Battaglia del pastificio

scontro a fuoco avvenuto a Mogadiscio il 2 luglio 1993 tra le truppe italiane della missione UNOSOM II e le milizie somale

La battaglia del pastificio, talvolta chiamata anche battaglia del Checkpoint Pasta, fu uno scontro a fuoco tra le truppe italiane a Mogadiscio e dei ribelli somali.

Battaglia del pastificio
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Premesse

Il 2 luglio 1993, durante l'operazione denominata "Canguro 11" decisa dal Comando ITALFOR, forze italiane divise in due colonne meccanizzate effettuarono un rastrellamento alla ricerca di armi del quartiere Haliwaa, a nord di Mogadiscio, verso vari obiettivi vicini all'ex Pastificio distrutto, vicino al quale era stato costituito un posto di blocco denominato appunto Pasta. Secondo alcune ricostruzioni il vero scopo dell'operazione doveva essere la cattura di Aidid, con il fine di ottenere l'alto al fuoco ed il conseguente accordo di pace , ma nessuna conferma ufficiale è mai stata data dalle autorità italiane[1].

Il rastrellamento

Le due colonne, rispettivamente Alpha e Bravo, provenivano la prima dalla zona del Porto Vecchio di Mogadiscio e la seconda dalla città di Balad, altro importante presidio italiano durante la missione situato a circa venti km da Mogadiscio.

Terminata l'operazione di rastrellamento, le due colonne ripresero la via del ritorno. In seguito a gravi disordini scoppiati nella zona, con larga partecipazione da parte della popolazione locale a cui erano mischiati cecchini, la situazione precipitò al punto da rendere necessario richiedere rinforzi da parte della colonna Bravo, che si trovava in prossimità del Pastificio lungo la via Imperiale.

L'imboscata

Alcuni mezzi blindati italiani VCC-1, fermatisi di fronte a barricate erette dai somali, vennero immobilizzati con razzi anticarro mentre le strade circostanti venivano bloccate con altre barricate da parte dei miliziani somali; in uno di questi veicoli corazzati morì il parà Pasquale Baccaro, che era stato colpito alla gamba da un razzo, mentre altri due membri dell'equipaggio rimasero feriti. Venne deciso quindi l'intervento di soccorso della colonna Alfa, quasi arrivata alla base, dotata di carri M60 e blindo pesanti Centauro con cannoni da 105mm, che però non avevano l'autorizzazione ad usare per il rischio di colpire i civili, e l'ulteriore appoggio di elicotteri Mangusta ed AB-205; gli equipaggi dei blindati, non potendo usare i cannoni, cercarono di proteggere gli altri veicoli ed i compagni feriti con le mitragliatrici, mentre si tentava di rimettere in moto uno dei veicoli immobilizzati e gli uomini appiedati rastrellarono le vicinanze; durante questa azione venne colpito a morte il sergente incursore Stefano Paolicchi.

Solo in due occasioni venne utilizzato l'armamento pesante: un numero non precisato di M60 aprì il fuoco contro dei container che servivano da scudo ai miliziani provocando grandi perdite, e un elicottero da attacco Mangusta colpì con un missile TOW un Iveco VM 90 italiano catturato dai somali, distruggendo il mezzo e uccidendo tutti i ribelli a bordo del veicolo. Questo, tra le altre cose, può essere considerato come il battesimo del fuoco di questo mezzo.

Tra gli uomini della colonna di soccorso, il sottotenente Andrea Millevoi, capo di una colonna di blindo Centauro, venne colpito da un cecchino mentre si sporgeva dal suo mezzo per dirigere il fuoco della mitragliera da 12,7 mm; l'arrivo dei nuovi mezzi corazzati permise ai soldati sotto il fuoco di sganciarsi, con miliziani che sparavano dalla folla vociante facendosi scudo di donne e bambini.

Bilancio

Il conto di questa giornata di combattimenti al termine dell'operazione fu di 3 caduti:

Vi furono inoltre 36 feriti da parte italiana ed un numero non certo di miliziani e civili somali morti o feriti. Nel documentario-inchiesta del 2008 del regista Andrea Bettinetti dal titolo Check point Pasta, si riporta la cifra relativa alle perdite somale, così come presentata da fonti definite ufficiali somale, di 67 morti e 103 feriti, ma nello stesso tempo si segnala che secondo fonti ufficiose il numero effettivo sia stato molto più alto.

Tra i feriti italiani, l'allora sottotenente Gianfranco Paglia, paracadutista, che durante l'azione fu colpito da tre pallottole (di cui una al polmone che causò un'emorragia interna e una al midollo che lo costringerà alla sedia a rotelle per tutta la vita) mentre cercava di portare in salvo l'equipaggio di uno dei blindati immobilizzati. Gianfranco Paglia, cui è stata conferita la medaglia d'oro al valor militare per l'azione compiuta, pur avendo perso l'uso delle gambe, è rimasto in servizio. Nell'occasione furono conferite altre 3 medaglie d'argento al valore militare, al sergente maggiore paracadutista Francesco Trivani , al sergente incursore Giancarlo Candiano ed al caporale Ottavio Bratta.

Data la vastità e la organizzazione della reazione da parte dei miliziani, sono state fatte nel quadro di una analisi approfondita supposizioni relative ad una imboscata orchestrata in seguito ad una fuga di notizie, nata all'esterno del contingente italiano; nessun riscontro ufficiale è disponibile a quella che rimane una illazione, per quanto credibile.[senza fonte]

Note

Fonti

Voci correlate

Collegamenti esterni