, sono dovuti in ispecial modo alla parte della viola, e al timbro della sua terza corda, al suo ritmo sincopato ed allo strano effetto d'unisono risultante dalla sua sincope del La rotta improvvisamente nel mezzo da un altro La dei bassi marcanti un ritmo differente."[11]


Battute di avvio dell'aria di Oreste Le calme rentre dans mon cœur
(l'immagine è tratta dall'edizione originale del Traité[12] di Berlioz).
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L'opera include «il più famoso pezzo di orchestrazione psicologica prodotto da Gluck»,[13] nell'ostinato e affannoso accompagnamento che sostiene il canto di Oreste nell'aria Le calme rentre dans mon cœur, smentendone il messaggio di ritrovata serenità. Un passaggio che colpì profondamente Hector Berlioz, il quale, nei suoi articoli sulla «Gazette Musicale» del 1834, così si espresse in proposito:

«Pilade è stato strappato alle braccia dell'amico. Oreste, oppresso dal dolore e dall'ira, dopo alcune convulse imprecazioni, cade in profonda prostrazione.

Où suis-je?... A l'horreur qui m'obsède
Quelle tranquillité succède?
Le calme rentre dans mon cœur!...
Mes maux ont donc lassé la colère céleste!...
Je touche au terme du malheur...
Vous laissez respirer le parricide Oreste
Dieux justes! ciel vengeur!
Oui, oui, le calme rentre dans mon cœur.
[14]


Impossibile esprimere l'ammirazione che desta questo magnifico controsenso. Oreste s'addormenta; l'orchestra si agita sordamente; il personaggio parla di calma, e i violini singhiozzano piccoli lamenti sincopati, ai quali i bassi rispondono con colpi sordi, ritmati di due in due battute all'inizio del pezzo, e di tre in tre verso la conclusione, mentre attraverso queste pulsazioni febbrili il timbro mordente, ma triste, delle viole brontola una sorta d'accompagnamento che difficilmente si potrebbe definire con parole, l'autore avendolo steso in un ritmo misto di note sincopate e di note staccate quale mai s'era udito prima, né mai è stato ripetuto poi. "Oreste mente, diceva Gluck: ha ucciso la madre".»[15]

Era forse la prima volta nella storia dell'opera, ha rilevato Donald Grout, che veniva impiegato «lo stratagemma di usare l'orchestra per rivelare l'intima verità di una situazione, in discordanza, o perfino in contraddizione, rispetto alle parole del testo, una pratica che Wagner avrebbe in seguito elevato a sistema.»[16]

Conclusione

A parte il poco fortunato dramma pastorale Echo et Narcisse, composto praticamente in contemporanea e presentato quattro mesi dopo, l'Iphigénie en Tauride costituisce l'ultimo lavoro di Gluck per il palcoscenico,[17] e rappresenta anche una sorta di punto d'arrivo della parabola artistica e culturale del maestro tedesco. In proposito Geremy Hayes ha avuto modo di osservare:

«Ciascuna delle opere tarde di Gluck è unica; ancora nei suoi sessant'anni d'età egli era un instancabile sperimentatore. Iphigénie en Tauride ha un insolito numero di pezzi di insieme, e, sebbene vi siano più arie che non, per esempio, nell'Armide, egli realizza il bilanciamento tra questi brani convenzionali di carattere più italianeggiante, da una parte, e la declamazione e le arie brevi alla francese, dall'altra, addivenendo così ad una comparabile fluidità della struttura musicale che è sempre mantenuta al servizio dello sviluppo dell'azione drammatica. Di tutte le sue opere, Iphigénie en Tauride è quella nella quale egli meglio riuscì a tradurre in realtà le sue teorie di riforma operistica, in una memorabile combinazione di musica e dramma in cui ogni dettaglio è subordinato all'insieme.»[18]

Parole di grande stima per l'opera e il compositore ebbe anche Hector Berlioz, che, dopo aver descritto la scena dell'assopimento di Oreste con le parole già sopra riportate, così completava il suo ragionamento:

