Giovanni Passannante

anarchico italiano (1849-1910), autore di un fallito tentativo di uccidere il re d'Italia Umberto I di Savoia
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«La maggioranza che si rassegna è colpevole. La minoranza ha diritto di richiamarla.»

Giovanni Passannante (Salvia di Lucania, 19 febbraio 1849Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910) è stato un anarchico repubblicano italiano. Nel 1878, fu autore di un attentato fallito alla vita di Re Umberto I, il primo nella storia della dinastia Savoia.[2] Condannato a morte, la pena gli fu commutata all'ergastolo. La sua prigionia fu dura e lo condusse alla follia, per la quale fu trasferito in manicomio, dove passò il resto della sua vita. La sua detenzione portò un enorme scandalo nel mondo politico italiano.

Giovanni Passannante

Biografia

Infanzia e formazione

Nacque a Salvia di Lucania (oggi Savoia di Lucania), da Pasquale e da Maria Fiore; fu l'ultimo di dieci figli, quattro dei quali morti in tenera età. In paese era soprannominato "Cambio" ed aveva una mano storpia a causa di una scottatura nell'acqua bollente quando era ragazzino.[3] Le difficili condizioni economiche della famiglia lo costrinsero ad elemosinare sin da bambino.[3] Desideroso di apprendere, poté frequentare solo la prima elementare e svolse lavori occasionali per aiutare la famiglia, facendo il guardiano di pecore e il domestico.

Passannante si recò, in seguito a Vietri lavorando come sguattero e poi a Potenza, trovando lavoro come lavapiatti presso l'albergo Croce di Savoia, ma verrà licenziato per il suo carattere ribelle e perché passava il tempo a leggere libri e giornali,[4] anche se l'anarchico negherà questa ragione, asserendo che si dedicava alla lettura durante il tempo libero e che si autolicenziò in quanto il suo datore, in quattro mesi di lavoro, non l'aveva mai pagato.[5] A Potenza conobbe Giovanni Agoglia, ex capitano dell'esercito napoleonico, il quale, notato l'interesse del ragazzo per gli studi, lo portò con sé a Salerno e gli assegnò un vitalizio per migliorare la sua istruzione. Passannante alternò così la lettura della Bibbia a quella dei giornali e degli scritti di Giuseppe Mazzini.

Abbracciate le idee repubblicane, frequentò circoli filomazziniani e conobbe Matteo Melillo, uno dei maggiori esponenti internazionalisti di Salerno. La frequentazioni di associazioni repubblicane gli procurò i primi problemi con la legge. Nella notte tra il 15 e il 16 maggio del 1870, due guardie di pubblica sicurezza trovarono Passannante mentre stava affiggendo proclami rivoluzionari. Passannante, venendo a conoscenza di un'imminente insurrezione in Calabria contro il governo, tentò di incitare la popolazione salernitana a fare altrettanto. I manifesti di Passannante erano un'invettiva contro i monarchi e i papi, inneggiando alla Repubblica, a Mazzini e Garibaldi. Le guardie lo arrestarono con l'accusa di sovversione.[6] Aveva con sé una copia de Il popolo d'Italia, giornale mazziniano, che gli fu sequestrata e fu trattenuto in carcere per tre mesi.

Uscito di prigione e tenuto sotto sorveglianza dalla prefettura di Salerno, tornò brevemente presso la famiglia a Salvia e, nel 1872, ritornò a Salerno, lavorando come cuoco presso la fabbrica dei tessuti degli Svizzeri. Si licenziò e aprì un locale, La Trattoria del Popolo, che venne chiusa nel dicembre del 1877. Si iscrisse alla Società Operaia di Pellezzano, che lasciò per contrasti con gli amministratori, poi alla Società di Mutuo Soccorso degli Operai e grazie al suo attivismo i membri passarono da 80 a 200.[7] Nel giugno 1878 si trasferì a Napoli, dove visse alla giornata cambiando diversi datori di lavoro.

