Campo di concentramento di Mauthausen
Mauthausen (dall'estate 1940, Mauthausen-Gusen) è il nome del tristemente famoso lager di sterminio nazista, situato in cima alle colline dell'Oberdonau, sopra la piccola cittadina di Mauthausen, in Alta Austria, a circa 20 chilometri ad est di Linz. Mauthausen era lo «Stamm Lager», «Campo Madre» di un gruppo di quarantanove campi e sottocampi di concentramento nazisti satelliti, sparsi in tutta l'Austria. In questo complesso vi era reclusa, in condizioni di vita indescrivibili, la manodopera-schiava che era stata in primis deportata a Mauthausen e da lì selezionata per il lavoro forzato nel campo principale e in quello dei 49 «Kommandos».

Storia
Durante la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) gli Austriaci aprirono un primo campo di concentramento per prigionieri di guerra a est di Mauthausen per lo sfruttamento della cava Wiener-Graben o granito viennese usato per pavimentare le strade di Vienna. In esso, Russi, Serbi e moltissimi Italiani, raggiunsero la ragguardevole cifra di 40.000 internati e circa 9000 di loro vi persero la vita, tra cui 1759 prigionieri militari italiani che vi morirono di fame e stenti. Un Cimitero di Guerra Internazionale esiste alla loro memoria.
Il campo principale nazista venne invece aperto l'8 agosto 1938 e fu posto sotto il comando di Franz Ziereis fino alla liberazione, avvenuta il 5 maggio 1945 da parte del 41° Squadrone di ricognizione dell'11ª Divisione corazzata statunitense.
Mauthausen fu costruito con il granito della sottostante cava, una estesa fortezza di pietra in uno stile vagamente orientale, tanto che l'ingresso principale al lager era chiamato dai prigionieri " La Porta mongola". Persino Himmler ai lavori di edificazione del campo, si raccomandò alle maestranze che le pietre fossero unite con "malta calda" per un risultato ottimale: si preoccupò solamente della malta e non dei prigionieri. Il lato del lager che non si riuscì a finire, fu chiuso da un reticolato di filo spinato collegato a corrente elettrica ad alta tensione.
Come altri campi di concentramento, Mauthausen venne utilizzato come campo di sterminio da attuarsi attraverso il lavoro forzato e il denutrimento per intellettuali, persone e membri delle diverse classi sociali dei paesi che la Germania nazista occupò durante la seconda guerra mondiale. La «Deutsche Erd- und Steinwerke GmbH.», (DEST), una ditta di proprietà delle SS varata da Himmler, gestiva il lavoro forzato delle due cave di pietra di Mauthausen e Gusen, la Wiener-Graben e la Bettlelberg, ottenute a disposizione già nel 1938 dal proprietario il Comune di Vienna. La manodopera schiava della DEST, produceva la pietra e i materiali da impiegare per la costruzione degli edifici monumentali e di prestigio nei colossali progetti architettonici della Germania nazista.
Le prime vittime di Mauthausen cominciarono ad essere cremate a Steyr a partire dal 5 settembre del 1938 e la prassi continuò fino al 5 maggio 1940 quando il primo dei tre forni crematori montati nel campo fu operante. Questo forno ad una muffola fu installato dalla ditta Kori di Berlino, sempre nel 1940; l'altro forno a doppia muffola fu installato successivamente nel 1941, dalla J.A. Topf und Söhne, una ditta tedesca con sede ad Erfurt, specializzata nella costruzione di sistemi di combustione e fornitrice di forni crematori ai maggiori lager nazisti. Questa società si specializzò così bene in questo settore che nel 1942 richiese un brevetto "per un forno di cremazione di massa e continua di corpi" (Dati provenienti dal "Luogo della Memoria" istituito nel 2003 ad Erfurt nell'ex Amministrazione della Società Topf & Figli).
Mauthausen cominciò a funzionare come "Fabbrica della Morte" con un crescendo che porterà in pochi anni alla vertiginosa cifra di 127.768 vittime. Un autentico mattatoio umano, dove la morte era comminata in tutte le assai numerose sadiche varianti possibili della metodologia di sterminio usata, veri e propri espedienti di bassa macelleria. Doveva esser fatto continuamente posto per i continui numerosi arrivi di altri condannati a morte, cosicché al deportato non era concesso vivere oltre il limite massimo stabilito di qualche mese. Doveva morire dopo essersi letteralmente consumato, ridotto ad uno scheletro vivente di qualche decina di kg di peso, dopo aver dato cioè, ogni vigore e tutte le energie fisiche allo sfibrante lavoro schiavo per il Terzo Reich.
Nel sistema di sfruttamento - annientamento nulla era lasciato al caso. I forni crematori del campo avevano una bocca molto piccola, dimensionata per ingoiare le sagome lunghe e affilate dei cadaveri delle vittime: detratto lo spessore della barella sulle carrucole, usata per introdurre i corpi, lo spazio restante della bocca era davvero assai esiguo. Oggi stupisce vedere forni così piccoli ma l'ingegneria nazista li progettò con la massima economia possibile, per entrare in funzione nell'ultimo atto della distruzione del prigioniero, quando ormai era ridotto ad un larvato corpo da incenerire, dalle ristrette dimensioni, quando cioè, era diventato "maturo" per il crematorio. Ciò consentiva una riduzione della dimensione dei forni, mirata a un grande risparmio sulle spese di costruzione, di gestione e sul combustibile di alimentazione. A scovare i "maturi" per il forno tra le file di infelici, provvedevano le continue e costanti selezioni ed ispezioni e una volta individuatili, venivano immediatamente uccisi con iniezioni letali al cuore o avviati al gas o eliminati con uno dei tanti modi in uso al lager. Al comandante del Lager Franz Ziereis piaceva accogliere i nuovi deportati sulla porta dell'inferno con questo laconico discorso: "Qui esiste solo l'entrata; l'unica uscita è dal camino del forno crematorio..."
