Dio
Con il termine Dio si intende indicare un'entità superiore dotata di potenza straordinaria, variamente denominata e significata nelle diverse culture religiose[1].
Lo studio delle sue differenti rappresentazioni nelle diverse culture religiose e nel loro procedere storico è oggetto della scienza delle religioni, ovvero e ad esempio, della storia delle religioni e della fenomenologia della religione.
L'esistenza, la natura e l'esperienza di Dio sono oggetto di riflessione delle teologie e di alcuni ambiti filosofici come la metafisica, riscontrandosi anche in altri ambiti culturali (per esempio, la letteratura o l'arte), alcuni di essi non necessariamente collegati con la pratica religiosa.
"Dio" nella fenomenologia della religione
L'uso del termine "Dio" può risultare problematico vista la comune applicazione ad ambiti storicamente e culturalmente diversi, tuttavia la fenomenologia della religione ha ritenuto di individuare un'origine condivisa di tali significati, collocabile nella comune esperienza del sacro e della sua "potenza":
Sempre in ambito fenomenologico-religioso si è ritenuto di individuare delle costanti nei significati e nelle rappresentazioni attribuite al "Dio" inteso come Essere supremo nelle differenti culture:
I nomi di "Dio": i loro significati e le loro origini
I nomi utilizzati per indicare questa "entità superiore" dotata di potenza straordinaria sono numerosi tanto quanto numerose sono le lingue e le culture, con le loro origini.
- Nelle lingue di origine latina come l'italiano (Dio), il francese (Dieu) e lo spagnolo (Dios), il termine deriva dal latino Deus (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, di divus-"splendente" e dies-"giorno") proveniente dal termine indoeuropeo ricostruito *deiwos. Il termine "Dio" è connesso quindi con la radice indoeuropea: *div/*dev/*diu/*dei, che ha il valore di "luminoso, splendente, brillante, accecante", collegata ad analogo significato con il sanscrito dyáuh. Allo stesso modo si confronti il greco δῖος e il genitivo di Ζεύς [Zeus] è Διός [Diòs], il sanscrito deva, l'aggettivo latino divus, l'ittita šiu.
- Nelle lingue di origine germanica come l'inglese (God), il tedesco (Gott), il danese (Gud), il norvegese (Gud), lo svedese (Qud), sono relazionati all'antico frisone, all'antico sassone e all'olandese medievale Got; all'antico e al medievale alto germanico Got; al gotico Gut; all'antico norvegese Guth e Goth nel probabile significato di "invocato". Maurice O'C Walshe[2] lo relaziona al sanscrito -hūta quindi *ghūta (invocato). Quindi forse da relazionare al gaelico e all'antico irlandese Guth (voce) e all'antico celtico *gutus (radice *gut)[3].
- Nella lingua greca, antica e moderna, il termine è Theós (θεός; pl. theoí Θεοί). L'origine è incerta[4]. Émile Benveniste, tuttavia, nel suo Le Vocabulaire des institutions indo-européennes [5] collega theós a thes- (relazionato sempre al divino)[6] e questo a *dhēs che si ritrova nel plurale armeno dikc (gli "dèi", -kc è il segno plurale). Quindi per Émile Benveniste: «è del tutto possibile -ipotesi già avanzata da tempo- che si debba mettere in questa serie Theós 'Dio' il cui prototipo più verosimile sarebbe proprio *thesos. L'esistenza dell'armeno dikc 'dèi' permetterebbe allora di formare una coppia lessicale greco armena[7]».
- In ambito semitico il termine più antico è ʾEl (in ebraico אל), corrispondente all'accadico Ilu(m) (cuneiforme accadico ) e al cananaico ʾEl o ʾIl (fenicio ), la cui etimologia è oscura anche se sembrerebbe collegata alla nozione di "potenza" [8].
