Cristina Trivulzio di Belgiojoso

principessa di Belgioioso, patriota, editrice e filantropa italiana

Cristina Trivulzio di Belgiojoso (Milano, 28 giugno 1808Milano, 5 luglio 1871) è stata una patriota italiana che partecipò attivamente al Risorgimento. Fu editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista.

Henri Lehmann
Cristina Trivulzio di Belgiojoso

I suoi nomi di battesimo furono: Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura Trivulzio.

Biografia

L'infanzia e l'adolescenza

 
Il padre, Gerolamo Trivulzio
 
La madre, Vittoria Gherardini

Cristina, figlia di Gerolamo Trivulzio (1778-1812) - discendente di una delle famiglie storiche dell'aristocrazia milanese e del celebre Gian Giacomo Trivulzio - e di Vittoria dei Marchesi Gherardini (1790-1836), rimase orfana di padre a quattro anni. La madre si risposò un anno dopo con Alessandro Visconti d'Aragona ed ebbe un figlio maschio e tre altre figlie femmine. Cristina fu molto attaccata ai suoi fratelli e sorelle (Alberto, Virginia "Valentina", Giulia, Teresa).

Non si sa molto della storia di Cristina da bambina. Le poche informazioni che si hanno sono tratte da una lettera del 1842 in cui lei si descrive alla sua amica Ernesta Bisi, contrariando un frenologo che pretendeva di conoscere le persone solamente dalla forma del loro corpo, e credeva che la Trivulzio fosse stata, nell'infanzia, vivace ed estroversa: «Ero una bambina melanconica, seria, introversa, tranquilla, talmente timida che mi accadeva spesso di scoppiare in singhiozzi nel salotto di mia madre perché credevo di accorgermi che mi stavano guardando o che volevano farmi parlare».[1]

Ernesta Bisi era la sua maestra di disegno. A quel tempo usava insegnare alle giovinette di nobile famiglia il canto, il disegno e altre forme d'arte. Nonostante la differenza d'età, rimasero grandi amiche per sempre e le confidenze più intime saranno fatte proprio a lei. Ernesta la introdurrà qualche anno più tardi nel mondo della cospirazione carbonara.

Di certo l'infanzia di Cristina non fu felice: dopo aver perduto il padre, subì un altro dolore, perché Visconti, che lo aveva in qualche modo sostituito nel cuore della fanciulla, fu arrestato nel 1821 con l'accusa di aver partecipato ai moti carbonari.[2] Tenuto in prigione due anni, ne uscì distrutto a livello fisico e soprattutto nervoso, senza più riuscire a riprendersi. Per la ragazza, appena tredicenne, era stato come restare orfana di padre per la seconda volta.[3]

Il momento più importante della giovinezza di Cristina è il matrimonio con il giovane ed avvenente principe Emilio Barbiano di Belgiojoso. Molti cercarono di dissuaderla, conoscendo le abitudini libertine di Emilio, ma alla fine il matrimonio si fece. Invitati di rango si affollarono nella chiesa di S. Fedele a Milano il 24 settembre 1824. La più ricca ereditiera d'Italia vantava una dote di 400.000 lire austriache. Aveva allora solo 16 anni.

La mattina stessa delle nozze Cristina ricevette in dono dal conte Ferdinando Crivelli un epitalamio dal contenuto insolito, in cui, con rimandi anche testuali al Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte, si profetizzava l'infelice destino del rapporto:

«Che poi che teco alquanto avrà goduto,
lussureggiando andrà con Questa e Quella,
e invano ti udirem gridare aiuto:
ma come indietro più non si ritorna,
render solo potrai corna per corna[4]»

I contatti con la carboneria

 
Emilio Barbiano di Belgiojoso

L'unione non durò molto. Il principe non era certo fatto per la vita coniugale, e nei rapporti con le donne veniva attratto fondamentalmente dal piacere e dal divertimento. Cristina cominciava già a mostrare i segni dell'epilessia che la tormenterà per tutta la vita. Il male non si traduceva solo in periodiche crisi, ma aveva il potere di agire sul comportamento della donna, inibendone, tra l'altro, il desiderio sessuale.[5] Con questi presupposti non stupisce che Emilio cercasse soddisfazione altrove. Negli anni del matrimonio intrattenne una relazione con Paola Ruga, una signora della buona società milanese. Fu proprio il rapporto con la Ruga, che era oltretutto un'amica di Cristina, a risvegliare nella principessa quel senso di dignità che la portò alla rottura del legame coniugale. In una lettera del 14 novembre 1828 inviata alla Bisi leggiamo: «Credetti dovere al mio decoro, ed al mio titolo di moglie di non acconsentire formalmente alla continuzione delle sue relazioni con la Ruga».[6]

