Mario Moretti
Mario Moretti (Porto San Giorgio, 16 gennaio 1946) è un ex terrorista italiano, militante delle Brigate Rosse.

Dopo essere stato tra i componenti iniziali dei CUB (Comitati Unitari di Base) e del CPM (Collettivo Politico Metropolitano), entrò a far parte delle Brigate Rosse nel 1971 distinguendosi subito per le capacità organizzative e la determinazione e divenendo membro del Comitato Esecutivo dell'organizzazione. Clandestino dal 1972, dopo l'arresto o la morte dei principali militanti del cosiddetto "nucleo storico", divenne dal 1976 il dirigente più esperto e importante delle Brigate Rosse contribuendo in modo decisivo all'incremento dell'efficienza operativa del gruppo.
Grande organizzatore, Mario Moretti ebbe un ruolo fondamentale nella costituzione delle nuove colonne brigatiste di Genova e di Roma, nel miglioramento delle strutture logistiche e dell'equipaggiamento, nell'instaurazione di rapporti con gruppi eversivi stranieri, e fu soprattutto il principale responsabile della pianificazione e dell'esecuzione del rapimento di Aldo Moro, partecipando all'agguato di via Fani, interrogando personalmente l'uomo politico sequestrato ed eseguendo materialmente la condanna a morte.
Dopo la tragica fine del sequestro, Moretti cercò, insieme agli altri membri del Comitato Esecutivo, di proseguire la lotta armata e si sforzò di mantenere la coesione delle Brigate Rosse, nonostante i primi dissidi interni e la crescente attività di contrasto delle forze dell'ordine.
Arrestato a Milano il 4 aprile 1981, dopo nove anni di clandestinità, è stato condannato a sei ergastoli; nel 1987 ammise pubblicamente il fallimento della lotta armata pur senza mai dissociarsi ne collaborare con gli inquirenti; dal 1994 è in semilibertà e lavora in un centro per il recupero degli ex detenuti chiamato "Giorno dopo". La sera rientra nel carcere di Opera.
Gioventù
I documenti raccolti dalla commissione d'inchiesta parlamentare sul delitto Moro e diverse biografie affermano che Moretti viva un'infanzia e un'adolescenza in un ambiente familiare piccolo-borghese (il padre lavora nel commercio di bestiame, la madre insegna musica). La famiglia tende politicamente a destra e la madre è molto cattolica; tra i parenti annovera due zii fascisti e uno zio da parte di madre - Mario Romagnoli - scrive per il quotidiano conservatore Il Resto del Carlino. Moretti in seguito parlerà di una famiglia povera ed un padre comunista[1].
Un'aristocratica di famiglia tradizionalmente liberale e con amicizie nella nobiltà nera romana, la marchesa Anna Casati Stampa[2], finanzia i suoi studi come perito industriale: nel convitto di Fermo in cui studia, Moretti è ricordato da insegnanti e compagni come uno studente schivo, chiuso, e di tendenze politiche di destra. La marchesa lo dota poi di una lettera di raccomandazione quando, nel 1968, si trasferì a Milano in cerca di lavoro e per iscriversi all'Università Cattolica del Sacro Cuore. Tra i suoi docenti Luigi Giussani, con il quale sostenne brillantemente l'esame di "Dottrina e morale".[3] Il ventiduenne Moretti rimane totalmente al di fuori dei turbolenti avvenimenti del Sessantotto milanese. Beneficia dell'interesse della marchesa perché sua zia è la portinaia del palazzo in cui risiedeva la famiglia Casati Stampa (marchesa e marito).
Origine delle Brigate Rosse
A Milano, Moretti ottenne un posto nella fabbrica Sit-Siemens, dove conobbe Corrado Alunni, Giorgio Semeria e Paola Besuschio, futuri membri delle Brigate Rosse. Si avvicinò alla politica in fabbrica partecipando alle mobilitazioni dei colletti bianchi (generalmente meno incisive di quelle operaie). Moretti entrò nella CISL, il sindacato filo-democristiano, e si candidò per le commissioni interne, ma non venne eletto.