- Nell'ambito della letteratura religiosa ebraica i nomi con cui viene indicato Dio sono: il già citato ʾEl; ʾEl ʿElyon (ʿelyon nel significato di "alto" "più alto"); ʾEl ʿOlam ("Dio Eterno"); ʾEl Shaddai (significato oscuro, forse "Dio Onnipotente"); ʾEl Roʾi (significato oscuro, forse "Dio che mi vede"); ʾEl Berit ("Dio dell'Alleanza"); ʾEloah, (plurale: ʾElohim , meglio ha-ʾElohim il "Vero Dio" anche al plurale quindi ; ha per distinguerlo dalle divinità delle altre religioni o anche ʾElohim ḥayyim, con il significato di "Dio vivente"); ʾAdonai (reso come "Signore") e YHWH (il nome personale del Dio di Israele).
- Nell'ambito della letteratura religiosa arabo musulmana il nome di Dio è Allāh (الله) riservando il nome generico di ilāh ( إله; nel caso del Dio unico allora al-Ilāh il-Dio) per le divinità delle altre religioni. Il termine arabo Allāh viene probabilmente dall'aramaico Alāhā[9]).
- Nella lingua sumerica il grafema distintivo della divinità è (dingir) probabilmente inteso come "centro" da cui la divinità si irradia [10].
- Nella cultura religiosa sanscrita, fonte del Vedismo, del Brahmanesimo e dell'Induismo, il nome generico di un dio è Deva ( देवता) riservando, a partire dall'Induismo, il nome di Īśvara (ईश्वर, "Signore", "Potente", dalla radice sanscrita īś "avere potere") alla divinità principale[11]. il termine Deva è correlato, come ad esempio il termine latino Deus, alla radice indoeuropea già citata richiamante lo "splendore", la "luminosità". In tale alveo la divinità femminile si indica con il nome di Devī, termine che indicherà con la Mahādevī (Grande Dea) un principio femminile primordiale e cosmico di cui le singole divinità femminili non sono che manifestazioni[12].
- Nella cultura religiosa iranica preislamica termine utilizzato è Ahura acquisendo il nome di Ahura Mazdā (persiano اهورا مزدا) l'unico Dio del monoteismo zoroastriano[13].
- Il carattere cinese per "Dio" è 神 (shén). Esso si compone al lato sinistro di 示 ( shì "altare" oggi nel significato di "mostrare") a sua volta composto da 丁 (altare primitivo) con ai lati 丶 (gocce di sangue o di libagioni). E a destra 申 (shēn, giapp. shin o mōsu) sta per "dire" "esporre" qui meglio come "illuminare", "portare alla luce". Quindi ciò che dall'altare conduce alla chiarezza, alla luce, Dio. Rende il sanscrito deva e da questo deriva sia il lemma giapponese di carattere identico ma pronunciato come shin sia quello coreano 신 (sin) e il termine vietnamita thân. Anche il tibetano lha. Quindi 天神 (tiānshén, giapp. tenjin, tennin, coreano 천신 ch'ŏnsin vietnamita thiên thần: Dio del Cielo) dove al già descritto carattere 神 si aggiunge 天 (tiān, giapp. ten) col significato di "cielo", "celeste", dove si mostra ciò che è in "alto" è "grande" (大 persona con larghe braccia e grandi gambe ad indicare ciò che è "largo", "grande").
