Michele Sindona

faccendiere, banchiere e criminale italiano (1920-1986)

Michele Sindona (Patti, 8 maggio 1920[1]Voghera, 22 marzo 1986) è stato un banchiere e criminale italiano.

File:Sindona caffè.jpg
Michele Sindona

Sindona è stato un membro della loggia P2 (tessera n. 0501)[2] e ha avuto chiare associazioni con la mafia. Coinvolto nell'affare Calvi e mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, è morto avvelenato in prigione, dopo la condanna all'ergastolo.

Gioventù

Michele Sindona nasce nel 1920 a Patti in provincia di Messina, figlio di un piccolo impresario di pompe funebri[senza fonte]. Sindona studia dai gesuiti. Laureato in giurisprudenza a Messina nel 1942, lavora per un paio di anni all'ufficio delle imposte di Messina[senza fonte].

Attività finanziaria

Al termine della guerra si trasferisce a Milano nel 1946 aprendo uno studio di consulenza tributaria; esercita come commercialista per società quali la Società Generale Immobiliare e la Snia Viscosa, divenendo negli anni '50 uno tra i commercialisti più ambiti. Si specializza in pianificazione fiscale acquisendo le conoscenze nell'esportazione dei capitali e nel funzionamento dei paradisi fiscali. A ciò si aggiungono la sua intelligenza e la spregiudicatezza nelle operazioni di borsa rivelatesi a lui favorevoli che gli permettono di accumulare una considerevole fortuna economica per la futura attività di banchiere[3].

Negli anni '60, Sindona importa a Piazza Affari gli strumenti di Wall Street: offerte pubbliche di acquisto (OPA), conglomerate, private equity.

La sua abilità nel trasferire denaro per evitare le imposizioni fiscali diviene nota ai boss mafiosi. Nel 1957 è strettamente associato ai mafiosi della famiglia Gambino, che gli affidano la gestione dei profitti dei loro traffici di eroina. Nel giro di un anno, Sindona compra la sua prima banca, la Banca Privata Finanziaria, proseguendo poi con la sua holding lussemburghese Fasco a ulteriori acquisizioni.

Sindona entra inoltre tra le conoscenze del cardinale Montini, arcivescovo di Milano e futuro papa Paolo VI. Nel 1969 inizia la sua associazione allo IOR, la banca vaticana; enormi ammontari vengono spostati dalle banche di Sindona, attraverso il Vaticano, verso banche svizzere, e Sindona inizia a speculare a larga scala tra le maggiori valute correnti.

Nel 1971 le sue fortune iniziano a rovesciarsi, a seguito del fallimento dell'OPA sulla finanziaria Bastogi, cui si era opposto Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca[4].

Nel 1972 entrò in possesso del pacchetto di controllo della Franklin National Bank di Long Island, nell'elenco delle prime venti banche statunitensi. Possedeva inoltre partecipazioni in altre aziende, tra cui una banca di investimento in Italia in diretta concorrenza con Mediobanca. Le sue banche si associarono ad altri istituti di credito, come la Finabank di Ginevra e la Continental Illinois di Chicago.

Sindona venne salutato come "salvatore della lira" da Giulio Andreotti, e nominato "uomo dell'anno" 1974 dall'ambasciatore americano in Italia, John Volpe. Ma nell'aprile dello stesso anno, un crollo del mercato azionario condusse al "crack Sindona". I profitti della Franklin Bank crollarono del 98% rispetto all'anno prima e Sindona accusò un calo di 40 milioni di dollari, iniziando a perdere la maggior parte delle banche acquisite nei 17 anni precedenti. L'8 ottobre 1974, la banca di Sindona fu dichiarata insolvente per frode e cattiva gestione, incluse perdite da speculazione sulle valute correnti e cattive politiche di prestito[5].

In base alle dichiarazioni del pentito mafioso Francesco Marino Mannoia, Sindona si occupava del riciclaggio dei proventi del traffico di eroina del gruppo Bontade-Spatola-Inzerillo-Gambino. Tali famiglie mafiose erano determinate a recuperare il loro denaro, e avrebbero giocato un importante ruolo nel tentativo di Sindona di salvare le proprie banche.

