Proscrizione sillana
La Prima Proscrizione è il primo esempio di una procedura eccezionale che si è verificata soltanto due volte in tutto l'arco di tempo della storia di Roma, in concomitanza di due crisi importanti nell'ultima fase della Repubblica.
Il termine "proscriptio"
Il termine proscriptio è tratto dal lessico dell’affissione pubblica, ed indicava generalmente un avviso di vendita. Per indicare i diversi tipi di affissione pubblica, il mondo romano ricorreva infatti a due verbi, dal significato ben distinto, proscribere e proponere. L’affissione propriamente detta, in cui non era implicata nessuna responsabilità da parte del redattore per quanto riguardava il testo affisso, era indicata dal termine proponere, mentre il verbo proscribere sottolineava la diretta responsabilità del redattore sul testo affisso.[1] Soprattutto a causa del suo utilizzo in ambito giudiziario, il verbo proscribere va presto ad indicare l’affissione di un testo che notifica la vendita di beni, ed in particolare la vendita all’asta. Dal momento che la vendita all’asta interessava prevalentemente beni ipotecati, messi in vendita dal creditore, o più in generale, i beni di un insolvente, il termine proscribere inizia ad assumere una sfumatura peggiorativa rispetto all’iniziale significato neutro che condivideva con il termine proponere. All’insolvenza e alla conseguente vendita all’asta delle proprietà immobiliari seguivano infatti il disonore e la perdita della rispettabilità sociale, ancora più evidente per il sistema sociale del mondo romano, che era su base censitaria. Dal momento che il censo era determinato dai beni immobili, erano le proprietà immobiliari a determinare la classe sociale. Date queste condizioni proscribere, un termine inizialmente neutro, finì per designare la semplice confisca dei beni come conseguenza di un reato. Trattandosi di un’affissione la proscrizione di Silla è dunque chiamata così consistendo semplicemente in liste di cittadini dichiarati hostes publici, i cui beni subivano la confisca.
Differenze tra la prima e la seconda proscrizione
La proscrizione si configura come un tipo di procedura eccezionale che è stata ripetuta soltanto per due volte in tutto l’arco di tempo della storia di Roma, in concomitanza di due crisi importanti nell'ultima fase della Repubblica. In entrambi i casi è stata adottata per la durata di un solo anno. Si verifica per la prima volta sotto Silla, all’indomani della vittoria di Porta Collina, e continua durante tutto l’anno 82-81 a.C. La stessa procedura viene ripresa per la seconda e ultima volta con il secondo triumvirato, da Antonio, Ottaviano e Lepido, nel 43-42 a.C. In entrambi i casi, le proscrizioni videro la condanna di un numero sorprendentemente alto di cittadini di cui comunque molti si salvarono, anche se il numero varia secondo le diverse fonti. Inoltre, per quanto riguarda la proscrizione di Silla, questa comportò l’esclusione della vita politica per i figli e i nipoti dei proscritti fino al 49 a.C., quando furono riabilitati da Cesare. La proscrizione sillana e la proscrizione dei triumviri hanno caratteristiche peculiari, che denotano una sostanziale differenza del loro significato storico e dei loro obbiettivi, che erano estremamente diversi. La prima distinzione evidente riguarda la messa in atto del processo e la sua conclusione. La prima proscrizione si inserisce infatti in un clima generalizzato di uccisioni indiscriminate, conseguente alla vittoria della parte sillana contro i mariani; per decisione di Silla stesso la procedura termina con una chiusura formale nel 1 giugno dell’81 a.C., come testimonia anche Cicerone nella Pro Roscio Amerino.[2] La proscrizione dei triumviri ha invece un inizio ben definibile, che si può far risalire alla Lex Pedia e alla Lex Titia, entrambe del 43. La Lex Pedia, per esteso Lex Pedia de interfectoribus Caesaris, era il senatus consultum fatto approvare dai consoli del 43 a.C., ovvero Gaio Giulio Cesare Ottaviano e Quinto Pedio, da cui il procedimento prende il nome, ed aveva come obbiettivo la punizione di tutti coloro che direttamente e indirettamente avevano partecipato alla congiura e all’uccisione di Cesare. La Lex Titia, che risale al 27 novembre del 43 a.C., garantiva formalmente al secondo triumvirato il diritto di governare per cinque anni. A differenza della prima proscrizione, la proscrizione dei triumviri non termina con una vera conclusione ufficiale, ma