La nozione di “Dio” nella Storia e nelle culture religiose
La nozione nel mondo dei Sumeri
La nozione nel mondo degli Egizi
La nozione nel mondo degli Ittiti
La nozione nel mondo dei Babilonesi
La nozione nell'Ebraismo
La nozione nella Religione greca
La nozione nella Religione romana
La nozione nel Cristianesimo
La nozione nello Gnosticismo
La nozione nel Manicheismo
La nozione nell'Islām
La nozione nell'Induismo
La nozione nel Buddhismo
Nuovi movimenti religiosi
Mormonismo
I Mormoni, sebbene con sostanziali differenze rispetto alla dottrina cristiana trinitaria ortodossa, sostengono la dottrina trinitaria. Ciò è evidente da alcuni passi presenti nel libro di Mormon, ed in Dottrina e Alleanze:
Joseph Smith all'inizio della primavera del 1820 narra di aver visto il Padre e il Figlio e nel suo racconto spiega che sono uomini e hanno corpi di carne e ossa altrettanto tangibili quanto i nostri, ma glorificati e perfetti. Solo lo Spirito Santo è un personaggio di spirito.[15] Sempre a Joseph Smith Gesù stesso spiega che lui e il Padre sono un solo Dio: "Poiché ecco, in verità io vi dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno; e io sono nel Padre, e il Padre è in me, e io e il Padre siamo uno."[16]
Wicca
Nella religione Wicca il divino viene concepito come immanente. In particolare il Dio è la controparte maschile della Dea. Da notare come in questa religione entrambe le entità siano chiamate con la "D" maiuscola e rappresentino le due metà dell'energia primordiale. Essi simboleggiano infatti due principi cosmici contrapposti, ma complementari, dalla cui unione dipende il continuo e ciclico divenire del mondo. Il Dio è infatti la forza maschile e incarna tutti gli uomini, la loro fertilità e amore. Egli è nelle foreste, nei suoi alberi secolari, nell'intricata vegetazione e negli animali selvaggi. In particolare gli animali con le corna, come il cervo e il toro, sono legati al Dio. Il Dio è simbolo di morte e di rinascita, e la sua vicenda mitica segue la Ruota dell'Anno: nasce a Yule, si manifesta ad Imbolc, si accoppia con la Dea a Beltane, muore a Lammas, la Dea lo visita nell'aldilà a Samhain ed a Yule è pronto a nascere di nuovo. La Dea è invece la forza femminile, da cui deriva l'universo ed è quindi anche simbolo di maternità: Essa incarna tutte le donne, la loro fertilità e amore. La Dea ha tre aspetti che corrispondono alle tre fasi della vita: Fanciulla, Madre e Anziana.
Concezioni filosofiche della divinità
Filosofia greca
I Greci si posero anche il problema dell'esistenza di Dio. Numerosi filosofi si occuparono, più o meno indirettamente, della questione. Nei presocratici ad esempio la filosofia naturalistica, che dominava sulle altre, spesso condusse alla ricerca di un principio primo o archè, sia nei filosofi di Mileto che in Eraclito, oppure ad un Essere come negli eleati (Parmenide su tutti). Anassagora riteneva l'universo mosso da un'intelligenza suprema (Nous), mentre Democrito sembrava non contemplare l'idea di un disegno divino nel cosmo.
Socrate, come riporta Senofonte nei Memorabili, fu particolarmente votato all'indagine sul divino: svincolandolo da ogni interpretazione precedente, lo volle caratterizzare come "bene", "intelligenza" e "provvidenza" per l'uomo.[17] Egli affermava di credere in una particolare divinità, figlia degli dèi tradizionali, che indicava come dáimōn: uno spirito-guida senza il quale ogni presunzione di sapere è vana. In Socrate infatti ricorre spesso il tema della sapienza divina più volte contrapposta all'ignoranza umana.[18] Concetto ribadito anche a conclusione della sua Apologia:
Platone parla di Dio in molti dei suoi Dialoghi. Nella Repubblica, per esempio, fa una critica alle visioni del tempo, secondo le quali Dio (o gli dèi) era presentato con molti vizi umani. Nel libro X delle Leggi tenta di articolare una prova dell'esistenza di Dio partendo dal movimento e dall'anima, e difende in modo preciso l'idea di una provvidenza divina rispetto al mondo umano.
Aristotele giungerà a dimostrare la necessità filosofica di Dio come motore immobile, causa prima non causata. Egli suddivideva le scienze in tre rami:
- fisica, in quanto studio della natura;
- matematica, o studio dei numeri e delle quantità;
- e teologia, da lui giudicata la più eccelsa delle scienze,[19] dato che il suo argomento, Dio e le sostanze separate, rappresenta l'essere più alto e degno di venerazione.
Secondo Aristotele solo il divino è vero essendo «fisso e immutabile»; l'essere vero, come già in Parmenide e Platone, è ciò che è «necessario», perfetto, quindi stabile, non soggetto a mutamenti di nessun genere. Il divenire invece è una forma inferiore di realtà che si può anche studiare, ma non conduce ad alcun sapere universale.
La filosofia nel senso più alto era quindi da lui intesa solo come "scienza del divino", ovvero «scienza dell'essere in quanto essere»[20], distinto dall'«essere per accidente»[21] che concerne la semplice realtà naturale e percepibile. Ad esempio la filosofia naturalistica come quella di Talete e Anassimandro, di Leucippo e di Democrito, era per lui solo una forma di sotto-conoscenza dell'accidentale, del precario e del particolare.
