Storia della vita religiosa a Vicenza
La città di Vicenza e il suo territorio hanno una ricca storia di tradizione e cultura religiosa. Nel corso dei secoli molteplici sono state le espressioni della fede popolare che si sono tradotte in avvenimenti e in opere d’arte, così come significativa è stata la presenza di diverse istituzioni ecclesiastiche che, a fianco di quelle civili, hanno inciso sulla vita sociale.
Secoli I a.C.-III d.C
I culti pre-cristiani
Ciò che si conosce della vita religiosa a Vicenza in epoca romana si basa sul ritrovamento di dediche o iscrizioni su pietra, di statuette devozionali, di are, di sacelli e grotte sacre sparsi nella campagna e nelle valli[1], mentre non si ricavano informazioni da cronache o testi scritti. Dai reperti archeologici emergono alcuni elementi di una religiosità locale con caratteristiche dissimili da quella delle pur vicine Verona e Padova.
Anche se non saranno sicuramente mancate, come in tutte le città romane, le celebrazioni pubbliche delle divinità ufficiali e della figura deificata dell’imperatore, i reperti del territorio vicentino riguardano piuttosto la devozione privata di singoli abitanti della città e del territorio.
In secondo luogo, la maggior parte dei ritrovamenti riguarda divinità femminili: Diana, Fortuna, Venere, Nemesi, le Ninfe, Iside[2], tutte divinità di origine greca, orientale o egizia il cui culto era stato importato e integrato nel pantheon ellenistico-romano. Lelia Cracco Ruggini fa osservare che si tratta sempre di dee della fertilità, della natura, della caccia, delle acque, e ipotizza così che rappresentino la trasposizione nella cultura romana del più antico culto di Reitia - la venetica dea madre della fecondità di cui a Vicenza è stata ritrovata nel 1959 una laminetta votiva - o comunque di divinità femminili indigene protettrici delle forze della natura. Questo mantenimento di una devozione precedente alla conquista da parte di Roma sembra essere stato tipico delle popolazioni in cui l’assimilazione era avvenuta in modo pacifico e graduale, così come era stato per Vicenza[3].
Secoli IV-VI
Il primo Cristianesimo a Vicenza
Fu Aquileia, grande città e porto commerciale, il centro di diffusione del cristianesimo nella ’’X Regio Venetia et Histria’’[4]. Il fatto che esso fosse giunto nel territorio vicentino già verso la fine del III secolo[5] sarebbe attestato dal martirio – avvenuto nel 303-304 durante il periodo delle persecuzioni dioclezianee – dei due fratelli Felice e Fortunato, decapitati ad Aquileia per non aver voluto rinunciare alla loro fede.
La comunità dei fedeli di Vicenza crebbe rapidamente, anche per il favore concesso al cristianesimo dagli imperatori dopo l’editto di Milano del 313, al punto che alcuni autori ipotizzano una precoce traslazione del corpo di Felice a Vicenza per poterne venerare le reliquie[6]. In ogni caso esse furono portate nella città prima della fine del IV secolo, momento in cui venne costruito il primo sacello destinato ad accoglierne le spoglie, che sarebbe stato sostituito pochi anni dopo dalla basilica fuori dalle mura dedicata ai santi Felice e Fortunato).
Allo stesso periodo risale anche l’edificazione di una chiesa cittadina che due secoli più tardi sarebbe divenuta la cattedrale. Entrambe le chiese furono inizialmente costruite ad una navata e furono completamente rifatte, più grandi e a tre navate, verso la metà del V secolo, forse dopo la distruzione da parte degli Unni di Attila. Verso la fine del secolo, alla basilica dei Santi Felice e Fortunato fu affiancato un martyrion dedicato a Sancta Maria Mater Domini, in nome di una devozione a Maria Madre di Dio, diffusasi dopo il Concilio di Calcedonia del 451[7]. I reperti fanno perciò ritenere che a quel tempo la comunità cristiana fosse abbastanza fiorente e organizzata per potersi permettere di erigere contemporaneamente due edifici di culto: i pavimenti a mosaico che ancora si possono vedere a San Felice, in cui sono iscritti i nomi delle famiglie donatrici, testimoniano della munificenza e dello stato sociale dei fedeli[8].