terminerà di fatto con il patto di Miseno del 39 a.C. Come testimonia un passo dell’editto triumvirale riportato da Appiano nel Bellum Civile, la prima proscrizione aveva lascito un ricordo così forte che i triumviri, consapevoli dell’impopolarità della procedura che stavano per intraprendere, si preoccuparono di sottolineare la differenza tra la propria proscrizione e la precedente proscrizione sillana: "noi non uccideremo quanti un altro -prima di noi- ne uccise, avendo potere di dittatore, anche lui nel quadro di un riordinamento politico in un conflitto civile: e voi lo chiamaste felix per i suoi successi. Eppure sarebbe inevitabile che tre persone avessero più nemici che uno solo".[3]
I fatti
La proscrizione di Silla ebbe quindi inizio nell'82 a.C., in seguito alla sua seconda marica su Roma, e alla sua nomina a dittatore, ed anche se fu in parte concepita come un atto di vendetta contro le uccisioni perpetrate dai mariani nell'87 e nell'82 a.C., fu ben presto regolamentata da un procedimento giuridico che non lasciava spazio ad iniziative personali. Dopo la vittoria di Porta Collina del primo novembre dell'82 a.C., dal momento che il Senato romano non era intervenuto impedendo ulteriori disordini, Silla si occupò personalmente di ristabilire l'ordine a Roma, avendo ancora con sé i suoi soldati, che rimasero ai suoi ordini fino al giorno del trionfo, celebrato l'8 gennaio dell'81. Il 2 novembre dell'82 a.C. Silla convocò il Senato nel tempio di Bellona, che essendo situato all'esterno del [pomoerium], la cinta sacra di Roma, nella parte meridionale del Campo Marzio gli permetteva di esercitare il potere militare in qualità di proconsole, potere che in seguito sarà accresciuto dall'assunzione della carica di dittatore. Qui espose un'apologia delle proprie azioni ed illustrò il piano che intendeva seguire. Nello stesso momento, nella "Villa Publica" poco distante, venivano giustiziati i prigionieri dell'esercito vinto. Dichiarando che non sarebbe stato concesso il perdono per tutti coloro che avevano collaborato con la parte mariana dopo la rottura della tregua dell'83 a.C. fatta dal console Scipione, Silla redasse le liste includendo tutti i magistrati di Roma, ovvero consoli, pretori, questori e legati, gli ex-magistati, ed i senatori e cavalieri di parte mariana, senza però includere i semplici cittadini, che pure l'avevano combattuto. Immediatamente dopo l'assemblea Silla fece dunque proclamare dal banditore un "edictum" che fece poi affiggere nel foro e negli altri luoghi deputati all'affissione pubblica, là dove erano esposti gli editti dei magistrati, sia a Roma che negli altri centri d'Italia. La procedura d'affissione continuò nei quattro giorni successivi, ovvero dal 3 novembre al 6 novembre dell'82 a.C. Silla fece affiggere tre liste di nomi, che in totale comprendevano 80 senatori e 440 cavalieri. In queste liste furono inclusi tutti gli abitanti dell’Etruria e del Sannio di qualche importanza; il Sannio e l’Etruria che si erano opposti a Silla fino alla vittoria finale pagarono le conseguente delle loro scelte. Mentre l’Etruria vide la confisca delle terre di tutti i suoi centri più importanti, la guerra civile tra Mario e Silla si concluse con la distruzione totale del Sannio. Silla, dopo aver fatto uccidere tutti i prigionieri sanniti caduti nelle sue mani, completò l’epurazione con le liste di proscrizione.
L'editto di Silla
L'editto del proconsole Silla, secondo la consuetudine romana era scritto con il minio sulla superfici di tavolette di legno imbiancate, denominate semplicemente "tabulae". Tale editto non è stato conservato, ed il suo contenuto può essere dedotto dall'editto relativo alla Seconda Proscrizione, riportato da Appiano nel Bellum Civile. Nella prima parte dell'editto di Silla si giustificavano le misure decise contro i proscritti, ricordando i crimini che avevano commesso, e vietando che fosse perseguitato chiunque non fosse nominato di seguito. Le prescrizione dell'editto erano probabilmente precedute dalla formula rituale "Quod felix faustumque sit", che ricorda come il potere del magistrato deriva dalla divinità. I proscritti erano esclusi dal diritto di asilo in qualsiasi luogo: l'aiuto nei loro confronti era punibile con la morte, e non erano affatto considerati i legami di parentela. Inoltre, per il cittadino che avesse collaborato era prevista una ricompensa, pagata ufficialmente dal questore con fondi pubblici[4].