Lo stesso comandante del campo, quando suo figlio compì 18 anni, gli regalò una pistola, poi mise in fila una ventina di prigionieri e ordinò al figlio a fare tiro a segno sui poveri malcapitati, abbattendoli. (come da confessione del figlio alla cattura e ferimento del comandante Ziereis da parte degli Alleati).
Il dottore del campo usava eliminare i prigionieri inabili con iniezioni a base di benzina, fenolo o altri derivati. A volte, d'inverno, con temperature di -10 °C ed oltre, i prigionieri venivano lasciati nudi, all'aperto tutta la notte, continuamente irrorati con idranti d'acqua gelata. Erano massacri chiamati “Totbadeaktionen”, bagni di morte. Si dovevano eliminare le eccedenze che non trovavano posto nel campo. Si vedevano detenuti trasformati in statue di ghiaccio. Inoltre guardie ubriache si "divertivano" a finire i prigionieri con spranghe di ferro o asce. La mattina delle migliaia iniziali ne restavano assai pochi in vita.
Nel 1940 viene aperto il Kommando di Gusen I a 5 km di distanza, a cui seguirono Gusen II e Gusen III. Un lungo elenco di altre bolge tristemente note, Melk, Ebensee, Linz (I-II-III), Mödling, Loiblpass ecc. verranno aperte di lì a poco.
Nel 1942 da Mauthausen furono inviati a Berlino cinquantadue chili di oro odontoiatrico strappato dalle bocche delle sue vittime.
Fino alla prima metà del 1943, Mauthausen rimase quasi esclusivamente un centro dove gli internati venivano sfruttati nelle sole imprese possedute e amministrate dalle SS; dopo di tale periodo e sotto la pressione esterna di Albert Speer, il Ministro per gli Armamenti che aveva visitato Mauthausen e si era rivolto ad Himmler invitandolo "ad un uso più ragionevole dei prigionieri", che parte dei deportati venne impiegata anche per lo sforzo bellico nei maggiori centri industriali austriaci.
Mauthausen fu l'unico campo di concentramento[1] classificato Lagerstufe III («Lager di III livello») destinato, secondo una circolare inviata il 2 gennaio 1941 da Reinhard Heydrich ai lager dipendenti, a «detenuti contro i quali sono state mosse gravi accuse, in particolare coloro che abbiano subito condanne penali e nel contempo debbano considerarsi asociali cioè virtualmente impossibili da rieducare [...]». Di conseguenza tutti i deportati che giungevano a Mauthausen erano trattati come soggetti irrecuperabili, da distruggere psico-fisicamente. Dopo una prima selezione, gli inabili al lavoro normalmente erano sottoposti al «trattamento speciale», erano cioè, destinati al gas con l'immissione diretta al crematorio. I rimanenti subivano, oltre l'espropriazione dei beni, la rasatura totale a zero, una doccia, il tatuaggio del numero e ricoperti di stracci finivano immediatamente rinchiusi nei famigerati «blocchi di quarantena». Questi blocchi erano ideati al fine di disumanizzare e quindi iniziare subito la distruzione fisica e psichica dell'individuo con percosse e torture mentali. Con il processo di spersonalizzazione il prigioniero cessava di essere un uomo e di avere un nome, per diventare semplicemente uno «stücke», un «pezzo», confuso tra decine e decine di migliaia di «pezzi» dalla durata di vita labilissima, identificato unicamente dal suo numero tatuato. Il deportato, ridotto nella peggiore schiavitù, era pronto a prendere il posto lasciato dall'infelice annientato prima di lui, nel sistema del ricambio continuo di manodopera. A sua volta era avviato allo sterminio per sfinimento fisico tramite denutrizione associata al massacrante lavoro forzato, così giovevole invece all'economia del Reich; quando poi non cadeva prima, ucciso dalla violenza spietata e sadica del lager, scatenata dalla concezione nazista di padronanza assoluta sulla vita dell'uomo, meritevole di morte perché considerato di razza inferiore, oppositore politico, diverso, un asociale o di «vita indegna» di essere vissuta. La pena per la disubbidienza o il sabotaggio era la morte lenta e dolorosa.[2]
Fino all'inizio del 1940 la maggior parte degli internati erano rappresentati da socialisti, omosessuali e rom tedeschi; però a partire da quella data iniziarono ad essere trasferiti a Mauthausen-Gusen anche un gran numero di polacchi, essenzialmente artisti, scienziati, esponenti dello scautismo, insegnanti e professori universitari.
Tra l'estate 1940 e la fine 1941 più di 7.000 Repubblicani spagnoli vennero trasferiti dai campi destinati ai prigionieri di guerra.