L'attentato

 
L'attentato su un giornale dell'epoca

Alla morte del padre Vittorio Emanuele II, il re, accompagnato dalla moglie Margherita, preparò un viaggio nelle maggiori città italiane per poter mostrarsi al popolo, facendo tappa anche a Napoli. Nei giorni antecedenti al fatto, vi furono diverse proteste di matrice internazionalista nella città partenopea, che furono represse dalle autorità. Un comizio tenuto dall'operaia femminista Annita Lanzara e dai tipografi internazionalisti Luigi Felicò e Taddeo Ricciardi venne interrotto dall'ispettore di pubblica sicurezza.[8] Alcuni partecipanti come Pietro Cesare Ceccarelli, Francesco Saverio Merlino, Francesco Gastaldi, Giovanni Maggi e Saverio Salzano vennero arrestati mentre distribuivano volantini rivoluzionari.[9]

Il 17 novembre 1878, la coppia assieme al primo ministro Benedetto Cairoli, giunta da Foggia, era in visita a Napoli. Venne preparata un'accoglienza sfarzosa, nonostante le polemiche avutesi in consiglio comunale sulle spese elevate per il ricevimento reale.[10] Quando il corteo reale giunse all'altezza del "Largo della Carriera Grande", tante persone, in particolare donne, si dirigevano verso la carrozza per porgere suppliche. Anche Passannante attese il momento opportuno per avvicinarsi alla carrozza del sovrano, che incedeva lenta tra la folla. Avvicinatosi al cocchio reale, salì sul predellino, simulando di voler porgere una petizione e mentre il re sporse la mano per prenderla, scoprì improvvisamente un pugnale che teneva avvolto in uno straccio rosso e tentò di accoltellare il monarca urlando: «Viva Orsini! Viva la Repubblica Universale!».[11]

Il re riuscì a difendersi, rimanendo leggermente ferito al braccio sinistro. Sua moglie lanciò in faccia all'aggressore il mazzo di fiori che aveva in grembo e urlò: «Cairoli, salvi il re».[12] L'attentatore venne afferrato per i capelli dal primo ministro Benedetto Cairoli che rimase ferito da un taglio alla coscia destra, una ferita non grave nonostante l'abbondante sangue versato. Accorsero subito i corazzieri e il loro capitano Stefano De Giovannini colpì l'anarchico con un fendente alla testa, il quale venne subito tratto in arresto. La folla circostante, vedendo un uomo ferito condotto via, non si accorse immediatamente del fallito assassinio ma pensò che Passannante fosse stato investito dalla carrozza reale, e quindi non vi fu alcun tentativo di linciaggio.[13] Il tutto si compì in un tempo così breve che le altre carrozze vicine a quella reale non dovettero mai fermare la loro marcia.[14]

Aveva compiuto il suo gesto con un pugnale avente una lama di 8 cm circa che aveva ottenuto barattandolo con la sua giacca. Nel fazzoletto rosso nel quale aveva nascosto l'arma, Passannante aveva scritto: «Morte al Re, viva la Repubblica Universale, viva Orsini».[11] Sanguinante per le ferite alla testa, non venne accompagnato in ospedale per essere medicato e subì altre sevizie.[15] Affermò di aver agito da solo e di aver escogitato l'attentato due giorni prima. Passannante ribadì le sue idee repubblicane ma negò di appartenere ad alcun movimento di matrice politica.[16]

Al momento dell'arresto, gli furono sequestrati i documenti, uno di questi era una lettera, che Passannante definì il suo «testamento», indirizzata ad un tale don Giovannino pregandolo di elargire i suoi miseri averi ad alcune persone.[17] L'attentato provocò nella regina Margherita un forte shock, nonostante durante la sfilata cercò di mantenere un atteggiamento calmo e sorridente, la quale tornata alla reggia si sentì male ed esclamò: «Si è rotto l'incantesimo di Casa Savoia!».[18] Il giorno dopo, il re fu visitato da numerosi esponenti della nobiltà e della politica meridionale, tra questi i lucani Ascanio Branca, Salvatore Correale e Giuseppe Imperatrice, che espressero rincrescimento per il fatto che Passannante era un loro corregionale.