Infatti chi avesse ucciso un proscritto non soltanto non sarebbe stato accusato di omicidio, ma riportandone la testa, avrebbe ricevuto la ricompensa di due talenti d'argento, pari a 48.000 sesterzi. Una ricompensa minore era riservata a chi avesse denunciato un proscritto o avesse contribuito alla sua cattura. Qualora fosse stato uno schiavo, sarebbe stato affrancato. I beni dei proscritti erano destinati alla confisca e tutti i parenti maschi del proscritto erano soggetti alle medesime misure, con l'esclusione in perpetuo dalla vita pubblica. Se il proscritto apparteneva al rango senatorio i suoi parenti dovevano comunque concorrere per la loro parte agli oneri imposti ai senatori. Alle prescrizioni seguiva poi la prima lista, in cui comparivano 80 nomi di esponenti del ceto senatorio di parte mariana, magistrati o ex magistrati. A questa lista seguirono altre due liste per un totale di 440 nomi; la seconda lista, affissa il 5 novembre dell'82 a.C., conteneva 220 nomi, mentre la terza lista, affissa il 6 novembre dell'82 a.C riportava gli ultimi 220 nomi di senatori e cavalieri. I personaggi figuravano nelle liste in ordine di importanza. I primi due erano i consoli di quell’anno, ovvero Gneo Papirio Carbone e Gaio Mario il giovane, seguiti dai consoli dell’83 a.C., Lucio Cornelio Scipione e Gaio Norbano. Comparivano poi due dei tre pretori dell’83 a.C., Marco Giunio Bruto e Burrieno, e i cinque pretori dell’82 a.C., Lucio Giunio Bruto Damasippo, Marco Mario Gratidiano, Marco Peperna Veiento, Gaio Carrinas e Marcio Censorino. Seguiva il nome del tribuno della plebe dell’82 a.C. Quinto Valerio Sorano, e quello di alcuni pro-magistrati, tra cui Quinto Sertorio e Gneo Domizio Aenobarbo.
Le conseguenze dell’editto
Benché nell’editto non si faccia esplicitamente riferimento alla condanna a morte, ma vengano piuttosto elencata una serie di misure volte a privare i proscritti dello status di cittadini romani, la morte del proscritto appare inevitabile per le successive imposizioni. I proscritti erano condannati perché limitanti dalla serie di divieti che negavano loro il diritto di asilo, perché nessuno, pena la morte, avrebbe potuto accogliere un proscritto, nasconderlo o aiutarlo nella fuga, ed inoltre erano ricercati in vista di importanti ricompense in denaro per la loro uccisione o denuncia. Inoltre, in caso di esecuzione non immediata, la condanna risultava valida in ogni tempo e in ogni luogo. Per il proscritto si verificava quindi l’impossibilità giuridica di sfuggire alla morte con l’esilio, con la conseguenza che, quasi tutti coloro che scamparono inizialmente alla morte dandosi alla fuga, furono in seguito catturati e uccisi oppure costretti al suicidio. È questo il caso del console Gaio Norbano, che si era rifugiato a Rodi, da sempre luogo sicuro di esilio, e che si suicidò pubblicamente nell’agorà dopo che gli abitanti dell’isola non avevano risposto negativamente alla richiesta della sua estradizione avanzata da Silla. Con la prospettiva di ricompense considerevoli, rafforzata inoltre dalla rassicurazione che il cittadino il cui nome non era riportato in nessuna delle tre liste poteva considerarsi al sicuro, e che quindi era opportuno dare immediata prova di adesione al nuovo regime, si scatenò una caccia all’uomo di notevoli proporzioni non soltanto ad opera dei partigiani di Silla ma anche da parte dell’intera collettività.
La proscrizione come procedura straordinaria nel sistema giuridico romano
La prima proscrizione si configura come una procedura straordinaria, perché prima di questa il mondo romano risolveva il caso degli oppositori facendo prevalentemente ricorso all’esilio. Nel mondo romano l’esilio è un fenomeno che ha una pluralità di esiti, e non sempre è considerato come una pena. L’esilio può essere infatti considerato come l’esercizio di cui il cittadino romano può avvalersi e che gli è comminato al posto di una pena più grave, come riporta Cicerone[5] oppure come una scappatoia per fuggire alla pena di morte, come riporta Sallustio[6], oppure –soprattutto in epoca imperiale- come una pena vera e propria inserita all’interno del sistema punitivo romano. Queste tre possibilità non si susseguono necessariamente nel tempo, ma appaiono spesso coesistere affiancate. Poiché risulta che inizialmente l’esilio comminato come pena si ha sempre un delitto particolarmente grave e non una ragione politica, sia pure in senso non stretto, ne risulta che "l’esilio comminato come pena si rivela l’equivalente di ciò che in delitto penale sarà la proscrizione"[7], sottolineando dunque l’apparente equivalenza negli effetti dell’esilio e della proscrizione intesi come pena comminata ai colpevoli. Tuttavia, dopo l’82 a.C., accanto alla possibilità di evitare la morte scegliendo l’esilio e (in molti casi) senza perdere la cittadinanza romana, compare il fenomeno della proscrizione che ha la duplice caratteristica di legittimare di fatto uccisioni palesi ma soprattutto di impedire ai proscritti la scelta dell’esilio, formalmente ancora possibile.