Insieme ad alcuni compagni si unì rapidamente al Collettivo Politico Metropolitano diretto dagli ex studenti dell'Università di Trento Renato Curcio e Margherita Cagol; il gruppo del CPM avrebbe poi dato vita al nucleo storico delle Brigate Rosse, costituite poco più tardi (agosto 1970). Mario Moretti intensificò i contatti ed entrò nelle BR dopo le prime azioni della banda, non prima della primavera 1971.
Comando
Nel 1974, per opera dell'infiltrato Silvano Girotto, un ex frate soprannominato frate Mitra già guerrigliero in Sudamerica, Curcio e Franceschini furono arrestati dai Carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Moretti e Mara Cagol, la moglie di Renato Curcio, rimasero di conseguenza gli unici dirigenti a piede libero dell'organizzazione terroristica superstite. Secondo testimonianze raccolte successivamente, anche dallo stesso Franceschini, Moretti aveva ricevuto una telefonata da una fonte anonima due giorni prima dell'incontro tra Curcio e "Frate Mitra" a Pinerolo. Moretti cercò di avvertire Curcio (Franceschini secondo l'organizzazione doveva trovarsi a Roma), ma sostenne in seguito di non essere riuscito nell'intento. [4]
Fuori dai giochi Franceschini e Curcio, Moretti adottò immediatamente una linea più dura nella lotta armata, detta militaristica. Essa prevedeva un innalzamento politico dello scontro, ma non una violenza diffusa, come poi avrebbero chiesto con insistenza i "movimentisti".
Per rendere più sicura la militanza nelle BR, per prima cosa improntò la struttura alla più rigida compartimentazione: questa tecnica, comune a diverse organizzazioni segrete, consiste nel far sì che i diversi membri abbiano pochissimi contatti tra loro, e che non conoscano nessuno se non i loro diretti superiori.[5]
L'"attacco al cuore dello stato": il sequestro Moro
Nel 1975 Mario Moretti si trasferì a Roma insieme a Franco Bonisoli e Maria Carla Brioschi per organizzare una nuova colonna brigatista e sviluppare la lotta armata nella capitale per il cosiddetto "attacco al cuore dello stato". Grazie soprattutto alla sua capacità organizzativa e alla sua fredda efficienza, riuscì a costituire la nuova colonna inserendo nell'organizzazione nuovi e capaci militanti come Valerio Morucci, Adriana Faranda, Bruno Seghetti, Barbara Balzerani[6].
Raggiunto a Roma alla fine del 1977 da Prospero Gallinari, evaso dal carcere di Treviso, Moretti ebbe un ruolo decisivo nella progettazione della cosiddetta "campagna di primavera", culminata nell'agguato di via Fani e nel sequestro di Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana. Il 16 marzo 1978 in via Fani Moretti era alla guida della Fiat 128 targata CD (corpo diplomatico) che bloccò il convoglio delle auto di Moro, dando modo ai brigatisti nel nucleo di fuoco di annientare la scorta dell'uomo politico. Dopo lo scontro a fuoco, Moretti trasferì insieme a Raffaele Fiore e a Bruno Seghetti, Aldo Moro su una Fiat 132 e poi su un furgone che guidò personalmente fino al parcheggio sotterraneo dei Colli Portuensi. Dopo un ultimo trasbordo, Moretti traspostò il sequestrato fino all'appartamento di via Montalcini 8 dove sarebbe rimasto per tutti i 55 giorni del rapimento[7].
Moretti durante il sequestro alloggiò prevalentemente nell'appartamento di via Gradoli insieme a Barbara Balzerani, mentre a volte si trasferì al nord per incontrare gli altri componenti del Comitato Esecutivo, Micaletti, Azzolini e Bonisoli, nelle basi di Firenze e Rapallo. Quasi ogni giorno si recava in via Montalcini per interrogare Aldo Moro e discutere con i militanti alloggiati nell'appartamento, Prospero Gallinari, Germano Maccari e Anna Laura Braghetti[8].