Conseguenze

 
L'attentato su un murales di Savoia di Lucania

L'attentato sconvolse il regno intero e produsse opposti sentimenti, da una parte, con cortei di protesta solidali nei confronti del re, cui si contrapposero coloro che invece elogiarono l'attentatore. Il giorno successivo, a Firenze, venne lanciata una bomba contro un corteo monarchico: due uomini e una bambina restarono uccisi e una decina persone furono ferite.[19] Si attribuì la tragedia agli internazionalisti e vennero arrestati diversi esponenti, i quali verranno scarcerati per mancanza di prove. Uno di loro, Cesare Batacchi, verrà graziato solo il 14 maggio 1900.[20]

A Pisa, un'altra bomba venne esplosa durante una manifestazione a favore del re, dove non si registrarono vittime. Venne arrestato un tale Pietro Orsolini, che, nonostante diverse prove di innocenza, morì nel carcere di Lucca nel 1887.[21] La notte del 18 novembre venne assalita una caserma a Pesaro con un deposito di 5000 fucili, un internazionalista fu arrestato.[22]

Si registrarono sommosse in tutta la nazione, a cui si era tentato di fare fronte con un'opera di repressione. Vi furono scontri con le forze dell'ordine in città come Bologna, Genova, Pesaro e molte persone vennero arrestate al solo elogio verso l'attentatore o alla sola denigrazione nei confronti del re, come accadde a Torino,[23] Città di Castello,[24] Milano,[25] Guglionesi,[26] La Spezia[27] e Bologna.[28]

Il poeta Giovanni Pascoli, intervenendo in una riunione di aderenti ad ambienti socialisti a Bologna, diede pubblica lettura di una sua Ode a Passannante. Di tale componimento si conosce solo il contenuto dei versi conclusivi, di cui è stata tramandata la parafrasi: «Con la berretta del cuoco faremo una bandiera»[29] (un'altra versione è «Con la berretta d'un cuoco faremo una bandiera»).[30] Subito dopo la lettura, Pascoli distrusse l'ode; in seguito fu arrestato per aver manifestato a favore degli anarchici che erano stati a loro volta tratti in arresto per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il loro processo, il poeta urlò: «Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori!».[31]

Pochi giorni dopo il tentato regicidio, in Parlamento la condanna dell'attentato fu unanime ma il governo Cairoli fu attaccato dalla destra e da una parte della sinistra, con l'accusa di incapacità nel tutelare l'ordine pubblico e di eccessiva tolleranza nei confronti delle associazioni internazionaliste e repubblicane.[32] L'11 dicembre 1878, il ministro Guido Baccelli presentò una mozione di fiducia al governo, che fu respinta con 263 voti contrari, 189 favorevoli e 5 astenuti, costringendo Cairoli a rassegnare le dimissioni.[33]

Dibattiti

La notizia dell'attentato fece il giro d'Europa ed anche in questo caso vi furono opinioni opposte. Alcuni organi di stampa (italiani e stranieri) condannarono l'attentatore rivolgendogli diverse accuse, persino prive di fondamento o puramente inventate. Il Republique Française di Parigi indicò la Chiesa e gli ex regnanti borbonici come mandanti del tentato regicidio;[34] L'Arena di Verona e il Corriere della Sera di Milano lo definirono un brigante che, in passato, aveva ucciso una donna[35] mentre, in una litografia pubblicata a Torino, venne riportato che il padre di Passannante era un camorrista e che suo figlio fu educato con sentimenti di odio e di disprezzo per la libertà italiana.[36] Il quotidiano La Stampa scrisse che Passannante era già stato rinchiuso in passato a Rocca d'Anfo e nel forte di Fenestrelle, descrivendolo come un «omiciattolo cachettico, smilzo, butterato dal vaiolo».[37]

Altri giornali espressero opinioni differenti; il tedesco Koelnische Zeitung auspicò che l'attentato servisse come monito allo stato italiano per comprendere meglio i bisogni del ceto subalterno; l'inglese Daily News vide nel malcontento e nella miseria i fattori che spinsero l'anarchico ad armarsi[38] mentre il Satana di Cesena (che verrà soppresso con l'accusa di propaganda contro il re e le istituzioni)[21] non lo considerò un assassino ma un «infelice affascinato» dei mali che turbarono la società del tempo.[39] L'economista belga Émile de Laveleye vide nel gesto di Passannante un «avvertimento», un attentato non rivolto al re, ma alla monarchia, «non la monarchia come istituzione politica, ma come simbolo dell'ineguaglianza sociale».[40]