Alla fine del 1941 fu invece la volta dei prigionieri di guerra sovietici: il primo gruppo venne immediatamente soppresso nelle camere a gas appena installate. Precedentemente, e fino al 1944, i prigionieri venivano trasferiti al Castello di Hartheim, un centro della Aktion T4 per lo sterminio degli inabili e disabili aperto il 1° settembre 1939 con annessa camera a gas e crematorio. Qui circa 5000 prigionieri di Mauthausen/Gusen vi trovarono la morte; molti furono usati come cavie umane per infami esperimenti chirurgici nella sala operatoria del Castello. Nessuno sopravvisse per descriverne l'orrore. Ai prigionieri, che vi venivano inviati, si diceva che andavano in "Sanatorio".
Nel 1944 giunsero un gran numero di ebrei ungheresi e olandesi, molti dei quali morirono ben presto a causa del duro lavoro e delle pessime condizioni di vita, oppure ancora perché costretti a gettarsi dai dirupi delle cave di Mauthausen (soprannominati il muro dei paracadutisti - vedi I 186 gradini - Mauthausen - dalle guardie delle SS).
Durante gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale più di 20.000 prigionieri provenienti dagli altri campi di concentramento evacuati vennero trasferiti nel complesso di Mauthausen.
La liberazione
Nel mese di aprile '45 le SS iniziano il temuto sterminio totale dei prigionieri: in quello spaventoso aprile nonostante il fronte vicinissimo, le SS continuano imperterrite a gasare a più non posso; i camini dei crematori fumano giorno e notte. La capienza della camera a gas però è troppo piccola per far fronte ad uno sterminio di massa e i centri di sterminio esterni come Hartheim non sono più utilizzabili perchè sono stati distrutti; si vocifera di far rinchiudere i deportati nelle gallerie di Ebensee e farle poi saltare con la dinamite.
Il 6-7 maggio i prigionieri notano che i crematori sono spenti e a posto delle SS sulle garritte vi sono baffuti poliziotti della gendarmeria locale, non certo pericolosi come le SS che intanto si sono date alla fuga.
Finalmente il lager di Mauthausen l'8 maggio 1945 viene raggiunto dalle truppe americane. Fu l'ultimo dei grandi campi nazisti ad essere liberato. I liberatori e i loro mezzi corazzati entrano dalla Porta mongola accolti con ovazioni indicibili; la parola "Americani" viene urlata in tutte le lingue del campo.
Larghi squarci sono aperti sul reticolato dei fili spinati oramai senza più corrente elettrica e i deportati escono finalmente liberi, a cercare cibo, parenti o amici nel vicino lager di Gusen o a farsi un bagno nel sottostante Danubio. Si organizza con grande fervore la prima minestra nelle cucine del campo, la prima zuppa da uomini liberi, saporita, densa e superlativa tanto da sembrare una resurrezione. Nonostante i prigionieri siano ridotti in condizioni fisiche estreme, sono immensamente felici. Si formano squadre di prigionieri armate a cercare le SS fuggitive.
Brutta sorte ebbero alcune guardie SS che, dopo la liberazione alleata, avevano cercato di fuggire, alcune distruggendo prima le prove dei loro crimini. Molte furono furono catturate dai prigionieri e riportate al lager dove furono linciate dalla popolazione del campo inferocita; il Pappalettera racconta che di alcuni di loro non rimase che una traccia fisonomica sul terreno. Per loro furono riaccesi i forni crematori e criminali, tra cui "il Negro" che uccideva i prigionieri fischiettando, passarono anche loro per il camino. Si dice che alcune guardie furono gettate vive nei forni.
Dopo la liberazione alleata il controllo del campo passò quasi subito dalle mani statunitensi a quelle sovietiche (l'Austria sarà infatti divisa in sfere d'influenza, analogamente alla Germania, fino al 1955) che ne fecero per un breve periodo anche una caserma prima di riconsegnarlo alle autorità austriache, il 20 giugno 1947, dietro la garanzia di farne un luogo di commemorazione. Dal 1949 il campo divenne quindi "Monumento pubblico di Mauthausen", sorsero i primi monumenti commemorativi e fu reso accessibile al pubblico.[3]
La "Scala della morte" e il "Muro dei paracadutisti"
In totale si stima che il numero di prigionieri che transitarono in tutti i sotto-campi sia stato di 335.000, molti dei quali vennero impegnati nel lavoro alle cave di pietra, usate perlopiù come kommandos di punizione verso deportati indisciplinati o "irriducibili".
La cava di Mauthausen, la Wiener-Graben, divenne tristemente famosa per la sua 'Scala della morte', una altissima scala che portava in cima alla cava, superando un dislivello di 50-55 metri e raccordandosi alla strada che portava al lager. In questo punto vi era, sulla destra di chi saliva, un vertiginoso abisso formato da una parete liscia di roccia a picco senza alcun alcun parapetto di protezione; era chiamato il 'Muro dei paracadutisti' con sarcasmo agghiacciante dagli aguzzini che lì sempre stazionavano, dove i paracadutisti erano gli sventurati di turno che vi venivano precipitati e le pietre che avevano portato fin lassù, il loro ironico "paracadute". Le SS vi gettavano sovente i detenuti che avevano portato sù una pietra, secondo loro, giudicata troppo piccola, di poco peso, ironicamente leggera appunto come un paracadute; questo per le SS era considerato sabotaggio e il "lavativo" soprannominato paracadutista, punibile con la morte.
