Operazione Anello
Operazione Anello (in russo Операция Кoльцo, Operacija Kolžo) era il nome in codice assegnato dall' alto comando sovietico all'offensiva finale sferrata Armata Rossa il 10 gennaio 1943 nel corso della battaglia di Stalingrado, durante la seconda guerra mondiale sul fronte orientale. Dopo oltre venti giorni di duri combattimenti le truppe sovietiche schiacciarono la disperata resistenza delle forze tedesche della 6ª Armata, completamente accerchiate dal 24 novembre 1942 in una grande sacca tra il Volga ed il Don, e conclusero vittoriosamente la lunga battaglia segnando una svolta politico-militare decisiva della guerra all'est.
Operazione Anello parte del fronte orientale della seconda guerra mondiale | |||
---|---|---|---|
Data | 10 gennaio – 2 febbraio 1943 | ||
Luogo | Stalingrado | ||
Esito | vittoria sovietica | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
Effettivi | |||
| |||
Perdite | |||
| |||
Voci di battaglie presenti su Wikipedia | |||
Le truppe tedesche, esaurite dal lungo accerchiamento, dalle carenze di rifornimenti e dal rigido clima invernale, opposero resistenza fino all'ultimo ma vennero infine costrette alla resa entro il 2 febbraio 1943; i soldati superstiti, il comandante dell'armata, feldmaresciallo Friedrich Paulus, e i generali caddero tutti prigionieri.
Fortezza Stalingrado
Situazione strategica tra il Don e il Volga
Formazione del kessel e primi attacchi sovietici
La grande offensiva del'Armata Rossa nel settore meridionale del fronte orientale (operazione Urano), iniziata il 19 novembre 1942, si concluse in pochi giorni con un grande successo: già il 23 novembre le colonne corazzate del Fronte Sud-Ovest del generale Nikolaj Vatutin e del Fronte di Stalingrado del generale Andrej Eremenko si congiunsero, dopo aver sbaragliato le difese tedesco-rumene a nord-ovest e a sud di Stalingrado, a Kalač sul Don, accerchiando tutto il raggruppamento di forze tedesche schierato sul fronte del Volga ed impegnato da due mesi nella cruenta battaglia all'interno della città[2].
Nella notte del 24 novembre Stalin parlò con il generale Aleksandr Vasilevskij, coordinatore a nome dello Stavka delle operazioni, e sollecitò una rapida distruzione delle forze nemiche accerchiate; anche il generale Konstantin Rokossovskij, comandante del Fronte del Don, e il generale Eremenko premevano per un attacco immediato e il giorno successivo il generale Vasilevskij diramò ordini per attacchi concentrici in direzione di Gumrak per frantumare le forze tedesche nella sacca in corso di formazione. Ma questi primi attacchi non ottennero alcun risultato: le divisioni tedesche mantennero le posizioni sul Volga e contemporaneamente riuscirono a organizzare uno sbarramento a ovest, a nord e a sud che infranse subito il tentativo delle armate sovietiche[3]. Tra il 2 dicembre e il 7 dicembre un nuovo tentativo scarsamente coordinato del generale Eremenko e del generale Rokossovksij, sferrato dopo una direttiva del 30 novembre del generale Vasilevskij su pressione di Stalin, impaziente di distruggere le truppe tedesche accerchiate prima di organizzare nuove offensive sul Don, venne ugualmente respinto dalla tenace resistenza della 6ª Armata[4].
La sera del 24 novembre Adolf Hitler aveva deciso definitivamente, nonostante il parere contrario di molti generali al comando[5], che le truppe tedesche accerchiate avrebbero dovuto difendere le posizioni raggiunte sul Volga, organizzare una solida difesa circolare in tutte le direzioni ed attendere il soccorso dall'esterno da parte di un nuovo raggruppamento in corso di costituzione sul Cir e l'Aksaj al comando del feldmaresciallo Erich von Manstein. Nell'attesa la cosiddetta Festung Stalingrad ("Fortezza Stalingrado"), rifornita per mezzo di un continuo ponte aereo organizzato dagli aerei da trasporto della Luftwaffe, doveva resistere ad oltranza.
Le truppe accerchiate, raggruppate sotto il controllo della 6ª Armata al comando del generale Friedrich Paulus, ammontavano a cinque corpi d'Armata (14° Panzerkorps, 4°, 8°, 11° e 51° Corpo d'Armata) con 20 divisioni tedesche, di cui tre corazzate - 14. Panzer-Division, 16. Panzer-Division, e 24. Panzer-Division, tre motorizzate - 3ª, 29ª e 60ª, quattordici di fanteria - 44ª, 71ª, 76ª, 79ª, 94ª, 100ª jäger, 113ª, 295ª, 297ª, 305ª, 371ª, 376ª, 384ª, 389ª Divisione fanteria[6]. Si trattava di formazioni esperte e combattive, impegnate con successo in molti campi di battaglia[7]; le divisioni corazzate e motorizzate erano tra le più efficienti della Wehrmacht, molte divisioni di fanteria disponevano di un reclutamento di ottima qualità[8]; questi reparti erano stati protagonisti delle fasi vittoriose della campagna del 1942 a partire dalla seconda battaglia di Char'kov e molti erano stati impegnati nei duri e sfibranti scontri nella città di Stalingrado. Lo stato maggiore della 6ª Armata, veterano delle campagne in Polonia, Francia e Russia, era particolarmente qualificato e l'apparato di comando, guidato dal generale Paulus e dal capo di stato maggiore Arthur Schmidt, godeva della piena fiducia dell'OKH[9]. Lo stesso Hitler aveva esaltato in precedenza la potenza d'urto e le capacità della 6ª Armata.
Nella sacca (il kessel - "calderone" - nella terminologia dei soldati tedeschi) erano rimaste bloccate, oltre a venti divisioni tedesche, anche due divisioni rumene (1ª Divisione cavalleria e 20ª Divisione fanteria), un reggimento croato e alcune decine di soldati italiani (reparti autieri del 127° e 248° autoreparto); inoltre erano presenti la 9ª Divisione FlaK del generale Pickert, due reggimenti Nebelwerfer, dodici battaglioni dei genieri e pionieri d'assalto, quattro reggimenti e cinque battaglioni d'artiglieria campale, tre battaglioni di artiglieria pesante e altre 149 formazioni indipendenti di comandi amministrativi e logistici. Un totale di circa 270.000 soldati[10] con oltre 1.800 cannoni, 100 carri armati e 10.000 automezzi. Una tale quantità di truppe nemiche accerchiate non era stata prevista dallo Stavka e quindi la pianificazione sovietica, basata su valutazioni molto più ridotte del numero di soldati rimasti nella sacca (calcolati in solo 80.000 uomini), sottovalutò le difficolta di mantenere il blocco della 6ª Armata e soprattutto di distruggerla in breve tempo con un rapido attacco immediato.
Attacchi e contrattacchi
Il 4 dicembre dal quartier generale del Fronte del Don, il generale Vasilevskij comunicò a Stalin che, in assenza di rinforzi decisivi, sarebbe stato difficile distruggere in tempi brevi le forze nemiche accerchiate che davano prova di solidità e resistenza. Il dittatore decise quindi di assegnare al fronte del generale Rokossovksij il rinforzo della potente 2ª Armata della Guardia che, al comando del generale Rodion Malinovskij, era in arrivo dalle riserve e di cui era stato in precedenza previsto l'impiego nella seconda fase della ambiziosa operazione Saturno[11].
Stalin comunicò al generale Vasilevskij l'arrivo di questo importante rinforzo e ordinò di preparare un piano dettagliato per una nuova offensiva contro la sacca di Stalingrado da iniziare entro il 18 dicembre. L'8 dicembre quindi i generali Vasilevskij e Rokossovskij discussero, insieme al generale Malinovskij arrivato al quartier generale del Fronte del Don a Zavarikino per pianificare l'impiego della sua armata ancora in marcia, il nuovo piano per distruggere le forze nemiche accerchiate che venne presentato il giorno dopo a Stalin. Esso, denominato "operazione Anello" (Kolžo), prevedeva un'offensiva in tre fasi in cui avrebbe giocato un ruolo decisivo la 2ª Armata della Guardia. Stalin approvò con qualche variazione il piano l'11 dicembre, ma nuovi e pericolosi sviluppi operativi avrebbero portato entro poche ore all'abbandono di questo primo progetto ed a un'ulteriore rinvio dell'offensiva decisiva contro le truppe accerchiate della 6ª Armata[12].
Il 12 dicembre il raggruppamento del generale Hermann Hoth, dipendente dal nuovo Gruppo d'armate Don guidato dal feldmaresciallo Erich von Manstein, sferrò da Kotelnikovo l'attacco da sud in direzione della sacca per sbloccare le truppe accerchiate (operazione Tempesta Invernale, Wintergewitter) e mise in difficoltà il debole schieramento del Fronte di Stalingrado del generale Eremenko, organizzato sull'anello esterno dell'accerchiamento. A causa di questa pericolosa controffensiva, divenne prioritario per lo Stavka bloccare il tentativo di soccorso e quindi l'esecuzione dell'operazione Anello venne sospesa e la 2ª Armata della Guardia venne trasferita, dopo un brusco colloquio telefonico tra Stalin e il generale Vasilevskij la notte del 12 dicembre, sulla linea del fiume Myskova a disposizione del generale Eremenko per contrastare l'avanzata delle Panzer-Division del generale Hoth. Inoltre il 16 dicembre l'Armata Rossa diede inizio alla operazione Piccolo Saturno, una nuova offensiva sul medio Don con obiettivi più ridotti rispetto all'originale operazione Saturno; questo nuovo attacco raggiunse in pochi giorni grandi successi. Le divisioni italiane schierate sul Don furono sbaragliate e i corpi corazzati sovietici poterono avanzare in profondità nelle retrovie del Gruppo d'armate Don e verso gli aeroporti della Luftwaffe da cui partivano gli aerei da trasporto per il rifornimento della Festung Stalingrad[13].