Alcuni repubblicani presero le distanze da Passannante e mandarono felicitazioni al re, come Alberto Mario, secondo il quale un tale gesto «accresce la miseria arruffandone il problema».[41] Fu informato dell'accaduto anche Francesco II, sovrano del decaduto regno delle Due Sicilie, in quel momento in esilio a Parigi. Francesco II deplorò l'attentatore, definendo la Basilicata «paesi cattivi: un nido di socialisti... di socialisti, non esattamente, più precisamente di comunisti partigiani!».[42] Infine aggiunse: «la nostra vita è solo nelle mani di Dio» e «Dio non vuole che gli assassini riescano».[43]

Anche Giuseppe Garibaldi seppe della notizia. Il 21 novembre 1878 inviò un telegramma di buon auspicio a Cairoli (che fu un ex camicia rossa) e al re Umberto I. Qualche giorno dopo, Garibaldi indirizzò una lettera al giornale Capitale in cui scrisse riguardo all'attentato che «Il malessere politico non è altro che una conseguenza dei pessimi governi e questi sono i veri creatori dell'assassinio e del regicidio»[44] e nel 1880, in una lettera al repubblicano francese Felice Pyat, definì Passannante un «precursore dell'avvenire»,[45] una dichiarazione che suscitò polemiche.

Situazione nella città natale

La sera stessa dell'attentato, Giuseppe Zanardelli, allora ministro dell'Interno, informò tutti i prefetti del regno sull'accaduto. Il prefetto di Potenza ricevette l'ordine di perquisire l'abitazione dei parenti e degli amici di Passannante ed inviò i carabinieri a Salvia. Nella casa dell'anarchico furono trovati una stampa de La Marsigliese e una copia del giornale La Nuova Basilicata datato 1871 contenente notizie sulla Comune di Parigi. Vennero perquisiti tutti i luoghi riconducibili all'attentatore ma i carabinieri annotarono, nel loro rapporto, di non aver trovato nulla di criminoso.[46]

Giovanni Parrella, sindaco di Salvia, il quale dovette prelevare denaro dalle casse comunali per affittare una giacca nera, si recò a Napoli per porgere le sue scuse e chiedere perdono ad Umberto I, il quale le accettò dicendogli: «gli assassini non hanno patria».[47] Fu, in seguito, ricevuto dai consiglieri del monarca che, per ottenere la clemenza, gli imposero il cambiamento di nome della città d'origine dell'anarchico, rinominandola nell'attuale Savoia di Lucania. Il sindaco accettò senza discutere e il comune cambiò toponimo con regio decreto il 3 luglio 1879.[48]

L'intera famiglia dell'attentatore fu dichiarata folle e suo fratello Giuseppe, risultato affetto da alienazione mentale, fu internato nel manicomio criminale di Aversa. Si seppe, in seguito che il fratello era affetto da febbre palustre che, assieme ad una scarsa alimentazione, lo aveva reso anemico. Il padre defunto, che aveva perso i genitori a 9 anni, soffrì di convulsioni che cessarono con l'età ed ebbe solamente problemi di artrite reumatica; la madre, settantaduenne, aveva tremori ed era affetta da neuropatia. Secondo il direttore del manicomio, Gaspare Virgilio, le condizioni di salute dei genitori ebbero effetti degenerativi sui figli.[49] Per Virgilio, Passannante era «semipazzo», «imbecille» e ritenne che «fosse la mano di un uomo non sano quella che si armò per immolare il figlio di colui che per antonomasia fu detto il Galantuomo».[50]

Detenzione e processo

 
Il processo su un giornale dell'epoca

Oltre a Passannante, il 18 novembre 1878 vennero arrestati con l'accusa di essere complici Matteo Maria Melillo, Tommaso Schettino, Elviro Ciccarese e Felice D'Amato ma verranno scarcerati l'anno successivo per insufficienza di prove.[51] Numerose persone furono interrogate e tacciate di essere in combutta con l'anarchico ma i regi carabinieri e i giudici non riuscirono a trovare testimonianze concrete.[52]

La mattina del 19 novembre, Passannante fu portato nel carcere di San Francesco, rinchiuso in una cella di isolamento. Mostrò sempre un atteggiamento calmo e impassibile, anche se in alcune occasioni si lasciò andare al pianto.[53] Sottoposto ad esami psichiatrici, risultò sano di mente. Successivamente, Cesare Lombroso instaurò una polemica con i periti convinto della pazzia dell'anarchico, il quale venne risposto dal medico Augusto Tamburrini che difese la validità della perizia.[54] Soggetto ad un lungo interrogatorio, Passannante non si definì un internazionalista e si proclamò solo un sostenitore della repubblica universale. Nutriva risentimento verso i liberali che parteciparono alle rivoluzioni e che, a sua detta, tradirono i loro ideali per ricoprire ruoli importanti ed arricchirsi.[55]

