Sonetti romaneschi

raccolta di poesie romanesche di Giuseppe Gioacchino Belli
«Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma.
In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l'indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò insomma che la riguarda, ritiene un'impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza.»

I Sonetti romaneschi sono una raccolta di sonetti scritti in dialetto romanesco da Giuseppe Gioachino Belli durante il XIX secolo. Si tratta della produzione più corposa di poesie durante il 1800 dato che la produzione computa ben 2279 sonetti.

Sonetti romaneschi
Foto di Belli
AutoreGiuseppe Gioachino Belli
1ª ed. originaleXIX secolo
Genereraccolta
Lingua originaleitaliano

Temi e l'introduzione

«Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca
 
Statua di Giuseppe Gioachino Belli al Ponte Quattro Capi di Transtevere a Roma

Nella lunga introduzione ai sonetti Belli manifesta il suo desiderio di tracciare un ritratto satirico e ironico, ma anche reale e triste della società bassa di Roma ai tempi del XIX secolo. Come egli dichiara apertamente: il popolo italiano non mai stato unito e non ha mai ricevuto una vera istruzione, rimanendo sempre rozzo, volgare e ignorante. Ciò che colpisce di più è il fatto che la plebe di Roma, ma anche dell'Italia di allora e delle generazioni passate amava e ama tutt'ora crogiolarsi nella pochezza e nell'ignoranza, non interessandosi di politica, delle persone che rappresentano il Paese e specialmente provando ribrezzo e indifferenza per qualsiasi forma di cultura o scolarizzazione. Tuttavia da una parte Gioachino Belli pare condannare queste abitudini semplici e per niente costruttive a formare una società migliore e moderna, dall'altra egli rimane attaccato alle tradizioni e alle usanze popolari della sua Roma, ritenendole uniche e perfettamente caratterizzanti di un'intera generazione che, pur non in maniera idonea ai canoni che oggi in un'era più moderna sono in vigore, ha scritto la storia dell'Italia.

 
Alberto Sordi è il Marchese Onofrio del Grillo ne Il marchese del Grillo dove pronuncia la celebre frase: Mi dispiace, ma io so' io, e voi non siete un cazzo!

Descrivendo abitudini di matrone romane, di ubriaconi, di gente che si diverte a fare scherzi e ad usare tipici modi per esprimersi, Belli intende nell'introduzione analizzare anche la triste e misera condizione in cui il popolo romano si ritrova. Infatti in quegli anni governava in tutto e per tutto il papa, soprannominato appunto "Papa Re", e tutti i "sudditi" erano costretti ad obbedire, tanto che il potere del pontefice diventava sempre più ierocratico. Solo nel 1861 con l'Unità d'Italia la situazione si ribaltò quando il Paese entrò a far parte di una sola grande unità; infatti se non fosse stato per Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso di Cavour, Giuseppe Mazzini e tanti altri giovani con ideali di libertà, il popolo italiano, ignorante, arretrato e rozzo a causa dell'assenza di cultura e anche un po' sciocco per propria volontà, sarebbe rimasto sempre frammentato. Perciò Belli nell'introduzione denuncia apertamente anche la "sonnolenza" del popolo romano, invitandolo a svegliarsi e cambiare il corso degli eventi. Dopo aver analizzato oltre a questo anche altri aspetti negativi della plebe romana che la portano quasi quasi a diventare una caricatura, Gioachino Belli, per avvertire il lettore di quanto sta per leggere, illustra brevemente gli accenti, le lettere e le pronunce del dialetto romanesco dove la "z" sostituisce la "s" e i pronomi personali "vi" diventano "ve" e "ci" passa a "ce", e via dicendo. L'autore non si esimerà dal sottolineare alcune brutture e fatti particolari della società romana del suo secolo con espressioni volgari, farsesche e tipicamente appartenenti al suo dialetto.

Uno dei sonetti più famosi

 
Una scena divertente de Il marchese del Grillo

Forse uno dei sonetti romaneschi più famosi di Gioachino Belli è Li soprani der monno vecchio (I sovrani del mondo vecchio - 1832), talmente celebre che Mario Monicelli e Alberto Sordi lo ripresero per una frase del celebre de Il marchese del Grillo: "Io so' io e voi nun siete un cazzo!" Sebbene tale frase possa essere così semplice in verità racchiude una ferocissima critica contro i ricchi, i potenti e le alte cariche politiche ed ecclesiastiche della Roma del 1800. Ma la frase del sonetto in realtà si riferisce anche ad altri prepotenti che ci sono sempre stati ovunque in tutta la storia dell'uomo e dell'invenzione delle caste e dei ceti sociali. Chi dice la frase famosa e volgare è un re vassallo che un giorno, privando i suoi feudatari di tutti i suoi beni, risponde in cotesta maniera rozza e cafona alle loro domande. Partendo da questo episodio, Belli traccia una storia del popolino italiano, sempre vigliacco e pronto a sottostare alle grazie di un altro, politico quasi sempre esterno che pensa solo ai propri comodi assieme ai colleghi oppure alle dure leggi ristrette del Papa stesso.

Testo con traduzione a fronte

(it (ROM))
«I sovrani del mondo antico


C'era una volta un Re che dal palazzo
mandò in piazza al popolo quest'editto:
"Io sono io, e voi non siete un cazzo,
signori vassalli invigliacchiti, e silenzio.

Io sono capace di cambiare una cosa da uno stato all'altro e viceversa:
Io vi posso barattare tutti voi per un nonnulla:
Io se vi faccio impiccare tutti non vi faccio torto,
Visto che Io ho il potere di darvi la vita e quel con cui vivere.

Chi vive in questo mondo senza possedere la carica
o di Papa, o di Monarca o di Imperatore,
colui non potrà mai far sentire la sua voce in pubblico!".

Con tale editto si recò il boia come portavoce,
chiamando all'attenzione tutti quanti a gran voce;

e il popolo intero rispose: "È la verità, è la verità!".»
(italiano)
«Li soprani der monno vecchio


C'era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st'editto:
"Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant'er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l'affitto.

Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!".

Co st'editto annò er Boja per ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposero tutti: "È vvero, è vvero!".»

Film ispirati all'opera sulla Roma papalina e stracciona

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