Ladri di biciclette
Ladri di biciclette è un film del 1948 diretto, prodotto e in parte sceneggiato da Vittorio De Sica. Girato con un'ampia partecipazione di attori non professionisti, è basato sull'omonimo romanzo (1946) di Luigi Bartolini adattato al grande schermo da Cesare Zavattini. È tuttora considerato un classico del cinema ed è ritenuto uno dei massimi capolavori del neorealismo cinematografico italiano.[1][2]
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Paese di produzione | Italia |
Durata | 97 min |
Rapporto | 1.37:1 |
Genere | drammatico |
Regia | Vittorio De Sica |
Soggetto | Luigi Bartolini e Cesare Zavattini |
Sceneggiatura | Cesare Zavattini, Vittorio De Sica, Suso Cecchi d'Amico, Oreste Biancoli, Adolfo Franci, Gerardo Guerrieri e Gherardo Gherardi |
Produttore | PDS Produzioni De Sica |
Fotografia | Carlo Montuori |
Montaggio | Eraldo Da Roma |
Musiche | Alessandro Cicognini |
Scenografia | Antonio Traverso |
Interpreti e personaggi | |
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Quattro anni dopo la sua uscita, è stato ritenuto il più grande film di tutti i tempi dalla rivista Sight & Sound.[3] Nel 1958 venne dichiarato il secondo miglior film di tutti i tempi alla Confrontation di Bruxelles, da una giuria internazionale di critici.[4][5]
Ladri di biciclette è stato in seguito inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, che è nata con lo scopo di segnalare "100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978".[6][5][7]
È stato inoltre classificato nella quarta posizione ne "I 100 migliori film del cinema mondiale - I più grandi film non in lingua inglese" dalla rivista Empire.[8]
Trama
Roma, secondo dopoguerra. Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), un disoccupato, trova lavoro come attacchino comunale. Per lavorare deve però possedere una bicicletta e la sua è impegnata al monte di pietà, per cui la moglie Maria è costretta a dare in pegno le lenzuola per riscattarla. Proprio il primo giorno di lavoro, mentre incolla maldestramente un manifesto cinematografico, la bicicletta gli viene rubata. Antonio rincorre il ladro, ma inutilmente.
Andato a denunciare il furto alla polizia, si rende conto che le forze dell'ordine per quel piccolo e frequente furto non potranno aiutarlo. Tornato a casa disperato e amareggiato, capisce che l'unica possibilità è mettersi lui stesso alla ricerca della bicicletta. Chiede quindi aiuto a un suo compagno di partito, che mobiliterà i suoi colleghi netturbini. All'alba, insieme al figlio Bruno,[9] che lavora in distributore di benzina, e al compagno di partito, si recano a cercare la bici a Piazza Vittorio prima e a Porta Portese poi,[10] dove tradizionalmente venivano rivenduti gli oggetti rubati.
Tuttavia non c'è niente da fare: la bicicletta, forse ormai smembrata nelle sue parti, non si trova. Per la disperazione Antonio si rivolgerà persino ad una "santona", una sorta di veggente, che accoglie nella sua casa un'umanità varia, afflitta e disgraziata. Il responso sibillino della santona è quasi una presa in giro: «O la trovi subito o non la trovi più».
A Porta Portese un vecchio barbone viene visto da Antonio insieme al ladro, che subito si dilegua. Anche il vecchio vuole sfuggire a Ricci che lo segue fino a una mensa dei poveri, dove dame di carità della pia borghesia romana distribuiscono minestra e funzioni religiose agli affamati. Antonio costringe il barbone a rivelargli il recapito del ladro, ma è solo per caso che s'imbatte in lui in un rione malfamato, dove tutta la delinquenza locale sostiene il ladro minacciando la vittima del furto. Anche un "buon carabiniere" – figura tipica e popolare dell'autorità giusta e benevola – chiamato da Bruno, in mancanza di prove, non può fare alcunché per arrestare il colpevole.
Stravolti dalla stanchezza, Antonio e Bruno aspettano l'autobus per tornare a casa, quando Antonio vede una bicicletta incustodita e tenta maldestramente di rubarla. È subito fermato e aggredito dalla folla. Solo il pianto disperato di Bruno, che muove a pietà i presenti, gli eviterà il carcere.