Ufficialmente non divorziarono mai, ma si separarono di fatto nel 1828, rimanendo poi in rapporti più o meno cordiali e tentando qualche volta un riavvicinamento.[7] Il marito continuò la sua vita libertina, accompagnandosi con la principessa Anna Berthier di Wagram per dieci anni nella sua villa a Torno sul lago di Como Villa Pliniana.

Alla fine degli anni venti Cristina si avvicinò alle persone più coinvolte con i movimenti per la liberazione. Gli austriaci, che dominavano la Lombardia dal 1815 e specialmente il capo della polizia Torresani, iniziarono la loro opera di spionaggio che durò fino all'unità d'Italia. Cristina era bella, potente, e poteva dare molto fastidio. Fortunatamente la sua fama, la sua posizione sociale, e la sua scaltrezza la salvarono più volte dall'arresto. Gli austriaci non volevano dare l'idea di infierire contro le élites sociali e culturali milanesi. Chiudevano quindi un occhio sulle sue frequentazioni. Non va inoltre dimenticato che il nonno di Cristina, il Marchese Maurizio dei Gherardini, fu Gran Ciambellano dell'Imperatore d'Austria e poi, fino alla sua morte, anche Ministro Plenipotenziario d'Austria presso il Regno Sabaudo. Un arresto della nipote avrebbe causato uno scandalo dagli sviluppi imprevedibili.

Molti anni dopo, Cristina illustrerà così la situazione che si era determinata nella prima parte del secolo: «[Delle libertà politiche e civili] gli italiani avevano sperimentato soltanto la speranza. Soltanto il diritto di parlarne era stato fin qui garantito, per cui quando i dominatori austriaci e borbonici proscrissero la parola magica e si rivelarono per quei tiranni incurabili che sono, furono e sempre saranno, gli italiani sentirono, forse per la prima volta, il peso intollerabile delle catene, le maledirono e si prepararono ai sacrifici più nobili pur di spezzarle».[8]

La principessa voleva però lasciare Milano: il coraggio che aveva manifestato nel separarsi le costava i pettegolezzi della società dell'epoca, sempre pronta a parlar male di chi facesse un simile gesto, soprattutto se si trattava di una donna. Per questo si rifugiò nella tenuta materna di Affori. L'intenzione era quella di procurarsi un passaporto per raggiungere Genova. Sapendo che il Torresani lo avrebbe sicuramente negato, si rivolse al governatore Strassoldo, che rilasciò il documento il 28 novembre 1828. Il 1° dicembre Cristina partiva per Genova, arrivandovi due giorni dopo.[9]

Sotto la Lanterna la donna ricevette un'accoglienza calorosa, venendo invitata in numerosi salotti cittadini, in particolare in quello della marchesa Teresa Doria, fervente patriota. Teresa le presentò Barnaba Borlasca, notaio che sarà di grande aiuto alla principessa quando, due anni più tardi, Cristina verrà braccata dalla polizia austriaca. La salute non migliorava, ed era anzi costretta a letto la maggior parte del tempo, ma la consolazione di essere immersa in una società nuova e di essersi liberata dai pregiudizi faceva sì che la giovane si sentisse rinfrancata, come si può evincere dalla corrispondenza con Ernesta Bisi.[10]

I primi sospetti sull'attività rivoluzionaria della Trivulzio maturarono proprio in questo periodo, per quanto la principessa, come si è detto, passasse molte ore in preda all'infermità fisica. In realtà, la conoscenza superficiale che la legava a Bianca Milesi Mojon, animatrice di un celebre salotto genovese e personaggio noto alla polizia austriaca per aver preso parte ai moti milanesi del 1820-21, forniva un motivo sufficiente per destare allarme tra le fila dei governanti.