Un giorno, racconta il Pappalettera nel suo libro "Tu passerai per il camino", un prigioniero morì bene; si abbracciò ad una SS precipitandosi con lei nel baratro. Da allora le guardie controllarono la salita dei reclusi dall'altro lato.
I prigionieri, già esili e denutriti, dovevano trasportare con terrore grossi blocchi di pietra, pesanti fino a 50 chilogrammi con zaini di legno legati alle spalle, sopra i 186 scalini di questa Scala; si organizzavano grosse schiere di deportati caricati di tali massi che salivano in processione la scala un passo alla volta tutti insieme e molto lentamente, una teoria umana quasi immobile che ora ondeggiava a sinistra e poi a destra in un equilibrio precario e assai critico, dove un passo falso voleva dire la morte. Se i primi gradini erano pesanti, gli ultimi erano una tortura infinita.
Spesso la scala veniva usata come strumento di sterminio. Si avvertivano le guardie che servivano un certo numero di morti per il crematorio (la mortalità dei campi era tenuta sotto controllo costantemente dal potere centrale a seconda delle esigenze di spazio per nuovi arrivi) e allora le guardie si divertivano a spingere giù i primi prigionieri che avevano raggiunto la sommità dalla scala; quelli cadevano all'indietro con le pietre trasportate colpendo le file di deportati che seguivano e quelli a loro volta le file successive e così via, in un massacro di birilli umani, tra un coro di urla di dolore e rumori di ossa spezzate; la scala, raccontano testimoni, si tingeva di rosso del sangue delle vittime, meritando appieno il titolo di "Scala della morte".
Il campo femminile
All'interno del campo erano presenti trenta blocchi ma ce ne fu anche uno speciale, il "Blocco 20". Secondo la testimonianza di Giuliano Pajetta, un antifascista italiano, questo blocco era separato dagli altri ed era predisposto per ospitare 500 persone che divennero in un dato momento anche 2000. La maggioranza dei reclusi era di cittadinanza sovietica e viveva in condizioni persino peggiori degli altri internati nel campo. La sopravvivenza era praticamente impossibile: la razione era la metà, i prigionieri non disponevano nemmeno di una scodella e di un cucchiaio ed ogni mattina "ammucchiati" al di fuori del muro esterno si vedevano trenta, quaranta cadaveri. Nella notte tra il 31 gennaio ed il 1 febbraio 1945 un gruppo di paracadutisti russi e slovacchi appena internati si rese conto di ciò e decise quantomeno di tentare una fuga approfittando di un'abbondante nevicata che aveva colpito il campo. I reclusi spalarono la neve accumulandola ai bordi delle mura del blocco, prepararono armi improvvisate usando pezzi di legno e maniglie e sacchetti pieni di pietre e ghiaccio. Intorno alla mezzanotte, al grido Urrà, assalirono le guardie sottraendo anche alcune armi e scavalcarono le mura scappando per le campagne circostanti. Tuttavia le precarie condizioni fisiche impedirono a molti di andare lontano, venendo così ricatturati dai nazisti ed ammazzati come cani.[4]
In seguito si è saputo che questa baracca serviva inizialmente come infermeria e che nei primi mesi del 1944 divenne luogo di detenzione prevalentemente degli ufficiali sovietici deportati per essere eliminati o per prigionieri ricatturati dopo tentate evasioni. I deportati qui non erano registrati (né con nome né con numero) e venivano chiamati genericamente prigionieri K (da Kugel, pallottola, per via della loro prevista condanna a morte per mezzo di colpo di pistola alla nuca, anche se in realtà la maggior parte morì per fame). Il suddetto tentativo di fuga fu seguito da quella che le SS chiameranno la "Caccia al coniglio del Mühlviertel" (con la partecipazione della popolazione locale), che durò tre settimane. Evasero circa 500 internati, quasi tutti verranno ricatturati e giustiziati sul posto o morirono di stenti nel tentativo di fuga. Tuttavia oltre una dozzina di loro riuscì a scappare con successo riacquistando la libertà, grazie anche all'aiuto di alcuni coraggiosi contadini delle campagne austriache che offrirono un riparo.[5][6]
Nel settembre 1944 venne aperto anche un campo femminile, con il primo trasporto di donne provenienti da Auschwitz; altri trasporti, con donne e bambini, giunsero a Mauthausen dagli altri campi di Ravensbrück, Bergen Belsen, Gross Rosen, e Buchenwald.
Oltre al trasporto delle prigioniere, giunsero a Mauthausen anche diverse guardie donne, delle quali almeno venti servirono nel campo centrale, e altre sessanta nell'intero complesso, e in particolar modo nei sottocampi di Hirtenberg, Lenzing (il più grande sottocampo in Austria), e St. Lambrecht. Il comandante del reparto femminile di Mauthausen fu inizialmente Margarete Freinberger, sostituita poi da Jane Bernigau.
Di tutte le guardie donne che servirono a Mauthausen, la maggior parte di loro venne reclutata tra il settembre e il novembre 1944 dalle città e dai villaggi austriaci; una di esse proveniva da Schwertberg, un piccolo villaggio distante pochi chilometri dal campo di concentramento di Mauthausen: Edda Scheer, che lavorava in una fabbrica a Hirtenberg, venne reclutata forzatamente nel settembre 1944 e inviata a Ravensbrück per seguire l'addestramento come Aufseherin: la loro ferocia stupì persino le SS.