Il film si chiude sul mesto ritorno a casa dei due, mentre si sta facendo notte a Roma, con Bruno che stringe la mano del padre per consolarlo.
La storia del film
Dopo l'insuccesso commerciale di Sciuscià, con un pubblico abituato ai film dei "telefoni bianchi" degli anni del ventennio fascista o ai grandi film di Hollywood, De Sica volle a tutti i costi realizzare questo secondo film, al punto da investire il proprio denaro nella sua produzione.
Del romanzo originale, così come delle sceneggiature (oltre sei, più quella dello stesso De Sica), nel film non è rimasto nulla. Il racconto, adattato da Cesare Zavattini, mostra però una traccia di queste sceneggiature nella serie di quadri che accompagna la vicenda del protagonista. Sono dei bozzetti che vogliono "realisticamente" mostrare al pubblico la vita italiana dell'immediato dopoguerra.
«Un ritorno alla realtà», così avevano detto i critici in occasione della proiezione di Sciuscià; una realtà a cui voleva tornare lo stesso De Sica dopo le sue esperienze di attor giovane canterino nei film di Mario Mattoli e Mario Camerini degli anni trenta.
Aveva detto De Sica: «La letteratura ha scoperto da tempo questa dimensione moderna che puntualizza le minime cose, gli stati d'animo considerati troppo comuni. Il cinema ha nella macchina da presa il mezzo più adatto per captarla. La sua sensibilità è di questa natura, e io stesso intendo così il tanto dibattuto realismo» [11].
Fu per questo, che il regista, nonostante le grande difficoltà a reperire fondi per la realizzazione del film, rifiutò i sostanziosi aiuti dei produttori americani che però avrebbero voluto al posto di Maggiorani addirittura Cary Grant.[2]
L'attrice che interpretò il personaggio di Maria, la moglie del protagonista, fu Lianella Carell, una giovane giornalista e scrittrice romana, che dopo un incontro con De Sica per un'intervista fu sottoposta ad un provino e inserita nel cast. In seguito la Carell girerà altri film ma senza la fortuna professionale di quella prima pellicola.
Il pubblico del cinema Metropolitan di Roma non accolse bene il film, anzi reclamava la restituzione del prezzo del biglietto.[12] Tutt'altra l'accoglienza a Parigi, con la presenza di tremila personaggi della cultura internazionale. Entusiasta e commosso, René Clair abbracciò al termine della proiezione De Sica dando il via a quel successo mondiale che ebbe in seguito il film con i cui proventi il regista riuscì finalmente a pagare i debiti contratti per la produzione di Sciuscià. [13]
Distribuzione
Il film, girato tra il giugno e l'agosto del 1948,[14] venne distribuito nelle sale italiane iI 24 novembre dello stesso anno, di seguito sono riportati i vari paesi in cui venne esportato:[15]
- Francia: 26 agosto 1949
- USA: 12 dicembre 1949
- Svezia: 27 febbraio 1950 - 15 marzo 2002 (riedizione)
- Spagna: 5 giugno 1950
- Giappone: 26 settembre 1950 - 27 ottobre 1979 (riedizione)
- Australia: 3 novembre 1950
- Portogallo: 20 novembre 1950 - 22 luglio 1983 (riedizione)
- Danimarca: 15 dicembre 1950 - 15 agosto 1960 (riedizione)
- Germania Ovest: 24 agosto 1951
- Finlandia: 1 febbraio 1952
- Germania Est: 17 aprile 1953
- Austria: 10 luglio 1953
- Argentina: 29 ottobre 1953
- Cina: 7 gennaio 1954
- Turchia: 1958
Critica
Il film può essere preso come un termine di riferimento storico per un confronto della realtà sociale della Roma dell'immediato dopoguerra, con quella di oggi, per capirne i difetti e apprezzarla, se possibile, negli aspetti moderni.
Si è scritto unanimemente della grande interpretazione dei due protagonisti (a cui certo contribuì in modo determinante la guida della regia di De Sica) "presi dalla strada", come allora si diceva.