Il 4 marzo, Passannante fu condotto al carcere di Castel Capuano, scortato dall'ispettore, dal comandante dei carabinieri, da due delegati e vari carabinieri. Il 6 e il 7 marzo 1879 venne effettuato il processo e la sua difesa fu affidata all'avvocato Leopoldo Tarantini. La nomina della giuria fu oggetto di controversie e, anni dopo, l'anarchico Luigi Galleani dirà che la loro estrazione fu «un oltraggio alle norme e alle consuetudini giudiziarie».[56] Anche l'operato di Tarantini fu da alcuni criticato: Francesco Saverio Merlino definì l'avvocato «un secondo accusatore, che andò a prendere ordini a Roma prima di invocare per lui la clemenza reale»;[57] per Galleani, Passannante è «abbandonato al carnefice dal suo avvocato».[57]

Il processo si concluse con la condanna a morte e non mancarono controversie sul verdetto poichè la pena di morte era prevista solo in caso di regicidio.[58] Inoltre, Merlino riporterà anni dopo, nella sua opera L'Italia quale è, la confessione di un magistrato, in cui sostenne che quattro giurati votarono per l'assoluzione e cinque per le attenuanti ma non fu concessa nè una nè l'altra.[59] Tuttavia, con Regio Decreto del 29 marzo 1879, la pena gli fu commutata in ergastolo, che Passannante scontò a Portoferraio, sull'isola d'Elba.

Dopo la sentenza, in città come Roma e Ancona si mossero manifestazioni a favore dell'anarchico. A Londra, Paul Brousse, direttore dell'Avant-Garde, giornale soppresso per aver scritto articoli apologetici su Passannante, Max Hödel e Karl Nobiling, propose una raccolta di denaro per attenuare la pena dell'anarchico o persino di preparare un'eventuale fuga. Si tentò di coinvolgere anche gli internazionalisti francesi e tedeschi ma l'iniziativa non venne mai concretizzata.[60] Ad Alessandria d'Egitto, venne costituito il Gruppo Passannante, presieduto dall'internazionalista pisano Oreste Falleri, ex garibaldino fuggito in Egitto a causa delle persecuzioni antirepubblicane.[61]

Pena

 
Passannante giunto a Portoferraio

Arrivato a Portoferraio, Passannante venne condotto nella prigione della Torre della Linguella (nota anche come Torre del Martello e in seguito ribattezzata Torre di Passannante). La cella era piccolissima, umida, buia e posta sotto il livello del mare. Attaccato ad una catena di 18 chilogrammi e in completo isolamento, non potè ricevere visite e lettere. Con il passare del tempo tale detenzione influì sulla sua salute, sia mentale che fisica.

I barcaioli che passavano nelle vicinanze della torre udivano spesso le urla di strazio del detenuto.[62] Si ammalò di scorbuto, fu colpito dalla taenia, perse i peli del corpo, la pelle si scolorì, le palpebre si rovesciarono sugli occhi, le guance si vuotarono e si gonfiarono[63] e, secondo alcune testimonianze, arrivò a cibarsi dei propri escrementi.[64] Dopo due anni, i carcerieri lo fecero salire al di sopra del livello del mare ma le condizioni di vita rimasero le stesse.

L'onorevole Agostino Bertani, dopo un lungo diverbio con il ministero, ottenne il permesso di recarsi a Portoferraio per visitare Passannante, accompagnato dalla giornalista Anna Maria Mozzoni. Nel 1885, il deputato radicale e la giornalista giunsero alla fortezza in cui era detenuto l'anarchico rimandendo scioccati per la condizione in cui versava; Bertani esclamò: «Questo non è un castigo, è una vendetta peggiore del patibolo; il re non sa nulla, non è possibile che lo sappia, egli non tollererebbe un fatto che getta su lui un'ombra odiosa; è una vigliaccheria da cortigiani».[65] Bertani e la Mozzoni denunciarono il trattamento di Passannante, suscitando un'enorme scandalo politico e mediatico.