Poco tempo dopo venne inviata al sottocampo di Hirtenberg presso Vienna; ma dopo l'evacuazione delle SS nell'aprile del 1945, Edda venne destinata a Mauthausen. Dopo la guerra dichiarò, circa il campo di Mauthausen: «Di tanto in tanto [noi] trasportavamo un prigioniero al forno crematorio perché un morto è sempre un morto». Non venne mai punita per i suoi crimini.
Secondo alcune fonti anche Hildegard Lachert servì a Mauthausen. Diversi sottocampi di Mauthausen includevano, oltre a cave e miniere, anche fabbriche belliche e di assemblaggio dei caccia Messerschmitt Me 262. I prigionieri venivano costretti a lavorare anche per 12 ore consecutive, fino al totale sfinimento. I sopravvissuti, per mantenere la segretezza sul loro lavoro, venivano trasferiti in altri campi di concentramento oppure uccisi mediante iniezioni letali, per poi essere cremati nei forni.
Se Dachau era inteso come campo di internamento, Mauthausen era visto dai nazisti come un vero e proprio campo di sterminio e pertanto gli internati potevano avere ai loro occhi solo il privilegio di vivere qualche mese in più, fino a che servivano nelle cave di pietra. Poi, in base a precisi programmi, venivano eliminati e sostituiti da altri in condizioni fisiche migliori. Vi era un continuo ricambio per mantenere la produzione ai più alti livelli possibili, ma per i lavoratori l'unica costante era lo sterminio.
La vita nel campo non aveva più nulla di umano e spesso gli internati spinti dalla disperazione, trovavano il coraggio di suicidarsi, andando a toccare i reticolati ad alta tensione del campo: era la morte migliore nel lager, svelta e dolce. Per molti era impossibile resistere psicologicamente ad una situazione di annientamento fisico e morale simile, spesso aggravata dai metodi feroci e sadici delle guardie e dei Kapòs; dandosi la morte il deportato si sottraeva allo sfruttamento degli aguzzini e ad una vita di sofferenze inaudite che comunque avrebbe sempre sfociato in una morte violenta e dolorosa.
Il "Giuramento di Mauthausen"
Il 16 maggio 1945, in occasione del rimpatrio del primo contingente di deportati, quello sovietico, si tenne sul piazzale dell'appello una grande manifestazione antinazista, al termine della quale fu approvato il testo di questo appello, noto come il "Giuramento di Mauthausen"
Fedeli a questi ideali giuriamo di continuare a combattere, solidali e uniti, contro l'imperialismo e contro l'istigazione tra i popoli. Così come con gli sforzi comuni di tutti i popoli il mondo ha saputo liberarsi dalla minaccia della prepotenza hitleriana, dobbiamo considerare la libertà conseguita con la lotta come un bene comune di tutti i popoli. La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica tra stati e popoli. Dopo aver conseguito l'agognata nostra libertà e dopo che i nostri paesi sono riusciti a liberarsi con la lotta, vogliamo:
conservare nella nostra memoria la solidarietà internazionale del campo e trarne i dovuti insegnamenti;
percorrere una strada comune: quella della libertà indispensabile di tutti i popoli, del rispetto reciproco, della collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero, giusto per tutti;
ricorderemo sempre quanti cruenti sacrifici la conquista di questo nuovo mondo è costata a tutte le nazioni.
Nel ricordo del sangue versato da tutti i popoli, nel ricordo dei milioni di fratelli assassinati dal nazifascismo, giuriamo di non abbandonare mai questa strada. Vogliamo erigere il più bel monumento che si possa dedicare ai soldati caduti per la libertà sulle basi sicure della comunità internazio nale: il mondo degli uomini liberi!
Ci rivolgiamo al mondo intero, gridando: aiutateci in questa opera!
Evviva la solidarietà internazionale!
Evviva la libertà!»