Mario Moretti coordinò tutte le fasi del sequestro Moro, scrisse personalmente i comunicati brigatisti ed elaborò, in collaborazione con gli altri membri del Comitato Esecutivo la strategia politica del rapimento; egli ha riferito nelle sue memorie che si instaurò un rapporto di comprensione reciproca tra lui ed il sequestrato e che Moro, pur non collaborando pienamente e non fornendo informazioni di grande rilievo, fu libero sostanzialmente di scrivere le sue lettere e di condurre personalmente con disperata tenacia la lotta politica con gli esponenti dei partiti della Repubblica e in particolare con la Democrazia Cristiana, per favorire la trattativa e la sua salvezza[9].
Ha materialmente ucciso lo statista democristiano, sparandogli a bruciapelo con un mitra nel portabagagli di una Renault 4, dove l'onorevole Aldo Moro fu fatto accovacciare, e che poi sarà fatta ritrovare in via Caetani.
Moretti è stato direttamente a contatto col sequestrato Moro per tutti i 55 giorni del rapimento, lo ha personalmente interrogato, ne ha controllate le lettere che egli faceva giungere a politici e familiari, e soprattutto ha raccolto il famoso "memoriale" di Moro (che sarà ritrovato solo parzialmente e in fotocopie). Il "memoriale Moro" rimase nascosto per anni nel covo milanese delle Br di via Monte Nevoso, e nelle varie perquisizioni non se ne trovarono che brani incompleti[10], fino al 1990, quando durante una ristrutturazione si trovarono pagine manoscritte da Moro e altri documenti.[11]
Carcerazione
Dopo il sequestro e l'uccisione di Moro, paradossalmente le BR si indebolirono, tanto che Moretti si trovò di fronte alla clamorosa "insubordinazione" della colonna milanese del gruppo, che rimproverava a Moretti di agire come un capo assoluto che imponeva a tutti le sue decisioni senza discutere, e che l'uccisione di Moro non aveva dato i risultati politici sperati. Moretti fu accusato di essere una spia dai fondatori delle BR Alberto Franceschini e Renato Curcio.[12]
Il 4 aprile 1981 Moretti venne arrestato. Era a Milano proprio per costruire un nuovo gruppo in contrapposizione alla colonna che non obbediva più, ma uno dei contatti che aveva trovato gli diede un appuntamento-trappola al quale si presentò la polizia del capo della squadra mobile di Pavia Ettore Filippi. Alla vista degli agenti, urlò: "Sono Mario Moretti, mi dichiaro prigioniero politico!" Il motivo va ricercato nel tentativo di cercare sicurezza tra i testimoni oculari, affinché si spargesse nel più breve tempo possibile la voce del suo arresto.
Moretti fu successivamente condannato a sei ergastoli. Due mesi dopo essere entrato in carcere (a Cuneo), fu ferito in un'aggressione durante l'ora d'aria. L'aggressore, il camorrista[13] Farre Figueras, aveva colpito per uccidere l'ex dirigente delle Br.
Moretti non ha mai collaborato alle indagini e ha mantenuto ufficialmente il silenzio sulle attività delle BR; nel 1994 ha ottenuto grazie ai benefici di legge la semilibertà e attualmente risiede a Milano. Di giorno è agli arresti domiciliari e di notte ha l'obbligo di rientro in carcere.
Note
- ^ Una tale versione è data da Moretti nel libro intervista del 1993 a cura delle giornaliste Carla Mosca e Rossana Rossanda
- ^ Il rapporto tra i Moretti e i Casati Stampa ha dato adito ad alcune interpretazioni che sostengono che le Brigate Rosse furono create durante l'Operazione Gladio, un'organizzazione finanziata dalla CIA per indebolire e screditare l'influenza del Partito Comunista Italiano Sergio Flamigni sviluppa questa teoria nel dettaglio, documentando i contatti tra i Casati Stampa ed il conte Edgardo Sogno Rata del Vallino, membro della P2 e stretto collaboratore di Licio Gelli; inoltre raccoglie le testimonianze di amici d'infanzia di Moretti, che sostengono che lui simpatizzasse apertamente con il fascismo mussoliniano.