A motivo di tali considerazioni Giovanni Mantese[9] ha ipotizzato che a quel tempo risalisse la prima organizzazione ecclesiale e che Vicenza fosse già nel IV secolo sede di un vescovo - come lo erano molte altre città delle Venetiae - di cui però non si ha notizia nella documentazione disponibile. Tra le numerose testimonianze di presenza di vescovi veneti ai concili dell’Italia settentrionale non vi è infatti alcuna menzione di un vicentino fino alla fine del VI secolo, quando viene citato Oronzio.
Non è difficile pensare che la costruzione di chiese all'interno della città e fuori le mura potesse corrispondere alle esigenze di una comunità cristiana: la preghiera comunitaria, la catechesi, la celebrazione dell'eucarestia e dei sacramenti, celebrati dal vescovo di un'altra città in visita pastorale o da un sacerdote da lui delegato. È probabile che sino alla fine del VI secolo la comunità di Vicenza abbia fatto riferimento al vescovo e alla diocesi di Padova, città sulla quale gravitava anche dal punto di vista civile, e si sia resa autonoma solo dopo la costituzione del regno longobardo, del quale Padova non faceva parte[10].
Secoli VI-VII
Il periodo dello Scisma dei Tre Capitoli
Il periodo iniziale della dominazione longobarda nel Veneto rappresentò anche il momento in cui si contrapposero culture differenti - che solo nell’VIII secolo si sarebbero integrate - caratterizzate anche dalla diversità di confessione religiosa.
Pochi anni prima dell'invasione - avvenuta nel 568-69 - l’imperatore bizantino Giustianiano, per non scontentare i monofisiti ancora numerosi anche dopo il concilio di Calcedonia nelle regioni orientali dell’impero, con un proprio editto aveva condannato alcuni scritti (capitoli) di tre teologi[11], che a Calcedonia avevano goduto di grande autorevolezza.
Molti vescovi dell'Italia Settentrionale - tra i quali quelli di Milano e di Aquileia - non avevano accettato questa imposizione e il loro dissenso si era acuito ai tempi del papa Pelagio I, il quale non solo aveva accettato l'editto, ma aveva indirizzato un'epistola al generale bizantino Narsete - che però non volle però obbedire alla richiesta - a ridurre la ribellione con la forza.
A quel punto il Patriarcato di Aquileia si rese gerarchicamente indipendente e i vescovi nominarono patriarca Paolino I per sottolineare la loro autonomia. Aquileia non riconobbe più l'autorità del papa e contestò vigorosamente fino alla rottura - da cui il nome Scisma dei Tre Capitoli) - il suo atteggiamento che riteneva ondivago sulla questione dei tre teologi condannati, in quanto non contrastava l'ingerenza del potere dell'imperatore bizantino nelle questioni dottrinarie.
Al tempo della loro migrazione in Italia, i Longobardi erano cristiani di confessione ariana, una fede che si sovrapponeva a un sostrato di tradizioni pagane ben radicate e di valori che costituivano l'identità del gruppo etnico. Al loro arrivo in Italia nel 568-69, preceduti dalla fama di essere un popolo feroce, Paolino trasferì la sua sede e le reliquie a Grado (Aquileia Nova), rimasta bizantina come il resto della fascia costiera. La maggior parte delle città dell’interno e le relative diocesi vennero invece conglobate nel nuovo regno.
Dopo la sua morte, il sinodo di Aquileia-Grado elesse nel 571 Elia, anch’egli convinto tricapitolino, cioè contrario agli orientamenti dell’imperatore e del papa. Il Patriarcato era tutto con lui: come ribadì un sinodo convocato a Grado nel 579, la Chiesa tricapitolina rimaneva rigorosamente calcedoniana, manteneva il credo niceno-costantinopolitano, non professava alcuna eresia cristologica e venerava Maria come "Madre di Dio". Nel 579 il nuovo papa, papa Pelagio II, gli concesse la metropolia sulle Venezie e sull'Istria per tentare di ricomporre lo scisma, che però aveva un grande seguito popolare; il patriarca Severo, successore di Elia, allora convocò nel 590 un sinodo a Marano Lagunare, al quale parteciparono circa 15 vescovi - tra cui Oronzio primo vescovo di Vicenza, come ricorda Paolo Diacono[12] - in cui le città più orientali della Regio, in contrasto con Aquileia e con tutte le altre che intendevano perseverare nella posizione tricapitolina in separazione da Roma, si attestarono su posizioni vicine al papa.