Metodologie di sterminio
I metodi di sterminio della "Fabbrica della Morte" includevano:
- le impossibili condizioni di vita e del lavoro coattivo nelle cave di pietra e in quello dei sottocampi
- condanne a morire di inedia per fame e sete nei blocchi della morte
- le camere a gas, di Mauthausen, del Castello di Hartheim e quelle nelle baracche di Gusen
- provocare lo sfracellamento dei portatori di pietre sulla Scala della Morte e nel precipizio della Cava
- colpi d'ascia, o di armi bianche, operati da squadre criminali su folle di deportati
- percosse, frustate, torture, strangolamenti e sbranamenti dai cani delle SS
- soppressione della quasi totalità degli ammalati
- introduzione nei forni crematori di soggetti ancora vivi
- annegamenti forzati in secchi d'acqua o nella fogna già per lievi mancanze
- istigazione al suicidio, specialmente verso la "morte svelta e dolce" sul reticolato ad Alta Tensione
- colpo di rivoltella alla nuca durante false misurazioni dell'altezza dei deportati, chiamati per questo "Prigionieri K" da Kugel "pallottola"
- le camere a gas mobili, mediante un camion con il tubo di scappamento rivolto all'interno del vano posteriore del veicolo che gasava una trentina di vittime lungo i 5 km di tragitto tra i crematori di Mauthausen e Gusen in andata e ritorno: i trasporti ebbero una frequenza dai 15 ai 47 al giorno, dal 1942 al 1943. Scaricati i cadaveri dei gasati all'arrivo ad uno dei crematori, dove venivano bruciati, si caricavano altri sventurati prigionieri destinati a giungere morti all'altro crematorio. Il comandante del campo Franz Ziereis ammise di aver guidato questo veicolo diverse volte
- idranti gelati in inverno; circa 3.000 internati morirono di ipotermia dopo che furono costretti nudi a rimanere di notte all'aperto, con temperatura sottozero, irrorati con acqua gelata per diverse ore; erano massacri tipici di Mauthausen chiamati “Totbadeaktionen” (Bagno di morte)
- fucilazioni di massa
- selezioni per le uccisioni dei prigionieri divenuti inabili al lavoro per sfinimento fisico e di testimoni scomodi delle atrocità naziste
- vestiario troppo leggero per le temperature polari invernali; molti detenuti cadevano morti assiderati durante gli interminabili appelli. Era punito chi si imbottiva con giornali o stracci
- esperimenti medici su cavie umane
- la “raccolta dei lamponi”, la farsa macabra di dotare i detenuti di cestini e obbligarli alla raccolta dei lamponi che si trovavano fuori dei reticolati elettrici del campo, ne seguiva la fucilazione da parte delle sentinelle per “tentata fuga” (Test. di R. Camerani dep. Nr 57555 a Mauthausen)
- dissanguamento, diverse centinaia di prigionieri morirono dissanguati dopo che vennero inviati per trasfusioni a soldati tedeschi feriti sul Fronte Orientale
- iniezioni letali nel cuore con fenolo, benzina o altre sostanze venefiche
- impiccagioni ed autoimpiccagioni comandate
- sterminio con regime alimentare volutamente ipocalorico e scarso per il pesante lavoro, appositamente studiato per far durare pochi mesi il deportato, per cui, in media, ogni settimana più di 2.000 prigionieri morivano di fame
Inoltre le razioni di cibo vennero limitate nel periodo tra il 1940 e il 1942, con gli internati che raggiunsero il peso medio di 42 chilogrammi. I trattamenti medici erano praticamente inesistenti a causa della politica ufficiale tedesca. Era già precalcolato il guadagno sul lavoro coatto del deportato nei suoi pochi mesi di vita media nel Lager, calcolo del guadagno al netto, decurtato delle spese di mantenimento giornaliero di marchi 1,35 per i deportati di sesso maschile e di marchi 1,22 per il sesso femminile e persino delle spese di cremazione, valutate in marchi 4,50. Il sistema di sterminio serviva a fare posto ad altri condannati, nel ciclo incessante delle morti provocate e dei rimpiazzi con i nuovi arrivi di manodopera fresca.
Vittime
In totale più di 122.000 persone trovarono la morte durante la guerra a Mauthausen-Gusen e nei vari sotto-campi del complesso. Prima della fuga, il 4 maggio 1945, le SS tentarono di distruggere le prove dei crimini da loro commessi, e approssimativamente solo 40.000 vittime vennero identificate.
Soldati, funzionari e civili sovietici: 32.180
Cittadini polacchi: 30.203
Cittadini ungheresi: 12.923
Cittadini jugoslavi: 12.870
Cittadini francesi: 8.203
Cittadini spagnoli: 6.502
Cittadini italiani: 5.750
Cittadini cecoslovacchi: 4.473
Cittadini greci: 3.700
Antifascisti tedeschi: 1.500
Cittadini belgi: 742
Antifascisti austriaci: 235
Cittadini olandesi: 1.078
Cittadini norvegesi:77
Cittadini americani: 34
Cittadini lussemburghesi: 19
Cittadini inglesi: 17
Cittadini di altre nazioni ed apolidi: 3.160
Il campo venne consegnato dall'esercito sovietico al governo federale dell'Austria il 20 giugno 1947»
Famosi prigionieri internati a Mauthausen-Gusen
- Carlo Boscardin, antifascista italiano, nato a Padova il 21 aprile 1903, morto a Mauthausen l'8 marzo 1945. Il Comune di Padova ha dedicato a lui e al fratello Luigi una scuola e una via: "Fratelli Boscardin".
- Luigi Boscardin, antifascista italiano, nato a Padova il 16 ottobre 1895, morto a Mauthausen il 18 aprile 1945. Il Comune di Padova ha dedicato a lui e al fratello Carlo una scuola e una via: "Fratelli Boscardin".
- Filippo Acciarini, Direttore del quotidiano Avanti nel 1943 (Perugia, 1888 - Mauthausen, 1945)
- Lamberti Sorrentino, (1899-1993), giornalista storico di fama e amico di Galeazzo Ciano con cui teneva corrispondenze antitedesche, per queste deportato nel 1944 dalla Gestapo a Mauthausen. Scrisse "Sognare a Mauthausen" (1978)
- Angelo Antonicelli, di Massafra (TA), operaio[7]
- Gian Luigi Banfi, architetto italiano
- Adelchi Baroncini, operaio, nato il 4/11/1889 a Conselice (RA). Partigiano nella 7a Brg GAP Gianni Garibaldi. Deportato inizi '44 con moglie e tre figlie. Dislocato a Mauthausen e poi a Gusen, morì nel Castello di Hartheim il 3/1/1945, forse vittima di esperimenti medici. Gli sopravvissero solo due figlie.