Il 1829 fu speso in viaggi nelle maggiori città italiane: Roma, Napoli e Firenze. Nell'Urbe giunse ad aprile, rimanendone affascinata a tal punto da raccontare alla Bisi che «la città, i suoi abitanti, non hanno l'eguale. A Roma nessuno è semi-colto; qui la storia locale è storia universale». Entrò subito nell'entourage di Ortensia di Beauharnais, ed è probabilmente in questo frangente che aderì alla carboneria. Il salotto della madre di Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III, costituiva il quartier generale dell'attività carbonara romana. Cristina conobbe anche il figlio di Ortensia, riponendo in lui grandi speranze.[11] A Roma ebbe rapporti con la patriota Teresa Guccioli e con la scrittrice francese Hortense Allart.[12]

Dopo un breve soggiorno napoletano, consacrato a cure per la salute sempre cagionevole, risalì la penisola, fermandosi a Firenze. In questa città strinse amicizia con il fondatore dell'Antologia, Gian Pietro Vieusseux, e fu accolta con grande calore. Firenze viveva allora un periodo di spensieratezza e vivacità culturale. Leopoldo II godeva di indipendenza politica: il suo territorio ere pertanto per tutti un porto franco, dove gli esuli potevano trovare ospitalità al pari delle spie austriache, le quali tuttavia potevano soltanto informare Milano o Vienna. Il Gabinetto Vieusseux era il polo di incontro per i liberali, ma, a differenza di quanto avveniva nella dimora di Ortensia a Roma, aveva una funzione più letteraria che politica. Anche Cristina si diede a una vita gaia e brillante, mostrando le proprie doti di attrice (interpretò Shakespeare e Sheridan con la colonia inglese) e organizzando balli. Ebbe modo di conoscere anche il figlio maggiore di Ortensia, quel Napoleone Luigi che morirà prematuramente, e Edmond d'Alton-Shée, il quale si accingeva a diventare il confidente del principe di Belgiojoso.[13] Shée ricorderà così il primo incontro con la donna, avvenuto nel corso di un ballo: «Tra quelle donne bellissime ed elegantissime, mi colpì l'apparizione di una bellezza strana. La sua veste rossa e nera era semplice e insolita; i bei capelli neri, ondulati di natura e disadorni [...] Mentre la perfezione del naso, il sorriso malizioso e l'attrattiva della fossetta nel mento rivelavano grazia femminile in tutto il suo fascino».[14] Successivamente Cristina attraversò varie città della Svizzera, da Ginevra a Lugano.[15]

Quando, nel marzo 1830, l'ambasciatore austriaco rinnovò il passaporto alla principessa, questa decise di recarsi in Svizzera con un duplice obiettivo: aiutare gli esuli politici con cui era entrata in contatto a Firenze e sottoporsi alle cure di uno dei medici più stimati del tempo, Jacob d'Espine. Ai primi di maggio la Belgiojoso arrivò dunque a Ginevra, ma vi rimase poco tempo. Il dottore le consigliò di passare un periodo nel paesino di Carqueiranne, vicino a Hyères in Provenza, dove avrebbe potuto beneficiare di un clima particolarmente mite. Cristina accettò, ma volle prima recarsi a Lugano per rivedere la madre ed Ernesta Bisi. La destinazione era situata in un punto geograficamente favorevole per l'incontro, trovandosi a pochi chilometri dalla villa di famiglia nel comasco. La principessa a luglio era a Berna, ed ottenne senza intralci un rinnovo del passaporto, mentre anche Torresani, dall'altra parte, accordò il visto a Vittoria ed Ernesta, che poterono anche essere accompagnate da alcune delle loro figlie. A Lugano si ritrovarono tutti insieme nella fugacità di una giornata che lasciò alla fine nella principessa la forte sofferenza dell'abbandono e la consapevolezza di essere votata a un destino di solitudine.[16]

La fuga in Francia

Nonostante quanto si è detto, con la dovuta cautela, il governo di Vienna le metteva di continuo i bastoni fra le ruote e la sorvegliava. Torresani diventò d'improvviso il suo persecutore: negli anni successivi continuerà a sostenere che Cristina era espatriata illegalmente e doveva tornare entro i confini austriaci. Il temuto capo della polizia, probabilmente, voleva vendicarsi di essere stato aggirato quando, abbandonando il Lombardo-Veneto, la principessa aveva astutamente fatto ricorso a Strassoldo. Ora che il governatore era morto (venendo sostituito da Franz Hartig), poteva dare libero sfogo alle proprie ripercussioni.