Corruzione e bancarotta fraudolenta

Sindona passò dall'essere un mago della finanza internazionale a essere uno dei più grandi e potenti criminali. Attraverso una serie numerosissima di libretti al portatore trasferì 2 miliardi di lire sulle casse della Democrazia Cristiana, e parecchi milioni di lire transitarono attraverso la CIA, la Franklin Bank e il SID per finanziare, secondo la commissione d'inchiesta del Senato degli Stati Uniti, la campagna elettorale di 21 di politici italiani[6].

Nel 1971 la Banca d'Italia per mano del Banco di Roma iniziò a investigare sulle attività di Sindona nel tentativo di non fare fallire gli Istituti di credito da questi gestiti (Banca Unione e Banca Privata Finanziaria). I motivi delle scelte dell'allora Governatore Carli erano chiaramente tese a non provocare il panico nei correntisti. Il Banco di Roma accordò un prestito a Sindona; il suo amministratore delegato Mario Barone fu cooptato come terzo amministratore degli istituti, riuniti nella Banca Privata Italiana, mentre il Direttore Centrale del Banco di Roma, Giovanbattista Fignon, ne divenne Vice Presidente e Amministratore Delegato. Fignon andò a Milano a rivestire la carica e capì immediatamente la gravità della situazione. Stese numerose relazioni, capì le operazioni gravose messe in piedi da Sindona e dai suoi collaboratori tanto che ne ordinò l'immediata sospensione.

Ciò che emerse dalle investigazioni indusse la Banca d'Italia, nel 1974, a ordinare un commissario liquidatore. Per il compito fu scelto Giorgio Ambrosoli, che assunse la direzione della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto, cominciando dalla società "Fasco", l'interfaccia fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo. Nel corso dell'analisi svolta dall'avvocato emersero le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e le numerose falsità nelle scritturazioni contabili.

Contemporaneamente a questa opera di controllo, Ambrosoli cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione. Queste miravano sostanzialmente a ottenere l'approvazione di documenti comprovanti la buona fede di Sindona. Se si fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d'Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile. Ai tentativi di corruzione fecero presto seguito minacce esplicite. Malgrado ciò, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere.

Nel corso dell'indagine emerse, inoltre, la responsabilità di Sindona anche nei confronti della Franklin National Bank, le cui condizioni economiche erano ancora più precarie, e l'indagine vide dunque coinvolta anche l'FBI.

Sindona venne arrestato per bancarotta fraudolenta e condannato dapprima negli Stati Uniti e in seguito anche in Italia.

Mandante dell'omicidio Ambrosoli

Giorgio Ambrosoli subì pesanti pressioni da parte del mondo politico democristiano e della loggia P2.

Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, dirigenti della Banca d'Italia, respinsero i piani di salvataggio presentati da Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti, e rivelarono il ruolo di Roberto Calvi nella vicenda. Messi sotto arresto e poi prosciolti (Baffi evitò il carcere per limiti d'età), dovettero lasciare l'istituto.

L'11 luglio 1979 William Joseph Aricò, sicario fatto appositamente venire dall'America e pagato con $25.000 in contanti ed un bonifico di altri $90.000 su un conto bancario svizzero, uccide Ambrosoli con quattro colpi di pistola mentre questi stava rincasando dopo una cena con amici.

Nello stesso periodo, la mafia uccise il capo della Squadra Mobile di Palermo, Boris Giuliano, che stava indagando sul traffico di eroina e che aveva contattato Ambrosoli due settimane prima per uno scambio di informazioni.

Nel 1986 Sindona venne condannato all'ergastolo per essere il mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, assieme a Roberto Venetucci, un trafficante d'armi che aveva messo in contatto Sindona col killer. Durante le indagini emersero l'affiliazione alla P2 di Licio Gelli, contatti con il Vaticano[senza fonte], la Massoneria e con ambienti mafiosi.