Nella terza settimana di dicembre la situazione ebbe una svolta a favore dell'Armata Rossa: le truppe corazzate del generale Hoth furono rallentate e poi contrattaccate dalle forze del Fronte di Stalingrado, rinforzate dalla 2ª Armata della Guardia del generale Malinovskij e quindi non poterono raggiungere la sacca della 6ª Armata, mentre le colonne del generale Nikolaj Vatutin, impegnate nell'operazione Piccolo Saturno, raggiunsero gli aeroporti di Tatsjnskaja e Morozovskaja, disorganizzando ancor di più il sistema di rifornimento aereo tedesco, le cui carenze avevano già indebolito fortemente le condizioni delle divisioni accerchiate nel kessel'.
Il 24 dicembre il feldmaresciallo von Manstein, di fronte al rischio di un cedimento completo del suo schieramento e di un accerchiamento dell'intero Gruppo d'armate Don e del Gruppo d'armate A, sempre fermo nel Caucaso, decise di trasferire una parte delle forze corazzate del generale Hoth a nord del Don verso gli aeroporti per contrastare le colonne sovietiche del generale Vatutin, e quindi le speranze di raggiungere le truppe della 6ª Armata accerchiate nella sacca, lontane ancora 48 chilometri, svanirono definitivamente.
Decisioni degli alti comandi tedesco e sovietico
Decisioni ed errori dell'alto comando tedesco
Nel corso dei drammatici colloqui per telescrivente del generale Paulus e del generale Arthur Schmidt con il feldmaresciallo von Manstein ed il generale Schulz (capo di stato maggiore del Gruppo d'armate del Don) il 19 dicembre ed il 23 dicembre era stata abbandonato il progetto di sortita delle truppe accerchiate (operazione Donnerschlag). Il generale Paulus non aveva ritenuto di poter effettuare di propria iniziativa una sortita generale dalla "fortezza" che sarebbe stata in contraddizione con gli ordini espliciti di Hitler di rimanere nella sacca, difendere il fronte sul Volga ed attendere il soccorso dall'esterno. Inoltre il generale considerava una manovra di ritirata estremamente difficile in ragione del peggioramento del clima, della scarsa mobilità delle sue truppe a causa della macellazione dei cavalli e della carenza di carburante, che avrebbe permesso solo una marcia di 20 o 30 chilometri. Il feldmaresciallo von Manstein dal canto suo non si prese la responsabilità di autorizzare esplicitamente la sortita anche senza l'autorizzazione dell'OKH e inoltre non rappresentò in modo chiaro le difficoltà della situazione generale del fronte e il probabile fallimento della controffensiva del generale Hoth, verosimilmente anche per non intaccare il morale del comando dell'armata ma in questo modo fornendo informazioni incomplete.
Anche dopo il fallimento della controffensiva del generale Hoth, evidente dal 24 dicembre, Hitler continuò almeno apparentemente a mostrare ottimismo: nella direttiva del 27 dicembre venne enfatizzato che "il salvataggio della 6ª Armata deve rimanere cruciale e fondamentale per la condotta delle operazioni". Il 29 dicembre il Fuhrer parlò al generale Hube, giunto in aereo al suo quartier generale dalla sacca per essere decorato, di una nuova manovra controffensiva in fase di preparazione con l'intervento di pontenti formazioni di Waffen-SS in arrivo dalla Francia; inoltre Hitler riuscì in parte a rafforzare la fiducia del generale, giunto a Rastenburg con l'intenzione di illustrare con franchezza la situazione tragica dell'armata, dichiarando che le forze di soccorso era in afflusso e che il rifornimento aereo sarebbe stato molto potenziato.
Nel suo messaggio del 1 gennaio a Paulus ed all'armata Hitler ripetè le sue assicurazioni cercando di sostenere il morale del generale e dei soldati con promesse di aiuto e soccorso[14]. In questa occasione anche il feldmaresciallo von Manstein scrisse a Paulus che "le operazioni del gruppo d'armate sono dirette solamente a soccorrere la 6ª Armata il più presto possibile". In questa fase il feldmaresciallo von Manstein dimostrò una rigida aderenza alle direttive del Fuhrer e anche ai primi di gennaio comunicò al generale Paulus di limitarsi ad obbedire agli ordini superiori di resistenza ad oltranza senza preoccuparsi delle possibili conseguenze per i soldati dell'armata accerchiata.
Esteriormente il generale Paulus continuò a mostrare determinazione e fiducia, cercò di rinsaldare la coesione con frequenti visite ai comandi sulla linea dell'accerchiamento; nel suo messaggio di risposta a Hitler del 1 gennaio ribadì la sua decisione di resistere con "volontà incrollabile" fino alla vittoria finale. In realtà il generale Paulus nel suo rapporto del 26 dicembre al feldmaresciallo von Manstein aveva ripetuto il parere che un tentativo di sortita in massa dalla sacca delle truppe dela 6ª Armata era impossibile in ragione del deterioramento delle condizioni dei soldati e della scarsità di rifornimenti; inoltre il generale aveva evidenziato anche con chiarezza che, in assenza di un incremento del rifornimento dell'armata in vettovaglie, munizioni e carburante, non sarebbe stato possibile resistere a lungo ad un attacco in forze dell'Armata Rossa.
Nonostante questo pessimismo di fondo, il morale del generale Paulus, i cui nervi erano ormai molto scossi e la cui capacità di resistenza era messa a dura prova, venne in parte rafforzato dalle comunicazioni presentate dal generale Hube, di ritorno nella sacca il 9 gennaio; il comandante del 14° Panzerkorps riferì sull'ottimismo mostrato dal generale Zeitzler e sulle assicurazioni di Hitler riguardo l'organizzazione di una nuova forza di salvataggio in corso di raggruppamento a Char'kov con divisioni Waffen-SS. Inoltre il generale Paulus ritenne suo dovere obbedire agli ordini e continuare a difendere il kessel anche per superiori esigenze strategiche, essendogli stato comunicato dal feldmaresciallo von Manstein e dal generale Hube che la resistenza della sacca era ritenuta dall'OKH di estrema importanza operativa per tenere impegnate numerose armate sovietiche ed allegerire la pressione nemica sul resto del fronte meridionale tedesco in fase di riorganizzazione dopo la serie di sconfitte.
Contrasti nell'alto comando sovietico
Anche se l'imprevista resistenza della 6ª Armata nel kessel di Stalingrado, la controffensiva del feldmaresciallo von Manstein e l'organizzazione della nuova offensive sul Don avevano costretto l'alto comando sovietico a rivoluzionare il calendario stabilito delle operazioni e a rinviare l'attacco finale contro la sacca, Stalin diede sempre grande importanza alla rapida distruzione delle forze tedesche accerchiate che avrebbe permesso di disporre in breve tempo delle numerose armate sovietiche impegnate nel blocco della sacca per sostenere le altre offensive in corso nel settore meridionale a nord e a sud del Don.
Quindi fin dal 19 dicembre, mentre l'operazione Piccolo Saturno aveva appena iniziato a svilupparsi con successo ed erano evidenti i segni di cedimento del fronte dell'Asse, il dittatore comunicò al generale Nikolaj Voronov, che coordinava la battaglia sul medio Don contro l'8ª Armata, che, avendo completato con successo la prima fase dell'operazione, doveva recarsi subito al comando del Fronte del Don per pianificare ed organizzare insieme al generale Rokossovskij una nuova versione dell'operazione Anello, l'attacco finale contro le truppe tedesche della sacca. Stalin respinse bruscamente le obiezioni del generale Voronov, dubbioso sull'utilità di abbandonare prematuramente il coordinamento dell'offensiva sul medio Don; al contrario, sollecitò la massima velocità, sottolineando che il compito di distruggere le truppe tedesche accerchiata rimaneva prioritario.
Inoltre il dittatore criticò il 28 dicembre il progetto dei generali Voronov e Rokossovskij inviato a Mosca la sera del 27 dicembre. Il 3 gennaio, di fronte a nuove obiezioni del generale Voronov ed alla sua richiesta di un ultimo rinvio di quattro giorni dell'offensiva contro la 6ª Armata, Stalin ebbe espressioni di sarcastica critica nei confronti delle incertezze dei suoi generali e consentì solo con riluttanza ad accordare un ultimo rinvio dell'operazione Anello, prevista per il 6 gennaio, di quattro giorni.