Deismo
La visione deista di Dio sottintende la convinzione di poter giustificare razionalmente l'esistenza di Dio, tipo di visione diffusasi soprattutto nell'età dell'Illuminismo. Deista era, per esempio, Voltaire.
Il deismo ritiene che l'uso corretto della ragione consenta all'uomo di elaborare una religione naturale e razionale completa ed esauriente, capace di spiegare il mondo e l'uomo. Esso prescinde completamente da ogni rivelazione positiva e le si oppone, basandosi su alcuni principi elementari, primo fra tutti quello dell'esistenza della divinità come base indispensabile affermare per spiegare l'ordine, l'armonia e la regolarità nell'universo.
Il concetto alla base del deismo, quello di una divinità eminentemente creatrice, ma anche ordinatrice e razionalizzatrice, è immediatamente utilizzabile, nell'ambito della classificazione tra teoetotomie e religioni ed in ottica etnologica, per identificare questi secondi modelli rispetto alle prime. In una religione rivelata infatti la divinità non esplica solo una funzione creatrice ma anche quella di censore/supervisore etico dell'uomo. Questa modalità di intendere il profilo della divinità è una modalità contingente che si può ritrovare solo su sistemi di culto connessi con modelli sociali di tipo classistico. Il passaggio da modelli deistici a modelli teoetotomistici, corroborato da varie evidenze antropologiche, è stato invocato per spiegare il mito del peccato originale. Questa trasformazione socio culturale può essere infatti invocata per interpretare il passaggio dalla condizione anteriore alla manducazione del pomo dell'albero, detto dall'agiografo della conoscenza del bene e del male, in cui l'uomo, vivendo in contesti deistici non era in grado di sperimentare la condizione di conoscenza di eventuali gesti e scelte da intendere quale opposizione alla volontà della divinità (male) da gesti e atteggiamenti graditi alla stessa (bene). Le forme deistiche, non teoetotomistiche, non contemplano infatti alcun concetto di peccato/corruzione/impurità. Questo implica che in esse la sfera etica sia sottratta dall'ambito confessionale, di fede. L'uomo dunque non può conoscere il bene e il male. È immediata la possibilità di identificare questa valenza nel nome dato all'albero in questione. La conoscenza del bene e male, vere e proprie categorie teologiche, è infatti possibile solo in un contesto dove la divinità emani norme e leggi o principi etici a cui l'individuo si deve attenere, pena l'incorrere in sanzioni/condanne.
La concezione deistica, nata in un'epoca fortemente segnata dalle guerre di religione, intende così, mediante il solo uso della ragione, porre fine ai contrasti fra le varie religioni rivelate in nome di quell'univocità della ragione, sentita, in particolare nell'ottica dell'illuminismo, come l'unico elemento in grado di accomunare tutti gli esseri umani.
Nomi e titoli di Dio
Dio traduce l'ebraico El (nome anche di una divinità fenicia), Eloah, ed Elohim (grammaticalmente plurale, da cui varie ipotesi su di un politeismo originario). Si trova nei testi che lo studio filologico fa risalire alla corrente eloista del Pentateuco. La stessa radice si ritrova nell'ebraico e poi cristiano Elia e nell'attributo di Gesù come Em-anu-el (Dio-con-noi); ed anche nell'islamico Allah. A testimonianza dell'origine comune di cristianesimo, islam ed ebraismo, i loro nomi di Dio condividono la stessa origine. Il nome che appare più spesso nella Bibbia ebraica è quello composto dalle lettere ebraiche י (yod) ה (heh) ו (vav) ה (heh) o tetragramma biblico (la scrittura ebraica è da destra a sinistra). Gli ebrei si rifiutano di pronunciare il nome di Dio presente nella Bibbia, cioè י*ה*ו*ה (tetragramma biblico) per tradizioni successive al periodo post esilico e quindi alla stesura della Torah. L'ebraismo insegna che questo nome di Dio, pur esistendo in forma scritta, è troppo sacro per essere pronunciato. Tutte le moderne forme di ebraismo proibiscono il completamento del nome divino, la cui pronuncia era riservata al Sommo Sacerdote, nel Tempio di Gerusalemme. Poiché il Tempio è in rovina, il nome non è attualmente mai pronunciato durante riti ebraici contemporanei. Invece di pronunciare il tetragramma durante le preghiere, gli ebrei dicono Adonai, cioè "Signore". Nelle conversazioni quotidiane dicono HaShem (in ebraico "il nome", come appare nel libro del Levitico XXIV,11) quando si riferiscono a Dio. Per tale ragione un ebreo osservante scriverà il nome in modo modificato, ad esempio come D-o. Gli ebrei oggi durante la lettura del vecchio testamento o Tanach quando trovano il tetragramma (presente circa 6000 volte) non provano a pronunciarlo. Con il tempo l'esatta pronuncia del tetragramma si è persa. La forma Yehowah è la vocalizzazione di alcuni studiosi detti masoreti che nel Medioevo produssero una versione della Bibbia vocalizzata. Da questa forma deriva l'italiano Geova, (vedi. Testimoni di Geova ).