In ottobre si trovava a Lugano, di passaggio, il delegato provinciale di Como, Fermo Terzi. Terzi ricevette l'ordine di recarsi dalla donna per comunicarle che il passaporto era scaduto e che di conseguenza aveva l'obbligo di rientrare a Milano entro otto giorni, ma Cristina mostrò il documetno valido, costringendo il delegato a recedere e prendere tempo.[17] La Belgiojoso aveva avvertito immediatamente il pericolo, e due giorni dopo riparò a Genova, dove entrò in contatto con Enrico Misley.

 
La valle del Varo

A questo punto Torresani diede ordine di intensificare la sorveglianza e di non lasciarla uscire per nessun motivo dalla città. Cristina corse ai ripari, comprendendo la criticità della situazione. Dopo aver tentato senza successo di procurarsi un visto per raggiungere Nizza, fu l'entrata in scena di Barnaba Borlasca a risolvere im maniera positiva e rocambolesca il difficile momento. Il notaio si recò dalla principessa il 17 novembre, e insieme a lei lasciò l'abitazione da un'uscita secondaria, non presidiata dalla polizia. I due guadagnarono la casa di Bianca Milesi, dopo di che Borlasca fece perdere le proprie tracce. La sera, la Trivulzio fu scortata in carrozza fino a Nizza.[18] Giunta due giorni dopo sulla riva piemontese del Varo, riuscì a completare la fuga grazie alla complicità di un parente di Borlasca, in un episodio narrato da alcuni biografi con toni melodrammatici.[19]

È sicuro in ogni caso, che lei si sia poi trovata in Provenza sola e senza contatti. Più avanti, inoltre, dopo che Cristina si sarà stabilita a Parigi (aprile 1831), i suoi averi verranno messi sotto sequestro dalla polizia austriaca e per molto tempo la Trivulzio non potrà attingere al suo patrimonio. L'ultima liquidità era stata infatti impegnata per pagare i debiti del marito, in cambio della sua libertà. Si ritrovò sola ed ospite di amici nel paesino di Carqueiranne. Qui entrò in scena un nuovo amico, tale Pietro Bolognini detto "il Bianchi", ex notaio di Reggio Emilia, a cui le spie austriache assegnarono subito il ruolo di amante.

In Provenza conobbe Augustin Thierry, uno storico divenuto da poco tempo cieco, che le rimarrà amico fino alla morte.

Intanto Cristina comiciava a dedicarsi più da vicino alla causa italiana, giocando un ruolo di rilievo nella spedizione in Savoia del febbraio 1831, come emerge da una lettera a Emilio Barbiano, con cui la corrispondenza non cessò mai e si mantenne sempre su toni affettuosi: Parte dei fondi per questa spedizione vennero da me. Il mio nome sta sulle cambiali [...] Ricamai palesemente una bandiera [...] insomma mi condussi come una persona decisa a non riporsi sotto gli artigli austriaci. Dopo alcuni mesi sbarcò a Parigi e, subito di lì a poco il sequestro dei beni, si trovò un appartamentino vicino alla chiesa della Madeleine.

Si arrangiò con pochi soldi per alcuni mesi. Si cucinò per la prima volta da sola i suoi pasti e si guadagnò da vivere cucendo pizzi e coccarde. Una vita un po' diversa da quella a cui era abituata a Milano; eppure quando aveva iniziato quest'avventura, non aveva riflettuto molto prima di agire, anche se sapeva di dover così affrontare tempi difficili. Sarebbe stato semplice recuperare i suoi soldi e vivere negli agi nei suoi palazzi a Locate o a Milano. Le sarebbe bastato star tranquilla e non alzare troppa polvere di fronte al Torresani. Persino il governatore austriaco Hartig ed il Metternich in persona si scambiavano lettere riguardo alla principessa e placavano il loro capo della polizia, che l'avrebbe invece volentieri incarcerata.

Dopo poco tempo, un po' con i soldi inviati dalla madre e un po' con quelli recuperati dai suoi redditi, riuscì a cambiare casa e ad organizzare in rue d’Anjou, una traversa del Faubourg St. Honoré, uno di quei salotti d'aristocrazia, dove riuniva esiliati italiani e borghesia europea.