- Lodovico Barbiano di Belgiojoso, architetto italiano
- Francesco Maltagliati, antifascista italiano, nato a Cesate (MI) nel 1913, morto il 23/4/1945 a Gusen I. Venne inviato al crematorio ancora vivo come racconta Vincenzo Pappalettera
- Roberto Camerani, antifascista italiano
- Aldo Carpi, pittore italiano, sopravvisse al campo di sterminio e fu l'autore dell'unico diario uscito dal lager nazista, intitolato Diario di Gusen
- Piero Caleffi, senatore, giornalista italiano (1901-1978), Sottosegretario alla Pubblica Istruzione. Della sua esperienza a Mauthausen scrisse "Si fa presto a dire fame" (1954)
- Roberto Carrara, antifascista italiano (1915-1945)
- Carlo Castellani, calciatore italiano, al quale è stato poi intitolato lo stadio di Empoli
- Giuseppe Conzato Thiene, veneto
- Józef Cyrankiewicz, primo ministro polacco (1947-1952 e 1956-1970)
- Luigi Ercoli, partigiano delle Fiamme Verdi Tito Speri
- Leopold Figl, cancelliere austriaco (1945-1953) e Ministro degli Esteri (1953-1959)
- Armando Gasiani, di Bologna, contadino e partigiano della 63ª Brigata Bolero, autore del libro 'Nessuno mai ci chiese'[8]
- Ando Gilardi, partigiano ebreo e comunista, nome di battaglia "Ando", sopravvisse al campo di sterminio; giornalista e fotografo italiano lavorò per la documentazione fotografica del processo di Norimberga, si applicò per la divulgazione delle immagini della Shoah.
- Stanislaw Grzesiuk, poeta polacco
- Pietro Iotti, antifascista e politico italiano
- Carlo Lajolo, astigiano, partigiano, scrittore. Con il suo libro Morte alla gola, diario di deportazione, ha lasciato una traccia indelebile nella memoria dell'olocausto
- Gianfranco Maris, presidente dell'ANED
- Walter Masetti, antifascista italiano
- Luigi Massignan, psichiatra italiano, direttore dell'Ospedale psichiatrico di Udine e di Padova, libero docente di psichiatria. Ha scritto 115609 IT, Ricordi di Mauthausen. Ai miei nipoti..., Cleup, Padova 2001
- Luigi Modonesi, partigiano della brigata Capettini, nome di battaglia "Sparviero", sopravvisse al campo di sterminio e fu vicepresidente ANED sezione di Brescia fino alla morte nel 1996
- Gilbert Norman, agente del SOE
- Antonin Novotny, presidente della Cecoslovacchia
- Giuseppe Ennio Odino, partigiano italiano, presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI) in Belgio, autore dell'autobiografico La mia corsa a tappe (Nº 63783 a Mauthausen), Le Mani, Genova 2008
- Giuliano Pajetta, antifascista e partigiano italiano. Nel dopoguerra divenne un importante dirigente del PCI, insieme al fratello Giancarlo.
- Vincenzo Pappalettera, giovane antifascista italiano, nel 1966 ha pubblicato Tu passerai per il camino circa le torture di Mauthausen
- Ferdinand Pascal Lenzi d'Alessandro, giovane infermiere ebreo sopravvisse anche al trasferimento ad Auschwitz.
- Domenico Pertica antifascista italiano
- Giacomo Poltronieri antifascista e partigiano italiano, operaio alla Breda, deportato in seguito alla attentato alla Casa del Fascio di Sesto San Giovanni del 10 febbraio 1944
- Kazimierz Proszynski, inventore polacco
- Raimondo Ricci, antifascista italiano
- Carmelo Salanitro, antifascista italiano
- Ota Sik, economista e politico cecoslovacco
- Stanislaw Staszewski, poeta e scrittore polacco
- Carlo Todros, giovane ebreo italiano, sopravvisse al campo di sterminio e si impegnò per il ricordo dell'Olocausto
- Gino Tommasi, medaglia d'oro al Valor militare, comandante militare partigiano nelle Marche. Morto per gli stenti il 05 maggio 1945.
- Ferdinando Valletti, dirigente dell'Alfa Romeo e calciatore italiano, sopravvisse al campo di sterminio condivise la prigionia con Aldo Carpi che aiutò in diverse occasioni e venne da lui citato nel Diario di Gusen
- Peter van Pels, rifugiato dell'Alloggio Segreto, deceduto tre giorni prima della liberazione del campo
- Bruno Vasari, scrittore italiano, pubblicò il primo libro di memorie di un ex deportato italiano, Mauthausen, bivacco della morte, La Fiaccola, Milano 1945
- Alfredo Violante è stato un giornalista e antifascista italiano.