Il generale Voronov, giunto il 20 dicembre a Zavarikino, sede del posto di comando del Fronte del Don del generale Rokossovskij, dovette quindi organizzare in fretta gli ultimi preparativi e l'organizzazione dei piani e delle forze per l'attacco alla sacca di Stalingrado. La pianificazione venne ben presto completamente modificata dalle nuove informazioni acquisite grazie al rinvenimento della corrispondenza dei soldati tedeschi nella sacca rinvenuta in un aereo da trasporto costretto ad atterrare dietro le linee sovietiche. In questo modo si apprese finalmente che la consistenza delle truppe accerchiate era molto superiore alle cifre stabilite dal servizio informazioni (circa 86.000 uomini). Le nuove stime calcolarono la presenza di molte più divisioni tedesche bloccate nella sacca e quindi le ottimistiche previsioni iniziali di poter concludera la battaglia in cinque o sei giorni vennero completamente accantonate anche in relazione alla forza delle linee difensive nemiche ed al ritardo dell'afflusso dei rinforzi necessari.
Il generale Voronov propose inoltre di centralizzare tutte le truppe sotto il comando del Fronte del Don del generale Rokossovskij a cui sarebbe state assegnate anche le tre armate (62ª, 64ª e 57ª Armata) del Fronte di Stalingrado. Lo Stavka approvò questa proposta e quindi il 1 gennaio 1943 il generale Rokossovskij assunse il controllo, sotto la supervisione del generale Voronov, delle sette armate schierate intorno alla sacca e il generale Eremenko, nonostante le sue rimostranze e l'appoggio del maresciallo Georgij Žukov, venne escluso dalla fase finale della battaglia ed incaricato di concentrarsi con le forze del Fronte Meridionale (nuova denominazione del vecchio Fronte di Stalingrado) sulla marcia verso Rostov per tagliare la strada alle forze tedesche del Gruppo d'armata A in ritirata dal Caucaso. Ritardi nei trasporti a causa della carenza di linee ferroviarie e delle esigenze delle altre offensive sovietiche in corso contemporaneamente, costrinsero il generale Voronov ad un rinvio fino al 10 gennaio.
Esaurimento della 6ª Armata
Deterioramento del morale e decadimento fisico dei soldati
Nella fase iniziale dell'accerchiamento le truppe tedesche isolate mantennero, nonostante la subitaneità e la del tutto imprevista svolta delle operazioni, la coesione e conservarono nel complesso il morale; anche se alcuni manifestarono abbattimento e timori per la loro posizione isolata, nel complesso i soldati tedeschi, veterani del fronte est e solidamente inquadrati dai comandi, avevano fiducia nelle promesse di salvataggio di Hitler e dei generali e, considerando anche i precedenti accerchiamenti subiti dalla Wehrmacht sul fronte orientale e terminati sempre con successo, consideravano la situazione ancora risolvibile a favore della Germania.
Dopo i giorni del Natale 1942 la situazione fisica e psicologica dei soldati tedeschi accerchiati nella sacca ebbe un continuo peggioramento: le "voci" sul fallimento della controffensiva del feldmaresciallo von Manstein, i crescenti rigori del'inverno e l'aggravarsi della situazione dei rifornimenti con conseguente accentuarsi dei fenomeni di inedia e malattia, fecero precipitare le condizioni della 6ª Armata e le sue capacità di resistenza. Tra gli ufficiali e le truppe iniziò a diffondersi, pur rimanendo sostanzialmente intatta la volontà di battersi fino all'ultimo, la sensazione di essere stati abbandonati dai comandi superiori e di essere stati sacrificati e "traditi", dopo tante promesse, per superiori ed incomprensibili ragioni strategiche. Dall'analisi della corrispondenza scritta dai soldati tedeschi accerchiati all'inizio di gennaio risulta evidente il deteriomento del morale delle truppe della 6ª Armata : solo il 2,1% delle lettere testimoniavano un atteggiamento positivo verso la guerra; gli scettici erano il 4,4%, increduli e pessimisti il 57,1%, indifferenti il 33% ed in esplicita opposizione alla guerra il 3,4%.
A causa del disastroso fallimento del rifornimento aereo della sacca risultò subito impossibile garantire l'adeguato regime di alimentazione ai soldati accerchiati nella sacca valutato in 2.500 calorie giornaliere per il quale la 6ª Armata avrebbe avuto bisogno di 282 tonnellate quotidiane di vettovagliamento. Di conseguenza, in mancanza di adeguate forniture dall'esterno, l'armata fu costretta ad esaurire rapidamente le sue modeste scorte che già il 20 dicembre erano molto diminuite e soprattutto a ridurre in modo catastrofico le razioni alimentari dei soldati. Il quantitativo di pane assegnato, ben lontano dai 500 grammi al giorno ritenuti necessari, si ridusse a 200 grammi l'8 dicembre e a soli 50 grammi il 26 dicembre; inoltre per integrare le magre razioni con carne si procedette alla macellazione dei cavalli, a loro volta sempre peggio nutriti, con la conseguenza che la mobilità delle unità di fanteria e di artiglieria, basata ancora in maggioranza sul traino animale, decadde drasticamente. A fine dicembre rimanevano 23.000 cavalli che il comando d'armata cercava di risparmiare per non ridurre all'immobilità le sue truppe. Anche le scorte segrete di viveri disponibili presso i reparti (le cosiddette "riserve nere") vennero ben presto consumate e quindi le condizioni fisiche dei soldati, in conseguenza dell'insufficente regime alimentare e del rigido clima invernale precipitarono rapidamente all'inizio del nuovo anno; si verificarono quindi un rapido incremento dei malati e anche un crescente numero di decessi per cause imputabili seplicemente all'inedia. I soldati della 6ª Armata, a causa della fame, del freddo, della carenza di equipaggiamenti e di vestiario, dello scoraggiamento morale, si ridussero sempre più in uno stato precario e misero[15].
Organizzazione delle difese del kessel
La situazione delle truppe tedesche era particolarmente disagevole e tatticamente difficile tra le divisioni che difendevano i lati occidentale e meridionale della sacca; costretti fin dall'accerchiamento di novembre ad organizzare frettolosamente un fronte difensivo improvvisato per impedire che l'armata fosse attaccata alle spalle, avevano dovuto costituire posizioni all'aperto nella steppa scoperta in inverno con mezzi, materiali ed armamenti insufficienti, organizzando deboli posizioni difensive esposte agli attacchi sovietici ed ai rigori del clima. Pur avendo potuto utilizzare in parte le vecchie e modeste posizioni difensive costruite dai sovietici in estate, i soldati tedeschi schierati nei settori occidentali e meridionali del kessel si trovarono sempre in posizione precaria e subirono un costante logoramento anche prima dell'inizio dell'offensiva finale. Meno critica era la situazione delle truppe tedesche rimaste nelle vecchie postazioni all'interno delle rovine di Stalingrado e sulle rive del Volga, che, pur perdendo alcune posizioni contro l'aggressività della 62ª Armata, si asserragliarono ai caposaldi e soffrirono relativamente meno le carenze di rifornimenti e i disagi dell'inverno.
Il generale Paulus aveva lasciato sul fronte del Volga la maggior parte delle divisioni che avevano combattuto per due mesi la violenta e sanguinosa battaglia all'interno della città: il 51° Corpo d'armata del generale Walther von Seydlitz-Kurzbach disponeva in questo settore della 71ª, 79ª, 295ª, 305ª e 389ª Divisione fanteria, della 100ª Divisione cacciatori, dei resti della 94ª Divisione fanteria uscita quasi distrutta dall'intempestivo movimento di ritirata intrapreso il 25 novembre e dei battaglioni di pionieri d'assalto arrivati a Stalingrado nell'ultima fase degli scontri urbani[16]. Sul lato nord-orientale della sacca era schierato l'11° Corpo d'armata del generale Karl Strecker con la 60ª Divisione motorizata, la 16. Panzer-Division e la 24. Panzer-Division; si trattava di posizioni ancora relativamente solide dotate di fossati anticarro, reticolati e campi di mine; sul lato sud il 4° Corpo d'armata del generale Erwin Jaenecke schierava su posizioni meno solide la 371ª, la 297ª Divisione fanteria e i resti della 20ª Divisione rumena. A nord-ovest il generale Walther Heitz difendeva il settore con la 44ª, 76ª, 113ª e 384ª Divisione fanteria; mentre nella posizione più esposta e pericolosa, il "naso di Marinovka" a ovest, era posizionato il 14° Panzerkorps del generale Hans Hube con la 3ª Divisione motorizzata, la 376ª Divisione fanteria e la 29ª Divisione motorizzata. Dietro questo settore più minacciato, da cui in origine avrebbe dovuto partire in dicembre la sortita dalla sacca prevista al piano Donnerschlag, stazionava come riserva mobile la 14. Panzer-Division, mentre era anche disponibile la 9ª Divisione contraaerea della Luftwaffe al comando del generale Pickert con i suoi cannoni utilizzabili nel tiro anticarro.
