Eudemonismo

dottrina morale che persegue la felicità come un fine naturale della vita umana
«Eudemonismo [...]. Ogni dottrina che assume la felicità come principio e fondamento della vita morale.»

L'eudemonismo è la dottrina morale che riponendo il bene nella felicità (eudaimonia) [1] la persegue come un fine naturale della vita umana. [2]

Dall'eudemonismo va distinto l'edonismo che si propone come fine dell'azione umana il «conseguimento del piacere immediato»[2] inteso o come godimento (come pensava la scuola cirenaica di Aristippo[3]) o come assenza di dolore (secondo la concezione epicurea).[4].

L'età dell'oro

Etimologia

Il nome deriva dal termine greco εὐδαιμονισμός, da εὐδαιμονία (eudaimonìa), composto di bene (εὖ, eu) e demone- sorte (δαίμων, daimon) , intendendo quest'ultima parola, non nel significato negativo di "demone" cui è spesso associata oggi, ma nel senso di "genio", "spirito guida"', "coscienza". [5].

Storia del concetto

Presso gli antichi greci e latini la parola, nell'uso comune, poteva essere intesa nel senso che si considerava felice chi per fortuna possedeva dovizia di beni materiali (olbios in greco, felix in latino) oppure chi poteva godere di uno stato d'animo, tutto interiore e spirituale, che rendeva sereno chi lo provasse (eudaimonia in greco, beatitudo in latino [6]).

I presocratici

I poeti e i tragediografi antichi ritengono che sia impossibile all'uomo il raggiungimento della felicità e questa concezione permane nei filosofi del V secolo a.C. che trascurano il tema della felicità trattato solo incidentalmente.

Anassagora a un tale che gli domandava chi fosse felice, rispose volendo esaltare l'ideale di una vita parca: «Nessuno di quelli che tu ritieni felice, ma lo troverai in quel numero il quale da te viene ritenuto tra gli infelici.» [7] Per Eraclito anche se gli uomini avessero ottenuto tutto quello che desiderano non sarebbero felici [8] ed aggiunge Alberto Magno: «Eraclito ha detto che se la felicità risiedesse nei piaceri corporali, diremmo che i buoi sono felici quando hanno dei ceci da mangiare.» [9]

Sofisti e Socrate

Gorgia rivela il segreto della sua lunga vita serena affermando che «Non ho mai fatto niente per cercare il piacere» [10] ma Isocrate lo sconfessa affermando che la sua felicità dipendeva dal fatto che «...non si sposò mai, non ebbe figli e fu dunque esonerato da questa incombenza dispendiosa e incessante.» [11]

Per i sofisti dunque la felicità, intesa come tranquillità d'animo, era conseguenza di una vita agiata. [12] [13].

In Socrate l'eudemonia richiama la presenza del buon (εὖ) dàimon (δαίμων) o spirito-guida che lo assiste spesso in ogni sua decisione. Con questo termine, secondo Paolo De Bernardi, egli sembra indicare l'autentica natura dell'anima umana, la sua ritrovata coscienza di sé.[14] Mentre per Gregory Vlastos il dáimōn invia i suoi segni al fine di stimolare la ragione di Socrate a fare la scelta più adatta[15]. Giovanni Reale seguendo Vlastos ritiene che il dáimōn in Socrate esprima il sommo grado dell'ironia socratica anche nella dimensione religiosa[16]. Quindi nella concezione socratica è prevalente l'elemento dell'interiorità che può donare l'eudemonia, la felicità, la serenità interiore come effetto di un comportamento razionale indirizzato alla virtù.

Infatti Socrate sostiene che l'unica causa possibile del male è l'ignoranza del bene «So invece che commettere ingiustizia e disobbedire a chi è migliore di noi, dio o uomo, è cosa brutta e cattiva. Perciò davanti ai mali che so essere mali non temerò e non fuggirò mai quelli che non so se siano anche beni.»[17] ma una volta conosciuto il bene, non è possibile astenersi dall'agire moralmente realizzando il bene che è "piacevole" in quanto genera la eudemonia, la serenità dell'animo. Il male dunque si opera perché lo si scambia, per ignoranza, con il bene che non può tuttavia essere stabilito a priori una volta per tutte, ma occorre ricercarlo ininterrottamente confrontandosi con gli altri tramite il dialogo.[18]

Platone

La felicità per Platone consiste nella ricerca del Bene e del Bello: ma una volta raggiunti questi scopi, tramite un'educazione che porta alla saggezza [19], come capacità di distinguere il vero bene e il vero bello dai falsi beni, e una volta soddisfatto il desiderio di felicità, questa svanisce se non sorge un altro desiderio.