Così nel 606, alla morte di Severo, il Patriarcato si divise in due sedi, Aquileia e Grado. Ad Aquileia venne nominato il patriarca Giovanni, tricapitolino, con il sostegno dei Longobardi; a Grado, alla cui sede venne riservata la giurisdizione sui territori di dominazione bizantina, fu nominato il patriarca Candidiano, cattolico, sostenuto dall'esarca bizantino.
Vicenza quindi, che aveva sempre mantenuto la propria adesione ad Aquileia, per tutto il primo secolo di dominio longobardo rimase salda nella sua fede a connotazione tricapitolina. Non è documentata la costruzione di alcuna chiesa ariana a Vicenza e non risulta che i vicentini aderissero al credo dei vincitori.
Lo scisma, inizialmente favorito di longobardi in opposizione a Bisanzio e a Roma, fu risolto dai longobardi stessi. Nelle seconda metà del VII secolo essi gradualmente divennero cattolici e si avvicinarono al papa. Dopo la battaglia di Coronate del 689, nella quale il cattolico re longobardo Cuniperto sbaragliò l’ariano duca Alachis, appoggiato anche da molti aderenti allo scisma tricapitolino, la confessione cattolica si impose definitivamente sui dissidenti. Nel 698 Cuniperto convocò un sinodo a Pavia in cui i vescovi cattolici e tricapitolini, tra cui Pietro I, Patriarca di Aquileia, ricomposero "nello spirito di Calcedonia" la loro comunione dottrinaria e gerarchica.
Così maturò un nuovo clima culturale, testimoniato da una serie di elementi, quali il rinnovamento decorativo di chiese e di palazzi - anche se a Vicenza le testimonianze della Rinascenza liutprandea sono scarsissime) - l'abbandono dell'uso dei corredi funerari, la commistione dei nomi, per cui molti longobardi assunsero nomi di tradizione romana e cristiana e i romani presero nomi germanici, la condivisione della medesima lingua[13], tutto a dimostrazione che si stava affievolendo il senso identitario della stirpe.
Secoli VIII-XII
I Benedettini
Dopo la conversione dei longobardi al cattolicesimo, e soprattutto verso la metà dell’VIII secolo, molti nobili longobardi, in alcuni casi lo stesso re o i duchi, fondarono dei monasteri in tutta Italia, finanziandone la costruzione e dotandoli spesso di notevoli risorse economiche. Le terre donate spesso non erano contigue al monastero, perché provenivano dai possedimenti dei donatori, quindi non erano coltivate direttamente dai monaci e diventavano solo una fonte di reddito; altre volte costituivano il presupposto per fondare dei priorati che dipendevano dall’abbazia principale.
Talvolta il nobile fondatore si ritirava a vita nel monastero, dal quale - direttamente o tramite membri della famiglia che si erano fatti monaci o monache a loro volta - continuava ad esercitare la propria influenza sulla società esterna[14].
A questo periodo risale con ogni probabilità la fondazione del monastero annesso alla basilica dei SS. Felice e Fortunato, anche se non è documentata alcuna data certa. Sul territorio c’erano comunque almeno due possedimenti che dipendevano da abbazie non vicentine: il primo, verso Lonigo, con due ospizi gestiti da monaci dipendenti dall’abbazia di Nonantola - fondata da Anselmo, di origine vicentina, dopo che ebbe rinunciato al ducato del Friuli – l’altro, presso Longare, dipendente dall’abbazia di San Salvatore - ora Santa Giulia - di Brescia[15].
Antecedente all'anno Mille è anche la costruzione della chiesa di San Giorgio in Gogna, con annesso monastero benedettino e ospizio.
