Dialetto piacentino
Dialetto piacentino Piasintëin | |
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Parlato in | Italia |
Regioni | Provincia di Piacenza |
Parlanti | |
Totale | ~150 mila |
Classifica | Non in top 100 |
Tassonomia | |
Filogenesi | Indoeuropee Italiche Romanze Italo-occidentali Occidentali Galloiberiche Galloromanze Galloitaliche Emiliano-romagnolo Emiliano Dialetto piacentino |
Statuto ufficiale | |
Ufficiale in | - |
Regolato da | nessuna regolazione ufficiale |
Codici di classificazione | |
ISO 639-2 | roa
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Estratto in lingua | |
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1 Tüt i om e il don i nàsan lìbar e cumpagn in dignitä e dirit. Tüt i g'han la ragion e la cusciinsa e i g'han da cumpurtäs voin cun l'ätar cmé sa fìsan fradei. | |
Il dialetto piacentino (dialët piasintëin) è un dialetto non codificato della lingua emiliano-romagnola, appartenente al gruppo linguistico gallo-italico, parlato nella provincia di Piacenza.
Risente di forti contaminazioni dovute alla lingua lombarda (soprattutto nel lessico e in diverse espressioni idiomatiche), a quella piemontese e, in forma minore, a quella ligure. Presenta vistose somiglianze con il lombardo occidentale o insubre, dovute ai secolari rapporti che la città di Piacenza e il suo circondario hanno intrattenuto con Milano.[2]
Similmente ad altre parlate delle province vicine quali cremonese e pavese potrebbe essere un dialetto transitorio tra le lingue emiliano-romagnola e lombarda, avendo caratteristiche proprie di entrambe. Tuttavia, già nel 1853 Bernardino Biondelli lo classificava come varietà dialettale di tipo emiliano nel suo Saggio sui dialetti gallo italici.[3] Insieme al dialetto pavese occupa un ruolo centrale nell'ambito delle parlate gallo-italiche, confinando direttamente con tre dei quattro gruppi in cui esse si usano dividere.[2]
È nato dal latino volgare innestatosi sulla precedente lingua celtica parlata dai Galli che popolavano parte del Nord Italia. Come gli altri dialetti gallo-italici, nella storia ha subíto diverse influenze, tra cui quella longobarda (la città fu sede ducale longobarda nel Medioevo). In epoche più recenti è stato influenzato dal francese e dal toscano. Ad esempio tramite il francese è stato introdotto il vocabolo gudron e successivamente catràm dal toscano, entrambi col significato di catrame.[2]
Diffusione e varianti
Il piacentino propriamente detto, con qualche diversità lessicale o legata alla pronuncia delle vocali, è parlato nella città di Piacenza, in Val Nure approssimativamente fino a Ponte dell'Olio incluso, in Val Trebbia approssimativamente fino a Travo incluso, nei comuni di Carpaneto Piacentino e Cadeo, comprese la Val Tidone e la tributaria Val Luretta dove si registra qualche marcato cambio vocalico.
Intorno alla fine della Seconda guerra mondiale esistevano quattro varianti nella sola parlata della città di Piacenza, mentre nelle frazioni era diffusa la pronuncia vocalica della campagna, quella che viene parlata fino in collina e che i piacentini definiscono "dialetto arioso" (dialët ariùs).[2]
In Val d'Arda e nella Bassa Piacentina il dialetto è comunque da ritenersi collegato al piacentino anche se presenta proprie particolarità, sia lessicali che fonetiche influenzate dalla prossimità con le parlate cremonesi, lodigiane e parmensi. In alcuni comuni della pianura nord-orientale come Monticelli d'Ongina e Castelvetro Piacentino sfuma nel dialetto cremonese.
In alcuni dialetti della provincia di Parma, parlati in comuni confinanti con quella di Piacenza quali Fidenza e Salsomaggiore Terme, si rintracciano forti legami col piacentino. Lo stesso avviene nel Basso Lodigiano dove a San Rocco al Porto, Caselle Landi e Guardamiglio, vicinissimi alla città di Piacenza, la parlata non si discosta eccessivamente da quella qui analizzata, almeno non più di quanto non lo sia quella della Bassa Pianura piacentina.