Nel Corano, il libro, sacro dell'Islam, l'Essere supremo rivela che i suoi nomi sono Allāh e Rahmān, resi dal termine Iddio ("il" + "Dio") nella lingua italiana. La cultura islamica parla di 99 "Bei Nomi di Dio" (al-asmā‘ al-husnà), che formano i cosiddetti nomi teofori, abbondantemente in uso in aree islamiche del mondo: 'Abd al-Rahmān, 'Abd al-Rahīm, 'Abd al-Jabbār, o lo stesso 'Abd Allāh, formati dal termine "'Abd" ("schiavo di"), seguito da uno dei 99 nomi divini.
Nella letteratura
Il concetto di Dio ha dato vita a molte versioni immaginarie del Dio biblico, non sempre positive.
- Dante Alighieri, nel XXXIII canto del Paradiso della Divina Commedia con il verso 145, «L'Amor che move il sole e l'altre stelle» si riferisce a Dio.
- In Memnoch il diavolo della scrittrice statunitense Anne Rice, Dio è un angelo che ha creato gli altri angeli. Non sa come sia stato creato né come abbia creato la vita. Ha creato l'universo materiale e la vita sulla Terra per vedere se questo processo creerà alla fine esseri simili a lui.
- Nella trilogia fantasy Queste Oscure Materie di Philip Pullman, Dio (chiamato anche "Autorità") è il primo angelo ad essersi formato dalla Polvere, sebbene si spacci per il creatore dell'universo e pretenda l'adorazione da parte di tutti gli esseri viventi.
- Nel fumetto Spawn, Dio è il fratello gemello di Satana con cui è in lotta dall'alba dei tempi, e non è il creatore dell'universo, che è invece l'"Uomo dei Miracoli" (chiamato anche "Madre dell'Esistenza" che in realtà è un'entità senza sesso), loro genitore. Sempre nel fumetto è l'Uomo dei Miracoli ad essersi incarnato in Gesù Cristo e non suo figlio.
- Dio appare nei manga Devilman e Mao Dante, ma ha un aspetto e una caratterizzazione diversa in ciascuna delle due storie. In Devilman il suo aspetto è quello di una immensa sfera di luce che appare poco tempo dopo l'attacco che i demoni sferrano al genere umano, radendo completamente al suolo la Russia, mentre in Mao Dante e nel suo remake Mao Dante Apocalypse viene descritto come un essere crudele fatto di energia pura e in grado di assumere le forme più svariate, che vaga nello spazio in cerca di mondi da sottomettere e che nella storia arriva sulla Terra all'alba dei tempi, con l'intenzione di costringerne gli abitanti a sottomettersi a lui, pena lo sterminio totale della razza umana.
- Nei racconti di Howard Phillips Lovecraft a ricoprire il ruolo di Dio è Azathoth, la più potente delle creature ideate dal Solitario di Providence. Viene descritto come un essere mostruoso e privo di intelligenza, che vive al centro dell'Universo perennemente circondato dai suoi seguaci. Viene detto di lui che creò l'universo conosciuto e che un tempo la sua intelligenza era uguale al suo potere, ma un evento misterioso (secondo alcuni, una guerra inter-dimensionale) distrusse la sua mente.