Secoli XIII-XIV
Eresie e repressione
Nel corso dell'XI e per buona parte del XII secolo Vicenza non sembrò toccata dai movimenti di dissenso e contestazione che miravano alla riforma della Chiesa, come furono quelli dei Patarini a Milano, dei Valdesi e degli Umiliati. Divenne invece un centro importante dei Catari già alla fine del 110.
Il Papato, che aveva iniziato una riforma interna alla Chiesa già con Gregorio VII ma senza ottenere un grande successo soprattutto in Germania e nell'Italia settentrionale, si mosse con ritardo nell'affrontare il dissenso, praticamente solo quando, nel 1183 con la pace di Costanza, finì il lungo periodo di lotta per le investiture e poté accordarsi con l'imperatore per reprimere le frange centripete che tendevano ad allontanarsi dall'ortodossia e criticavano i costumi del clero e la crescente potenza della Chiesa.
Così nel 1184 Lucio III emanò a Verona la decretale Ad abolendam diversarum haeresium pravitatem, con la quale venivano scomunicati tutta una serie di movimenti del dissenso, considerati eretici, e contro di essi veniva istituito il procedimento inquisitorio la cui gestione era affidata ai vescovi[16].
Per alcuni decenni ancora, come in buona parte dell’Italia settentrionale, anche a Vicenza la repressione fu piuttosto debole per vari motivi. Anzitutto a quel tempo le definizioni dogmatiche non erano così nette ed anzi i movimenti che criticavano o miravano alla riforma della Chiesa affermavano tutti la propria conformità al vangelo e i loro aderenti si definivano buoni cristiani.
In secondo luogo, perché la repressione fosse efficace, l’autorità religiosa avrebbe dovuto avvalersi della collaborazione di quella civile, ma gli organi cittadini - in tempi difficili di lotte tra fazioni o contro l’imperatore - non volevano inimicarsi i dissenzienti, spesso esponenti di famiglie signorili di buon livello culturale o mercanti che viaggiando erano entrati in contatto con diverse idee e diverse forme di spiritualità.
La stessa appartenenza religiosa era influenzata dalla scelta di campo tra guelfi e ghibellini. La nobiltà di Vicenza era in buona parte ghibellina, e così Ezzelino III da Romano, signore della città dal 1237 al 1259; ma anche alcuni vescovi simpatizzavano per l’imperatore: ancora nel 1239 si registra l’episodio dell’inerzia da parte del vescovo Manfredo de' Pii nei confronti di Federico II che, nonostante la scomunica comminatagli dal papa, era entrato in cattedrale durante la celebrazione della messa.
L'azione repressiva divenne molto più incisiva ed efficace sotto il pontificato di Innocenzo III che, tra l'altro, con la decretale Vergentis in senium del 1199 qualificò l'eresia come crimine di lesa maestà, cioè un reato che sovvertiva l'ordine sociale e perciò doveva essere represso dall'autorità civile. Gli eretici avrebbero dovuto essere privati di ogni diritto civile e politico e i loro beni confiscati. Infine con Gregorio IX nel 1233 fu stabilità la condanna al rogo per gli eretici impenitenti e vennero istituiti i tribunali dell'Inquisizione, sottratti ai vescovi ed affidati ai frati degli Ordini mendicanti, dipendenti direttamente dal papa[17].
La Chiesa catara di Vicenza
Agli inizi del XIII secolo la Chiesa catara contava a Vicenza e a Bassano circa 100 perfetti[18] (il che significa che i semplici credenti e i simpatizzanti erano molti di più), praticava un dualismo tipico della Sclavonia, dove aveva soggiornato ed era stato consacrato il suo vescovo Nicola da Vicenza; gli succedette nel 1214-1215 il suo 'figlio maggiore', il nobile vicentino Pietro Gallo[19].