Secondo un documento del 22 dicembre la 6ª Armata disponeva ancora in quella data di una forza vettovagliata di circa 249.000 uomini, compresi 13.000 rumeni e 19.300 ausiliari, di cui 25.000 soldati di fanteria di prima linea e 3.200 pionieri d'assalto, la forza combattente complessiva veniva calcolata nel 60-70% della forza vettovagliata[17]. Al 28 dicembre il comando calcolò in 241.000 soldati la forza presente nella sacca ed in 30.000 uomini il numero delle perdite fino a quel momento dopo il 24 novembre, e comunicò che la forza combattente reale dell'armata consisteva in 117 battaglioni a cui si aggiungevano altri 4 battaglioni forti, 42 medi e 67 deboli; erano disponibili ancora 426 cannoni campali medi e leggeri, 123 cannoni campali pesanti, 48 lanciarazzi, 40 cannoni contraerei pesanti, 131 carri armati, cannoni d'assalto e cacciacarri[18]. Il comando dell'armata aveva cercato di utilizzare il tempo trascorso prima dell'offensiva finale sovietica per migliorare le sue posizioni, organizzando linee scaglionate più arretrate di ripiegamento; inoltre per colmare le perdite era stato inserito nei reparti combattenti anche il numeroso personale amministrativo, di comando e logistico presente all'interno della sacca, molti servizi di retrovia erano stati sciolti[19].
Il rifornimento aereo
Organizzazione e difficoltà del "ponte aereo"
Nonostante periodici ritorni di fiducia tra le truppe accerchiate in connessione con la diffusione di voci inattendibili su forze di soccorso in arrivo e sul lancio di paracadutisti tedeschi nella sacca, la situazione dell'armata agli inizi di gennaio 1943 divenne catastrofica in conseguenza soprattutto del fallimento del promesso rifornimento aereo. La sera del 23 novembre lo stato maggiore della Luftwaffe, guidato dal generale Hans Jeschonnek, durante una riunione al quartier generale di Göring aveva affermato di poter garantire 350 tonnellate di rifornimenti al giorno alla 6ª Armata in caso di accerchiamento, ma questo obiettivo comunque ritenuto insufficiente dal comando dell'armata che aveva calcolato la necessità di almeno 500 tonnellate giornaliere per mantenere in efficenza le truppe accerchiate, non fu assolutamente raggiunto a causa di una serie di fattori e di carenze che si rivelarono insuperabili. In primo luogo la 4ª Luftflotte, nonostante le fossero stati frettolosamente assegnati tutti gli Ju 52 disponibili provenienti anche da sezioni di addestramento e di servizi, rinforzati da reparti aerei equipaggiati con una moltitudine di aerei diversi, spesso inadatti, come Ju 290, He 111, Fw 200, He 177 e Ju 86, ebbe a disposizione all'inizio di dicembre solo circa 500 aerei con una prontezza operativa teorica del 30-50%, che si dimostrarono del tutto insufficienti.
Questi aerei da trasporto inizialmente decollavano dagli aerodromi di Tatsjnsksja e Morozovskaja distanti circa 200-240 chilometri da Stalingrado; dopo l'evacuazione di queste basi aeree alla fine di dicembre a causa dell'arrivo delle colonne corazzate sovietiche, gli aerei tedeschi dovettero partire da campi molto più distanti, prima a Salsk e Novocerkask e infine Vorosilograd, Taganrog, Stalino, Sverevo[20]. All'interno della sacca erano disponibili due aeroporti principali, Pitomnik e Gumrak, e due aeroporti secondari, Basargino e Stalingradskij; in un primo momento nel kessel rimasero alcune squadriglie di caccia, ricognitori e bombardieri in picchiata che vennero poi evacuate dopo la caduta di Pitomnik il 16 gennaio 1943. A Pitomnik erano basati i 22 piloti da caccia della cosiddetta Platzschutzstaffel, guidata dal capitano Rudolf Germeroth del JG3, che rivendicò 130 vittorie aeree fino al suo ritiro il 17 gennaio. Oltre a carenze di mezzi e di basi adeguate, il rifornimento aereo fu un fallimento anche a causa delle deficenze dell'organizzazione a terra per il mantenimento dell'efficenza dei terreni e delle macchine, per la mancanza di adeguati sistemi per il controllo del volo e per il servizio meteorologico. Gli equipaggi furono sottoposti ad una grande pressione psicofisica e non risultarono adeguatamente addestrati per la difficile missione.
Il clima, caratterizzato spesso da nuvole basse, nebbia, ghiaccio, tempeste di neve, intralciò grandemente il ponte aereo. Inoltre il lavoro di pianificazione e coordinamento del rifornimento aereo da parte delle numerose strutture di comando della Luftwaffe e dell'esercito coinvolte fu organizzato in fretta e con scarsa preparazione e non funzionò in modo soddisfacente. Si verificarono ritardi nei trasporti dei materiali alle basi aeree, errori logistici, problemi di raccolta e deposito, decisioni errate sulla scelta dei carichi con l'invio a volte di materiali superflui a discapito dei rifornimenti essenziali.
Infine il ponte aereo venne continuamente contrastato dalle forze sovietiche: l'artiglieria contraerea dell'Armata Rossa era pericolosa e attiva, mentre i caccia della VVS intervennero contro i trasporti causando dure perdite a causa anche dell'insufficente copertura dei caccia tedeschi. Incursioni aeree colpirono ripetutamente gli aerodromi di partenza e di arrivo e le vie di accesso alle aree di decollo, fuoco di artiglieria e di mortai bersagliò i campi di volo all'interno della sacca ritardando e disorganizzando lo scarico e il carico degli aerei. Stalin si preoccupò per la possibile riuscita del ponte aereo e dai primi di dicembre intervenne direttamente per organizzare un blocco aereo della sacca con un sistema di osservazione a terra dei voli ed una sistematica attività di intercettazione da parte dei aerei della 235ª Divisione caccia del colonnello Podgornij[21].
Le forze aeree sovietiche erano organizzate nella 8ª, 16ª e 17ª Armata aerea e vennero costituite due linee di sbarramento: una linea esterna di 50 chilometri di larghezza, divisa in cinque settori e presidiata dagli aerei da caccia, ed una linea interna di 10 chilometri di larghezza affidata all'artiglieria contraerea. Le perdite della Luftwaffe durante il tentativo di rifornimento della 6ª Armata furono pesanti. Alcune fonti riferiscono che nel periodo 24 novembre 1942-31 gennaio 1943 andarono perduti in azione o per incidenti 488 aerei da trsporto: 266 Ju 52, 165 He 111, 42 Ju 86, 9 Fw 200, 5 He 177, 1 Ju 290; altre fonti riportano cifre ancor più elevate: 536 aerei da trasporto, 149 bombardieri, 123 caccia e 2.196 uomini di equipaggio[20].
Bilancio del "ponte aereo"
Nonostante il grande impegno, i sacrifici degli equipaggi e le notevoli perdite, i risultati raggiunti dal ponte aereo furono deludenti: diretto inizialmente dal comando del 8° Fliegerkorps del generale Martin Fiebig dal quartier generale di Tatsjnskaja, l'aereorifornimento raggiunse risultati molto inferiori alle esigenze. Secondo Heinz Schröter dal 24 novembre 1942 al 10 gennaio 1943 furono trasportati nella sacca una media giornaliera di sole 102 tonnellate di materiali e vettovaglie, scesa a 40 tonnellate dal 10 al 16 gennaio e ad appena 6-8 tonnellate dopo quella data; il risultato migliore sarebbe stato raggiunto il 19 dicembre con 282 tonnellate di rifornimenti[20].
Altre fonti riportano dati differenti; il feldmaresciallo Paulus nelle sue memorie scrive di una media giornaliera di 97,3 tonnellate di rifornimenti tra il 1 e il 10 dicembre e di 137,7 tonnellate tra il 12 e il 31 dicembre, con una media totale di 94,16 tonnellate di materiali e vettovaglie trasportate nel kessel; Paul Carell invece riferisce di una media giornaliera finale lievemente maggiore: 104,7 tonnellate di rifornimenti. Infine secondo il capo di stato maggiore della 4ª Luftflotte, generale von Rohden, ripreso dagli storici tedeschi Walter Görlitz e Manfred Kehrig la media quotidiana variò da 53,8 tonnellate nei primi giorni dell'accerchiamento, a 97,3 tonnellate fino al 3 dicembre, salì a 137,7 tonnellate fino al 23 dicembre, discese, dopo la caduta degli aeroporti di Tatsjnskaja e Morozovskaja, a 105,4 tonnellate fino al 10 gennaio.
Nell'ultima fase della battaglia, Hitler, sotto l'impressione del disastroso rapporto presentato dal capitano Winrich Behr, proveniente dalla sacca, decise il 15 gennaio di creare un comando speciale per il rifornimento di Stalingrado affidato al feldmaresciallo Erhard Milch con quartier generale a Melitopol. Il ponte aereo ebbe un ultima e tardiva ripresa: il quantitativo giornaliero di rifornimenti, dopo essere sceso a 60 tonnellate tra l'11 e il 14 gennaio, passò a 79 tonnellate dal 15 al 19 gennaio, e a 77,9 tonnellate dal 20 gennaio al 2 febbraio. Ma era ormai troppo tardi per ottenere risultati importanti; a causa della perdita degli aeroporti nella sacca, della disorganizzazione tecnica e dell'ulteriore ripiegamento delle basi di partenza dei trasporti, il ponte aereo era ormai praticamente finito, negli ultimi giorni furono effettuati solo inefficaci lanci dall'aria di contenitori di rifornimenti che spesso andarono perduti o caddero in mano nemica. Secondo il generale von Rohden il risultato massimo del ponte aereo fu raggiunto il 20 dicembre con 291 tonnellate di rifornimenti trasportati all'interno della sacca di Stalingrado.