Il numero delle vittime
Il numero delle vittime della prima proscrizione è impossibile da calcolare con precisione, perché le varie fonti presentano cifre differenti. Inoltre, il fatto che la tradizione storiografica superstite sia essenzialmente di stampo senatorio rappresenta un elemento di distorsione della verità storica. Benché si sottolinei fortemente il massacaro dei senatori, considerando le cifre appare evidente che non è stata la componente senatoria ma quella equestre ad essere colpita nel modo più duro. Secondo Appiano, che pure durante la narrazione si sofferma sulla morte di 58 senatori contro due sole uccisioni di cavalieri e 27 personaggi di cui non viene precisato la classe sociale, sarebbero stati uccisi 60 senatori, 1600 cavalieri ed altri personaggi di cui non è esplicitato il ceto. Valerio Massimo, che è meno preciso di Appiano, perché non fa distinzioni di censo, in totale ci sarebbero stati 4700 morti; per Floro i morti sarebbero stati 2000, mentre per Orosio che fa il calcolo più alto, i morti sarebbero stati 9000.[8]
Le esecuzioni
Benché l'editto del proconsole non si esprimesse in alcun modo sulla modalità di esecuzione, il sistema di ricompensa richiedeva necessariamente la decapitazione. Il pagamento era infatti effettuato in presenza della testa mozzata, come testimonia la Tavola di Heraclea. Tuttavia, a differenza delle proscrizioni del 43 a.C., quando le esecuzioni eseguite dai soldati avvenivano comunemente in strada o dovunque si trovasse il proscritto, la prima proscrizione vide uccisioni realizzate in modo solenne, che avevano una notevole somiglianza con le esecuzioni militari. Generalmente le esecuizioni avvenivano infatti all'esterno del pomoerium, con l'eccezione dei prigionieri di guerra giustiziati dopo un trionfo, che venivano uccisi nel Foro. Quindi il proscritto, una volta arrestato, veniva condotto nel Campo Marzio dove avveniva l'esecuzione. Il condannato era privato delle vesti, e con le mani legate dietro la schiena subiva prima la fustigazione con delle verghe e infine veniva fatto sdraiare al suolo pre ricevere il colpo dell'ascia. La morte avveniva quindi per decapitazione con l'ascia oppure per sgozzamento, al punto che il verbo iugulare viene spesso usato come sinonimo di proscribere. L'esecuzione mediante il taglio della testa assimila ulteriormente i proscritti a nemici catturati in guerra, ed è quindi un atto infamante. L'esecuzione era eseguita davanti al magistrato, in questo caso Silla, che assisteva con la testa velata da un lembo della toga, in segno di lutto. La testa troncata del proscritto veniva poi portata nei luoghi più visibili della città, dove già Mario, al suo ritorno a Roma nell'87 a.C., aveva esposto le teste dei suoi avversari. Questi luoghi erano il Foro, dove le teste erano esposte sui rostri, le tribune utilizzate per le arringhe, oppure alla fontana del lacus Servilius, là dove la via Jugaria immetteva nel Foro, e dove furono eseguite anche alcune condanne, secondo la testimonianza di Cicerone e di Seneca.[9] Le teste rimanevano esposte finché la decomposizione non aveva cancellato i tratti del volto. Quindi il corpo veniva straziato e mutilato sistematicamente dal carnifex con un uncino, con cui veniva poi trascinato fino al pons Aemilius e da qui gettato nel Tevere, secondo la stessa procedura utilizzata per i condannati che morivano in prigione. Sia la decapitazione che l’accanimento sul corpo delle vittime rispondono pienamente al desiderio di annientare l’integrità del corpo, che il mondo antico riteneva requisito imprescindibile per ottenere una sepoltura rituale e un conseguente statuto onorevole nel mondo dei morti. La mutilazione si inserisce quindi nel processo di degradazione e umiliazione del condannato, già iniziato con il l’utilizzo del termine proscriptio e che porterà Cicerone a definire il proscritto come qualcuno che "non è soltanto bandito dal numero dei vivi, è anche, se così può essere, relegato più in basso dei morti".[10]
Esecuzioni particolari