Questa Chiesa ricevette un primo colpo durante la breve campagna di predicazione e di persecuzione di Giovanni da Schio nel 1933, che riuscì a far mandare sul rogo 60 eretici[20]. Si rafforzò invece durante la signoria di Ezzelino III, tanto che egli fu accusato - uno dei motivi che il papa addusse per indire la crociata contro di lui - di essere eretico e protettore di eretici, ma fu quasi debellata al tempo del vescovo Bartolomeo, che affrontò i catari in dibattiti pubblici, riuscendo a farne convertire molti - tra cui Geremia arcivescovo cataro di tutta la Marca e forse il vescovo Viviano Boglo - e a mandarne un'altra decina sul rogo, tra cui i diaconi Olderico de Marola e Tolomeo[21].
In seguito, le azioni decisive che estinsero del tutto la Chiesa catara a Vicenza furono l'attività della locale Inquisizione durante il periodo della soggezione a Padova e quella politica e militare delle signorie guelfe. Nel 1276 i fratelli Mastino e Alberto della Scala espugnarono con le loro truppe la rocca di Sirmione, dove si erano asserragliati numerosi perfetti insieme ai vescovi catari di Desenzano e Bagnolo San Vito; i prigionieri furono portati a Verona dove 166 di loro furono bruciati il 13 febbraio 1278, con l’aggiunta di un’altra quarantina di dissidenti.
L'Inquisizione nel XIII secolo
L'inefficienza nel reprimere l'eresia aveva indotto Gregorio IX ad inviare ripetutamente dei cardinali come legati papali nell’Italia per spingere all’intervento contro i catari le autorità religiose e civili. Poiché questo problema presente in tutto l’impero non si risolveva, alla fine il papa per combattere il dissenso si affidò agli Ordini mendicanti, che dipendevano non dai vescovi ma direttamente da lui, dotandoli di adeguati strumenti coercitivi.
Nella Marca di Verona l’ufficio inquisitoriale fu tenuto inizialmente dai domenicani e nel 1254 passò ai frati minori, che lo esercitarono fino al 1308 quando, in seguito a due severe inchieste papali contro di loro, ritornò ai domenicani. Quasi sicuramente ci fu anche a Vicenza un ufficio stabile e probabilmente un inquisitore vicario - incarico che spesso preludeva a quello del pieno ufficio - che curava l’amministrazione dei beni confiscati, accoglieva le confessioni degli eretici e svolgeva anche altre funzioni.
Secondo la normativa del tempo, le spese per l’indagine e per il processo dovevano essere coperte dall’inquisitore e per questo, tra le pene comminate, furono numerose quelle pecuniarie e le confische di beni di eretici defunti, mentre rarissime furono le esecuzioni capitali e le condanne al carcere. Soprattutto alla fine del Duecento si ebbero in città molti processi postumi contro famiglie ricche e potenti, nel periodo in cui furono inquisitori dei frati padovani, nominati dal ministro provinciale Bartolomeo Mascara da Padova (1289 – 1299), che spendevano indebitamente una parte delle entrate per usi personali e favori a parenti.
Nelle due severe inchieste papali del 1302 e del 1308, i giudici speciali inviati da Bonifacio VIII e da Clemente V raccolsero abbondanti dati sulla gestione economica, conservati a Roma nelle Collectoriae dell'Archivio Segreto Vaticano, mentre i verbali dei processi tenuti nelle sedi locali scomparvero quasi tutti nel corso dei secoli. Per questo motivo si conoscono meglio le confische e le vendite dei beni degli eretici fatte da questi inquisitori che la loro attività processuale vera e propria.
La prima inchiesta, affidata da Bonifacio VIII il 12 giugno 1302 a Guido di Neuville, vescovo di Saintes, relativa a sei inquisitori francescani della provincia veneta, fu provocata dalla denuncia del vescovo di Padova e degli ambasciatori del Comune. Fra Boninsegna da Trento e fra Pietrobuono da Padova furono incarcerati, gli altri sospesi. Dai dati raccolti risultò tra l'altro che fra Boninsegna aveva incassato nel 1300-1301 a Vicenza 25.524 lire di piccoli veneti di entrate (pari a 7.900 fiorini d'oro) e ne aveva versate al Comune soltanto 1.000. Il papa assegnò allora l'ufficio di Padova e Vicenza ai domenicani; dai pochi atti rimasti, si sa che fra Boninsegna fu condannato a pagare 250 fiorini d'oro alla Camera apostolica[22].