- ^ Sergio Flamigni, ''La Sfinge delle Brigate Rosse'', Milano, KAOS Editore, 2004
- ^ S. Flamigni, "Convergenze parallele. Le Brigate rosse, i servizi segreti e il delitto Moro", Milano, Kaos, 1998, pp. 102-106
- ^ Sono molti i vantaggi di una rigorosa compartimentazione: un militante arrestato può fare i nomi solo di pochissimi altri militanti, quindi gli effetti delle retate della polizia sono più limitati. L'organizzazione resiste di più alle infiltrazioni dall'esterno, perché un eventuale informatore della polizia potrà fare luce solo su una minima parte della struttura. Infine, il potere del capo è praticamente incontrastato perché le decisioni vengono prese da un ristrettissimo numero di persone che, mediante un procedimento verticale "a cascata", le comunica poi agli altri; le esigenze di segretezza infatti rendono impossibile organizzare assemblee o altri tipi di discussioni aperte.
- ^ M.Clementi, Storia delle Brigate Rosse, pp. 157-158.
- ^ M.Moretti, Brigate Rosse. Una storia italiana, pp. 122-132.
- ^ M.Moretti, Brigate Rosse. Una storia italiana, pp. 137-139.
- ^ M.Moretti, Brigate Rosse. Una storia italiana, pp. 140-160.
- ^ Gianluca di Feo, Moro, ecco chi portò via le carte di Monte Nevoso, su archiviostorico.corriere.it, corriere.it, 30 ottobre 2003, p. 20. URL consultato il 1º luglio 2009.
- ^ Cavalera Fabio, il covo delle Br e le carte segrete di Moro, su archiviostorico.corriere.it, corriere.it, 19 aprile 1993, p. 7. URL consultato il 1º luglio 2009.
- ^ Bianconi Giovanni, Curcio mi disse: sono certo che Moretti è una spia, su archiviostorico.corriere.it, corriere.it, 4 maggio 2004, p. 16. URL consultato il 21 settembre 2009.
- ^ Mario Moretti, Carla Mosca, Rossana Rossanda, ''Brigate Rosse. Una storia italiana'', Mondadori, 2007, pag. 234
Bibliografia
- Marco Clementi, Storia delle brigate rosse, Roma, Odradek Edizioni, 2007
- Marco Clementi, "La pazzia di Aldo Moro", Milano, Bur, III edizione, 2008
- Claudio Celani. The Sphinx and the Gladiators: How Neo-Fascists Steered the Red Brigades, in Executive Intelligence Review, gennaio 2001
- Sergio Flamigni. La Sfinge delle Brigate Rosse, Milano, KAOS Edizioni, 2004
- Sergio Flamigni. La Tela del Ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni, 2003
- Gianni Flamini. Il partito del golpe, 1985
- Carla Mosca, Rossana Rossanda. Brigate rosse. Una storia italiana., Anabasi 1994 (ristampato da Baldini & Castoldi). Il libro è tratto da una serie di interviste a Moretti condotte in carcere delle due giornaliste nel luglio e agosto 1993.
- Sergio Zavoli. La notte della Repubblica, Mondadori, 1995
- Leonardo Sciascia. "L'affaire Moro"
Voci correlate
| Controllo di autorità | VIAF (EN) 107594009 · ISNI (EN) 0000 0001 0787 7516 · SBN LO1V140481 · LCCN (EN) n97020270 · GND (DE) 119533456 · BNF (FR) cb12431456q (data) · J9U (EN, HE) 987010473130405171 |
|---|