«Il coro delle Furie durante il sonno del parricida è concezione stupefacente di infernale grandiosità; la parte delle voci è quasi costantemente disegnata su scale ascendenti e discendenti dei tromboni, d'effetto prodigioso. Questo atto si conclude in un modo che oggidì verrebbe giudicato ben maldestro, con un andante moderato in continuo decrescendo. Ifìgenia ritorna su se stessa; ripete nella memoria tutte le sventure passate; piange con le altre donne ed esce di scena a lenti passi, mentre l'orchestra si spegne mormorando le ultime frasi del suo nobile lamento [...] Tutto il resto si mantiene alla stessa altezza. Il duetto fra i due amici, il recitativo obbligato d'Oreste furibondo, l'aria di Pilade supplicante «Ah mon ami, j'implore ta pitié », il suo slancio eroico «Divinité des grandes âmes», la grande aria d'Ifigenia, così drammaticamente accompagnata dai bassi sotto un tremolo continuo di secondi violini e viole, tutto ciò è meraviglioso per passione della melodia, per forza di pensiero, tutto ciò afferra e trascina; non si sa se l'effetto resulti dalla poesia o dall'azione, dalla pantomima o dalla musica, tanto quest'ultima è intimamente unita alla pantomima, alla poesia, all'azione. E quando, accanto ai grandi momenti che abbiamo citato, troviamo l'espressione della calma religiosa condotta al punto in cui si offre alla nostra ammirazione nel coro delle sacerdotesse «Chaste fille de Latone», quando si odono quegli inni sublimi, segnati d'una melancolia antica che riconduce l'ascoltatore fra i templi dell'antica Grecia, non ci si sta a domandare se Gluck sia poeta, drammaturgo o musicista, ma si esclama: Gluck è un grand'uomo.»[15]

Certo Berlioz si considerava in un certo senso figlio di Gluck,[19] e quindi lo si potrebbe ritenere un estimatore preconcetto. Lo stesso non si dovrebbe poter dire invece per il buffooniste Friedrich Melchior von Grimm, contemporaneo di Gluck, il quale parteggiava, sotto sotto, per Piccinni. Parlando, nella sua Correspondance littéraire, dell'Iphigénie, egli scrisse che «a dar retta ai Gluckisti, tutti i tesori dell'armonia e della melodia, tutti i segreti della musica drammatica sono stati consumati in quest'opera», mentre, secondo i Piccinnisti, non si trattava altro che di musica francese rinforzata all'ennesima potenza: "quel poco di canto che vi si trova, è monotono e comune, e il ritmo ne risulta generalmente vizioso". Pur dichiarando di non voler prender partito nella «illustre querelle», alla fine Grimm sbottava in questa maniera: «io non so se ci sia canto, ma forse c'è qualcosa di molto meglio».[20]

Prova

 
Battute di apertura dell'aria Le calme rentre dans mon cœur dal secondo atto[21] etc. etc. (esempio: Le doppie quartine che costituiscono la parte delle viole ("altos") si riproducono per tutto il brano, con saltuari abbassamenti o innalzamenti di un semitono.)
 
Battute finali dell'aria Le calme rentre dans mon cœur dal secondo atto[22] etc. etc.