La morale individuale allora non è sufficiente per il conseguimento della felicità che deve essere invece garantita dallo Stato guidato dai filosofi che soli sono in grado di creare le condizioni propizie per la felicità dei cittadini. [20]

Aristotele

Aristotele s'inserisce tra gli autori che come Platone identificavano la felicità con la virtù ma rende il concetto meno rigido aggiungendovi la considerazione di «vita attiva secondo virtù e in modo completo» così da considerare validi per essere felici anche i «beni esterni» [21] «Anche Solone definì in modo senz'altro esatto gli uomini felici dicendo che sono coloro che sono stati forniti nella giusta misura dei beni esteriori e che hanno compiuto le azioni più belle e sono vissuti nella moderazione» [22]

Per Aristotele la felicità era la conseguenza di un atteggiamento razionale che portasse alla moderazione che cioè permettesse di distinguere il giusto mezzo tra opposti comportamenti estremi: così ad esempio può dirsi di possedere la virtù del coraggio chi si tiene nel mezzo tra gli estremi della viltà e della temerarietà. Dato che il giusto mezzo si identifica con la virtù anche per Aristotele la vita virtuosa porta alla felicità.

Tutti desiderano la felicità «di per se stessa e mai per qualche altro fine» [23] Ma in che consiste la felicità? «...la moltitudine non la definisce allo stesso modo dei sapienti. Certuni la considerano una delle cose visibili e manifeste come la ricchezza, il piacere o l'onore...anzi spesso lo stesso individuo la considera una cosa diversa.» [24]

La felicità consiste nel realizzare la propria natura e poiché l'essenza dell'uomo sono la ragione e la virtù egli non potrà essere felice senza essere razionale e virtuoso, cioè saggio.

Cirenaici e cinici

Per i Cirenaici la felicità consisteva invece nell'edonismo, cioè nel conseguimento del piacere attuale, del piacere "in movimento", cinetico, ben diverso da quello "stabile", catastematico di Epicuro. In questo senso più che a Socrate esse si rifacevano a Protagora il sofista secondo cui l'uomo è in continuo diretto contatto sensibile con la realtà, dinamica per sua natura, e a seconda che questa sia nei vari momenti "lieve" o "aspra" ne consegue ἡδονή piacere o όπνος dolore. [25].Aristippo immaginava il piacere come il movimento o l'ondeggiamento di un leggero vento mentre il dolore era come una bufera marina [26]

Cosicché mentre i cinici negavano la possibilità dell'uomo di essere felice tramite il piacere perché la vita era in sé dolorosa per i cirenaici valeva il contrario: negare il dolore per conseguire il piacere. Ma poi la differenza tra le due correnti, che nascevano dalla stessa fonte sofistico-socratica, non era poi così rilevante poiché facevano entrambe riferimento alla "saggezza" (ϕρόνησις) socratica, intesa ora, come semplice calcolo dei piaceri, come strumento per conseguire per i cinici, l'autarcheia (αὐτάρκεια), sufficienza di sé rinunciando ad ogni desiderio, per i cirenaici, l'autarchia (αὐταρχία), la padronanza di sé «usando i piaceri ma senza esserne vinti», «possedere senza essere posseduti» [27].

Stoicismo

Per le scuole di pensiero dei filosofi ellenistici e romani come quella degli stoici, la felicità si identificava ancora una volta con la serenità, la tranquillità d'animo.

La saggezza consiste infatti nella capacità di raggiungere la felicità, ed è per questo incentrata sull'atarassia, o imperturbabilità dell'animo, concetto derivante in gran parte dalla scuola cinica.

Ad essa si approda innanzitutto diventando padroni di sé stessi.

Secondo gli stoici, la volontà del saggio aderisce perfettamente al suo dovere (kathèkon), obbedendo cioè a una forza che non agisce esteriormente su di lui, bensì dall'interno: egli vuole quel che deve, e deve quel che la sua stessa ragione gli impone.