Quantunque gli inquisitori di origine padovana venissero accusati dalle loro vittime e censurati dal papa, sembra che all'epoca fossero ben accetti ai contemporanei, che anche nel periodo delle ricorrenti malversazioni continuarono a lasciare loro donativi nei testamenti, a collaborare con loro a livello istituzionale e talvolta perfino li difesero dalle fondate accuse di abusi amministrativi. Lo stesso comune di Vicenza, in quel periodo praticamente sottomesso a Padova, fu collaborativo e destinò un terzo del ricavato dei beni confiscati alla costruzione dell'imponente chiesa francescana di San Lorenzo.
Gli Ordini mendicanti
Nei primi decenni del Duecento gli Ordini mendicanti si diffusero con estrema rapidità in tutte le principali città d’Italia e d’Oltralpe. A differenza dei monaci, i frati non risiedevano in monasteri, ma costruivano grandi conventi ben inseriti nel tessuto urbano e passavano dall’uno all’altro, non si isolavano dal mondo ma vivevano in mezzo alla gente, fosse il popolo minuto o la nuova borghesia. Spesso riscuotevano i favori dei potenti, ma non dipendevano da loro per la concessione delle terre. Erano più colti e preparati alla predicazione del clero diocesano, con il quale entravano spesso in conflitto. Svincolati dall’obbedienza al vescovo considerato poco efficiente, erano la nuova forza a disposizione del papa per combattere gli eretici, che neppure le crociate bandite contro di loro erano riuscite ad annientare.
Essi irruppero anche a Vicenza, una città in cui agli inizi del secolo il vescovo era stato pesantemente ridimensionato sia nel suo potere temporale che come autorità religiosa, il clero secolare e religioso era incolto e mondano nei costumi, una città in cui era presente la forte Chiesa catara con un proprio vescovo e un buon numero di aderenti anche tra i ceti emergenti.
Si distribuirono nella città per settori di competenza, per non interferire tra di loro nella predicazione e nella colletta delle elemosine, utilizzando la naturale divisione in quartieri determinata dal decumano e dal cardo principali. I francescani, presenti a Vicenza fin dagli anni Venti[23], si radicarono nel quadrante a nord-ovest, dove nel 1280 iniziarono la costruzione del Tempio di San Lorenzo; i domenicani costruirono la chiesa di Santa Corona nel quadrante a nord-est; gli agostiniani eressero nel 1264 la chiesa di San Michele, demolita nel 1812, al di là del Retrone nel settore sud-est, mentre il quartiere sud-ovest restò alla competenza del capitolo della cattedrale[24].
Ciascuno di essi ebbe un periodo di maggior influenza sulla vita cittadina. I domenicani negli anni Trenta – si ricorda il momento di fulgore di Giovanni da Schio – e soprattutto nel quinquennio che seguì la caduta di Ezzelino III, quando furono fortemente sostenuti dal loro confratello, il vescovo Bartolomeo da Breganze, ma anche dal Comune, che acquistò l’area per la costruzione di Santa Corona. I francescani furono favoriti nel cinquantennio dell’egemonia padovana e a loro furono affidati gli uffici dell’Inquisizione cittadina: Gli agostiniani infine, ben visti dagli scaligeri, si affermarono nel periodo della signoria veronese.
Fede, pietà e religiosità
Rispetto ai secoli precedenti, nell’Italia del Duecento la religiosità popolare trovò forme diverse per esprimersi, dotate di maggiore interiorità. Messa in secondo piano l’iconografia di origine bizantina che equiparava Cristo ad un re, ora si poneva nelle chiese il crocefisso – particolarmente caro ai francescani - e si meditava su Gesù uomo e sofferente: La figura di Maria, elaborata dalla spiritualità di Bernardo di Chiaravalle, assumeva le vesti della madre dolce e della donna ideale. Anche in opposizione ad una Chiesa che appariva sempre più distante dal Vangelo, si voleva ritornare alle origini della fede, si chiedeva la traduzione delle Scritture in lingua volgare per meglio comprenderle, si accoglieva volentieri la predicazione.