Si verificarono anche alcuni casi particolari in cui la mutilazione solitamente riservata ai cadaveri fu inflitta a uomini ancora vivi, e in cui il carnefice evitò di sferrare subito il colpo mortale, strappando gli occhi della vittima al termine dell'esecuzione, in modo che potesse assistere all'intera tortura. Sono questi i casi di Bebio, di Marco Pletorio, di un non bene identificato Venuleio e di Marco Gratidiano. Il caso di Bebio è particolare per il fato che si tratta di due persone diverse, entrambe appartenenti alla gens Baebia. Il primo M. Baebius fu ucciso nell’87 a.C. al ritorno di Mario, dopo essere stato trascinato con uncino e tagliato a pezzi, mentre il secondo Bebio, al ritorno di Silla, fu smembrato dalla folla mentre era ancora vivo, nel corso di una vera esecuzione di massa.[11] Marco Pletorio e Venuleio sono due personaggi di cui non ci sono notizie certe. Una tradizione riferisce che furono messi a morte in condizioni simili a Bebio, un’altra tradizione collega la loro fine all’esecuzione di Marco Gratidiano. Marco Gratidiano fu giustiziato in modo spettacolare sul Gianicolo, sulla tomba dei Catuli, per mano di numerosi carnefici tra cui Catilina. In primo luogo fu mutilato sistematicamente in tutte le parti del corpo (l’ordine delle mutilazioni è riportato dalle fonti in modo diverso) ed infine fu decapitato da Catilina. La sua esecuzione ebbe particolare rilievo perché si trattava di un nipote di Mario, del magistrato più importante che i sillani erano riusciti a catturare (era pretore) e di un personaggio estremamente popolare per un precedente editto che aveva eliminato le monete coniate da M. Livio Druso. La sua esecuzione si riveste di elementi altamente simbolici non soltanto per le modalità con cui fu effettuata, ma anche per il luogo; la tomba di Quinto Lutazio Catulo, console con Mario nel 102 a.C. e con lui vincitore dei Cimbri, era infatti un luogo politicante importante per i sillani vincitori sulla parte mariana.
La confisca dei beni
I beni dei proscritti come quelli appartenenti a chi era morto in guerra dalla parte mariana venivano requisiti e devoluti allo Stato. Si tratta di una procedura che assimila i proscritti, non a caso definiti hostes publici, ad un qualunque nemico di Roma, per cui i loro beni erano considerati praeda, bottino di guerra, spettante di diritto ai Romani vittoriosi. L'equivalenza beni dei proscritti/bottino era stata dichiarata dallo stesso Silla, alla cui presenza, con una lancia conficcata simbolicamente a terra, i beni erano posti all'asta. Queste aste erano pubbliche, ma date le circostanza i beni furono venduti a prezzi irrisori rispetto al loro valore, a vantaggio di Silla stesso, dei suoi familiari, la moglie Metella e la figlia, e dei suoi alleati e collaboratori nelle persecuzioni, ovvero P. Licinio Crasso, M. Emilio Lepido, Bellieno, L. Sergio Catilina e il liberto di Silla L. Cornelio Chrysogono. La vendita all’asta avveniva ad un prezzo irrisorio rispetto al valore del bene, ma è possibile avere una qualche nozione del passaggio delle proprietà causato dalla prima proscrizione grazie ad un passo della Periocha LXXXIX di Livio, dove è scritto che Silla “vendette i loro beni, dai quali sottrasse moltissime delle cose più belle. È stato redatto che questi beni avessero un valore di trecentocinquanta milioni di sesterzi”.[12] Tutte le fonti che parlano della prima proscrizione, oltre alla distruzione fisica dei proscritti, sottolineano con insistenza l’importanza dell’elemento economico, legato per di più alla dissoluzione del concetto di proprietà inalienabile, espresso dalla formula dominum ex iure Quiritium. Con la prima proscrizione, attraverso l’epurazione controllata dei capi della sconfitta fazione rivale, il nuovo regime ricerca l’appoggio delle masse proletarie con l’incitamento all’eliminazione indiscriminata dei possidenti e la possibilità di una facile acquisizione delle loro ricchezze. L’intero processo è bene esplicitato da Sallustio che scrive "se qualcuno bramava la casa o la villa, e poi le suppellettili e gli abiti altrui, si faceva in modo che fosse messo nella lista dei proscritti"[13] Si trattava però di beni il cui possesso si rivelò molto precario, come conferma il tentativo di Rullo, contrastato da Cicerone, di confermarne la validità nel 63 a.C.[14], e la cui restituzione agli antichi proprietari fu poi pretesa dalla Lex Porcia del 64 a.C., promulgata dal questore Marco Catone. In ogni caso la verità storica è che a Roma le ricchezze, ed in particolar modo il patrimonio immobiliari, erano imprescindibili per intraprendere la carriera politica, per cui i personaggi più ricchi dello Stato che furono proscritti coincisero necessariamente con gli uomini politici.