L'Appennino
I dialetti dell'Appennino piacentino (nelle alte valli del Nure, della Trebbia e dell'Aveto) spesso risultano difficilmente intelligibili per i piacentini della collina e della pianura in quanto la parlata si avvicina maggiormente alla lingua ligure, ad una sua variante o comunque ad una forma transitoria tra piacentino e genovese.Errore nelle note: </ref>
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Nel panorama dei dialetti del Piacentino, quello bobbiese vanta proprie peculiarità, sia fonetiche che morfologiche e lessicali, rispetto al piacentino propriamente detto. Ciò è dovuto alla posizione geografica lungo la via di collegamento tra la Pianura Padana e il Genovesato, dove il Piacentino confina con Liguria e Piemonte.[2] A partire dagli anni cinquanta del Novecento e con l'avvento della civiltà industrializzata, il territorio bobbiese ha subito un massiccio spopolamento (specie giovanile) ma anche il popolamento di gente, specie commercianti ed artigiani, esterna al territorio e con dialetti differenti. Ciò ha contribuito al mutamento dell'originale dialetto ormai parlato da pochi anziani.[4]
Del dialetto di Bobbio, oltre ai libri di storia, cultura e allo specifico dizionario, ci sono numerosi scritti e sono tipici il calendario ed il lunario bobbiesi, oltre a feste locali, folcloristiche e teatrali curate dall'associazione locale culturale Ra familia Bubièiza.[5]
Caratteristiche
Un fenomeno linguistico tipico del piacentino è la prostesi della a per cui molti vocaboli aggiungono questa vocale alla forma tradizionale. Bsont (unto) può diventare absont e sporc (sporco) asporc se la parola precedente termina per consonante: piat absont; tüt asporc.[6]
Altro tratto comune del piacentino e tipico in tutte le parlate emiliane è la sincope delle vocali non accentate, specialmente e. Ad esempio il sostantivo rèsega (sega), diffuso in Lombardia, nel territorio piacentino perde la seconda e per diventare rësga; il verbo lombardo lecà diventa 'lcä, ma per prostesi è molto comune la forma alcä. Il verbo milanese resentà (risciacquare) nel Piacentino diventa 'rsintä per sincope in quanto la prima vocale non è accentata e poi arsintä per prostesi. La sincope non è però così accentuata come in altre parlate di tipo emiliano (bolognese sbdèl, piacentino uspedäl).
Una terza specificità del piacentino rispetto ad altri dialetti della lingua emiliano-romagnola è la presenza delle vocali turbate ö (soprattutto fuori dalle mura cittadine) ed ü (sia in città che in tutta la provincia).
Fonetica e fonologia
Tratti distintivi del piacentino risultano:[6]
- La palatizzazione dei complessi latini CL- e GL- in c(i), g(i) (es. CLAMARE > ciamä, GLAREA > gèra 'ghiaia');
- la lenizione delle consonanti occlusive sorde intervocaliche (es. FATIGAM > fadiga, MONITAM > muneda);
- la trasformazione di -CE, -GE in affricate alveolari o in sibillanti (es. GELUM > zel 'gelo');
- la perdita delle vocali finali latine eccetto la a, risultata dal procedimento di sincope (es. MUNDUM > mond 'mondo') (presente anche nella lingua francese).
- l'evoluzione in ö oppure ü della ū latina (PLUS > pö, pü);
- la presenza della vocale ö (NOVU > növ).
L'esistenza di queste vocali anteriori arrotondate (dette anche "vocali turbate") accomuna il piacentino ai dialetti delle lingue lombarda, piemontese, e ligure più che alle altre varietà dell'emiliano-romagnolo che, fatta eccezione per il pavese, ne risultano prive. La presenza delle vocali arrotondate ha causato uno "spostamento vocalico", per mezzo del quale la "o" latina appare come "u": (POTÌRE > pudì 'potere').