Lo stoicismo non è dunque una sorta di esercizio forzato di vita, perché tutto, nell’esistenza del saggio, scorre pacificamente.[28]

E poiché il Bene consiste nel vivere secondo il Lògos, il male è solo ciò che in apparenza vi si oppone. Ne risultano così tre tipologie di azioni:

  1. quelle dettate dalla ragione, come il rispetto per i genitori, gli amici e la patria;
  2. quelle contrarie al dovere, e quindi da evitare, in quanto irrazionali ed emotive;
  3. quelle «indifferenti» sia al bene che al male (adiáphora), come ad esempio sollevare una pagliuzza, o tenere una penna.

È in quest'ultima categoria che però rientrano di fatto anche tutte quelle azioni in grado di determinare salute, ricchezza, potere, schiavitù, ignominia, ecc. Queste qualità per gli stoici non hanno importanza, perché non esistono beni intermedi: la felicità o l'infelicità dipendono unicamente da noi, non possono essere il risultato di una mediazione.

Da qui la netta contrapposizione: o si è sapienti, o si è stolti, tutto il resto è indifferente.[29]

Nessuno, di conseguenza, è schiavo per natura, l'essere umano è assolutamente libero di approdare alla saggezza, mentre schiavo è soltanto colui che si fa dominare dalle passioni.

Il principio dell'«indifferenza stoica» del primo periodo venne in seguito modificato in maniera simile a quanto affermava Aristotele nella sua Etica Nicomachea: se cioè i mali o i beni materiali sono indifferenti per il raggiungimento della virtù, non per questo è da ignorare tutto ciò che può dare un prezioso contributo in tal senso: esistono anche beni che, se di per sé non danno la felicità, sono però preferibili (proegména) rispetto ad altri.

Questo mutamento di prospettiva avvenne quando Panezio si rese conto che l'ideale stoico della saggezza poteva apparire vuoto e astratto, rischiando di mettere in crisi l'intera dottrina dell'etica. Diogene Laerzio riferisce in proposito:

«Panezio e Posidonio sostengono che la virtù non è sufficiente, ma occorrono anche buona salute, abbondanza di mezzi di vita, e forza. [30]»

Epicureismo

«Non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per essere felici.

Uomo o donna, ricco o povero, ognuno può essere felice.[31]»

Gli Epicurei, in primis il romano Lucrezio, il più importante dei seguaci di Epicuro, vedono nella filosofia la via d'accesso alla felicità, dove per felicità s'intende la liberazione dalle paure e dai turbamenti, contingentemente al raggiungimento del piacere. La filosofia, quindi, ha uno scopo pratico nella vita degli uomini; essa è uno strumento il cui fine è la felicità:

«È vano il discorso di quel filosofo che non curi qualche male dell'animo umano. (Epicuro)»

Su questa convinzione, la ricerca scientifica atta all'investigazione delle cause del mondo naturale ha lo stesso fine della filosofia:

  • Liberare gli uomini dal timore degli dèi, dimostrando che per la loro natura perfetta, essi non si curino delle faccende degli uomini (esseri imperfetti);
  • Liberare gli uomini dal timore della morte dimostrando che essa non è nulla per l’uomo dal momento che "quando ci siamo noi, non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo noi";
  • Dimostrare l’accessibilità del limite del piacere, ossia la facile raggiungibilità del piacere stesso;
  • Dimostrare la lontananza del limite del male, cioè la provvisorietà e la brevità del dolore. Epicuro infatti divide il dolore in due tipi: quello sordo, con cui si convive, e quello acuto, che passa in fretta.

Per gli epicurei si può legittimamente essere felici e godere dei beni sensibili purché l'uomo, con la propria ragione, sappia, ben calcolando quali bisogni debbano essere soddisfatti, non rendersene schiavo.

Epicuro ritiene infatti che il sommo bene sia il piacere (edonè) di cui si distinguono due fondamentali tipologie:

Per piacere cinetico si intende il piacere transeunte, che dura per un istante e lascia poi l'uomo più insoddisfatto di prima. Sono piaceri cinetici quelli legati al corpo, alla soddisfazione dei sensi.

Il piacere catastematico è invece durevole, e consta della capacità di sapersi accontentare della propria vita, di godersi ogni momento come se fosse l'ultimo, senza preoccupazioni per l'avvenire. La condotta, quindi, deve essere improntata verso una grande moderazione: meno si possiede, meno si teme di perdere.