Era l’ambiente favorevole per la rapidissima crescita e la diffusione degli Ordini mendicanti i cui frati, preparati nello studio dei testi sacri, capaci di esprimerne i contenuti in un linguaggio corrente concreto e adeguato alla vita quotidiana, rigorosi nel proprio stile di vita – tutte qualità in cui il clero diocesano era invece molto carente – infiammavano le folle esortandole alla penitenza e alla sequela del Cristo.
Ciò che a Vicenza resta di questo periodo, chiese e cronache, ricorda questo nuovo modello di religiosità. La necessità di contenere folle numerose, richiamati soprattutto nei tempi liturgici della penitenza dalla fama di predicatori itineranti, si esprimeva nella grandiosità delle chiese costruite nel XIII secolo: Santa Corona, San Lorenzo, San Michele. Nella piazza di fronte alla chiesa di San Lorenzo confluivano fedeli di ogni ceto per assistere, chiamati dalla campana del chiostro… ai diversi uffici o alle prediche, per ricevere i sacramenti della confessione e dell’eucarestia, per partecipare alle devozioni particolari… per dare sepoltura ai loro defunti[25].
Fatti come quelli degli usurai Vincenzo del fu Tealdino, capostipite della famiglia Thiene, e Pietro da Marano detto il Nano, immortalato nel portale di San Lorenzo, che in punto di morte cercavano la salvezza dal loro peccato nel pentimento e in cospicui lasciti alle chiese, ci dicono che la predicazione doveva essere efficace. Frequente era anche la confessione – la cui frequenza annuale era stata resa obbligatoria dal Concilio Lateranense IV – che richiedeva ministri del culto preparati, come lo erano i frati.
Note
- ^ Cracco Ruggini, 1988, p. 268
- ^ Cracco Ruggini, 1988, pp. 269-273
- ^ Cracco Ruggini, 1988, p. 276
- ^ Cracco Ruggini, 1988, p. 283, 285
- ^ Cracco Ruggini, 1988, p. 290
- ^ Cracco Ruggini, 1988, p. 295
- ^ Cracco Ruggini, 1988, pp. 298-300
- ^ Cracco Ruggini, 1988, pp. 286-287, 302 e anche >Cracco, 2009, Religione, Chiesa, Pietà, p. 455
- ^ Mantese, 2002, I, p. 45. M. Mirabella Roberti, in >AA.VV., 1979, 2002, Gli edifici, p. 15-355, ritiene che S. Felice fosse già sede vescovile fin dalla prima costruzione.
- ^ Cracco Ruggini, 1988, pp. 286-287, 302
- ^ Teodoreto di Ciro, Iba di Edessa e Teodoro di Mopsuestiache, pur essendo stati accettati dal concilio di Calcedonia, erano accusati dai monofisiti di essere nestoriani
- ^ in Historia Langobardorum, III, 26
- ^ Azzara, 2002, pp.104-105
- ^ Azzara, 2002, p. 123
- ^ Settia, 1988, p. 22
- ^ Rapetti, 2009, pp. 158,163
- ^ Rapetti, 2009, p. 166
- ^ Del Col, 2006, p. 78
- ^ P. Marangon, Il pensiero ereticale nella Marca Trevigiana e a Venezia dal 1200 al 1350, Abano Terme, 1984.
- ^ Del Col, 2006, p. 82
- ^ Cracco, 2009, Religione, chiesa, pietà, pp.512, 526-528
- ^ Del Col, 2006, pp. 95-98, 145
- ^ Il sito Template:Citaweb riporta cenni storici e cita documenti sul primo periodo di presenza dei francescani in città e sulla costruzione del Tempio di San Lorenzo. V. anche Storia della Chiesa di San Lorenzo.
- ^ Franco Barbieri, Vicenza gotica, in: G.P. Marchini e al., Vicenza, Aspetti di una città attraverso i secoli, Vicenza 1983, pp. 33-34.
- ^ Franco Andrea Dal Pino, Laicato italiano tra eresia e proposito pauperistico evangelico nei secoli XII-XIII, Padova 1984 Citato da Template:Citaweb: sito di www.vicenzanews.it, che utilizza la fonte dell'Ufficio diocesano di Vicenza per i beni culturali.