- Nell'universo fantastico ideato da J.R.R. Tolkien Dio è chiamato Eru Ilùvatar: assieme agli Ainur (esseri spirituali simili in parte agli angeli cristiani ed in parte agli dei pagani nordici) è il responsabile della creazione di Ea (parola in lingua Quenya che sta ad indicare l'universo conosciuto) e, senza il loro intervento, ha invece creato la razza umana e quella elfica.
- Nell'universo letterario ideato da Stephen King a fare le veci di Dio è un essere onnipotente chiamato Gan. Questa creatura appare con un ruolo più o meno marginale in molti romanzi di King, mentre nella saga de La Torre Nera ha un ruolo di maggiore rilevanza.
Note
- ^ Cfr. ad es. Mario Bendiscioli. Dio in Filosofia. Milano, Garzanti, 2007, pag.266
- ^ Cfr. Maurice O'C Walshe. A Concise German Etymological Dictionary. London, Broadway House, 1952.
- ^ Cfr. Eric Partridge. God in Origins. Londra e NY, Routledge, 2007
- ^ Dopo una disamina sulle possibili connessioni, Pierre Chantraine nel suo Dictionnaire étymologique de la langue grecque Tomo II, Parigi, Klincksiec, 1968 pag. 430, così conclude «Finalement l'ensemble reste incertain»
- ^ 2 voll., 1969, Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di Mariantonia Liborio) Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1981
- ^ Quindi thésphatos (stabilito da una decisione divina), thespéios ('meraviglioso' inerente al canto delle sirene, "enunciato di origine divina"), théskelos (più incerto, "prodigioso o divino")
- ^ Crf. Volume II, pag. 385.
- ^ «The oldest Semitic term for God is ʾel (corresponding to Akkadian ilu(m), Canaanite ʾel or ʾil, and Arabic ʾel as an element in personal names). The etymology of the word is obscure. It is commonly thought that the term derived from a root ʾyl or ʾwl, meaning “to be powerful” (cf. yesh le-el yadi, “It is in the power of my hand,” Gen. 31:29; cf. Deut. 28:32; Micah 2:1). But the converse may be true; since power is an essential element in the concept of deity, the term for deity may have been used in the transferred sense of “power.”»
- ^ Cfr.Louis Gardet. Allah in Encyclopaedia of Islam vol.1. Leiden, Brill, 1986, pag.406
- ^ «il grafema rappresenta un punto da cui si irradiano delle linee in otto direzioni dello spazio (ovvero: le bisettrici dei quattro punti angoli del mondo): esso è quindi da riferire al concetto studiato da Eliade e indicato con l'espressione "ombelico del mondo", ovvero il concetto di un centro di irradiazione da cui scaturisce una realtà, così come il feto si forma attorno all'ombelico [...]. I significati "spiga", "grappolo" per il grafema AN corroborano questa interpretazione: infatti le spighe e il grappolo di datteri si dipartono rispettivamente dallo stelo e dal picciolo in maniera analoga al feto dell'ombelico (ovvero come appare il neonato rispetto al cordone ombelicale). [...] An era concepito come realtà divina celeste che costituiva la fonte, il principio delle divinità.»