Il ministro dell'Interno, Giovanni Nicotera, tentò di difendersi dicendo che il condannato venne segregato anche per suo desiderio e che le visite vennero sconsigliate dal medico.[66] La Mozzoni si rivolse direttamente ad Umberto I, esortandolo ad intervenire contro le violazioni della pena ma non ricevette risposta.[67] Secondo Galleani, il re sapeva della tortura inflitta all'anarchico e, anzi, fu lui stesso ad autorizzarla;[68] anche Amilcare Cipriani ritenne che il sovrano lo lasciò impazzire in galera, poichè gli attentatori non venivano uccisi «perchè sentano meglio la morte».[69] Il fascicolo carcerario, conservato in un magazzino di stoccaggio a Perugia, non è, attualmente, consultabile al pubblico.[70]

Su sollecitazione di Bertani e della Mozzoni, al prigioniero, che nel frattempo aveva contratto una malattia mentale, fu certificata una perizia psichiatrica condotta dai professori Biffi e Tamburini (gli stessi che lo avevano visitato dopo l'arresto) e, dichiarato questa volta insano di mente, nel 1889 fu trasferito, segretamente,[71] presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove passò il resto dei suoi giorni.

«Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani … poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni.»

Morte

Condotto in manicomio, le sue condizioni psichiche e fisiche erano ormai irreversibili. Non potè essere visitato da nessuno, eccetto alcuni privilegiati. Nel suo ultimo periodo di vita, non diede mai segni di aggressività e, nonostante l'atroce detenzione, non si era spenta in lui la passione per la scrittura anche se, qualche volta, gli venne l'impulso di distruggere i suoi quaderni. Non si dichiarò mai pentito di ciò che aveva fatto.[72]

Gli venne permesso di coltivare un orticello, cosa che fece per circa tre anni prima di estirpare tutto. Rimase solo una pianta che venne chiamata Il limone di Sor Giovanni.[72] Nel 1908 divenne cieco e, dopo aver passato i suoi ultimi due anni in cecità, si spense nel manicomio all'età di 60 anni, a causa di una broncopolmonite. La sua morte verrà ricordata da numerosi esponenti del movimento anarchico, tra cui Luigi Galleani, Luigi Bertoni, Michele Schirru e Randolfo Vella.[73]

Post mortem

File:Cranio i cerebro di passannante.jpg
Cervello e cranio di Passannante

Dopo la sua morte il corpo, in ossequio alle teorie dell'antropologia criminale dell'epoca, miranti ad individuare supposte cause fisiche alla "devianza", fu sottoposto ad autopsia e decapitato.[74] Mentre del suo corpo non si hanno più notizie, il cervello e il cranio di Passannante, immersi in una soluzione di cloruro e zinco, furono preservati nel manicomio di Montelupo Fiorentino per poi essere portati alla Scuola Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario "Regina Coeli" di Roma.

Nel 1936 i suoi resti, assieme a suoi blocchi di appunti, vennero trasferiti presso il Museo Criminologico dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma, ove il cervello, immerso in formalina, venne conservato in una teca di vetro sigillato. Nel 1982, il cervello fu oggetto di studi del prof. Alvaro Marchiori dell'Istituto di Medicina Legale dell'università romana "La Sapienza".

Il cervello e il cranio rimasero ivi esposti sino al 2007. La permanenza dei resti in esposizione presso il Museo causò proteste e interrogazioni parlamentari. Il 23 febbraio 1999 il ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla osta per la traslazione dei resti di Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che avvenne solo otto anni dopo.

Controversie

Il nome del paese d'origine

Nel comune di Savoia di Lucania la popolazione è divisa in due comitati opposti: un comitato "pro-Salvia" che rivendica il desiderio di ritornare al vecchio nome "Salvia di Lucania", in memoria delle torture inflitte a Passannante e del ruolo dei Savoia nella politica Italiana; ed un comitato "pro-Savoia" che rivendica l'onore di essere legati alla dinastia dei Savoia e condanna l'atto compiuto dall'anarchico. Il 10 febbraio 1948 il consigliere comunale Raffaele Cancro propose la cancellazione del nome Savoia e di dare un nuovo toponimo Passannantea ma l'idea venne respinta.[75]

Un altro invito riguardo all'eliminazione del nome attuale avvenne nel 1954 da parte di un padre domenicano, anche questa volta rifiutato.[75] Il comitato "pro-Savoia" aveva previsto per il giorno 1 maggio 2007 un incontro pubblico nel paese con il principe Emanuele Filiberto, ma l'incontro è stato successivamente annullato.[76]