Ma in realtà c'è una terza protagonista nel film che è la città di Roma con i suoi abitanti.[16] È una Roma che, rappresentata nel bianco e nero della pellicola, appare nella sua grandezza non deturpata e resa piccola dall'informe ammasso di veicoli e di varia umanità che oggi la caratterizza. Le sue strade appaiono semivuote, larghe, caratterizzate da una monumentalità oggi scomparsa: le sue vie e le piazze del centro sono libere da quello strato informe di lamiere che nascondono la sua grande architettura. Anche i rioni del centro, quelli allora ancora proletari, appaiono belli nella loro struttura, povera e malandata ma che richiama l'aspetto, quasi medioevale, di quelli che erano nelle età passate, i quartieri della città. Persino l'estrema periferia dei palazzoni popolari, ancora più campagna che città, conserva una forma architettonica genuina, contadina che si riflette nelle fattezze e nei modi dei suoi abitanti.[17]
L'estrema povertà del dopoguerra è quasi riscattata da questa originaria autenticità di una città "pulita" nella sua architettura e nella spontanea moralità dei suoi cittadini. L'umanità romana presentata nel film è fatta di gente che, nei suoi vari strati popolari, dai compagni di partito di Maggiorani, ai netturbini, agli stessi malavitosi di quartiere, ai postulanti della santona, alle dame di carità, al "buon carabiniere", si caratterizza per uno spirito di partecipazione solidale con gli altri, non è chiusa nella sua indifferenza, è aperta e genuina come le strade e i palazzi della Roma di "Ladri di biciclette". È ancora un'umanità che, come appare nelle scene corali del film, condivide le sue necessità e miserie.[18]
È un film che va visto oggi per capire le nostre differenze con il passato.
Un'altra protagonista del film è la bicicletta, divenuta da mezzo popolare di trasporto, un elemento vitale di sopravvivenza per il protagonista del film. Le biciclette attraversano tutta la storia del film, appaiono e scompaiono (isolate o in mucchi, integre o fatte a pezzi) come un incubo agli occhi del piccolo Bruno e di suo padre. La bicicletta rappresenta la tentazione che spinge Antonio a rubare, l'esca con cui il pedofilo di Piazza Vittorio attira il piccolo Bruno, la perdita del lavoro e la disperazione finale di una povera famiglia che aveva riposto in quell'umile oggetto tutte le sue speranze di sopravvivenza.[19]
Riconoscimenti
- 1949 - Premio Oscar
- Miglior film straniero (Onorario)
- Nomination Migliore sceneggiatura non originale a Cesare Zavattini
- 1950 - Golden Globe
- Miglior film straniero (Italia)
- 1949 - National Board of Review Award
- Miglior film (Italia)
- Migliore regia a Vittorio De Sica
- 1950 - Premio BAFTA
- Miglior film (Italia)
Manifesti e locandine
Per l'Italia, la realizzazione dei manifesti e delle locandine, fu affidata al pittore cartellonista Ercole Brini, che dipinse i bozzetti ad acquarello e tempera, in uno stile che potremmo definire "neorealista" molto adatto allo spirito del film.
Citazioni e riferimenti
- Nel film C'eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola, Nicola Palumbo, il personaggio interpretato da Stefano Satta Flores, insegnante e cinefilo esperto, ammiratore di Ladri di biciclette, prima litiga con i suoi retrivi superiori per le ingiuste critiche al film scatenate durante un cineforum nella sua Nocera Inferiore, liti che lo costringeranno a lasciare la cattedra: successivamente, selezionato per Lascia o raddoppia?, trasmissione televisiva di quiz condotta da Mike Bongiorno, sbaglia la risposta finale per raccontare l'aneddoto del regista Vittorio De Sica che offende il bambino (Staiola) accusandolo di essere un "ciccarolo" - uno dei miseri personaggi del dopoguerra italiano che per sopravvivere raccoglievano mozziconi di sigarette per ricavarne tabacco da vendere - affinché si offendesse fino alle lacrime, e rendesse verosimile la scena da girare. La domanda del quiz nel film, invece, richiedeva semplicemente l'episodio del film dove il personaggio si mette a piangere "con scottante verismo".[20]
- Anche in La ricerca della felicità (2006), di Gabriele Muccino, si possono riconoscere ampie citazioni iconografiche nell'inarrestabile girovagare di padre e figlio alla ricerca di una decorosa collocazione nel mondo: quella stessa che la bicicletta avrebbe consentito ai protagonisti del film di De Sica.