Oltre alla catastrofica carenza di vettovaglie per uomini e animali, le carenze del ponte aereo ridussero anche grandemente la disponibilità di munizioni per i soldati, i mezzi corazzati e l'artiglieria; in luogo del consumo effettivo di 132 tonnellate al giorno, le forniture si ridussero in media ad appena 16,4 tonnellate e raggiunsero al massimo le 53,4 tonnellate. Espedienti momentanei come il trasferimento interno di riserve di munizioni e l'utilizzo di materiale straniero non poterono migliorare la situazione e quindi le scorte si ridussero a nulla. La situazione del carburante era ancor più critica, e, insieme alla perdita dei cavalli destinati alla macellazione, ridusse l'armata in una situazione di mobilità molto ridotta. Le richieste di 350 metri cubi di benzina e Diesel al giorno non poterono essere esaudite e i rifornimenti si limitarono ad una media di appena 37,35 metri cubi, mentre le riserve caddero a soli 15 metri cubi di carburanti. Le disponibilità erano così scarse che dal 5 gennaio la 6ª Armata divenne praticamente immobile ed anche il sistema di distribuzione dei rifornimenti all'interno della sacca, che consumava giornalmente 50 metri cubi di carburante, divenne molto difficoltoso.
Importante fu invece la funzione degli aerei da trasporto tedeschi per permettere l'evacuazione dalla sacca; il generale Paulus ed il comando dell'armata stabilirono una rigida procedura di selezione del personale autorizzato a lasciare il kessel. In primo luogo dovevano essere evacuati i feriti, con precedenza per quelli gravi; in questo modo furono trasportati in salvo per via aerea circa 25.000 feriti[22]. Altro personale autorizzato erano i corrieri dell'armata scelti in prevalenza tra i soldati non più idonei al combattimento; su disposizione dell'OKH furono inoltre evacuati nell'ultima fase della battaglia gli ufficiali destinati alla carriera di stato maggiore e gli ufficiali e i soldati delle truppe corazzate e di altri corpi specialistici[23], in questo modo uscirono dalla sacca circa altri 7.000 uomini, tra cui gli esperti ufficiali Willy Langkeit, Rudolf Sieckenius, Bernd Freytag von Loringhoven, Bernhard Sauvant. Tra gli ufficiali superiori furono evacuati i generali Hans Hube, delle truppe corazzate, Wolfgang Pickert, della Luftwaffe, Erwin Jaenecke e Bernhard Steinmetz, feriti. Infine il comando d'armata decise di evacuare anche i comandi di tre divisioni disciolte durante la battaglia a causa delle gravi perdite, la 79ª, 94ª e 384ª Divisione fanteria[23]; il generale Paulus non prese mai in considerazione la possibilità di abbandonare le sue truppe[24].
Lo schieramento dell'Armata Rossa
Il piano originale per l'operazione Anello, studiato dai generali Voronov e Rokossovksij ed inviato allo Stavka il 27 dicembre, prevedeva un attacco principale da ovest verso est da parte di tre armate sovietiche per frantumare la sacca in due parti con un'avanzata lungo la direttrice Baburkin-Gumrak-Aleksejevka-quartiere operaio della fabbrica Krasnyj oktiabr. Ma il progetto, che era stato in precedenza concordato in parte con lo stato maggiore generale, venne criticato da Stalin e dallo Stavka che il 28 dicembre richiesero di modificare il piano. Le direttive di Stalin e dello Stavka evidenziavano il rischio di una dissipazione delle forze in settori separati e ordinavano di concentrare l'attacco iniziale soprattutto per schiacciare il settore occidentale della sacca tra Marinovka e Karpovka.
L'offensiva finale si sarebbe quindi sviluppata secondo il piano elaborato dai generali Voronov e Rokossovskij modificato sulla base delle richieste di Stalin e dello Stavka del 28 dicembre: esso prevedeva che in una prima fase la 21ª del generale Cistjakov e la 65ª Armata del generale Batov avrebbero attaccato da nord e da sud-ovest il saliente di Karpovka-Marinovka (il cosiddetto "naso di Marinovka"), mentre attacchi secondari sarebbero stati sferrati a sud dall 57ª Armata del generale Tolbuchin e a nord dalla 66ª Armata del generale Zadov. Nella seconda fase quattro armate, 21ª, 65ª, 57ª e la 24ª Armata del generale Galanin avrebbero attaccato in modo convergente da ovest verso est sulla direttrice Pitomnik-Gumrak-Stalingrado fino a dividere in due parti la sacca e a congiungersi, supportate a nord dalla 66ª Armata e a sud dalla 64ª Armata del generale Sumilov, con la 62ª Armata del generale Cujkov che, asserragliata nella sua testa di ponte nel rovine di Stalingrado, avrebbe trattenuto con attacchi locali il massimo di truppe tedesche.
Le forze sovietiche impegnate nel blocco della sacca e destinate a sferrare l'operazione Anello erano indebolite dopo due mesi di combattimenti e le divisioni soffrivano di una carenza di effettivi; il generale Voronov evidenziò queste debolezze del suo schieramento e quindi propose di concentrare soprattutto una grande potenza di fuoco ammassando un grande schieramento di artiglieria. Egli inoltre richiese rinforzi di fanteria per completare le sue formazioni d'assalto. Stalin e lo Stavka accolsero in parte queste richieste e quindi 20.000 soldati di rinforzo furono inviate alle armate e lo schieramento d'artiglieria venne fortemente potenziato con l'arrivo di reggimenti della riserva del comando supremo; sarebbero stati impiegati per la prima volta anche i nuovi reggimenti della Guardia di carri pesanti, destinati a penetrare le posizioni fortificate del nemico.
A gennaio 1943 e forze del Fronte del Don ammontavano a 39 divisioni e dieci brigate di fucilieri, 38 reggimenti dell'artiglieria di riserva dell'alto comando, dieci reggimenti di lanciarazzi katjusa, cinque brigate corazzate, tredici reggimenti di carri, tre treni blindati, diciasette reggimenti di artiglieria contraerea, quattordici compagnie lanciafiamme[25]; un complesso di 281.000 soldati, 257 carri armati, 300 aerei e quasi 10.000 cannoni[26]. Gli effettivi dell'Armata Rossa assegnati all'operazione Anello non erano numericamente molto superiori ai soldati tedeschi rimasti nella sacca, ma i sovietici poterono concentrare le loro forze nei punti prescelti per l'attacco dove la loro superiorità si rivelò schiacciante: di tre volte in soldati, di dieci volte im artiglieria. Nel settore d'attacco il Fronte del Don concentrò da 150 a 167 cannoni per chilometro di fronte ottenendo micidiali effetti distruttivi sulle fortificazioni tedesche[27].
Il 5 gennaio il generale Voronov decise, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dello Stavka, di inviare un formale ultimatum al comando della 6ª Armata per invitare alla resa, evitando ulteriori perdite ed altre sofferenze alle truppe accerchiate. Dopo aver realisticamente descritto le condizioni disperate dell'armata, il documento elencava le condizioni di resa, espresse in termini formalmente corretti. Dopo accordi via radio il 7 gennaio con il comando dell'armata accerchiata per concordare la consegna dell'ultimatum, vennero quindi inviati oltre le linee tedesche il maggiore Smyslov e il capitano Djatlenko, ma il primo tentativo di attraversare le linee venne respinto dal fuoco nemico. Nonostante le ingiunzioni dello Stavka di sospendere la procedura, il generale Voronov fece un secondo tentativo il 9 gennaio e questa volta gli intermediari riuscirono a consegnare il messaggio, già divulgato alle truppe accerchiate per mezzo di volanti lanciati dagli aerei e attraverso messaggi radio, ad un posto di comando tedesco. Il generale Paulus peraltro rifiutò ogni contatto e ordinò di rimandare indietro i due ufficiali; l'ultimatum venne quindi respinto dopo una consultazione del comandante dell'armata con i suoi generali[28].
Il generale Voronov quindi comunicò allo Stavka, che aveva chiesto subito informazioni, l'intenzione di procedere come previsto con l'operazione Anello il 10 gennaio; il generale e il comadante del Fronte del Don, generale Rokossovskij, si stabilirono, all'alba della rigida giornata invernale con temperature fino a -35° C, al quartier generale della 65ª Armata del generale Batov per assistere all'inizio dell'offensiva finale contro la sacca di Stalingrado[28].
Offensiva finale sovietica
Primo attacco
Conquista del "naso di Marinovka"
La convinzione del comandante della 6ª Armata di dover prolungare ad oltranza la resistenza della sacca per non essere responsabile del crollo del fronte tedesco ancora sottoposto ai violenti attacchi sovietici, si rafforzò dopo il 1 gennaio quando il comando apprese della ritirata in corso del Gruppo d'armate A dal Caucaso e quindi dell'importanza di non interrompere prematuramente i combattimenti anche per mantenere il possesso della linea ferroviaria Stalingrado-Tichoretz. Egli ritenne quindi necessario continuare la difesa della sacca di Stalingrado e respinse, in accordo con i generali comandanti dei corpi d'armata, l'ultimatum sovietico[29].