Il piacentino ha poi mantenuto la "u" latina in molte posizioni dove le altre parlate emiliano-romagnole e l'italiano le hanno perse: CURRERE > cur 'correre'; TURRIM > tur 'torre'
Ortografia e norme di pronuncia
Il piacentino manca di una definitiva codificazione della grafia. Per esempio non è stato chiarito se il suono della s sonora (come nell'italiano rosa) debba essere scritto con s o z (cesa o ceza?); nella compilazione di un importante dizionario piacentino-italiano si è deciso di scrivere le consonanti geminate (doppie) - nonostante siano pronunciate come semplici - sulla base di un'analogia con l'italiano, così come comune ai due principali poeti dialettali di Piacenza; incertezza vi è anche riguardo al suono k in finale di parola (pratic o pratich?).
Le convenzioni qui utilizzate sono ricavate da fonti diverse e non hanno alcuna pretesa di essere corrette (per questo alcune parole sono state trascritte sia con le vocali doppie che con una semplice). Sono escluse le forme dialettali appenninniche, sensibilmente diverse dal piacentino e dalle varianti più simili.[7][6]
- a in finale di parola appare indistinta, sfumata, poco accennata. Stesso fenomeno può avvenire ad inizio parola ad esempio in al (l'articolo determinativo maschile singolare) o addirittura essere confuso con ë (La Varnasca o La Vërnasca per indicare il comune di Vernasca);
- ä fenomeno di palatalizzazione di a tonica latina in sillaba libera, molto comune nel gruppo emiliano ma esistente anche in piemontese. È pronunciata come un suono intermedio tra a ed è, oppure come una e molto aperta (è). In Val Tidone non assume la stessa caratteristica, ma rimane una a lunga, mentre in Val d'Arda e nella Bassa Pianura nord-orientale è pronunciata come a. Peculiarità della zona di Vigolzone e Ponte dell'Olio è quella di pronunciarla come una semplice a esclusivamente nel dittongo -äi o nel trittongo -äia (mäi, caväi, tuäia);
- e vi sono delle differenze nel piacentino parlato entro le mura del centro storico di Piacenza e quello delle campagne. In città è quasi sempre una e chiusa (suréla), mentre in campagna la vocale si apre (surèla). Vi sono comunque parole in cui il suono chiuso è mantenuto anche fuori città (vérd);
- ë in città (e a Cortemaggiore dove il dialetto si discosta parzialmente dal piacentino) viene pronunciata come una o chiusa (biciclëtta, vëd). Più frequentemente, al di fuori della città, è una semivocale (come nel dittongo –ëi), ma si potrebbe dire che in alcuni casi arriva ad assumere un suono intermedio tra a e o. Spesso vi sono ambiguità ed incertezza tra ë ed a, tant'è che un noto dizionario riporta alcune parole scritte con entrambe le versioni (bëgulëin o bagulëin);
- ö in città (e a Cortemaggiore) non vi è distinzione tra questa vocale e la ë analizzata precedentemente che non si discostano da una o chiusa: pertanto le vocali nelle parole pont, biciclëta e vöia assumono quasi lo stesso suono (solo in parole come pont la vocale risulta più aperta tra i soli parlanti del centro storico di Piacenza). Al di fuori delle mura cittadine è la classica vocale di origine celtica e si pronuncia come la ö tedesca (skandalös), il dittongo francese eu (beurre), la "i" inglese di girl oppure la "o" inglese di world;
- ü un'altra vocale di origine celtica, il cosiddetto ü lombardo corrispondente alla u francese di but o alla ü nel tedesco brüder;
- n in finale di parola è nasale come in francese, ma talvolta questo fenomeno si riscontra anche all'interno delle parole con una pronuncia velare e arretrata secondo il fenomeno conosciuto come faucalizzazione. Quando è seguita dal dittongo –ëi non è percepibile;
- r caratteristica molto comune tra i piacentini, soprattutto della città, che col passare del tempo sembra estinguersi, è quella di pronunciare una vibrante uvulare. Tale peculiarità è stata osservata in Valle d'Aosta, in alcune vallate del Piemonte occidentale e in una piccola area compresa tra l'Alessandrino e l'Emilia occidentale [8]. Tuttavia conserva un suo tratto distintivo rispetto a quella francese, parmigiana o alessandrina, in quanto nel Piacentino appare come una fricativa uvulare sonora;
- c : ha un suono palatale di "c" di cena (snocc', ciacc'ra, cavicc' ecc.)