La vicenda della sepoltura

La sepoltura di Giovanni Passannante era prevista per il giorno 11 maggio 2007,[76] in seguito ad una cerimonia funebre che si sarebbe dovuta tenere alle ore 11 circa del medesimo giorno nella chiesa madre di Savoia di Lucania. La sepoltura venne però effettuata senza rito funebre il giorno precedente a quello stabilito, alla sola presenza del sindaco Rosina Ricciardi, di un giornalista del quotidiano "La Nuova Del Sud" e di una sottosegretaria del presidente della regione Basilicata Vito De Filippo, scortati da alcuni carabinieri e agenti della Digos.

La decisione fu giustificata ufficialmente con problemi di ordine pubblico.[77] Secondo un rapporto del Sisde, per l'11 maggio era previsto l'arrivo a Savoia di Francesco Caruso, deputato di Rifondazione Comunista, assieme ad un gruppo di no global.[78] Molte perplessità in merito furono tuttavia espresse da esponenti del mondo culturale e politico lucano: da parte del comitato pro-Salvia, i cui esponenti hanno per giorni condotto uno sciopero della fame affinché i resti di Passannante venissero tolti dal cimitero comunale, portati in chiesa madre per il rito funebre e successivamente nuovamente sepolti.

Grazie soprattutto all'impegno dell'attore Ulderico Pesce e alla sua raccolta di firme, Passannante è stato sepolto il 10 maggio del 2007, dopo 71 anni di esposizione al Museo del Crimine di Roma. Il 2 giugno dello stesso anno si è tenuta una messa in suffragio del defunto, nella chiesa madre del paesino lucano. La commemorazione venne fortemente criticata da Sergio Boschiero, segretario dell'Unione Monarchica Italiana, che, in un comunicato stampa, la considerò un atto di riabilitazione di un mancato assassino.[79]

