Nedda (novella)

novella scritta da Giovanni Verga

Nedda è una novella scritta da Giovanni Verga che venne pubblicata il 15 giugno del 1874 sulla "Rivista Italiana" e nello stesso anno dall'editore Brignola a Milano.

Nedda
AutoreGiovanni Verga
1ª ed. originale1874
Generenovella
Lingua originaleitaliano
Ambientazionefattoria del Pino alle falde dell'Etna, Ravanusa, San Giovanni la Punta, Bongiardo
ProtagonistiNedda
«Era una ragazza bruna, vestita miseramente, dall'attitudine timida e ruvida che danno la miseria e l'isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non avessero alterato profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago, avea denti bianchi come avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso"»

Secondo il parere della maggior parte della critica Nedda è l'opera che segna il passaggio, nella poetica di Verga, al verismo con la rappresentazione oggettiva e reale di una società in degrado e, anche se, come afferma Sarah Zappulla Muscarà[1]

Trama

La storia è incentrata su Nedda, una semplice, innocente e rassegnata raccoglitrice di olive di Viagrande, ma che abita a Ravanusa (località nei pressi di San Giovanni la Punta), chiamata la varannisa, che per aiutare la madre ammalata e che in seguito morirà, è costretta a vagare di fattoria in fattoria in cerca di un lavoro, sostenuta solamente dall'amore per Janu, un contadino che lavora con lei ma che, ammalato di febbre malarica e costretto ugualmente a salire sugli alberi per la rimondatura degli ulivi, un giorno cade e muore lasciando Nedda in attesa di una bambina. Ma la bimba, che nasce "rachitica e stenta"[2] presto muore. Il racconto si conclude con le parole di Nedda che, dopo aver adagiato sul letto dove aveva dormito sua madre la povera creatura, "... cogli occhi asciutti e spalancati fuor di misura. - Oh, benedetta voi, Vergine Santa! esclamò - che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me!"[3]

Poetica

Mettendo in luce la cattiveria, l'aridità e l'incomprensione di coloro che vivono nell'agiatezza di soldi, oro e argento, in Nedda, Verga confronta l'umiltà, la timidezza e la rassegnazione delle sue creature umili, con gli animali che, come scrive Vitaliano Brancati[4] "... non rappresentano affatto l'animalità, gli istinti brutali e il senso, come accade nel neorealismo, rappresentano la pazienza, il silenzio, la mancanza di protesta e di critica. L'animale non sta a significare un grado più basso di umanità, ma al contrario più umile della santità".

Note

  1. ^ Sarah Zappulla Muscarà, " Il bozzetto siciliano non segna, come comunemente si afferma, la nuova fase dell'arte verghiana, costituisce tuttavia un momento senza dubbio fondamentale nel travaglio divenire dell'artista che, pur tra soste e ritorni, non conosce cesure o conversioni ma una graduale e coerente maturazione ". Invito alla lettura di Verga, Mursia, Milano, 1984, pag. 77
  2. ^ Giovanni Verga, Tutte le novelle, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1979, pag. 30
  3. ^ op. cit., pag. 31
  4. ^ Vitaliano Brancati, in L'orologio di Verga, in "Il Mondo", 27 settembre 1955

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