Latitanza e finto sequestro

Mentre era indagato negli Stati Uniti, Sindona mise in atto un finto sequestro da parte di un fantomatico gruppo proletario eversivo, nell'agosto 1979, per nascondere un misterioso viaggio di 11 settimane in Sicilia, giusto prima del suo processo. Giacomo Vitale, cognato del boss Stefano Bontade, si occupò assieme ad altri di organizzare il viaggio. Il vero obiettivo del finto rapimento era di far arrivare un avviso ricattatorio ai precedenti alleati politici di Sindona, tra cui il primo ministro Giulio Andreotti, per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e recuperare il denaro di Cosa Nostra, anche minacciando Enrico Cuccia, presidente di Mediobanca ed oppositore del piano di salvataggio.

Durante il finto rapimento, Sindona si fece addirittura anestetizzare una gamba per poi farcisi sparare da Joseph Miceli Crimi, medico italo-americano membro della P2, al fine di rendere più veritiero il sequestro. Crimi racconterà più tardi ai giudici di essersi anche recato ad Arezzo per parlare con Licio Gelli della situazione di Sindona.

Dopodiché, rientrò negli Stati Uniti, rimase alcuni giorni in un albergo e poi si arrese all'FBI. Nel 1980, Sindona venne condannato negli Stati Uniti per 65 accuse, tra cui frode, spergiuro, false dichiarazioni bancarie ed appropriazione indebita di fondi bancari; la sua difesa era assicurata da uno dei principali avvocati americani, Ivan Fisher.

Mentre si trovava in carcere, nelle prigioni federali statunitensi, il governo italiano presentò agli U.S.A. domanda di estradizione perché Sindona potesse presenziare al processo per omicidio. Il 27 marzo 1984 Sindona venne condannato a 25 anni di prigione e il 18 marzo 1986 fu condannato all'ergastolo quale mandante dell'omicidio Ambrosoli.

Morte in carcere

Due giorni dopo la condanna all'ergastolo, fu avvelenato con un caffè al cianuro di potassio nel supercarcere di Voghera, il 20 marzo 1986: morì all'ospedale di Voghera dopo due giorni di coma profondo[7]. Sindona era stato visitato in carcere da Carlo Rocchi [8] [9] che lo aveva rassicurato dell'aiuto degli americani per le sue vicende[10]. La sua morte è stata archiviata come suicidio poiché il cianuro di potassio ha un odore particolarmente pregnante e quindi risulta difficile l'assunzione involontaria; il comportamento e i movimenti di Sindona stesso lo confermavano, facendo pensare a un tentativo di auto-avvelenamento per essere estradato negli Stati Uniti, coi quali l'Italia aveva un accordo sulla custodia di Sindona legato alla sua sicurezza e incolumità. Quindi un tentativo di avvelenamento lo avrebbe riportato al sicuro negli Stati Uniti. Sindona fece di tutto per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti e l'avvelenamento, secondo l'ipotesi più accreditata, fu l'ennesimo tentativo. Quella mattina andò a zuccherare il caffè in bagno e come ricomparve davanti alle guardie carcerarie gridò: «Mi hanno avvelenato!». Resta comunque plausibile l'ipotesi che la persona fino a oggi ignota che gli fornì il veleno, lo manipolò in modo che lo portasse alla morte e non, come previsto, a un semplice malore, magari in accordo con chi lo avrebbe voluto togliere di mezzo.

Il giornalista e docente universitario Sergio Turone ipotizza che fu Andreotti a far pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale a Sindona, facendo credere a quest'ultimo che il caffè avvelenato gli avrebbe causato solo un malore. Secondo Turone, il movente del presunto omicidio sarebbe stato il timore che Sindona rivelasse durante il processo d'appello segreti riguardanti i rapporti tra politici italiani, Cosa Nostra, e la P2: "fino alla sentenza del 18 marzo 1986 Sindona [aveva] sperato che il suo potente protettore [Andreotti] trovasse la via per salvarlo dall'ergastolo. Nel processo d'appello, non avendo più nulla da perdere, avrebbe detto cose che fin ora aveva taciuto"[11]. Va tuttavia sottolineato che tale ipotesi non è stata suffragata da alcuna prova concreta che implichi in alcun modo Andreotti nella morte di Sindona.

