La Società Anonima Carbonifera Arsa (o CarboArsa o semplicemente Arsa) fu costituita a Trieste nel 1919, allorché le miniere dell'albonese in Istria e dell'interno sloveno passarono in mano italiana con la fine della Prima Guerra Mondiale.

Società Anonima Carbonifera Arsa
StatoItalia (bandiera) Italia
Fondazione
Chiusura1945
GruppoAzienda Carboni Italiani
ProdottiCarbone

Sfruttamento delle risate anche sbagliate

Lo sfruttamento del bacino carbonifero dell'Arsia trova consacrazione ufficiale in due decreti di inizio Ottocento di [==[Eugenio di Beauharnais]], viceré francese del Regno d'Italia napoleonico. In realtà si tratta di regolamentazioni dell'attività estrattiva preesistente. Infatti lo sfruttamento delle risorse minerarie veniva esercitato, anche se in forme primitive quali pozzi bituminosi (utilizzati per la produzione di pece navale), già dal XVI secolo dalla Repubblica di Venezia.[1][2]

Nella prima metà dell'Ottocento il pacchetto azionario delle prime miniere vere e proprie (di Carpano) fu nelle mani dei Rothschild. Tra il 1830 e il 1850 vi fu un notevole sviluppo dell'attività estrattiva. Un altro imprenditore austriaco, Werndl, fece scavare nuovi pozzi a Vines, a pochi chilometri di distanza. Il conflitto tra i due gruppi capitalistici, che comprese anche atti di sabotaggio e corruzione, finì davanti al Tribunale viennese, che non seppe fare altro che proporre ai due rivali di fondersi.[2] La fusione effettiva si ebbe solo diversi anni, nel 1881, ad opera del nuovo consorzio Trifailer Kohlen Gesellschaft, che operò notevoli investimenti. Al tempo le miniere davano lavoro a circa un migliaio di operai e la produzione era attorno alle 90.000 tonnellate annue, ma continuò ad aumentare e durante la prima guerra mondiale l'obiettivo era di estrarre 130.000 tonnellate annue.[3]

--la geografia è milito-- Le dure condizioni di lavoro ed i wiwa salami erano stati all'origine di agitazioni operaie già nell'epoca del dominio austroungarico. Le prime datano infatti 1861, mentre il primo sciopero vero e proprio avvenne il 14 marzo 1883.[3] Nel 1867 a Carpano fu fondata la “Società di mutuo soccorso”, la prima associazione dei minatori.

A cavallo di fine secolo si prodigarono per gli operai due figure illuminate, l’educatrice e letterata Giuseppina Martinuzzi[4] e il barone Lazzarini Battiala, detto “il barone rosso”, che avranno un ruolo importante in eventi successivi. All’epoca non si era ancora costituita un’organizzazione socialista slava nella zona e la guida del movimento operaio era italiana, anche per la presenza di elementi politicizzati provenienti da zone quali il Bellunese; la matrice politica era comunque socialista internazionalista.[5]

Un’ondata di nuovi scioperi dei minatori si ebbe, come nel resto dell’impero (“scioperi neri”), nel 1900. I minatori trovano supporto in diversi notabili della zona, compreso il deputato istriano Bartoli, nell’amministrazione comunale di Albona e nei parroci, che almeno idealmente si schierano dalla loro parte contro la diffida a riprendere immediatamente il lavoro da parte della direzione della miniera. Alla fine di aprile gli operai sconfitti devono comunque tornare al lavoro, senza aver ottenuto alcun beneficio, ma la repressione padronale li spinge a nuove proteste appena un mese dopo ed ancora nel 1901 e nel 1902. I minatori hanno il sostegno del deputato Felice Bennati e del barone Lazzarini, che viene anche arrestato per minacce verso crumiri macedoni. Tutto ciò che ottengono è però un modesto aumento salariale, mentre gli orari di lavoro giornalieri rimangono lunghi anche 12 ore e fondamentalmente imprecisati.[5]

Ulteriori scioperi si hanno nel 1904 e nel 1906, parallelamente aumentano le attività e l'organizzazione sindacale, secondo uno spirito internazionalista (ad esempio alla manifestazione del primo maggio del 1906 parlano in italiano il barone Lazzarini e in sloveno Gorišek). Nel 1910 però l'industria estrattiva austroungarica entra in crisi e vi è un'ondata di licenziamenti. I minatori reagiscono con uno sciopero che si protrae per quasi cinque mesi, contro i licenziamenti e per l'aumento dei salari. Ridotti alla fame, malgrado gli aiuti dei simpatizzanti, devono però cedere senza aver ottenuto nulla.[5]