Negli anni trenta frequentò il poeta tedesco Heinrich Heine, il compositore ungherese Franz Liszt, lo storico francese François Mignet, il poeta francese Alfred De Musset e tanti altri. Intrattenne anche una fitta corrispondenza con l'"eroe di due mondi" La Fayette, vecchio generale protagonista della rivoluzione francese. Le attribuirono tanti amanti, un po' come ci si aspetterebbe oggi da una bella donna ricca in una situazione del genere. Conservava ancora rapporti di amicizia con il marito, con cui condivideva però il pensiero politico e nient'altro.
In questi dieci anni ella continuò a contribuire alla causa italiana, cercando di influenzare i potenti, scrivendo articoli e diventando addirittura editore di giornali politici, quando non trovava altri editori disposti a pubblicare suoi scritti giudicandoli pericolosi.

 
Cristina Trivulzio Belgiojoso - 1832, dipinto di Francesco Hayez

A lei continueranno ad arrivare richieste di finanziamenti per fini patriottici, e lei cercherà di distribuirne tantissimi, in modo da aiutare i poveri esuli italiani, di cui lei era ormai diventata la referente parigina, e investendo in sommosse o addirittura organizzando movimenti di armi per i "ribelli" italiani. Nel 1834, ad esempio, donò 30.000 lire (su un suo budget complessivo di centomila) per finanziare il colpo di mano mazziniano nel Regno di Sardegna[20]. Per l'occasione, la nobildonna aveva persino ricamato con le proprie mani le bandiere degli insorti[21].

Il cambiamento

Nel 1838 la sua vita subisce un'autentica svolta con la nascita di Maria, la primogenita. Il padre naturale non era sicuramente il marito, che non frequentava. È stato ipotizzato fosse il suo amico François Mignet o il suo segretario Bolognini ma notizie certe non ve ne sono.

Da quel momento lascia i suoi salotti ed i suoi ricevimenti e trascorre alcuni anni in semi-isolamento. Trascorre una vacanza in Inghilterra con i suoi fratelli e sorelle, e in questa occasione si reca a trovare Luigi Napoleone Bonaparte, il futuro Napoleone III in esilio, riuscendo a strappargli una promessa: dopo che avrà acquistato potere in Francia, cercherà di operare a favore della causa risorgimentale italiana. Accadrà invece che, una volta conseguiti i suoi scopi, Luigi Napoleone si mostrerà molto tiepido nei confronti della causa risorgimentale italiana.

Successivamente la Trivulzio torna a Parigi per circa un anno, per poi tornare finalmente nella sua Locate, dove si lancia in numerose attività a carattere sociale. Organizza infatti asili e scuole e trasforma il suo palazzo in un falansterio, ovvero nel centro di una comunità secondo il modello idealizzato da Charles Fourier. Inoltre crea uno scaldatoio pubblico e dona delle doti alle sposine più povere. Cristina vorrebbe anche modificare gli insegnamenti religiosi, che ritiene in parte criticabili, ma non procede in questa direzione che avrebbe incontrato notevoli ostacoli.

Continua anche la sua opera politica cercando di convincere tutti che l'unica soluzione per muoversi verso l'unione italiana era di sostenere Carlo Alberto e quindi il prevalere della dinastia dei Savoia. Il suo obiettivo non era una monarchia, ma una repubblica italiana simile a quella francese; tuttavia, se per arrivare alla repubblica bisognava prima unire l'Italia, l'unico mezzo era di appoggiare la monarchia dei Savoia.

Nel 1848, trovandosi a Napoli quando scoppia l'insurrezione delle cinque giornate di Milano, parte subito per il Nord Italia e paga il viaggio ai circa 200 napoletani che decidono di seguirla, tra gli oltre 10.000 patrioti che si erano assiepati sul molo per augurarle buona fortuna.

Per qualche mese si respira aria di libertà, ma si sviluppano anche forti discordie interne sulle modalità del proseguimento della lotta antiaustriaca. Pochi mesi dopo, il 6 agosto 1848, gli austriaci entrano a Milano e lei, come molti altri, è costretta all'esilio per salvarsi la vita. Si calcola che almeno un terzo degli abitanti di Milano espatriasse prima del ritorno degli austriaci.