«Dei desideri alcuni sono naturali e necessari, altri naturali e non necessari, altri né naturali né necessari, ma nati solo da vana opinione.[32]»

Epicuro elabora una specie di catalogazione dei bisogni che se soddisfatti procurano eudemonia:

  • Bisogni naturali e necessari, come ad esempio bere acqua per dissetarsi: questi soddisfano interamente poiché essendo limitati possono essere completamente colmati.
  • Bisogni naturali ma non necessari: come ad esempio per dissetarsi bere vino, certo non avrò più sete ma desidererò bere vini sempre più raffinati e quindi il bisogno rimarrà in parte insoddisfatto.
  • Bisogni né naturali né necessari, come ad esempio il desiderio di gloria e di ricchezze: questi non sono naturali, non hanno limite e quindi non potranno mai essere soddisfatti.

Da qui nacque l'accusa dei padri della Chiesa cristiani che Epicuro suggerisse uno stile di vita rozzo e materiale indegno dell'uomo. In realtà Epicuro non indica quali debbano essere i bisogni naturali e necessari da soddisfare poiché è demandato alla ragione dell'uomo stabilire quali per lui siano i bisogni essenziali, naturali da soddisfare. Per Cesare, ad esempio, può essere ininfluente il bisogno di mangiare e bere mentre per lui è veramente naturale e necessario soddisfare il suo ineliminabile desiderio di gloria.[33]

Epicuro paragona la vita ad un banchetto, dal quale si può essere scacciati all'improvviso. Il convitato saggio non si abbuffa, non attende le portate più raffinate, ma sa accontentarsi di quello che ha avuto ed è pronto ad andarsene appena sarà il momento, senza alcun rimorso.

Scetticismo

Lo scetticismo pirroniano rappresenta il primo periodo della corrente filosofica risalente a Pirrone di Elide (360-275 a.C.) e fa capo a lui e al suo discepolo Timone di Fliunte (circa 320 a.C. - circa 230 a.C.). Il pirronismo si sviluppa tra la seconda metà del IV secolo a.C. e il III secolo a.C. e afferma l'impossibilità di conoscere una realtà sempre contingente e mutevole per cui al saggio non resta che l'aphasia, restare come muto e rinunciare ad ogni affermazione qualificante.

Poiché in queste condizioni non esiste conoscenza ne consegue che anche il comportamento pratico, che discende dal sapere, dovrà basarsi sull'assenza di ogni specifica azione conseguendo così l'atarassia [34], l'imperturbabilità, il non farsi coinvolgere in passioni e sentimenti. «La sua vita fu coerente con la sua dottrina. Lasciava andare ogni cosa per il suo verso e non prendeva alcuna precauzione, ma si mostrava indifferente verso ogni pericolo che gli occorreva, fossero carri o precipizi o cani, e assolutamente nulla concedeva all'arbitrio dei sensi. Ma, secondo la testimonianza di Antigono di Caristo, erano i suoi amici, che solevano sempre accompagnarlo, a trarlo in salvezza dai pericoli».[35] Il saggio in questo modo raggiungerà la felicità che è il fine di ogni percorso filosofico. Gli scettici colpiti dalla varietà delle visioni del mondo presenti fra gli uomini, quindi, presumono di avere l'autentica chiave di spiegazione dell'universo da cui far dipendere la felicità e la serenità dell'animo: l'unico modo per raggiungere la tranquillità della mente è un'indagine volta a riconoscere ugualmente fallaci tutte le dottrine.

La quiete si raggiunge quindi rifiutando qualsiasi dottrina. Anche lo scetticismo come le altre scuole subordina l'indagine speculativa ad un fine pratico: l'ottenimento della pace interiore.

Lo scetticismo infatti si dedica a una gnoseologia di carattere autolimitativo e pragmatico, guarda alla realtà e ne trae i pochi elementi certi ed utili per impostare un proprio orizzonte anti-dottrinario e condurre la propria esistenza in modo imperturbabile e indifferente alle emozioni della contingenza.