Alle ore 8.05 del 10 gennaio i generali Voronov e Rokossovskij, al posto di comando della 65ª Armata, ordinarono al generale Bieskin, comandante dell'artiglieria dell'armata di dare inizio allo sbarramento di fuoco contro le difese tedesche del "naso di Marinovka": per 55 minuti oltre 7.000 cannoni e lanciarazzi bombardarono con grande violenza le linee nemiche distruggendo molte fortificazioni e indebolendo fontemente le precarie posizioni tedesche della 44ª Divisione fanteria, della 3ª e 29ª Divisione motorizzata e di una parte della 376ª Divisione fanteria[30]. I reparti tedeschi erano già molto indeboliti dalle privazioni e dal freddo e, nonostante fossero stati rinforzati con pionieri e alcuni cannoni contraerei e cannoni d'assalto, subirono pesanti perdite sotto il fuoco d'artiglieria. Dopo lo sbarramento iniziale, alle ore 9.00 i fucilieri sovietici passarono all'attacco avanzando rapidamente nella steppa innevata, sostenuti da piccoli gruppi di carri armati T-34 e dal fuoco dei cannoni che fu diretto in profondità nelle retrovie o su punti di resistenza nemici; anche gli aerei d'assalto della 16ª Armata aerea sovietica intervennero con attacchi ai caposaldi tedeschi[31].
L'attacco principale venne sferrato da nord dalle divisioni della 65ª Armata del generale Batov contro la 44ª Divisione austriaca del generale Deboi, mentre la 21ª Armata del generale Cistjakov attaccò frontalmente la 3ª e la 29ª Divisione motorizzata e la 376ª Divisione fanteria che avevano fortificato i centri di Marinovka e Karpovka contro un attacco da sud[32]. Le difese della 44ª Divisione vennero superate in più punti e i soldati tedeschi dovettero abbandonare i loro ripari e ripiegare; di conseguenza l'avanzata dei fucilieri sovietici da nord mise in pericolo i fianchi e le spalle della 3ª Divisione motorizzata del generale Schlömer, della 29ª Divisione motorizzata del generale von Leyser e della 376ª Divisione fanteria del generale von Daniels, già in difficoltà per gli attacchi forntali della 21ª Armata. La resistenza tedesca fu tenace, alcuni reparti di riserva e i pochi carri armati rimasti tentarono anche di contrattaccare, ma entro la fine della giornata la divisione austriaca era ormai distrutta e alle ore 22.00 anche i soldati delle altre divisioni nel "naso di Marinovka" dovettero iniziare, sotto la pressione nemica, la ritirata a piedi nella neve, esposti allo scoperto dopo aver abbandonato sul posto i mezzi e le artiglierie[32].
Contemporaneamente all'offensiva principale nel settore di Marinovka, il Fronte del Don sferrò una serie di attacchi secondari in altri settori della sacca: a nord-ovest la 24ª Armata del generale Galanin riuscì ad aprire un varco tra la 76ª e la 113ª Divisione fanteria; in particolare la 76ª Divisione del generale Rodenburg subì dure perdite e l'11 gennaio fu costretta a ripiegare dopo aver abbandonato tutti i suoi cannoni e ridotta a soli 600 uomini[33]; a nord, tra Kuzmici e Orlovka, la 66ª Armata del generale Žadov attaccò con limitati risultati la 16. Panzer-Division del generale Angern e la 60ª Divisione motorizzata del generale Kohlermann; gli ultimi carri della divisione corazzata riuscirono ancora a contenere lo sfondamento; nel settore meridionale del kessel la 64ª Armata del generale Sumilov passò all'offensiva tra Tsybenko e Yelkhi contro la 297ª Divisione fanteria del generale Drebber, il kampfgruppe del colonnello Mäder e l'82° reggimento rumeno. Sotto il fuoco nemico, i rumeni abbandonarono le loro posizioni e i sovietici poterono guadagnare terreno; solo alcuni disperati contrattacchi di un battaglione di pionieri e della 297ª Divisione, formazione ancora solida, evitarono uno sfondamento completo[34]. Nei giorni seguenti la divisione respinse ancora ripetuti attacchi della 36ª Divisione fucilieri della Guardia, della 42ª Divisione fucilieri e di parte del 13° Corpo carri sovietico.
Il primo giorno di scontri terminò, dopo combattimenti molto intensi, con un'avanzata sovietica in alcuni settori di 7-8 chilometri, ma la resistenza tedesca era stata notevole e le perdite pesanti da entrambe le parti; gli attacchi frontali dei fucilieri sovietici costarono molte perdite all'Armata Rossa. Nella notte il generale Voronov presentò il suo primo rapporto a Stalin, durante tutti i giorni successivi dell'operazione Anello, il rappresentante della Stavka continuò a riferire giornalmente all'alto comando sovietico gli sviluppi dell'offensiva contro la sacca[35].
Nei giorni seguenti lo sfondamento sovietico nel "naso di Marinovka" divenne incontrollabile. La mattina dell'11 gennaio caddero i due caposaldi di Marinovka e Karpovka e furono contati 1.600 cadaveri tedeschi sul campo di battalgia; la 65ª e la 21ª Armata avanzarono pur continuando a subire dure perdite[36]. Nei primi tre giorni il Fronte del Don ebbe 26.000 morti e feriti e 135 carri armati distrutti o danneggiati, ma la situazione delle divisioni tedesche in ritirata, esposte a piedi all'aperto e costrette a trasportare a mano i cannoni controcarro, stava diventando catastrofica; i soldati della 6ª Armata cercarono di organizzare nuovi posizioni nella neve, mentre i resti della 14. Panzer-Division del generale Lattmann tentarono ancora di contrattaccare fino all'esaurimento delle munizioni[37]. Il 12 gennaio le divisioni sovietiche della 65ª Armata del generale Batov e 21ª Armata del generale Cistiakov raggiunsero le rive del fiume Rossoska, completando la conquista del "naso di Marinovka", mentre i resti delle divisioni del 14° Panzerkorps si ritiravano verso ovest[38].
Caduta di Pitomnik
La forte resistenza incontrata e le dure perdite subite nei primi giorni sorpresero i comandanti sovietici; il basso numero di prigionieri, solo 6.896 soldati catturati dall'inizio dell'attacco, confermava che i tedeschi mantenevano la combattività nonostante il logoramento del lungo assedio. I generali Voronov e Rokossovskij appresero finalmente notizie attendibili sulle forze accerchiate grazie alla cattura ed all'interrogatorio del tenente colonnello Werner von Kunowski, quartiermastro della 6ª Armata in assenza del colonnello Robert Bader che era rimasto fuori dalla sacca. Si apprese in questo modo che i comandi tedeschi avevano rafforzato le prime linee aggregando le truppe di retrovia ai reparti combattenti e soprattutto divenne noto che le forze accerchiate erano molto più numerose del previsto. Il 10 gennaio 1943 erano ancora presenti nel kessel 210.000 uomini; le perdite dell'armata fino a quel momento ammontavano a 10.000 morti e 25.000 feriti, di cui oltre 10.000 erano stati evacuati per via aerea[39].
Fin dai primi giorni il comando della 6ª Armata comunicò all'OKH che, anche se nel complesso i reparti ancora si battevano accanitamente e il ripiegamento sulla seconda posizione stava avvenendo mantenendo la coesione, sarebbe stato impossibile resistere fino alla data ipotizzata per la nuova operazione di soccorso preannunciata dal generale Hube, seconda metà di febbraio. Quindi veniva richiesto, per evitare il crollo della "Fortezza", l'invio per via aerea di sostanziali rinforzi di battaglioni da combattimento con armi pesanti; venne anche comunicato che, a causa della carenza di carburante, l'armata rischiava in poco tempo la totale immobilità, e "in queste condizioni la fine della resistenza sarebbe solo una questione di giorni"[40] .
Sul campo la situazione delle truppe tedesche era tragica. Le posizioni sulla Rossoska erano indifendibili con le forze disponibili e vennero superate il 15 gennaio dalle divisioni fucilieri sovietiche della 21ª Armata e della 65ª Armata che puntavano su Pitomnik, l'aeroporto principale della sacca[41]; il 14 gennaio era già caduto l'aerodromo secondario di Basargino. La 3ª Divisione motorizzata continuò a ripiegare a piedi, mentre la 29ª Divisione motorizzata del generale von Leyser sferrò un ultimo contrattacco con i quattro carri armati rimasti prima di cedere a sua volta[42]; nel settore meridionale della sacca la situazione del 4° Corpo d'armata tedesco si deteriorò il 13 e 14 gennaio. La 57ª Armata del generale Tolbuchin e la 64ª Armata del generale Sumilov sfondarono a Tsybenko e la 297ª Divisione fanteria dovette ritirarsi verso est, mentre la 376ª Divisione, rimasta isolata più a ovest, venne quasi distrutta e solo pochi resti si unirono alla ritirata[43].
Tra la fanteria tedesca, esausta, quasi priva di cannoni anticarro e quindi impotente contro i carri armati sovietici, si diffusero i primi episodi di "terrore dei carri"[44]. Fenomeni di dissoluzione e di panico iniziarono a manifestarsi tra le truppe tedesche costrette a battere in ritirata in direzione delle rovine di Stalingrado a piedi nella neve con temperature molto rigide; gruppi di sbandati si trascinavano in condizioni penose nella steppa in cerca di cibo e riparo, anche il trasporto dei feriti, sempre più numerosi divenne difficile[45].