Note

  1. ^ Viking p.385.
  2. ^ Ewans, p.43.
  3. ^ Il carattere di questa musica "barbara" ripugnava sentitamente al grande ballerino e coreografo dell'Opéra, Auguste Vestris, che cercò invano di ottenere dallo "scellerato", dal "mostro", dal "tedescaccio" di Gluck un cambiamento della musica. Un giovanissimo, estasiato Étienne Nicolas Méhul ha lasciato il racconto emozionante dello scontro, anche fisico, tra i due a casa di Gluck (intravisto, per così dire, dal buco della serratura), durante il quale il burbero e corpulento compositore tedesco afferrò ripetutamente per il bavero l'esile ballerino italo-francese costringendolo a volteggiare nel suo salotto al ritmo della musica selvaggia che egli aveva composta. Il racconto ci è giunto per interposta persona attraverso un articolo di Adolphe Charles Adam (La prova generale di «Ifigenia in Tauride», «Gazette Musicale de Paris», II, 1835, n. 21; riprodotto, nella traduzione di Daniele Spini, nel programma di sala per le rappresentazioni al Teatro Comunale di Firenze nel 1981, op. cit., pp. 45-71).
  4. ^ Mioli, pp. 18-19
  5. ^ Barsham, p. 84
  6. ^ Mémoires de Hector Berlioz Membre de l’Institut de France comprenant ses voyages en Italie, en Allemagne, en Russie et en Angleterre, 1803-1865, Parigi, Lévy, 1870, p. 22 (la riproduzione dell'originale è accessibile gratuitamente on-line in Internet Archive e in p. 53 Wikisource; il testo è anche disponibile in The Hector Berlioz Website).
  7. ^ Mémoires, p. 53
  8. ^ In nota, a questo punto, Berlioz precisa che i piatti sono bensì previsti da Gluck, ma solo nel precedente coro degli Sciti, Les dieux apaisent leur courroux.
  9. ^ La traduzione italiana è tratta da: Hector Berlioz, Memorie, a cura di Olga Visentini, Pordenone, Studio Tesi, 1989, pp. 319-320. ISBN 88-7692-173-7.
  10. ^ Grand Traité d'Instrumentation et d'Orchestration Modernes, Parigi/Bruxelles, Lemoine, 1843, pp. 34 e segg.; accessibile gratuitamente on-line in Internet Archive
  11. ^ Citazione da: Grande trattato di istrumentazione e d'orchestrazione moderne di Ettore Berlioz, traduzione italiana di Alberto Mazzucato, Milano Ricordi, 1912, I, p. 32; la parte inserita tra parentesi quadre è stata aggiunta dai redattori della presente voce sulla base dell'originale francese ("en répétant").
  12. ^ Grand Traité, p. 35
  13. ^ Viking, p. 385.
  14. ^ Traduzione italiana di Viviano Cavagnoli (Ifigenia in Aulide - Ifigenia in Tauride, Milano, Ariele, 2002, p. 121):
    "La calma ritorna nel mio cuore .../ I miei mali hanno dunque stancato la collera celeste?/ Sono alla fine dell'infelicità./ Voi lasciate vivere l'omicida Oreste!/ Dèi giusti! Cielo vendicatore!/ Sì, sì, la calma ritorna nel mio cuore ..."
  15. ^ a b Hector Berlioz, Iphigénie en Tauride, «Gazette Musicale de Paris», I, 1834, nn. 45, 46, 47, 49, traduzione di Daniele Spini. L'articolo è riportato nel programma di sala per le rappresentazioni al Teatro Comunale di Firenze nel 1981 (op. cit., pp. 27-43).
  16. ^ Grout, p.268.
  17. ^ Gluck non era probabilmente consapevole che Echo et Narcisse e Iphigénie costituissero la chiusura della sua parabola compositiva: egli accettò infatti, negli anni '80, la commissione per una nuova opera sul mito di Ipermestra, ma non fu in grado di portarla a termine. Passò allora sotto banco la commissione al suo allievo Salieri, un vero novellino per la piazza di Parigi, e consentì che l'opera da questi composta, Les Danaïdes, venisse inizialmente spacciata per sua, nel 1784. Per un resoconto della vicenda, si veda, ad esempio: Giovanni Carli Ballola, Antonio Salieri, in AA.VV., Storia dell'Opera (ideata da Guglielmo Barblan e diretta da Aberto Basso), Torino, UTET, 1977, vol. I,2, pagg. 121-128 (fonte disponibile online, con integrazioni da successiva stesura anch'essa edita dalla UTET, sul sito Il portale dell'arte di Rodoni.ch, consultato il 18 settembre 2010).
  18. ^ Hayes, Iphigénie en Tauride (i), p. 821. Testo originale in inglese:
    «Each of Gluck's late operas is unique; even in his 60s he was a tireless experimenter. Iphigénie en Tauride has an unusual number of ensembles, and although there are more arias than, for example, in Armide, he strikes a balance between these more italianate set pieces and the French declamation and short airs, leading to a comparable fluidity of musical structure which always serves the development of the drama. Of all Gluck's operas, Iphigénie en Tauride is the one in which he was most successful in bringing his theories of operatic reform to life in a memorable combination of music and drama in which every detail is subordinate to the whole.»
  19. ^ Egli scrisse alla sorella, in tono semiserio, nel 1856: «Mi sembra che se Gluck dovesse tornare in vita, direbbe di me, "Questi è senza dubbio mio figlio." Mica sono modesto, vero?» (citata in Barsham, p. 97).
  20. ^ Correspondance littéraire, philosophique et critique, addressée à un souverain d'Allemagne, depuis 1770 jusqu'en 1882, Parte 2, Tomo quinto (Maggio 1779, pp. 4-5), seconda edizione riveduta e corretta, Parigi, Buisson, 1812, (accessibile gratuitamente on-line in books.google).
  21. ^ Berlioz etc.
  22. ^ Berlioz etc.