Affirmanti incumbit probatio

La locuzione latina affirmanti incumbit probatio (lett. "la prova spetta a chi afferma") esprime un principio giuridico vigente ancora oggi: è compito di chi accusa portare le prove delle proprie affermazioni, non di chi si difende.

Precedenti di tale principio si possono riscontrare nel Digesto (22, 3, 2), in cui si leggono le parole di Paolo: «Ei incumbit qui dicit, non qui negat» (spetta a chi dice, non a chi nega).

Anche nel Corpus iuris civilis (4, 19, 23) si legge una disposizione valida sia per Diocleziano sia per Massimiano, che esprime proprio tale principio: Actor quod adseverat probare se non posse profitendo reum necessitate monstrandi contrarium non adstringit, cum per rerum naturam factum negantis probatio nulla sit. (lett: "l'accusatore, dichiarando di non poter provare ciò che afferma, non può obbligare il colpevole a mostrare il contrario, perché, per la natura delle cose, non c'è nessun obbligo di prova per colui che nega il fatto").

Questo concetto viene talvolta usato dagli atei per dimostrare l'inesistenza di Dio o, per meglio dire, l'indimostrabilità della sua esistenza: in un dibattito teologico, è colui che afferma l'esistenza di una o più divinità a cui tocca il compito di dimostrare tale esistenza. Il non credente afferma che esiste l'universo, il credente afferma che esiste l'universo e in aggiunta Dio: fornire verifica di quell'aggiunta è suo compito. La situazione è paragonabile a una causa giudiziaria: è l'accusa che, in un tribunale, deve condurre delle prove a sostegno della propria tesi; la difesa deve al massimo invalidare le suddette prove, non di certo fornire alla giuria una dimostrazione di innocenza nei confronti di un'accusa infondata. È quindi necessario, secondo questo principio, che gli stessi credenti si facciano carico dell'onere della prova, a sostegno delle loro affermazioni.[1].E' altresi vero che la stessa argomentazione capovolta può essere utilizzata dai credenti per chiedere le prove dell'affermazione "Dio è inesistente " o "Dio è il nulla" alla base dell'ateismo .In un suo famoso libro ,Richard Dawkins (uno dei maggiori critici mondiali delle religioni tradizionali) infatti afferma che l'utilizzo della locuzione latina non può esssere utilizzata in argomentazioni teologiche poichè scrive :"Che non si possa dimostrare l'inesistenza di Dio è un fatto riconosciuto".[2] Anche il filosofo Corrado Dollo evidenzia questa posizione affermando che l'utilizzo della massima latina da parte degli atei non è pertinente in quanto utilizzabile solo in caso in cui si presuma la non esistenza di Dio e non nel caso in cui invece,come fanno gli atei,si asserisca una negazione non suffragata da prove. [3]

Note

  1. ^ Raffaele Carcano, L'[in]esistenza di Dio, su uaar.it. URL consultato il 16 settembre 2012.
  2. ^ R.Dawkins, "L'illusione di Dio", Mondadori 2007, pag.60
  3. ^ AAVV "Filosofia, scienza, cultura: studi in onore di Corrado Dollo", Rubbettino Editore 2002, pag.144

Voci correlate

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