I discendenti maschi dei proscritti
Secondo una prassi comune nel mondo antico[15] i figli e i discendenti maschi dei proscritti erano colpiti con l'esilio e non potevano ereditare le proprietà paterne, perché la mentatalità corrente faceva ricadere sui figli la colpa del padre. Con questa prassi si risolvevano due problemi distinti: in primo luogo, poiché i figli non potendo ereditare i beni paterni, confiscati dallo stato, decadevano necessariamente di censo, e quindi non potevano aspirare a cariche pubbliche, rischiando di diventare pericolosi oppositori politici. In secondo luogo, in una società in cui erano fondamentali i legami familiari, e che includeva nel "mos maiorum" il concetto di "pietas“, intesa anche come dovere di vendetta del figlio nei confronti del padre, il nemico del padre diventava necessariamente quello del figlio, con conseguenze non solo politiche ma anche sociali e personali di lotta tra famiglie, per cui l'impossibilità che avevano i figli dei proscritti di vendicare i loro familiari, o almeno di riabilitare la loro memoria, finiva per eliminare completamente il ricordo dei proscritti, evitando che si innescasse una spirale di violenze e vendette in ambito pubblico come in ambito privato.
La sorte dei capi mariani
I capi marinai superstiti che non furono immediatamente catturati ebbero sorti diverse. Alcuni furono costretti al suicidio, come Gaio Norbano, altri scapparono verso luoghi lontani da Roma, come Quinto Sertorio che trovò rifugio in Spagna. Lucio Scipione ottenne invece il permesso di vivere in esilio a Massalia, salvandosi unicamente per la sua minima importanza politica e per l’appartenenza all’illustre gens degli Scipioni. La vendetta di Silla si rivolse ovviamente anche contro Mario, il suo avversario principale, che però era già morto nell’86 a.C., quindi più di quattro anni prima. Impossibilitato ad ucciderlo, Silla si accanì contro la sua memoria pubblica, rovesciando i trofei e i monumenti che commemoravano le vittorie di Mario sugli Africani e sui Teutoni, cancellando i suoi atti, ed infine rompendo la sua tomba e disperdendo le ceneri nel fiume Aniene.
La sorte delle città
I centri d’Italia furono colpiti in modo molto diverso dalla prima proscrizione. In alcuni centri la proscrizione interessò soltanto un numero esiguo di cittadini, come a Larino, dove furono proscritti soltanto quattro cavalieri. Alcune città trovarono invece una scappatoia che permise agli abitanti che non erano stati proscritti di superare indenni questo pericolo: nella città di Nola si preferì fare uscire i proscritti dalle mura della città, in modo che fossero giustiziati da un reparto di cavalleria. Altre città subirono una punizione molto più dura, in particolar modo Preneste e Norba. Prima della caduta della città di Preneste, Silla aveva già inviato all’assediante di Preneste, Q. Lucrezio Ofella, le teste di Marcio Censorino, Carrinas, Damasippo e di M. Mario Gratidiano, i capi mariani giustiziati immediatamente dopo la vittoria di Porta Collina, in modo che fossero esposte alla vista di [[Mario il giovane, asserragliato dentro Preneste, e degli abitanti della città, come monito della futura sorte della città assediata. Dopo la caduta della città e il suicidio di Mario il giovane, la cui testa fu portata a Roma ed esposta sui rostri, gli abitanti di Preneste furono suddivisi in tre gruppi. Gli abitanti che avevano la cittadinanza romana vennero graziati, i Sanniti e i Prenestini furono invece giustiziati; in totale furono uccise forse 12000 uomini. Dopo aver concesso la vita alle donne e ai bambini, Silla abbandonò la città in fiamme al saccheggio del suo esercito. La città di Norba, patria del console Gaio Norbano, resistette all’assedio dei sillani, fino a quando M. Emilio Lepido riuscì ad entrare nella città grazie ad un tradimento. Per non cadere nelle mani dei sillani, all’ingresso di Lepido i cittadini fecero ricorso al suicidio collettivo, e dato che alcuni si erano rinchiusi nelle loro case appiccandovi il fuoco, l’incendio si propagò con rapidità distruggendo completamente la città.
La regolarizzazione della proscrizione
Per confermare la validità del suo editto di proscrizione,visto che l'editto di un magistrato romano aveva valore soltanto per la durata della sua magistratura, negli ultimi giorni del dicembre dell'82 a.C., Silla fece approvare la lex Cornelia. Questa legge era corredata da due liste, ed andava a colpire tutti i nemici dello Stato, formalizzando le procedure della proscrizione. Nella prima lista comparivano sia i proscritti che i loro figli maschi, mentre nella seconda lista erano nominati tutti coloro che erano morti nel corso dei combattimenti della guerra civile. La lex Cornelia metteva esplicitamente al riparo dall'accusa di omicidio tutti coloro che avessero ucciso un proscritto, stabiliva la proibizione del lutto da parte delle famiglie dei proscritti uccisi, per evitare disordini impedendo che le famiglie dedicassero ai loro morti cerimonie funebri che avrebbero avuto risonanza politica ed inoltre stabiliva per il proscritto la damnatio memoriae, ovvero la distruzione dei ritratti e delle statue del personaggio, anche privati, insieme alla cancellazione del suo nome da tutte le iscrizioni in cui compariva.