- Simon Wiesenthal, cacciatore di criminali di guerra nazisti e autore, nel 1946 del libro KZ Mauthausen, Bild und Wort (Campo di concentramento di Mauthausen - immagini e parole)
Lista dei sottocampi
- Aflenz
- Amstetten
- Attnang-Puchheim
- Bachmaning
- Bretstein
- Dippoldsau
- Ebelsberg
- Ebenesee
- Eisenerz
- Enns
- Floridsdorf
- Graz
- Grein
- Groß Raming
- Gunskirchen
- Gusen
- Haidfeld
- Castello di Harteim
- Hinterbruch
- Hirtenberg
- Hollenstein
- Jedlsee
- Klagenfurt
- Lambach
- Leibnitz
- Lenzing
- Lind
- Linz
- Loiblpass
- Lungitz
- Marialanzendorf
- Melk
- Mistelbach an der Zaya
- Moosbierbaum
- Passavia (Passau)
- Peggau
- Rheydt
- Ried
- Schloß Mittersill
- Schönbrunn
- Schwechat
- Steyr
- St. Aegid
- St. Georgen
- St. Lambrecht
- St. Valentin
- Ternberg
- Vöcklabrück
- Wagram
- Wels
- Weyer
- Wien
- Wiener Neudorf
- Wiener Neustadt
- Wien-Haidfeld
Note
- ^ La suddivisione in Lagerstufe riguarda esclusivamente i campi di concentramento e non i campi di sterminio nei quali, ovviamente, le condizioni erano ancor peggiori non essendovi alcuna possibilità, pur labile, di sopravvivenza.
- ^ United States Chief Counsel for the Prosecution of Axis Criminality, Nazi Conspiracy and Aggression, Volume III. Washington, DC: United States Government Printing Office, 1946, Documento 1063-A-PS, pp. 775-76. Una copia del documento, in inglese, è disponibile a quest'indirizzo [1]
- ^ Il Memoriale, Mauthausen memorial
- ^ Giuliano Pajetta, Mauthausen, op.cit., p.20-21
- ^ (EN) Mühlviertel rabbit chase, mauthausen-memorial.at
- ^ (EN) Block 20, mauthausen-memorial.at
- ^ http://www.venegoni.it/venegoni_sec.pdf
- ^ Nessuno mai ci chiese
Bibliografia
- Bernard Aldebert, Il campo di sterminio di Gusen II dall orrore della morte al dolore del ricordo, Selene Edizioni, Milano, 2002
- Ludovico Barbiano di Belgioioso, Frammenti di una vita, Rosellina Archinto Editore, Milano, 1999
- Ludovico Barbiano di Belgioioso, Notte, Nebbia - Racconto di Gusen, Ugo Guanda, Parma, 1996
- Christian Bernadac, I 186 gradini - Mauthausen, Edizioni Ferni, Ginevra, 1974
- Christian Bernadac, I giorni senza fine, Edizioni Ferni, Ginevra, 1977
- Anna Bravo - Daniele Jalla, Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione italiana 1944-1993, FrancoAngeli, Milano, 1994
- Ada Buffulini - Bruno Vasari, II Revier di Mauthausen. Conversazioni con Giuseppe Calore, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 1992
- Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Ugo Mursia Editore, Milano, 1979
- Aldo Carpi, Diario di Gusen, Garzanti, Milano 1973; poi Einaudi, Torino, 1993, 2008 ISBN 9788806177218
- Enea Fergnani, Un uomo e tre numeri, Speroni, Milano, 1945
- Rudolf A. Haunschmied, Johann Prinz, Patrizia Pozzi (cur.), Giuseppe Valota (cur.), Getta la pietra! Il Lager di Gusen - Mauthausen, Mimesis, Milano, 2008 ISBN 9788884837240
- Gordon J. Horwitz, All'ombra della morte. La vita quotidiana attorno al campo di Mauthausen, Marsilio Editori, Venezia, 1994
- Hans Marsálek, La storia del campo di concentramento di Mauthausen, trad. di P. Ferrari, Edizioni del Museo di Mauthausen, Vienna-Linz, 1999
- Ferruccio Maruffi, Codice Sirio. I racconti del Lager, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1986
- Giuseppe Ennio Odino, La mia corsa a tappe (Nº 63783 a Mauthausen), Associazione Memoria della Benedicta - Le Mani, Genova, 2008
- Giuliano Pajetta, Mauthausen, La Tecnografica, Varese, 1946
- Vincenzo Pappalettera, Tu passerai per il camino, Mursia, Milano, 1965
- Natale Pia, La storia di Natale - Da soldato in Russia a prigioniero nel Lager, Edizioni Joker, 2003-2005-2006
- Marisa Ratti, Non mi avrete - Disegni da Mauthausen e Gusen. La testimonianza di Germano Facetti e Lodovico Belgiojoso, Silvana Editoriale, Milano-La Spezia, 2006
- Angelo Signorelli, A Gusen il mio nome e diventato un numero, ANED Sezione di Sesto San Giovanni e Monza, 1996
- Gino Valenzano, L'inferno di Mauthausen, Stamperia Artistica Nazionale, Torino, 1945
- Manuela Valletti Ghezzi, Deportato I 57633: Voglia di non morire, Boopen, Pozzuoli, 2008 ISBN 8862232012
- Bruno Vasari, Mauthausen, bivacco della morte, La Fiaccola, Milano, 1945
Comandanti del campo
- SS-Hauptsturmführer Albert Sauer
- SS-Standartenführer Franz Ziereis
Voci correlate
Altri progetti
- Wikiquote contiene citazioni di o su campo di concentramento di Mauthausen
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su campo di concentramento di Mauthausen
Collegamenti esterni
- Approfondimento
- Fondazione Memoria della Deportazione
- Testimonianza di Ludovico Barbiano di Belgiojoso
- L'odissea dei deportati spagnoli
- Portale dedicato ai Lager Nazisti www.lager.it
- (EN) KZ Mauthausen-Gusen Info-Pages
- (FR) Immagini da Mathausen-Gusen - La scala della morte
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