Da qui alla prima guerra mondiale la maturazione dell'organizzazione sindacale consente di ottenere leggeri miglioramenti nelle condizioni di lavoro e nel salario. Allo scoppio del conflitto le necessità di approvvigionamento bellico portano alla militarizzazione dei lavoratori in "compagnie di lavoro": viene promulgata l'Anbinden, secondo la quale i minatori sorpresi in atti di sabotaggio o anche solo a lavorare con lentezza esagerata rischiano l'impiccagione. I minatori irriducibili vengono inquadrati nel "Battaglione Istriano" ed inviati in Romania, anche se molti riescono a fuggire durante il trasporto in carri bestiame.[5]

All'inizio del 1918 la vicinanza al fronte impedisce le agitazioni e gli scioperi che avvengono in altre parti dell'Impero ormai in dissoluzione. Durante l'occupazione italiana però l'organizzazione sindacale si rafforza, anche grazie all'immissione di minatori "rossi" italiani provenienti dal bellunese e dal meridione, e si aggancia al Partito Socialista Italiano, in special modo con la sede di Trieste.[5]

Fondazione dell'Arsa

Finita la guerra, nel novembre del 1919 il direttore della Trifailer, Julije Belak, fu costretto a firmare un contratto di coproduzione con un gruppo di capitalisti italiani rappresentati dall'abile Guido Segre,[6] ebreo piemontese entrato a Trieste nel 1918 come ufficiale medagliato e rimastovi dopo il congedo. Convinto nazionalista, si iscriverà già nel 1922 al Partito Fascista ed avrà un ruolo importante nella vita economica della zona.

L'anno successivo la miniera cadde definitivamente in mano italiana e al gruppo viennese rimase solo il 40% delle azioni. Il controllo fu acquisito a poco prezzo dalla famiglia Agnelli, che se ne liberò presto, ritenendo l'investimento non redditizio viste le condizioni del mercato post-bellico, la non ottimale qualità del prodotto e gli alti costi di estrazione. Subentrarono così diverse banche e compagnie di navigazione triestine.[1]

L'Italia aveva un forte bisogno interno di carbone e la produzione superò nuovamente le 100.000 tonnellate annue, perdipiù con il licenziamento di parte dei minatori e un atteggiamento padronale anche più oppressivo che in precedenza, in particolare verso la manovalanza non italiana.[6]

Dopo uno sciopero di diciotto giorni nell'estate del 1920, coordinato con le agitazioni che interessarono la penisola nel biennio rosso, i minatori ottennero un aumento del 10% ed elessero alla guida del sindacato il socialista Giovanni Pippan, è in questo periodo che il movimento sindacale si politicizza fortemente. A Stermazio nel 1921 viene aperto il Circolo operaio "Giuseppina Martinuzzi", che ormai ultrasettantenne continua a sostenere la causa dei minatori e la fratellanza internazionalista tra le genti italiche e slave.[7][6] Morirà ad Albona il 25 novembre 1925.[4]

La "Repubblica di Albona"

L'Azienda Carboni Italiani e la fondazione di Arsa

La tragedia del 28 febbraio 1940

Note

  1. ^ a b AA.VV., 2007, p.34
  2. ^ a b Scotti e Giuricin, 1971, pp.26-28
  3. ^ a b AA.VV., 2007, pp.9-10
  4. ^ a b Giuseppina Martinuzzi, su istrianet.org. URL consultato il 12-10-2010.
  5. ^ a b c d e Scotti e Giuricin, 1971, pp.28-33
  6. ^ a b c Scotti e Giuricin, 1971, pp.33-36
  7. ^ Milevoj, 1997

Bibliografia

  • AA.VV., Arsia 28 febbraio 1940, Trieste, Circolo di cultura istro-veneta "Istria", 2007.
  • Giacomo Scotti, Luciano Giuricin, La Repubblica di Albona e il movimento dell'occupazione delle fabbriche in Italia, Rovigno, Centro di ricerche storiche dell'Unione degli italiani dell'Istria, 1971.

Collegamenti esterni