Bestemmia
Template:Stub penale Template:Disclaimer contenuti La bestemmia è una locuzione, talvolta di carattere popolare, con contenuti offensivi e dissacranti verso una divinità della quale si prepone di schernire e rovesciare gli attributi predicati dai suoi fedeli o praticanti.
Nelle religioni patriarcali, come quelle abramitiche, l'istinto naturale animale e il corpo sono generalmente considerati fortemente negativi e triviali, e perciò una tipica bestemmia per queste religioni è la caratterizzazione delle divinità come sessualmente attive, o come animali quali i suini, o come escrementi. Mentre nelle religioni matriarcali, proprie ad esempio dei cananei, in cui invece l'aspetto corporeo è valorizzato ed il godimento sessuale considerato miracoloso, e quindi gli stessi epiteti non avrebbero la stessa valenza fortemente spregiativa.
Illecito giuridico
La bestemmia, in quanto dispregiativa verso il sentimento religioso, nelle legislazioni vigenti in molti paesi è punibile legislativamente. Questo non è solo il caso dei paesi religiosamente estremisti, o integralisti, ma anche della quasi totalità delle domocrazie occidentali dove testualmente si preferisce tutelare il rispetto e la tolleranza.
In Italia è stata prevista dal codice penale come reato, inserita fra le contravvenzioni «concernenti la polizia dei costumi».
La versione originaria (del 1930) dell'articolo 724 del codice penale riguardava solo l'offesa alla religione Cattolica, ma nel tempo nacquero discussioni sulla supposta sperequazione fra le religioni di tale limitazione. Si sostenne che per effetto del Concordato del 1984 sarebbe dovuta cadere la denominazione di «religione dello Stato» e con essa la differenziazione fra i credi. Si iniziò perciò a discutere se prevedere anche l'offesa a altri credi. Solo con la sentenza 440, della Corte Costituzionale del 18 ottobre 1995[1] si accettò l'equiparazione de-statuale di tutti i Credi nei confronti dell'offeso religiosa. La corte sostenne: «si impone ormai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza» e dichiarò così l'illegittimità costituzionale dell'art. 724, primo comma, del c. penale, cioè quello che definiva il Cattolicesimo religione di Stato («o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato»).
La normativa italiana attuale considera la bestemmia come un illecito amministrativo (in base ad una legge del 1999), e perseguibile penalmente solo nei casi in cui sia riferita alla «Divinità» senza distinzione di religioni (in base alla sentenza 440 del 1995 della Corte Costituzionale). Sempre la sentenza della Corte Costituzionale ha rimosso il riferimento a «i Simboli o le Persone».
Attualmente è punita con una sanzione amministrativa, essendo stata depenalizzata (ridotta la pena)con la legge n. 205 del 25 giugno 1999. La versione attuale (vigente) dell'articolo 724 ("Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti") è la seguente: «Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità, è punito con la sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309 [...] La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti.»
Nelle religioni abramitiche
In alcune versioni dei comandamenti, gli atti di bestemmia sono proibiti in base al comandamento «Non pronunciare il nome di Dio invano».
In Italia
La bestemmia è diffusa in molte zone d'Italia e anche se nata come offensiva imprecazione talvolta è usata come sfogo verbale o intercalare. A volte alcune diffuse imprecazioni non volgari sono nate dal mascheramento del termine religioso in qualcos'altro di assonante e non offensivo, come la serie di epiteti rivolti all'innocua "Maremma" o ad un non meglio precisato "zio". Altri epiteti molto diffusi si riferiscono al "diesel", "due", "duo","diu", "dao", "Diaz", "madosca", "dinci", "dindo" e "disco", "dionisio", "diogene", "christian"; oppure individuano il nome della divinità in "Carlo", lo definiscono affettuosamente "caro" o "bono" o ancora ne denotano la scarsa abbienza monetaria (povero). Altro epiteto famoso, molto diffuso nella zona modenese/reggiana, è quello che loda le doti canore della divinità.
Casi televisivi
Negli ultimi anni hanno destato parecchie discussioni e dure critiche le bestemmie in televisione. Noti sono i casi di Leopoldo Mastelloni negli anni ottanta, Guido Genovesi nel Grande fratello 2004 e Massimo Ceccherini nell'Isola dei famosi 2006. Tutti i personaggi sopraccitati sono stati puniti, nonostante le scuse che tutti hanno immediatamente rivolto, con l'immediato abbandono dai programmi della rete e per un periodo di tempo che, nel caso di Mastelloni, si è protratto per più di 20 anni.
Altro fenomeno televisivo è sicuramente Germano Mosconi (giornalista sportivo della rete Telenuovo di Verona), tuttavia le sue bestemmie non sono mai andate in onda, perchè il telegiornale era in differita, ma furono raccolte e diffuse sul web.
Un altro caso, anche se poco menzionato: l'incontro di calcio tra Italia e Ucraina del 7 ottobre 2006 quando, complice uno sciopero dei giornalisti, la partita venne trasmessa senza commenti dei telecronisti e con le voci di sottofondo dello stadio chiaramente udibili.
La blasfemia La blasfemia (dal greco blaptein, "ingiuriare", e pheme, "reputazione"), etimologicamente significa una grave irreverenza contro una persona o una cosa degna di essere riverita.
Il suo uso ristretto e generalmente accettato si riferisce ad un' offesa nei confronti di Dio o degli dei, e per estensione una grave irreverenza contro qualunque persona o cosa meritoria di una stima speciale o venerazione. Per molte culture è mal tollerato che si insulti in forma scritta o orale Dio o gli dei della religione ufficiale, e vi sono leggi che puniscono la blasfemia in alcuni paesi.
In molte lingue la blafemia si può mascherare tramite eufemismi.
Opere letterarie che contengono bestemmie
- François Rabelais, Gargantua e Pantagruele, 1532.
- Mikhail Bakhtin Rabelais and his world, 1941, Bloomington, Indiana University Press.
- Filipppo Scozzari, Prima pagare poi ricordare, 1996.