- Ladri di saponette (1989) è un chiaro riferimento al film di De Sica, e può essere considerato una sorta di parodia.[21]
- Il film cinese Le biciclette di Pechino (2001) trae forti ispirazioni dalla pellicola.[22]
Note
- ^ Habekovic-Palaich, 2008, p. 187.
- ^ a b Ladri di biciclette, su mymovies.it, MYmovies.
- ^ (EN) The Bicycle Thief / Bicycle Thieves (1949) review, su rogerebert.suntimes.com.
- ^ Chiti-Poppi-Lancia, 1991, p. 202.
- ^ a b Bertarelli, 2004, p. 225.
- ^ Ladri di bicilette / i cento film, su retedeglispettatori.it, Rete degli Spettatori.
- ^ Massimo Borriello, Cento film e un'Italia da non dimenticare, su movieplayer.it, Movieplayer.it, 4 marzo 2008.
- ^ (EN) The 100 Best Films Of World Cinema, su empireonline.com, Empire.
- ^ Bruno è interpretato da Enzo Staiola, che De Sica trovò nel quartiere popolare romano della Garbatella. Bruno è un controcanto, un'ombra che, sempre all'inseguimento frenetico del padre, quasi dimentico di lui nella sua disperazione, lo accompagna per tutto il racconto del film. È un bambino nei tratti e nelle movenze, ma anche non lo è più poiché già condivide il malessere degli adulti.
- ^ Antonio e Bruno a Porta Portese vengono sorpresi da un temporale da cui si riparano sotto un cornicione dove arriva un gruppo di seminaristi stranieri, anche loro zuppi d'acqua, che parlano ad alta voce nella loro lingua sotto lo sguardo stupefatto dei due protagonisti meravigliati di quel linguaggio incomprensibile. Tra questi c'è un pretino che non è altri che Sergio Leone.
- ^ Cfr. La Fiera letteraria, 6 febbraio 1948
- ^ Associazione Amici di Vittorio De Sica, Ladri di biciclette di Vittorio De Sica: testimonianze, interventi, sopralluoghi, Pantheon, 1997 p.16
- ^ Franco Pecori, Vittorio De Sica, ed. La nuova Italia, 1980, p.60
- ^ Box office/incassi per Ladri di biciclette (1948), su imdb.it, IMDb.
- ^ Date di uscita per Ladri di biciclette (1948), su imdb.it, IMDb.
- ^ «Tutta la vita di Roma passa in questo film chiuso nel rigido giro d’un sabato e d’una domenica; tutta la vita della Roma periferica, dai quartieri più miseri a quelli borghesi di Piazza Vittorio: i mercatini di Porta Portese, la Messa del Povero, il Banco dei Pegni, i commissariati, le rive del Tevere, lo Stadio, persino le case più equivoche...(Da Il Tempo, 22 novembre 1948)
- ^ Cfr. "Il Cinema, Grande storia Illustrata" op.cit.
- ^ «È questo mondo De Sica ha voluto offrire di nuovo alla nostra meditazione e alla nostra emozione; un mondo che non è più quello sconvolto e tragico di Sciuscià, ma che, come quello, è altrettanto disperato ed autentico, altrettanto perentorio nell'esortarci a una solidarietà cui solo l'anima italiana di De Sica poteva dare intenzioni così profondamente italiane.» (Da Il Tempo, 22 novembre 1948)
- ^ «La bicicletta di Antonio è rubata insieme con i suoi sogni di una vita migliore... La perdita della bicicletta era una tragedia enorme per Antonio e la sua famiglia, come era analogo per la perdita o la mancanza di qualsiasi elemento essenziale di vita che previene la povertà e la sofferenza.» Dickson college
- ^ Corriere della Sera, 8 settembre 1999
- ^ Ladri di saponette (1989), su imdb.it, IMDb.
- ^ Le biciclette di Pechino, su mymovies.it, MYmovies.
Bibliografia
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- Il Cinema, Grande storia Illustrata, Volume terzo di De Agostini Novara, 1981
- Franco Pecori, "Vittorio De Sica", ed. La Nuova Italia, 1980
Voci correlate
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Collegamenti esterni
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