All'aeroporto di Pitomnik si verificarono episodi drammatici di confusione e di riottosità delle migliaia di sbandati, disertori e feriti leggeri che tentavano di salire sugli aerei che decollavano con a bordo feriti gravi, ufficiali e specialisti selezionati secondo una rigida procedura stabilita dal comando d'armata. I soldati della Feldgendarmerie, i temuti "cani alla catena", ebbero grande difficoltà a frenare le masse di sbandati completamente disorganizzati; in alcune occasioni si ricorse al fuoco delle armi[46]. Dopo la caduta dell'aeroporto e dell'ospedale di Pitomnik il 16 gennaio, gli sbandati e i feriti marciarono penosamente a piedi per tredici km fino all'aeroporto di Gumrak dove si verificarono altri episodi di panico e di terrore incontrollato con assalti agli aerei, represse dalla Feldgendarmerie. In questo secondo aereoporto era anche situato un ospedale campale dove le condizioni dei numerosissimi feriti erano tragiche e la mortalità altissima, i cadaveri erano sparsi lungo le strade e molti soldati erano completamente privi di cure. Nelle cosiddette "caverne della morte", i tunnel scavati nei fianchi delle irregolarità del terreno, erano assistiti sommariamente altri feriti[47].
Secondo attacco
Ritirata verso le rovine di Stalingrado
Il 17 gennaio si incontrarono al quartier generale del Fronte del Don i comandanti delle armate con i generali Voronov e Rokossovskij; dopo accese discussioni venne respinta la proposta di sospendere l'offensiva per alcuni giorni per colmare le perdite e riorganizzare lo schieramento; i generali Voronov e Rokossovskij decisero di continuare subito l'offensiva in direzione di Gumrak per occupare l'ultimo importante aeroporto a disposizione del nemico[48]. In realtà nei quattro giorni successivi i combattimenti rallentarono mentre le armate del Fronte del Don si riorganizzavano per l'attacco finale; nelle retrovie tedesche intanto cresceva la disorganizzazione a causa soprattutto del fallimento logistico, della mancanza di cibo, della mancanza di equipaggiamenti e riparti contro il freddo, della carenza di cure sanitarie[49].
Il 19 gennaio il maggiore d'aviazione Thiel raggiunse la sacca per verificare le condizioni dell'aeroporto di Gumrak e coordinare con il comando dell'armata il potenziamento del ponte aereo di cui aveva assunto la direzione da pochi giorni il feldmaresciallo Milch. Il maggiore trovò una situazione di caos e disorganizzazione; inoltre durante un colloquio con il generale Paulus, il comandante dell'armata apparve estremamente teso, molto irritato, pieno di recriminazioni per il fallimento del rifornimento aereo e per le mancate promesse della Luftwaffe[50]. In precedenza il comandante della 6ª Armata aveva respinto le proposte dei generali Hube e von Seydlitz-Kurzbach di autorizzare tentativi di uscire dalla sacca in piccoli gruppi ritenendoli irrealizzabili e non considerando possibile abbandonare i feriti; il 20 gennaio inoltre venne diramato alle truppe un ordine per incitare la resistenza ed evitare diserzioni o rese prospettando un catastrofico destino nella prigionia sovietica[51].
Al quartier generale del Gruppo d'armate del Don e dell'OKH il generale Paulus invece manifestò tutto il suo pessimismo ed in una comunicazione del 20 gennaio riferì del decadimento delle capacità combattive delle sue truppe, della penosa situazione dei feriti, dei segni di disgregazione, chiedendo inoltre libertà di azione per poter decidere autonomamente[52]. Un rapporto scritto dettagliato nello stesso senso venne inviato al quartier generale di Hitler il 22 gennaio tramite il maggiore von Zitzewitz, ufficiale di collegamento dell'OKH, uscito in aereo dalla sacca; negli stessi giorni i generali von Seydlitz-Kurzbach e Pfeffer avevano proposto al comandante della 6ª Armata di cessare i combattimenti ed anche il generale Schmidt e il colonnello Adam erano favorevoli ad una resa, mentre i generali Heitz, Strecker e Hube e il colonnello Elchlepp si opposero ancora a interrompere la resistenza senza ordini superiori[53].
Il 20 gennaio l'Armata Rossa aveva dato inizio al nuovo attacco generale contro la sacca della 6ª Armata ormai ridotta a meno della metà delle sue dimensioni iniziali; la 65ª Armata del generale Batov avanzò in direzione dell'aeroporto di Gumrak e la notte occupò la cittadina di Gončara; nella serata successiva i sovietici si avvicinarono a Gumrak e i lanciarazzi Katjuša aprirono il fuoco scatenando il caos negli aerodromi[54]. All'alba del 22 gennaio le compatte fila delle divisioni fucilieri sovietiche comparvero sui margini dell'aeroporto; gli ultimi aerei tedeschi decollarono in fretta, mentre gli altri soldati, dopo una serie di duri combattimenti, si ritirarono verso est e i soldati della ; una parte dei feriti venne abbandanati nell'ospedale da campo dove i sovietici in un primo momento li lasciarono senza cure prima di trasferirli a Beketovka. La ritirata dei superstiti reparti tedeschi del 14° Panzerkorps e dell'8°, 4° e 11° Corpo d'armata in direzione est verso Stalingrado si stava trasformando in un ripiegamento disordinato per cercare un riparo dal freddo e dal nemico nelle macerie della città, la steppa era disseminata lungo il percorso da cadaveri congelati, feriti abbandonati, veicoli fuori uso, cannoni distrutti, materiali ed equipaggiamenti, cavalli morti[55].
Prima della caduta di Gumrak il generale Paulus aveva abbandonato il suo posto di comando situato vicino alla base e si era trasferito con lo stato maggiore prima al quartier generale della 71ª Divisione fanteria e quindi, il pomeriggio del 23 gennaio, in un bunker nella parte meridionale di Stalingrado vicino al fiume Tsaritsa[56]. Il rifornimento aereo e l'evacuazione dei feriti praticamente cessarono il 24 gennaio: dopo la caduta di Gumrak, il piccolo aeroporto di Stalingradskij si rivelò inutililizzabile e da quel momento l'armata venne rifornita solo con aviolanci di contenitori.
Ultima resistenza
Nell'ultima fase della battaglia tra gli ufficiali e le truppe tedesche si diffussero sempre più numerosi fenomeni di apatia, depressione, disperazione e paura per il proprio destino e per l'eventuale prigionia in mano nemica. La maggior parte dei soldati si rassegnarono alla fine e furono catturati dai sovietici, numerosi si batterono fino all'ultimo e preferirono morire in battaglia, alcuni intrapresero disperati tentativi di uscire individualmente o in piccoli gruppi dalla sacca ma furono uccisi o si dispersero nella steppa flaggellata dal clima invernale. Nessun soldato delle truppe accerchiate nella Festung Stalingrad riuscì a raggiungere in salvo le linee tedesche sempre più lontane a ovest.
Il 22 gennaio il generale Paulus per la prima voltà aveva prospettato in una sua comunicazione all'OKH l'eventualità di una capitolazione: il comandante dell'armata tracciò un quadro drammatico delle condizioni delle sue truppe ed evidenziò la presenza dei primi segni di disintegrazione pur confermando che "il comando gode ancora della fiducia dei soldati". Nello stesso giorno il feldmaresciallo von Manstein arrivò a prospettare l'irrealistica possibilità di aprire negoziati con l'Armata Rossa sui termini della resa e sulle condizioni della prigionia[57].
La propaganda di Joseph Goebbels aveva limitato al massimo le informazioni in patria subito dopo l'inizio della offensiva sovietica di novembre; per molte settimane la battaglia di Stalingrado, ritenuta in precedenza di decisiva importanza per la vittoria della Germania, venne volutamente esclusa dai resoconti dei comunicati della Wehrmacht, anche se alla fine dell'anno iniziarono a circolare nella popolazione lugubri voci sull'accerchiamento della 6ª Armata. Solo il 16 gennaio il popolo tedesco apprese ufficialmente per la prima volta che le truppe a Stalingrado erano impegnate in una "eroica lotta difensiva contro un nemico che attaccava da tutte le parti". Il 23 e il 24 gennaio Otto Dietrich diede finalmente comunicazione alla stampa di prepararsi alla disfatta e affermò che compito della propaganda era ormai quello di trasformare la sconfitta in un "grande e commovente sacrificio delle truppe per la salvezza della nazione tedesca" ed in una "epopea eroica di Stalingrado".
Il comunicato dell'OKH del 25 gennaio quindi parlò di "lotta eroica e di spirito di sacrificio contro forze schiaccianti" e di "onore immortale"; il 28 gennaio Hermann Göring inviò un radiomessaggio parlando di "lotta che sarebbe passata alla storia", paragonando Stalingrado alle battaglie di Langemarck, dell'Alcazar e di Narvik. Il 30 gennaio infine sempre Göring pronunciò ala radio, in occasione dell'anniversario della presa del potere nazista, il cosiddetto "messaggio delle Termopili" in cui paragonava i combattenti di Stalingrado con i trecento di Leonida e parlava di "lotta che sarebbe stata ricordata per mille anni", di "eroica battaglia sul Volga" e di "sacrificio per la maggior gloria della Germania".
