Cinzia Banelli

terrorista italiana

Cinzia Banelli (Grosseto, 25 ottobre 1963) è un'ex terrorista italiana, componente dell'organizzazione armata di sinistra denominata Nuove Brigate Rosse.

Arrestata il 24 ottobre 2003 e condannata per l'omicidio di Massimo D'Antona e per quello di Marco Biagi. Nel 2004 si è pentita ottenendo lo sconto e la commutazione della pena nel regime di libertà condizionata prima, e di arresti domiciliari in seguito.

L'arresto

La Banelli venne arrestata, il 24 ottobre 2003, assieme ad altri sette presunti brigatisti: Laura Proietti, Federica Saraceni, Paolo Broccatelli, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma e Alessandro Costa. Tutti accusati di partecipazione a banda armata, nell'ambito dell'inchiesta per l'omicidio di Massimo D'Antona condotta dai Gip Pietro Saviotti e Franco Ionta.[1]

Il pentimento

Nel 2004 decise di pentirsi e di iniziare un percorso collaborativo che, per i giudici del Tribunale di sorveglianza, "attiene alla sua sfera interiore" ed è maturata dopo la nascita di un figlio, partorito mentre era ancora detenuta. Secondo i magistrati "La Banelli ha dimostrato di possedere uno spirito lucido e riflessivo, di essere pienamente consapevole del danno umano e sociale prodotto, di essere definitivamente distaccata dalle scelte eversive. Va riconosciuto il suo fondamentale apporto, che ha significativamente contribuito a smantellare la struttura organizzativa delle br. Si può dire raggiunto l’obiettivo del recupero alla società di una persona che si è dimostrata estremamente pericolosa [...] La Banelli non dichiara, come altri hanno fatto, che sono mutate le condizioni storiche che hanno reso necessaria la lotta armata; al contrario, afferma di essere cambiata lei e di aver capito di aver imperdonabilmente sbagliato."[2]

«Prima di qualsiasi altra considerazione, ci tengo a farne una del tutto personale sull’etica dei “pentiti” .Non ho mai saputo di un pentito che si sia recato di sua volontà presso un rappresentante della giustizia, per confessare in prima persona i suoi crimini. Ho sempre visto e verificato che i pentiti lo diventano soltanto dopo che sono stati catturati, o scoperti e le cui responsabilità sono così evidenti da non poterle più negare. Quando si pentono poi denunciano i loro compagni di mascalzonate, ma sempre, dico sempre, si auto assegnano un ruolo minore, dichiarando per esempio: io non ho sparato, non ho premuto il grilletto, non ho schiacciato il detonatore, mi sono limitato a fare la staffetta, portare qualche informazione o ho partecipato come fiancheggiatore. Mai dico, mai hanno detto: io sono l’ideologo io ho convinto gli altri e io ho sparato, il sono il più responsabile di tutti…mai…mai…mai…. Per una persona come me, che disprezza l’omertà ed è convinta che ogni cittadino dovrebbe avere il coraggio di denunciare i crimini, che vede commettere, prendendo parte attiva alla vita sociale rispettandone perciò diritti e doveri, resto comunque perplessa di fronte a questi pentimenti di comodo, perché sono intrisi di falsità talmente macroscopiche che bisogna essere ciechi o peggio dementi a non volerle vedere. Non riesco a provare nessun tipo di comprensione per una persona come la Banelli, al contrario, il mio disprezzo nei suoi confronti aumenta.[3]»

La condanna

Il 1º marzo 2005, nel processo di primo grado per l'omicidio di Massimo D'Antona, giudicata con il rito abbreviato, venne condannata all'ergastolo. Pena ridotta dalla seconda Corte d'assise d'appello di Roma che, il 28 giugno 2006, trasforma il carcere a vita in dodici anni di reclusione, resi poi definitivi in Cassazione, nell'ultimo grado di giudizio il 28 giugno 2007.[2]

Nel processo per l'omicidio del giurista Marco Biagi, ucciso che la sera del 19 marzo 2002, e in cui la Banelli partecipò facendo da staffetta, venne condannata a quindici anni e 4 mesi di reclusione, sentenza annullata dalla Cassazione perché non le era stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione. Nel marzo del 2008, nel nuovo processo d’appello, venne quindi condannata definitivamente a dieci anni e 5 mesi.

Nella sua testimonianza, la Banelli, raccontò di come i brigatisti vennero agevolati dal fatto che Biagi girava senza protezione dopo che, qualche mese prima, gli era stata revocata la scorta: "Se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti ad ucciderlo. Per noi due persone armate costituivano già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco. Avremmo dovuto fare più attenzione, osservare possibili cambiamenti nella situazione del professore. Dovevamo controllare che non fosse solo. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo."[4]

La sua decisione di pentirsi le ha permesso di ottenere la libertà condizionata nel 2006. Il 15 aprile del 2009, il Tribunale di sorveglianza di Roma, le ha concesso gli arresti domiciliari: secondo il programma di protezione riservato dal Viminale ai collaboratori di giustizia, le è stata quindi assegnata una nuova identità, trasferita in una località segreta e riconosciuto un sussidio.[2]

Note

Voci correlate

Collegamenti esterni

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