- gg (o g): ha un suono palatale di g di gelo (arlogg' , magg' , sgagg' ecc.)
- s'c : s+c' palatale e disgiunte (s'ciüss, s'ciappa, s'cianc, brus'ciä)
- gl : suona g+l (disgiunte) se di fronte a ë
- cc (o "c") : "k" davanti ad a, o, u e in posizione finale ("cicch" o "cich", "ciacc" o "ciac", "cicca" o "cica", "bislacc" o "bislac")
- ch : "k" ("chippia", "simpatich", "alfabetich")
Confronto con l'italiano
- Il piacentino ha una maggiore ricchezza vocalica dell'italiano. La pronuncia delle vocali, inoltre, cambia da una zona all'altra risultando più aperta o più chiusa.
- Le sillabe latine ce/ci/ge/gi sono diventate sibilanti: gingiva ha dato zinzìa;
- Al contrario dei pronomi soggetto dell'italiano che derivano direttamente dai pronomi soggetto latini, quelli del piacentino derivano dai pronomi oggetto del dativo latino. Per questo i pronomi oggetto del piacentino assomigliano ai pronomi oggetto dell'italiano (fatto che in tempi di minor scolarizzazione e diffusione dell'italiano creava problemi e confusione): me/mi (io), te/ti (tu), lü (egli), le (ella), nuätar/noi (noi), viätar (voi), lur (essi, esse).
- A differenza dell'italiano dove la negazione precede il verbo (es: non bevo), nel piacentino avviene il contrario e la negazione segue il verbo: bev mia. La negazione miga, utilizzata, dai due principali poeti dialettali piacentini sembra ormai un arcaismo scomparso, sostituita da mia.
- Sono molto frequenti i verbi seguiti da una preposizione o da un avverbio che ne modifica il significato, come avviene in inglese con i "phrasal verb" (es: "to take", "to take off", "to take down"). Ad esempio il verbo lavä (lavare) può diventare lavä zu (lavare i piatti); tirä (tirare, trainare) può diventare tirä via (togliere); trä (tirare, lanciare) può diventare trä sö (sü)/trä indré (vomitare), trä via (gettare, buttare), trä zu (buttare giù, demolire). Specialmente trä sö/sü, trä via e lavä zu ricordano curiosamente le forme inglesi "to throw up", " to throw away" e "to wash up", di cui hanno lo stesso significato.
- È più diffuso l'uso del modo finito del verbo (forma esplicita) al posto dell'infinito: so di scrivere male è reso con so ca scriv mäl
Bibliografia
- Piccolo Dizionario del Dialetto Piacentino, Luigi Bearesi, Editrice Berti, 1982
- Vocabolario Piacentino-Italiano, Lorenzo Foresti, Piacenza, 1883
- L'ottonese: un dialetto ligure, in: Studi linguistici sull'anfizona ligure-padana, L. Zörner, Alessandria, 1992
- Vocabolario Piacentino - Italiano, Guido Tammi, Ed. Banca di Piacenza, Piacenza, 1998
- Piasintinäda coi barbis, Luigi Paraboschi, Editrice Sigem, Modena, 2000
- Il dialetto bobbiese, Enrico Mandelli - Bobbio 1995
- Vocabolario del Dialetto Bobbiese, Gigi Pasquali - Mario Zerbarini - Bobbio, 2007
- Grammatica Bobbiese, Gigi Pasquali - Bobbio, 2009
- Bobbio che parla, Pietro Mozzi - Bobbio
- Saggio sui dialetti Gallo-italici, Bernardino Biondelli - Milano 1853
Voci correlate
Note
- ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
- ^ a b c d e Dialetto Piacentino, su piacenzaeprovincia.eu. URL consultato il 10 settembre 2011.
- ^ "Saggio sui dialetti Gallo-italici" di B. Biondelli
- ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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- ^ Ra familia Bubièiza, su rafamilia.it.
- ^ a b c Fonetica del dialetto di Piacenza., su reference-global.com.
- ^ Norme di pronuncia del dialetto piacentino, su pievedirevigozzo.org.
- ^ Introduzione alla dialettologia italianaC. Grassi, A. A. Sobrero, T. Telmon 2003, p. 149