Questi macabri messaggi, pronunciati proprio da Göring incolpato principale del fallimento del rifornimento aereo, non furono bene accolti tra le truppe e gli ufficiali della 6ª Armata, a cui veniva prospettata come unica via d'uscita dalla disperata situazione la morte. Nonostante le recriminazioni e l'amarezza, il comando della 6ª Armata fino all'ultimo continuò ufficialmente a manifestare fiducia e a esaltare la sua fedeltà alla Germania ed al Fuhrer: il 22 gennaio il generale Paulus aveva ancora esortato i suoi soldati a combattere "per ogni centimetro di terreno", prospettando l'imminente arrivo dei soccorsi e possibilità di vittoria finale; il 30 gennaio il comandante dell'armata inviò un ultimo messaggio laudatorio a Hitler, esaltando la lotta dei suoi soldati come "esempio per le future generazioni a non arrendersi mai" e come mezzo per la "vittoria della Germania".
La resa
Bilancio e conseguenze
Il 3 febbraio venne comunicato ufficialmente che la "battaglia di Stalingrado è terminata": la 6ª Armata aveva "ceduto alle forze soverchianti del nemico"; venne inoltre annunciato che ufficiali e soldati si erano battuti fino all'ultimo colpo e che erano morti "perchè la Germania possa vivere"[59]. Inizialmemte venne mantenuta nascosta la notizia che oltre 90.000 soldati tedeschi, tra cui la maggior parte degli ufficiali superiori, erano sopravvissuti ed erano caduti prigionieri; nella trasfigurazione eroica delle propaganda tutti avrebbero dovuto morire per la Germania nazista[60]. Le voci si diffusero più tardi e contribuirono ad incrementare il dolore delle famiglie in patria e la disillusione sul Terzo Reich. Il morale del popolo tedesco toccò il punto più basso durante la guerra subito dopo la catastrofe di Stalingrado e per la prima volta anche il "mito del Fuhrer" venne intaccato. Hitler si trovò esposto a pesanti critiche; avendo proclamato per mesi che la vittoria era sicura e che un cedimento a Stalingrado era impossibile, il Fuhrer venne direttamente coinvolto nella disfatta e ritenuto il principale responsabile politico[61].
Circa 91.000 soldati tedeschi furono catturati dai sovietici nell'ultima fase della battaglia, tra cui 24 generali con un feldmaresciallo (Paulus) e due colonnelli generali (Strecker e Heitz) ; sette generali, di cui due feriti, erano invece stati evacuati per via aerea prima della fine della battaglia; 35.000 feriti e 8.000 ufficiali e specialisti erano stati ugualmente trasportati in salvo fuori della sacca per via aerea. I sovietici contarono 142.000 morti nemici nell'area della sacca[62]. La sorte dei prigionieri, già stremati fisicamente e psicologicamente dal lungo assedio, fu particolarmente tragica: entro la primavera del 1943 oltre la metà morirono a causa delle epidemie di tipo petecchiale esplose nei primitivi campi di raccolta di Beketovka, Krasnoarmejevsk e Frolovo. Molti altri non sopravvissero alle privazioni subite durante i trasporti verso i campi di prigionia in Asia centrale o nei durissimi campi di lavoro sovietici; dopo la guerra i superstiti rimpatriati in Germania furono solo 6.000[60].
Note
- ^ J.Erickson, The road to Stalingrad, p. 472.
- ^ J.Erickson, The road to Stalingrad, pp. 464-470.
- ^ J.Erickson, The road to Stalingrad, pp. 470-472.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, p. 8.
- ^ Erano favorevoli ad un'immediato tentativo di uscire dalla sacca il comandante dell'armata, generale Paulus, il capo di stato maggiore, generale Schmidt, i cinque comandanti dei corpi d'armata accerchiati, generali Hube, von Seydlitz-Kurzbach, Heitz, Strecker e Jaenecke, il capo di stato maggiore dell'esercito, generale Zeitzler, il comandante del Gruppo d'armate B, generale von Weichs, ed il comandante della 4ª Luftflotte, generale von Richthofen; in: AA.VV., Germany and the second world war, vol. VI, pp. 1128-1131.
- ^ R.Cartier, La seconda guerra mondiale, p. 97.
- ^ W.Craig, Enemy at the gates, pp. XI e 4. L'autore definisce la 6ª Armata the finest army in the world.
- ^ VČujkov, La battaglia di Stalingrado, p. 295.
- ^ W.Görlitz7F.Paulus, Stalingrado, p. 241.
- ^ H.Gerlach, L'armata tradita, p. 393, i dati si riferisocno alla forza ufficialmente in carico ai servizi di sussistenza della 6ª Armata il 23 novembre 1942.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, pp. 8-9.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, pp. 9-10.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, pp. 11-17.
- ^ Hitler scrisse che i soldati dell'armata dovevano avere "incrollabile fiducia" che sarebbe stato fatto tutto il possibile per liberarli e che "grazie alla vostra fedeltà assisteremo al più glorioso fatto d'armi della storia della Germania"; in A.Beevor, Stalingrado, pp. 350-351.
- ^ AA.VV., Germany and the second world war, vol. VI, pp. 1159-1160.
- ^ Il generale Čujkov nelle sue memorie esprime sorpresa per la decisione tedesca di lasciare così tante divisioni ferme nelle rovine di Stalingrado contro la sua armata invece di impiegarle per rafforzare i fronti scoperti occidentali; in V.Čujkov, La battaglia di Stalingrado, p. 278.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, p. 295.
- ^ AA.VV., Germany and the second world war, vol. VI, p. 1160.
- ^ F.de Lannoy, La bataille de Stalingrad, p. 122.
- ^ a b c F.de Lannoy, La bataille de Stalingrad, p. 115.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, p. 25.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, p. 292. Nelle sue memorie il feldmaresciallo Paulus scirve di 42.000 feriti evacuati; altre fonti indicano la cifra di 25.000 feriti evacuait, F.de Lannoy, La bataille de Stalingrad, p. 115; E.Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. IV, p. 281.
- ^ a b W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, pp. 292-293.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, p. 402. Il 18 gennaio 1943, giorno dell'ultimo trasporto aereo con la posta fuori dalla sacca, il generale Paulus scrisse una breve lettera d'addio alla moglie e le inviò la fede nuziale, le decorazioni e l'anello con sigillo.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, p. 26.
- ^ W.Fowler, Stalingrad, p. 168.
- ^ F.de Lannoy, La bataille de Stalingrad, p. 123.
- ^ a b J.Erickson, The road to Berlin, p. 35.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, pp. 284-286.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, 388-389.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, p. 389.
- ^ a b A.Beevor, Stalingrado, pp. 389-390.
- ^ W.Craig, Enemy at the gates, pp. 334-335.
- ^ A.Beevor, Stalingrado pp. 390-391.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, p. 36.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, p. 391.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 391-392.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, p. 392.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, pp. 36-37.
- ^ AA.VV., Germany and the second world war, vol, VI, p. 1161.
- ^ F.de Lannoy, La bataille de Stalingrad, p. 125.
- ^ W.Craig, Enemy at the gates, p. 342.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, p. 394.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 394-395.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 396-397.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 392-393.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 398-400.
- ^ J.Erickson, The road to Berlin, p. 37.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 400-401.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, pp. 288-289.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, pp. 286-287.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, p. 287.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, pp. 290-291.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 406-407.
- ^ A.Beevor, Stalingrado, pp. 407-408.
- ^ W.Görlitz/F.Paulus, Stalingrado, p. 289.
- ^ AA.VV., Germany and the second world war, vol. VI, pp. 1162-1163.
- ^ Lo storico tedesco Walter Görlitz citato in: W.Shirer, Storia del Terzo Reich, p. 1421.
- ^ I.Kershaw, Il mito di Hitler, p. 191.
- ^ a b H.Gerlach, L'armata tradita, p. 394.
- ^ I.Kershaw, Il mito di Hitler, pp. 190-193.
- ^ H.Gerlach, L'armata tradita, p. 393-394.
Bibliografia
- Eddy Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. IV, Novara, De Agostini, 1971, ISBN non esistente.
- Antony Beevor, Stalingrado, Milano, Rizzoli, 1998, ISBN 88-17-86011-5.
- Giuseppe Boffa, Storia dell'Unione Sovietica, vol. III, Roma, l'Unità, 1990, ISBN non esistente.
- Paul Carell, Operazione Barbarossa, Milano, Rizzoli, 2000, ISBN 88-17-25902-0.
- (EN) William Craig, Enemy at the gates, London, Penguin books, 2000, ISBN 0-141-39017-4.
- Vasilij Čujkov, La battaglia di Stalingrado, Milano, Res Gestae edizioni, 2012, ISBN 978-88-6697-002-6.
- (FR) François de Lannoy, La bataille de Stalingrad, Bayeux, Editions Heimdal, 1996, ISBN 2 84948 092 1.
- (EN) John Erickson, The road to Stalingrad, Londra, Cassell, 2002, ISBN 0-304-36541-6.
- (EN) Will Fowler, Stalingrad, the vital 7 days, Staplehurst, Spellmount Limited, 2005, ISBN 1-86227-278-6.
- Walter Görlitz, Friedrich Paulus, Paulus il comandante della VI armata a Stalingrado, associazione culturale Sarasota, 2010, ISBN non esistente.
- Ian Kershaw, Hitler. 1936-1945, Milano, Bompiani, 2001, ISBN 88-452-4969-7.
- Alexander Werth, La Russia in guerra, Milano, Mondadori, 1966, ISBN non esistente.