Passato un anno, Cristina Trivulzio di Belgiojoso si ritrova a Roma, in prima linea, nel corso della battaglia a difesa della Repubblica Romana, durata dal 9 febbraio al 4 luglio del 1849. A lei assegnarono l'organizzazione degli ospedali, compito che assolse con dedizione e competenza, tanto da poter essere considerata come antesignana di Florence Nightingale.

Anche a Roma il movimento dei patrioti è represso e per di più proprio con l'aiuto dei francesi sui quali Cristina tanto aveva contato. Sfumata anche questa speranza di libertà e sentendosi tradita dal suo stesso amico Napoleone III, salpa su una nave diretta a Malta. Inizia così un viaggio che la porta in Grecia per finire in Asia Minore, nella sperduta e desolata valle di Ciaq Maq Oglù, vicino alla odierna Ankara, Turchia.

Qui, sola con la figlia Maria e pochi altri esuli italiani, senza soldi e mantenendosi solo a credito, organizza un'azienda agricola. Da qui invia articoli e racconti delle sue peripezie orientali ed in tal modo riesce a raccogliere somme che le consentono di continuare a vivere per quasi cinque anni.
Nel 1855, grazie ad un'amnistia, riottiene dalle autorità austriache il permesso di tornare a Locate.

Nel 1858 muore il suo ancora legale marito Emilio e pochi anni dopo ella riesce finalmente a far legittimare sua figlia Maria. Nel 1860, dopo il matrimonio di sua figlia con Ludovico Trotti Bentivoglio, un uomo di qualità, inizia una vita da suocera.
Nel 1861 si costituisce finalmente l'Italia unita, da lei tanto desiderata, e lei può lasciare la politica con una certa serenità.

Da questo momento vive appartata tra Milano, Locate ed il lago di Como. Acquista una villetta a Blevio dove si trasferisce con il suo fedele Budoz, il servo turco che l'aveva seguita ormai da vent'anni e Miss Parker, la governante inglese che aveva vissuto con lei fin dal suo viaggio del 1839 in Inghilterra.

Muore nel 1871, a 63 anni. Aveva sofferto di varie malattie, subito molte peripezie, tra le quali anche un tentativo di omicidio, cosa che le lasciò diverse ferite. Viene sepolta a Locate di Triulzi, dove la sua tomba si trova tuttora. Al suo funerale non partecipò nessuno dei politici dell'Italia, che lei così generosamente aveva contribuito ad unire.

Note

  1. ^ (Dal Malvezzi, vedi bibliografia)
  2. ^ Visconti diede solo un'adesione ideologica ai moti sovversivi, senza prendervi alcuna parte attiva
  3. ^ B. Archer Brombert, Cristina Belgiojoso, Milano 1981, p. 24
  4. ^ Dagli archivi del duca Giuseppe Crivelli-Serbelloni
  5. ^ B. Archer Brombert, cit., p. 37
  6. ^ A. Malvezzi, La principessa Cristina di Belgiojoso, Milano 1937, vol. I, p. 82
  7. ^ S. Bortone, Prefazione a C. Trivulzio di Belgiojoso, Il 1848 a Milano e a Venezia, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 6
  8. ^ C. Trivulzio di Belgiojoso, Osservazioni sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire, Milano, Vallardi, 1868, p. 12
  9. ^ B. Archer Brombert, cit., pp. 42-52
  10. ^ B. Archer Brombert, cit., pp. 53-54
  11. ^ B. Archer Brombert, cit., pp. 55-56
  12. ^ M. Grosso, L. Rotondo, «Sempre tornerò a prendere cura del mio paese e a rivedere te». Cristina Trivulzio di Belgiojoso, in AA.VV., Donne del Risorgimento, Bologna, 2011, p. 73
  13. ^ B. Archer Brombert, cit., pp. 56-58
  14. ^ E. d'Alton-Shée, Mes Mémoirs, 1826-1848, Paris, Lacroix, 1869, p. 87
  15. ^ S. Bortone, cit., p. 7
  16. ^ B. Archer Brombert, cit., pp. 59-60
  17. ^ B. Archer Brombert, cit., pp. 62-63
  18. ^ B. Archer Brombert, cit., pp. 64-65
  19. ^ Secondo alcuni, dopo aver eluso la sorveglianza che era stata posta davanti alla sua abitazione, sarebbe fuggita di notte e avrebbe poi attraversato il Varo a guado per raggiungere la Francia
  20. ^ Durante l'operazione fu ucciso Giovanni Battista Scapaccino, la prima Medaglia d'Oro al Valor Militare del futuro esercito italiano
  21. ^ Fonte: rivista Le Fiamme d'Argento, febbraio 2006, pag. 5.