Ancora nel 2010, Giulio Andreotti riportava un giudizio positivo su Sindona: «Io cercavo di vedere con obiettività. Non sono mai stato sindoniano, non ho mai creduto che fosse il diavolo in persona. Il fatto che si occupasse sul piano internazionale dimostrava una competenza economico finanziaria che gli dava in mano una carta che altri non avevano. Se non c'erano motivi di ostilità, non si poteva che parlarne bene»[12].

Filmografia

Note

  1. ^ Mafia, politica e affari nell'Italia repubblicana, 1943-1991 Storia e società, Nicola Tranfaglia, Laterza, 1992, ISBN 8842039632, 9788842039631
  2. ^ Web of scandal entangles P2, The Times, 27 maggio 1981.
  3. ^ "Il caffè di Sindona" Gianni Simoni e Giuliano Turone ed. Garzanti, ISBN 978-88-11-62051-8, p.33-34
  4. ^ Ambrosoli? Se l'andava cercando 8 settembre 2010, nel corso della registrazione di una puntata di "La storia siamo noi" di Giovanni Minoli, su Rai Due
  5. ^ Account Settled, Time magazine, April 7, 1980
  6. ^ http://books.google.it/books?id=rxbpgli8zMIC&pg=PA123&lpg=PA123&dq=%22vito+miceli%22+sindona&source=bl&ots=g9qD2EXTLR&sig=CBN9ZDtY5xbnOduB85EMFu9mo30&hl=en&sa=X&ei=0SI9T7n8MYLP4QSy94m-CA&redir_esc=y#v=onepage&q=%22vito%20miceli%22%20sindona&f=false
  7. ^ Michele Sindona, Jailed Italian Financier, Dies of Cyanide Poisoning at 65, The New York Times, 23 marzo 1986.
  8. ^ Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia: dal fascismo alla seconda Repubblica, Editori riuniti, 1998, p.503
  9. ^ Lo stesso personaggio, capo della CIA a Milano, che aveva fornito a Eugene Dollmann un falso documento d'identità
  10. ^ (Vincenzo Vasile su L'Unità del 15 gennaio 2007)
  11. ^ Sergio Turone sui rapporti tra Andreotti e Sindona
  12. ^ Ansa, 9 settembre 2010

Voci correlate

Bibliografia

  • (DE) Tosches N., Geschäfte mit dem Vatikan. Die Affäre Sindona., München 1987. ISBN 3426039702,
  • D. Yallop, In nome di Dio, Pironti Editore, Napoli, 1985
  • Tosches N., Il mistero Sindona: le memorie e le rivelazioni di Michele Sindona, SugarCo, 1986.
  • Lombard, Soldi Truccati, i segreti del sistema Sindona, Feltrinelli, 1980.
  • Corrado Stajano. Un eroe borghese. Il caso dell'avvocato Ambrosoli assassinato dalla mafia politica, Torino, Einaudi, 1995
  • Carlo Lucarelli. Misteri d'Italia. I casi di Blu notte. Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-06-15445-1.
  • Gianni Simoni, Giuliano Turone. Il caffè di Sindona. Un finanziere d'avventura tra politica, Vaticano e mafia, Milano, Garzanti, 2009. ISBN 978-88-11-62051-8.
  • Umberto Ambrosoli. Qualunque cosa succeda. Storia di un uomo libero. Sironi, 2009.
  • P. Panerai, M. De Luca, Il crack Sindona, Mondadori, Milano 1975.
  • F. Pinotti, Finanza Cattolica, Salani, Milano 2011.
  • AA.VV., Dossier Sindona, Kaos, Milano 2011.
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