La confutazione di tutte le dottrine filosofiche che pretendono di conseguire delle verità sono rifiutate dallo scetticismo pirroniano. Ciò non significa affatto che gli scettici neghino la verità fenomenica nel mondo reale, ma piuttosto che le teorie su di esso non possono pretendere di spiegarne la natura profonda. Così «Timone, discepolo di Pirrone, è convinto che l'indifferenza assoluta di fronte a tutte le cose porti all'afasia e all'imperturbabilità. Cioè alla felicità.» [36]

Cristianesimo

Nel pensiero cristiano la felicità assume le caratteristiche della "beatitudine" termine che nel Vangelo viene reso con makarios che significa non solo "felice" ma anche "benedetto" la condizione cioè in cui ci si ritrova dopo un faticoso travaglio. Non la felicità degli stoici a cui si perviene malgrado la sofferenza ma la felicità, ossia la beatitudine, ottenuta con la sofferenza, non più in una vita terrena, che è immutabilmente dolorosa, ma in quella celeste dove la felicità è eterna.

« Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete.

Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. »  ( Lc 6,20-23, su laparola.net.)

Coloro che invece ricercano e ottengono la felicità terrena soffriranno in eterno:

« Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. »  ( Lc 6,24-26, su laparola.net.)

Unica via per godere della beatitudine in questa vita è quella del misticismo che permette l'unione con la perfezione divina «con un abbandono totale e assoluto di sé stessi e di tutte le cose, liberati e sciolti da tutto, ci si eleva verso il raggio dell'ombre divina che è al di sopra di ogni cosa.» [37]

Coloro che tentano altre vie saranno delusi come Agostino che ha cercato disperatamente la felicità negli onori e nella filosofia e non l'ha ottenuta mentre ha visto l'allegria di un povero mendicante che aveva ottenuto «con pochi e accattati soldarelli il godimento di una felicità temporale» [38]

Solo dopo la conversione Agostino capirà che soltanto con il raggiungimento del bene perfetto, che è Dio, esercitando la fede, la speranza e la carità, si potrà essere felici ma finora «nonostante l'aiuto di Dio, non lo siamo» [39] perché alla fin fine «La vera felicità è inaccessibile in questa vita» [40]

Di fronte al pessimismo di Agostino, Tommaso d'Aquino cercherà, seguendo il maestro Aristotele, la soluzione in una via di mezzo: «In questa vita si può avere una certa partecipazione della felicità, ma non la vera e perfetta beatitudine.» [41]

Nessun bene terreno può assicurare per il corpo e per l'anima una felicità perfetta ma solo una felicitas imperfecta:

«La perfezione ultima degli esseri razionali o intellettuali è duplice: in primo luogo essi possono raggiungere la perfezione in questo mondo mediante le capacità naturali, ciò che chiamiamo beatitudo o felicitas [imperfecta]...Aristotele la assimila ...a quel sapere che è possibile allo spirito umano in questa vita [...]] ma al di là [di questa], ve n'è un'altra, alla quale aspiriamo nel futuro, la felicità di vedere Dio così com'è. [42]»

Medioevo

La ricerca della felicità continua nel medioevo o con la fuga dal mondo nei monasteri e nelle abbazie dove lasciarsi alle spalle ogni desiderio dei piaceri terreni o col fantasticare di un ritorno dell'età dell'oro con l'avvento dello Spirito Santo apportatore della libertà e della perfetta uguaglianza tra gli uomini.[43]

Se nel mondo conosciuto non esiste la felicità gli uomini del medioevo credono che questa abiti in luoghi lontani come nelle Isole Fortunate, un Paradiso descritto da Isidoro di Siviglia [44], o nel Regno del Prete Gianni che ha personalmente scritto all'imperatore bizantino Manuele I Comneno informandolo del suo Stato perfettamente felice.

La felicità viene ricercata anche tramite la via sensuale dell'amore sentimentale e di quello carnale rivendicato nel Roman de la Rose o nel Paradiso della regina Sibilla.

Rinascimento

Nell'età Rinascimentale il sogno medioevale del ritorno dell'età dell'oro come annuncia Erasmo, sembra realizzarsi .

Filosofia moderna

Nella filosofia moderna l'eudemonismo assume il significato della ricerca del benessere sociale per cui si preferisce parlare di utilitarismo una dottrina che trova una formulazione compiuta nel XVIII secolo a opera di Jeremy Bentham, il quale definì l'utilità come ciò che produce vantaggio e che rende minimo il dolore e massimo il piacere. Egli fa dell'etica una scienza quantificabile introducendo il concetto di algebra morale.[45]

Il suo pensiero fu ripreso da John Stuart Mill che nella sua opera intitolata Utilitarismo, del 1861 [46], relativizza la quantità di piacere al grado di raffinatezza dell'individuo.