Le ragioni della prima proscrizione
Le ragioni della prima proscrizione devono essere trovata nel clima generale successivo alla conclusione dello scontro tra sillani e mariani. Tutte le fonti, anche quelle dichiaratamente antisillane, concordano sul fatto che in una situazione così incandescente sarebbe stato impossibile concedere il perdono ai nemici e proibire qualsiasi genere di repressione, perché il tutto si sarebbe risolto in un massacro indiscriminato, perpetrato esclusivamente sulla base di rancori personali. Silla assunse dunque il compito di regolarizzare la repressione, e assumendo il titolo di Ultor, il Vendicatore, diede inizio al fenomeno della prima proscrizione. Procedette così rapidamente che appena due giorni dopo la vittoria di Porta Collina a Roma si sapeva già che l’epurazione dei sostenitori della parte avversa sarebbe stata contenuta e limitata da una procedura regolarizzata, e tre giorni dopo Porta Collina con la comparsa dell’ultima delle tre liste di proscrizione, si conoscevano con precisione i nomi di tutti coloro che erano stati colpiti dal procedimento. La prima proscrizione viene quindi istituita per cercare di arrivare ad un’epurazione controllata in un clima di massacri, e costituisce quindi un notevole progresso per aver regolato per la prima volta a Roma l’eliminazione degli oppositori politici attraverso una procedura giudiziaria.
L’obbiettivo di Silla
Lo scopo principale della prima proscrizione, benché nascosto sotto il più evidente obbiettivo dell’immediata eliminazione fisica dei nemici, si rivela nella sua interezza nella volontà di destituire di ogni auctoritas i proscritti, attraverso una serie umiliazioni che li privino non soltanto della vita, ma anche della loro dimensione di uomini. Inoltre, con la cancellazione di tutti i loro atti e la proibizione di perpetuarne il ricordo da parte delle famiglie, si arriva a negare la stessa esistenza del proscritto. Di fatto il ricorso alla procedura della proscrizione è un tentativo per evitare la nascita di nuovi avversari politici. L’utilizzo del termine proscriptio, con il valore dispregiativo in riferimento alla vendita all’asta dei beni confiscati, la presenza del banditore che annuncia pubblicamente alla collettività il contenuto dell’editto e i nomi di coloro che vi compaiono, la decapitazione e la successiva esposizione pubblica della testa, la mutilazione del cadavere a cui è vietata la sepoltura, la negazione del lutto, la damnatio memoriae e l’esclusione di tutti i discendenti maschi del proscritto dalla vita politica, annientano non soltanto il proscritto ma tutta la sua gens. La proscrizione, e la conseguente damnatio memoriae, hanno avuto un impatto tale da cancellare dai documenti storici non soltanto moltissimi nomi, ma anche la testimonianza dell'esistenza di intere gentes. È inoltre elemento degno di considerazione il fatto che siano stati tramandati soltanto 750 nomi su un totale di 520 proscritti, con l’ulteriore conseguenza che questo 15% dei proscritti non costituisca una minoranza rappresentativa, ma sia soltanto il risultato casuale di ciò che è stato fortuitamente tramandato.[16]
L’immagine della prima proscrizione tramandata dalla tradizione
Nonostante l’indubbio valore della prima proscrizione, nella direzione di un’epurazione legalizzata rivolta verso un numero limitato di cittadini, in cui trova comunque sfogo la violenza collettiva, per la prima volta canalizzata in un’unica e ben determinata direzione, l’immagine del fenomeno che è stata tramandata è quella di un periodo di terrore scatenato da un tiranno senza pietà per nessuno. L’immagine di Silla ha subìto, a causa della proscrizione, una deformazione in senso negativo paragonabile in qualche misura soltanto a quella subita da Annibale, l’hostis per antonomasia, con la creazione della figura del vincitore crudele che annega la propria vittoria in un bagno di sangue. Questa immagine del dittatore si è formata soltanto a partire dalla prima e dalla seconda generazione dopo Silla, prevalentemente a causa dell’accostamento della prima proscrizione alla proscrizione triumvirale del 43 a.C. Infatti, i testi pervenuti, che sono tutti posteriori alla seconda proscrizione, sono necessariamente influenzati da quest’ultima, per cui Silla oltre ad essere contrapposto ad Augusto, il restauratore della res publica dopo anni di conflitti, si trova anche a soffrire del paragone con Antonio, a cui la propaganda augustea aveva attribuito l’intera responsabilità del fenomeno della proscrizione triumvirale. L’immagine di Silla tramandata dalla tradizione nasce quindi a partire da Sallustio, precisandosi attraverso i testi di numerosi autori, ovvero Cassio Dione, Appiano, Valerio Massimo, Pausania e soprattutto dalle Vite Parallele di Plutarco, ed è inoltre rafforzata dalla scelta diametralmente opposta di clementia fatta da Cesare, l’erede della tradizione mariana, in seguito alla sua vittoria contro Pompeo.