- ^ Cfr. H.P. Sullivan. Īśvara in Enciclopedia delle Religioni, vol.9. Milano, Jaca Book, 2006, pag.185
- ^ Cfr. ad es. David Kinsley in Enciclopedia delle religioni, vol.9. Milano, Jaca Book, 2006 (1988) pag.86 e Rachel Fell Mcdermott. Encyclopedia of Religion vol.6. NY, Macmillan, 2006, pag. 3608
- ^ Nei versi 7 e 8 dello "Yašt ad Ahura Mazdā", contenuto nella Khordah Avestā, Ahura Mazdā elenca i nomi con cui egli può essere indicato:
(avestico)«âat mraot ahurô mazdå, fraxshtya nãma ahmi ashâum zarathushtra bityô vãthwyô thrityô ava-tanuyô tûirya asha vahishta puxdha vîspa vohu mazdadhâta ashacithra xshtvô ýat ahmi xratush haptathô xratumå ashtemô ýat ahmi cistish nâumô cistivå, dasemô ýat ahmi spânô aêvañdasô spananguhå dvadasô ahurô thridasô sevishtô cathrudasô imat vîdvaêshtvô pañcadasa avanemna xshvash-dasa hâta-marenish haptadasa vîspa-hishas ashtadasa baêshazya navadasa ýat ahmi dâtô vîsãstemô ahmi ýat ahmi mazdå nãma»(italiano)
«Così rispose Ahura Mazdā: "Il mio nome è Ahmi (Io sono). Io sono l'Interrogabile, colui che può essere interrogato, o santo Zarathuštra. Il mio secondo nome è Vanthvyō (il Pastore), il Datore e protettore del gregge. Il mio terzo nome è Ava-tainyō, il Forte che tutto pervade. Il mio quarto nome è Aša Vahišta, la perfetta santità, l'ordine e la rettitudine, la verità assoluta. Il mio quinto nome è Vispa Vohu Mazdadhātā, tutte le cose buone create da Mazdā, che discendono da Aša Cithra (Santo Principio). Il mio sesto nome è Xratuš, intelletto e divina saggezza. Il mio settimo nome è Xratumāo, colui che ha comprensione, che è posseduto dalla divina saggezza diffusa su tutto il creato. Il mio ottavo nome è Cištiš, conoscenza, divina intelligenza ricolma di conoscenza. Il mio nono nome è Cistivāo, possessore della divina intelligenza. Il mio decimo nome è Spānō, prosperità e progresso. Il mio undecimo nome è Spananghauhao, colui che produce prosperità. Il mio dodicesimo nome è Ahura, il Signore creatore della vita. Il mio tredicesimo nome è Sevišto, il più benefico. Il mio quattordicesimo nome è Vīdhvaēštvō, colui in cui non c'è danno. Il mio quindicesimo nome è Avanemna, l'inconquistabile. Il mio sedicesimo nome è Hāta Marēniš, colui che conta le azioni dei mortali. Il mio diciassettesimo nome è Vispa Hišas, l'onniveggente. Il mio diciottesimo nome è Baēšazayā, colui che risana o dona buona salute. Il mio diciannovesimo nome è Dātō, il creatore. Il mio ventesimo nome è Mazdā, l'onnisciente, colui che crea con il pensiero.» - ^ http://scriptures.lds.org/it/dc/20#27/ DeA 20:27-28
- ^ Dottrina e Alleanze 130:22-23. DeA 20:27-28 Vangelo secondo Giovanni 17,21-23 (Bibbia); 2 Nefi 31:21; 3 Nefi 11:27, 36. (Libro di Mormon)
- ^ Dal Libro di Mormon 3 Nefi cap 11 versetto 27
- ^ Cfr. Senofonte. Memorabili I, 4.
- ^ «Ma la verità è diversa, o cittadini: unicamente sapiente è il Dio; e questo egli volle significare nel suo oracolo, che poco vale o nulla la sapienza dell'uomo» (Platone, Apologia di Socrate, 23 a).
- ^ Aristotele, Metafisica, VI, 1, 1026 a, 18-22.
- ^ Ivi, 2-21.
- ^ Ivi, 30-32.
- ^ Aristotele, Metafisica, Laterza, Roma-Bari 1982, pp.356-358.
Bibliografia
- W. Burkert, La religione greca di epoca arcaica e classica, Jaca Book, Milano 1984.
- Hans Kung, Existiert Gott?, R. Piper e Co. Verlag, München 1978, traduzione italiana: Dio esiste? Risposta al problema di Dio nell'eta' moderna a cura di Giovanni Moretto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1979.
- Mary Lefkowitz, Dèi greci, vite umane. Quel che possiamo imparare dai miti, a cura di G. Arrigoni, A. Giampaglia, C. Consonni, UTET Università, 2008.
- Gerardus van der Leeuw, Phanomenologie der Religion (1933). In italiano: Fenomenologia della religione, Boringhieri, Torino, 2002.
- W. Watts Alan, Il Dio visibile. Cristianesimo e misticismo, trad. di A. Gregorio, Bompiani, Milano, 2003.
Voci correlate
Altri progetti
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