Opere ispirate

Note

  1. ^ Galzerano, p. 383
  2. ^ Galzerano, p. 567-568
  3. ^ a b Galzerano, p. 116
  4. ^ Galzerano, p. 118
  5. ^ Galzerano, p. 461-462
  6. ^ Galzerano, p. 297
  7. ^ Galzerano, p. 134
  8. ^ Galzerano, p. 21-23
  9. ^ Galzerano, p. 25
  10. ^ Galzerano, p. 32
  11. ^ a b Galzerano, p. 396
  12. ^ Grimaldi, p. 142
  13. ^ La morte di Passanante nel manicomio criminale di Montelupo, quotidiano La Stampa del 15/02/1910, p.3 [1]
  14. ^ telegramma del ministro dell'Interno Zanardelli ai Prefetti, quotidiano Gazzetta Piemontese del 18/11/1878, p.2
  15. ^ Galzerano, p. 46
  16. ^ Galzerano, p. 47
  17. ^ Galzerano, p. 49
  18. ^ Grimaldi, p. 152
  19. ^ Galzerano, p. 214
  20. ^ Galzerano, p. 219
  21. ^ a b Galzerano, p. 222
  22. ^ Galzerano, p. 226
  23. ^ "Viene arrestato un prete sorpreso - per le vie dell'ex capitale d'Italia - mentre bestemmiava e ingiuriava Umberto I e l'Italia". Galzerano, p. 227
  24. ^ "É arrestato Annibale Cancellieri per aver gridato, in faccia ai carabinieri «Viva Passannante!» e al pretore disse di essere lui Passannante". Galzerano, p. 228-229
  25. ^ "Gaetano Sacchi, per le vie di Milano, grida: «Viva la Repubblica!», al quale «aggiunge un altro molto brutto; "Viva Passannante!"». É arrestato." Galzerano, p. 234
  26. ^ "Vengono arrestati alcuni cittadini che hanno fatto il giro del paese con una bandiera rossa gridando: «Viva Passannante! Viva la Repubblica! Morte al re!»." Galzerano, p. 235
  27. ^ "Sei persone, sorprese a gridare «Viva la Repubblica! Viva Passannante», vengono arrestate." Galzerano, p. 236
  28. ^ "Vengono arrestati due cittadini: uno ha gridato: «Morte a Umberto I!» e l'altro: «Viva la pagnotta! Viva la Rivoluzione! Abbasso la monarchia!»." Galzerano, p. 238
  29. ^ Galzerano, p. 270
  30. ^ Domenico Bulferetti, Giovanni Pascoli. L'uomo, il maestro, il poeta, Milano, Libreria Editrice Milanese, 1914, p. 57.
  31. ^ Grimaldi, p. 146
  32. ^ Galzerano, p. 171
  33. ^ Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, Feltrinelli, 1986, p.142
  34. ^ Galzerano, p. 51-52
  35. ^ "Sarebbe il figlio di un mugnaio, che poscia si diede al mestiere di barcaiolo [...] noto nel suo paese come uno de' più feroci briganti. Anni sono scannò, per mandato, nel modo il più atroce una giovane donna". L'Arena, A. XIII, n.313, 19 novembre 1878, p.2; Corriere della Sera, A III, n.319, 19-20 novembre 1878, p.2. Galzerano, p. 120
  36. ^ Archivio di Stato di Mantova, foglio a stampa Passananti Giovanni, d'anni 29, Archivio Polizia Italiana, busta 335. Galzerano, p. 119
  37. ^ quotidiano Gazzetta Piemontese del 19/11/1878, p.1 [2]
  38. ^ "Koelnische Zeitung afferma: «Speriamo che l'attentato serva da ammonizione ai governatori italiani e li trattenga dal seguire princìpi meno astratti ed avere più a cuore il bene del popolo», [...] secondo l'inglese «Daily News» [...] soltanto lo scontento e la miseria possono avere armato la mano dell'attentatore.". Galzerano, p. 60
  39. ^ Galzerano, p. 131
  40. ^ Galzerano, p. 62
  41. ^ Grimaldi, p. 149
  42. ^ Galzerano, p. 84
  43. ^ Galzerano, p. 85
  44. ^ Galzerano, p. 257-258
  45. ^ "L'attentato politico, ecco il segreto per condurre a buon porto la Rivoluzione. I sovrani chiamano assassini gli amici del popolo, e Agesilao Milano, Pietri, Orsini, Pianori, Monti e Tognetti, a loro tempo furono chiamati assassini; oggi invece sono dei martiri ed oggetto della venerazione comune. Hodel, Nobiling, Moncasi, Passannante Giovanni, Solovieff, Otero ed Hartmann sono i precursori dell'avvenire.". Carlo Malato, L'attentato di Matteo Moral, Edizione del Gruppo Autonomo di East Boston, U.S.A., s.d. [1906], p.4; L'adunata dei Refrattari, New York, A.X., n.20, 6 giugno 1931, p.5. Galzerano, p. 258
  46. ^ Galzerano, p. 115
  47. ^ Grimaldi, p. 153
  48. ^ Galzerano, p. 209
  49. ^ Galzerano, p. 601
  50. ^ Virgilio, p. 4-5
  51. ^ Galzerano, p. 121
  52. ^ Galzerano, p. 145
  53. ^ Galzerano, p. 127
  54. ^ Galzerano, p. 595
  55. ^ Galzerano, p. 395
  56. ^ Galzerano, p. 444
  57. ^ a b Galzerano, p. 500
  58. ^ Galzerano, p. 529
  59. ^ Francesco Saverio Merlino, L'Italia quale è, Feltrinelli, 1974, p.127. Galzerano, p. 529
  60. ^ Galzerano, p. 632
  61. ^ Galzerano, p. 634
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  65. ^ Paolo Pinto, Il Savoia che non voleva essere re, Piemme, 2002, p.109
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  70. ^ Paola Rossi, La relegazione a Portoferraio (31 marzo 1879 - 20 maggio 1889) (PDF), su circolopertinielba.org, Circolo Pertini Elba. URL consultato il 24 marzo 2012.
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Bibliografia

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  • Corte di Assise di Napoli, Processo Passannante: resoconto stenografico della macchina Michela, tip. De Angelis, Napoli, 1879
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  • Corte di Assise di Napoli,Giovanni Passannante: processo per attentato regicidio: dibattimento svoltosi innanzi alla Corte ordinaria d'assise di Napoli, Jannone, Napoli, 1879
  • Giuseppe Maria Campanella, Giovanni Passannante. Benedetto Cairoli. Umberto Primo, Londra, Hutchings & Crowsley, [dopo il] 1978

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