Note
- ^ Hinard, Les proscriptions de la Rome républicaine, p. 20
- ^ Opinor enim esse in lege quam ad diem proscriptiones venditionesque fiant, nimirum Kalendas Iunias, poiché, se non erro, deve essere espresso nella legge fino a quale giorno debbano durare le proscrizioni e le vendite, cioè fino al primo di giugno, Cic. Pro Sex. Rosc. 128
- ^ οὐδ᾽ὅσους ἕτερος πρὸ ἡμῶν αὐτοκράτωρ ἔκτεινε, τὴν πόλιν κἀκεῖνος ἐν ἐμφυλίοις καθιστάμενος, ὅν Εὐτυχῆ προσείπατε δι᾽εὐπραξίαν, καίπερ ἀνάγκης οὔσης τρισὶ πλέονας ἐχθροὺς ἢ ἑνὶ εἶναι, App. Bell. Civ. IV 10.39
- ^ Questa disposizione di pagamento fece sì che quando nel 64 a.C. Cesare e Catone attaccarono per motivi politici tre personaggi che si erano arricchiti grazie ai "praemia" ricevuti per la loro collaborazione durante la Prima Proscrizione, trovarono la lista completa di tali "praemia" nei registri dei questori, in cui erano riportate dettagliatamente le somme che ognuno aveva ricevuto. Per questo motivo durante la Seconda Proscrizione fu specificato nell'editto che le ricompense per la collaborazione non sarebbero state riportati nei registri dei questori per preservare l'anonimato dei collaboratori
- ^ exilium enim non supplicium est, sed perfugium portusque supplici, l'esilio non è di per sè una pena, ma è un rifugio e un porto per il colpevole che vuole scampare alla punizione, Cic. Pro Cael. 100
- ^ At aliae leges item condemnatis civibus non animam eripi, sed exilium permitti iubent, però ugualmente altre leggi vietano di giustiziare i cittadini e prevadono che si possano esiliare, Sall. Cat. 51. 42
- ^ Crifò, L'esclusione dalla città; altri studi sull'exilium romano, p. 22
- ^ Le cifre riportate sono fornite da Appiano, Bell. Civ. I, 95, 442-443; Valerio Massimo Fact. Dic. mem. IX 2. 1; Floro Epit. Rer. Rom. II 9. 25; Orosio Hist. adv. pag. V 21
- ^ Multos caesos non ad Trasimenum lacum, sed a Servilium vidimus, poiché molti del tuo mestiere li abbiamo visti ammazzati non presso il lago Trasimeno, ma presso il Servilio, Cic. Pro. Sex. Rosc. 89; videant largum in foro sanguinem et supra seruilianum lacum (id enim proscriptionis Sullanae spoliarum est) senatorum capita, guardino i fiumi di sangue nel Foro e le teste mozzate dei senatori sulla fontana di Servilio (è questo il patibolo della proscrizione di Silla), Sen. De Prov. III 7
- ^ Is non modo ex numero vivorum exturbatur, sed, si fieri potest, infra etiam mortuos amandatur, Cic. Pro Quinct. XV 49
- ^ Baebium sine ferro ritu ferarum inter manus laniatum, Bebio, fatto a pezzi con le mani, senza spada, come le bestie selvatiche, Flor. Epit. Rer. Rom.
- ^ Bona eorum vendidit; ex quibus plurima prima rapuit. Redactum esset sestertium ter miles quingentis Periocha LXXXIX
- ^ Uti quisque domum aut villam, postremo vas aut vestimentum alicuius concupiverat, dabat operam ut is in proscriptorum numero esset Sall. Cat. 51. 33-34
- ^ Cic. Leg. Agr. III 3.11
- ^ Un fenomeno simile si verifica a Cartagine con la repressione della congiura di Annone nel IV a.C., e a Roma nel 121 a.C. con la repressione dei sostenitori di Gaio Gracco. In entrambi i casi, indipendentemente dalla colpevolezza, vennero giustiziati tutti i rappresentanti delle famiglie, compresi i fanciulli
- ^ Hinard, Les proscriptions de la Rome républicaine, p. 128-133
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