Mantenendo l'analisi al livello individuale, un agente posto di fronte a una scelta tra N alternative, sarà portato a scegliere quella che ne massimizza la felicità (utilità).

L'analisi, però, si può estendere a livello complessivo. Nella formulazione originaria, infatti, l'utilità è una misura cardinale (o additiva) della felicità; essa è perciò aggregabile mediante l'operazione di somma. È quindi possibile misurare il "benessere sociale", definendolo come somma delle singole utilità degli individui appartenenti alla società.

L'utilità diventa perciò il perno del ragionamento etico, e la sua diretta applicazione è che diversi stati sociali risultano comparabili a seconda del livello di utilità globale da essi generati, intesi come aggregazione del grado di utilità raggiunto dai singoli.

Finalità della giustizia è la massimizzazione del benessere sociale, quindi la massimizzazione della somma delle utilità dei singoli, secondo il noto motto benthamiano: «Il massimo della felicità per il massimo numero di persone.»[47]

L'utilitarismo è quindi una teoria della giustizia secondo la quale è "giusto" compiere l'atto che, tra le alternative, massimizza la felicità complessiva, misurata tramite l'utilità.

Kant si oppose all'eudemonismo, come anche all'edonismo, svalutandolo come morale eteronoma[2] e lo considerò come il punto di vista della morale egoistica, di una dottrina di colui che «restringe tutti i fini a se stesso e non vede nessun utile fuori di ciò che giova a lui». Questa definizione è stata ritenuta da Nicola Abbagnano troppo ristretta dato che nella modernità, a partire da Hume, alla felicità si attribuisce un significato sociale, quindi non coincidente con egoismo od egocentrismo[48].