Bibliografia

Edizioni delle opere

  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Vita intima e vita nomade in Oriente, Pavia-Como, Ibis Edizioni.
  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Emina, Ferrara, Tufani, 1997
  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Un principe curdo, Ferrara, Tufani, 1998
  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Le due mogli di Ismail Bey, Ferrara, Tufani, 2008
  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire su Leggere Donna n. 150 (gennaio-marzo 2011), ed. Tufani.
  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Politica e Cultura nell'Europa dell'Ottocento, Napoli, Loffredo Editore, 2010
  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Ai suoi concittadini. Parole in La Prima Donna D'Italia. Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra politica e Giornalismo (a cura di Mariachiara Fugazza, Karoline Rorig), ed. FrancoAngeli Storia
  • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, in Leggere Donna n. 150, gennaio-marzo 2011

Biografie

  • Raffaello Barbiera, La principessa di Belgioioso, i suoi amici e nemici, il suo tempo, Milano, Treves, 1902 Testo in facsimile - "La biblioteca digitale di Milano"
  • Raffaello Barbiera, Passioni del Risorgimento. Nuove pagine sulla Principessa Belgiojoso e il suo tempo, Milano, Treves 1903
  • Aldobrandino Malvezzi, La principessa Cristina di Belgioioso, Milano, Treves 1936
  • Henry Remsen Whitehouse, A Revolutionary Princess. Christina Belgiojoso Trivulzio Her life and times, E.P. Dutton, New York, 1906
  • Augustin Thierry, La Princess Belgiojoso, Librairie Plon, 1926
  • Giulio Caprin, Donna più che donna, Garzanti, Milano, 1946
  • Luigi Severgnini, La principessa di Belgioioso. Vita e opere, Milano, Virgilio 1972
  • Emilio Guicciardi, Cristina di Belgiojoso Trivulzio cento anni dopo, Milano 1973
  • Charles Neilson Gattey, Cristina di Belgiojoso [A bird of curious plumage], Firenze, Vallardi 1974
  • Beth Archer Brombert, Cristina Belgiojoso, Milano, Dall'Oglio 1981
  • Elena Cazzulani, Cristina di Belgiojoso, Lodi, Lodigraf, 1982
  • Ludovico Incisa e Alberica Trivulzio, Cristina di Belgioioso, Milano, Rusconi 1984
  • Arrigo Petacco, La principessa del Nord, Milano, Rizzoli 1992
  • Angela Nanetti, Cristina di Belgioioso, una principessa italiana EL, Trieste, 2002.
  • Emmanuel-Philibert de Savoie, Princesse Cristina, le roman d'une exilée 2002, Edition Michel Lafon
  • Mino Rossi, Cristina Trivulzio, principessa di Belgioioso. Il pensiero politico 2005, Brescia, Edizioni Franciacorta, 2002
  • Mino Rossi, Principessa libertà, Ferrara, Tufani, 2006
  • Mino Rossi, Cristina di Belgioioso e i problemi dell'unità nazionale, estratto dai Commentari dell'ateneo di Brescia per l'anno 2004, Brescia, 2007
  • Mino Rossi, Oltre il suo tempo, Brescia, Edizioni Franciacorta, 2008
  • Mariachiara Fugazza e Karoline Rörig (a cura di) "La prima donna d'Italia". Cristina Trivulzio di Belgiojoso tra politica e giornalismo, Milano, FrancoAngeli, 2010
  • Gianna Proia, Dal salotto alla politica, Roma, Aracne editrice, 2010
  • Politica e cultura nell'europa dell'Ottocento a cura di Ginevra Conti Odorisio, Cristina Giorcelli, Giuseppe Monsagrati, Casoria (NA), Loffredo Editore, 2010
  • Maria Grosso e Loredana Rotondo, «Sempre tornerò a prendere cura del mio paese e a rivedere te». Cristina Trivulzio di Belgiojoso, in Donne del Risorgimento, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 65-94
  • Mino Rossi, Nostra Signora del Risorgimento (Un manoscritto della Marchesa Luigia Visconti d'Aragona), Brescia, Edizioni Franciacorta

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