Note

  1. ^ Enciclopedia Garzanti di Filosofia alla voce corrispondente
  2. ^ a b c Eudemonismo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  3. ^ «Il piacere parziale è desiderabile in sé, mentre la felicità non è desiderabile in sé, ma lo diviene solo grazie ai piaceri parziali di cui è composta» (in Diogene Laerzio, II, 87)
  4. ^ Edonismo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  5. ^ (EN) (FR) Pierre Chantraine, δαίμων (PDF), in Dictionnaire étymologique de la langue grecque, vol. 1, Parigi, Les Éditions Klincksieck, 1968-80, pp. 246 (pdf-p.260), ISBN [[Special:BookSources/[[archive.org]]|[[archive.org]]]]ISBN non valido (aiuto). URL consultato il 21/03/2013.
  6. ^ Beatitudine, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  7. ^ Valerio Massimo, Factorum et dictorum Memorabilium Libri Novem, VII, 2, ext.12
  8. ^ Giovanni Stobeo, Florilegium, Teubner, Leibzig, 1855-1857, III, I, 176
  9. ^ Alberto Magno, De vegetalibus libri VII, Reimer, Berlin, 1867 VI, 401
  10. ^ Ateneo. I deipnosofisti: dotti a banchetto, Salerno, Roma 2001 XII, 548 c-d
  11. ^ Isocrate, Antidosi, 155-156
  12. ^ Cfr. Enciclopedia Garzanti di Filosofia, ibidem
  13. ^ Nei Memorabili senofontei Socrate attacca il sofista Antifonte rimproverandogli «sembri uno che identifica la felicità con la mollezza (tryphé) e con la ricchezza (I, 6, 10)»
  14. ^ Cfr. P. De Bernardi, Socrate, il demone e il risveglio, in «Sapienza», vol. 45, editrice Domenicana Italiana, Napoli 1992, pagg. 425-43.
  15. ^ G. Vlastos. Socrate il filosofo dell'ironia complessa Firenze, La Nuova Italia, 1998 (ed.originale: Socrates: Ironist, and Moral Philosopher, 1991).
  16. ^ Giovanni Reale. Socrate. Milano, Rizzoli, 2000.
  17. ^ Platone, Apologia di Socrate, in G. Cambiano (a cura di), Dialoghi filosofici di Platone, U.T.E.T., Torino, 1970, pp. 66-68
  18. ^ Gabriele Giannantoni, La ricerca filosofica, pp.87-91
  19. ^ «Solo il vero filosofo può raggiungere la conoscenza, quindi la felicità vera» (in Platone, Repubblica, 580 C-588 A)
  20. ^ Platone, Repubblica, IV 420 B
  21. ^ Aristotele, Etica Nicomachea, X libro, Capitoli 8-11
  22. ^ Aristotele, Op.cit.
  23. ^ Aristotele, Op.cit. in Id. Etiche, UTET, Torino 1996, p.201
  24. ^ Aristotele, Op. cit. 1, 2, p.193
  25. ^ Cfr. G.Giannantoni, I cirenaici, Sansoni, Firenze 1958
  26. ^ Cfr. A. Arrighetti, Vita Epicuri, 136, 1-3
  27. ^ Diogene Laerzio, Le vite..., II, 75
  28. ^ Da qui si può comprendere come, avendo imparato che i mali sono tali solo in apparenza, lo stoico possa anche accettare il suicidio come atto conclusivo del compito riservatogli dal destino, purché sia appunto una scelta deliberata e non dettata da un impulso momentaneo. Egli saprà scegliere di uscire dalla vita piuttosto che vivere in modo irrazionale.
  29. ^ «[Gli stoici]… dicono indifferenti salute e malattia e tutte le entità corporee e la maggior parte delle qualità esterne, perché non contribuiscono né alla felicità né all'infelicità. Ciò di cui ci si potrebbe servire sia in maniera buona che cattiva sarebbe infatti indifferente: e della virtù ci si serve sempre bene, del vizio male, ma della salute e di quel che riguarda il corpo è possibile servirsi ora bene ora male, per questo sarebbero indifferenti» (Arnim, SVF, III, fr. 122).
  30. ^ Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi, VII, 128
  31. ^ Lettera a Meneceo in Elena Maggio, Il senso della vita. La filosofia classica ed ellenistica, Armando Editore, 2003 p.59
  32. ^ Lettera a Meneceo, 127
  33. ^ Julia Annas, La morale della felicità in Aristotele e nei filosofi dell'età ellenistica, Vita e Pensiero, 1998 p.265 e sgg
  34. ^ Da ἀταραξία (da α + ταραξις). Letteralmente "assenza d'agitazione".
  35. ^ Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 62
  36. ^ Aristocle di Messene in Eusebio di Cesarea, Praep. evan., XIV, 18, 2-5
  37. ^ Dionigi Areopagita, Tutte le opere, Bompiani, Milano 2009
  38. ^ Agostino, Le confessioni, Città Nuova, Roma 1965 X, 23, 24, p.331
  39. ^ Agostino, La felicità, II, 10 in Opere di Sant'Agostino, Città Nuova, Roma 1970, Vol.III, p.195
  40. ^ Agostino, La città di Dio, XIV, 24 in op.cit. p.353
  41. ^ Tommaso d'Aquino, Somma teologica, I, II, q.5, a.3
  42. ^ Tommaso d'Aquino, Somma teologica, I, q.62, a.1
  43. ^ R. Stupperich, Die Schriften Bernhard Rothmanns, Aschendorffsche Verlagsbuchhandlung, Münster 1970, pp. 296-297.
  44. ^ Isidoro di Siviglia, Etimologie o 'Origini, XIV, VI, UTET, Torino 2004, pp.205-207
  45. ^ Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti 1981, p.85
  46. ^ Utilitarianism, London, J. Fraser, 1861.
  47. ^ J. Bentham, Frammento sul governo (1776)
  48. ^ Nicola Abbagnano, p.361

Bibliografia

  • Nicola Abbagnano, Eudemonismo, in Dizionario di filosofia, 2ª ed., Torino, UTET, 1971.
  • F. Brezzi, Dizionario dei termini e dei concetti filosofici, Newton Compton, Roma 1995.
  • Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano 1981.
  • Centro Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei filosofi, Sansoni, Firenze 1976.
  • Centro Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario delle idee, Sansoni, Firenze 1976.
  • E.P. Lamanna / F. Adorno, Dizionario dei termini filosofici, Le Monnier, Firenze (rist. 1982).
  • L. Maiorca, Dizionario di filosofia, Loffredo, Napoli 1999.
  • D.D. Runes, Dizionario di filosofia, 2 voll., Mondadori, Milano 1972.

Voci correlate

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