Utente:Stonewall/Sandbox3
Sfondamento dell'Isonzo parte della battaglia di Caporetto, nella prima guerra mondiale | |
---|---|
![]() | |
Data | 24 ottobre - 26 ottobre 1917 |
Luogo | Settore del fronte compreso tra Plezzo e Tolmino |
Esito | Vittoria austro-ungarico-tedesca. |
Schieramenti | |
Comandanti | |
Effettivi | |
Perdite | |
Voci di battaglie presenti su Wikipedia | |
Lo sfondamento dell'Isonzo (in tedesco Durchbruch am Isonzo) fu la fase iniziale e decisiva della battaglia di Caporetto durante la prima guerra mondiale sul fronte italiano. Dopo il trasferimento di una serie di reparti scelti tedeschi in aiuto all'esercito austro-ungarico, le truppe degli Imperi Centrali sferrarono il 24 ottobre 1917, in cattive condizioni atmosferiche, una potente offensiva tra Plezzo e Tolmino che in soli tre giorni provocò il crollo dell'ala sinistra della 2ª Armata italiana e costrinse il generale Luigi Cadorna ad ordinare nella notte del 27 ottobre una ritirata generale prima sul Tagliamento e poi sul Piave.
La grande offensiva austro-tedesca, denominata in codice operazione Waffentreu ("fedeltà d'armi"), raggiunse immediatamente un totale successo grazie all'abilità dei comandanti e delle truppe che avanzarono rapidamente sia sulle montagne che nella valle dell'Isonzo dove raggiunsero Caporetto fin dal pomeriggio del primo giorno, sfruttando anche una serie di gravi errori tattici dei generali italiani. Rimane la più riuscita operazione di sfondamento di tutta la prima guerra mondiale.
Decisioni dei comandi tedeschi e austro-ungarici
Dopo la fine della aspra e sanguinosa Undicesima battaglia dell'Isonzo, la situazione delle forze austro-ungariche sul fronte italiano era diventata veramente critica; nonostante l'ostinata ed abile resistenza, le truppe al comando del generale Svetozar Borojević avevano subito forti perdite sotto gli ostinati attacchi dell'esercito italiano e avevano rischiato di subire una sconfitta strategica decisiva. Nella fase più critica della battaglia, il comando austro-ungarico aveva preso in considerazione l'eventualità di una ritirata strategica oltre il vallone di Chiapovano, abbandonando l'intero altopiano della Bainsizza, con la conseguenza di rendere precario l'intero schieramento sull'Isonzo a copertura di Trieste e Lubiana[6].
Solo grazie alla capacità e alla determinazione dei comandi e delle truppe austro-ungariche, al logoramento dei reparti italiani ed alle loro serie difficoltà logistiche, alla fine di agosto 1917 l'offensiva italiana era stata fermata senza cedere la cresta orientale dell'altopiano della Bainsizza, senza ripiegare sul vallone di Chiapovano e mantenendo il possesso dell'importante testa di ponte di Tolmino e del monte San Gabriele. Nel periodo tra maggio e settembre 1917 l'esercito italiano ebbe 400.000 soldati morti, feriti e dispersi, ma anche l'esercito austro-ungarico uscì fortemente indebolito dai violenti e prolungati scontri perdendo circa 230.000-240.000 soldati[7].
Ancor prima della fine dell'Undicesima battaglia dell'Isonzo, l'alto comando austriaco si era fortemente preoccupato per la situazione sul fronte giulio di cui si temeva un cedimento strategico in caso di nuove offensive italiane; alcuni alti ufficiali ritennero che non fosse più possibile rimanere sulla difensiva e che fosse invece indispensabile sferrare un'offensiva per guadagnare terreno ed anticipare nuove minacce del nemico. A causa della debolezza dell'esercito austro-ungarico si considerò indispensabile per assicurare il successo di una simile offensiva il concorso di truppe e artiglieria dell'alleata Germania e fin dall'inizio di agosto il generale von Cramon, rapprentante austriaco nel Gran Quartier Generale tedesco a Bad Kreuznach, propose per la prima volta ai generali alleati i piani di attacco contro l'Italia con l'apporto di rinforzi dell'esercito tedesco[8].
Nell'Alto Comando Tedesco di Bad Kreuznach in un primo tempo si accolse con scetticismo queste proposte; in particolare il generale Erich Ludendorff, principale responsabile della condotta strategica della guerra, manifestò una chiara contrarietà ad offensive sul fronte italiano da lui considerate di limitata utilità e contrastanti con i suoi grandiosi piani operativi. Il generale preferiva nettamente non disperdere le forze dell'esercito tedesco e organizzare un'ambiziosa offensiva in Moldavia da cui si attendeva il crollo della Romania ed un ulteriore indebolimento della Russia, già minata dalla situazione rivoluzionaria interna. Il generale Ludendorff riteneva in questo modo di poter recuperare molte divisioni impegnate dal fronte orientale per sferrare nella primavera 1918 un'offensiva decisiva sul fronte occidentale[9]. Il suo principale collaboratore, il colonnello Georg Wetzell, capo dell'ufficio operazione, considerava invece con favore il concorso di reparti tedeschi in un'offensiva sul fronte italiano; un crollo dell'Italia avrebbe rafforzato la situazione globale degli Imperi Centrali e costretto gli anglo-francesi ad inviare molte forze per organizzare un nuovo fronte sud-occidentale[10].
I generale austriaci avevano elaborato una serie di piani operativi per l'eventuale offensiva sul fronte italiano. Il feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf, ex capo di stato maggiore generale dell'esercito austro-ungarico, aveva proposto un grande progetto strategico che prevedeva una doppia offensiva dal Trentino e dal fronte giulio con 42 divisioni; per portare a termine questo piano, che avrebbe potuto provocare l'uscita dell'Italia dalla guerra, sarebbe stato necessario il concorso di almeno 12 divisioni tedesche. Questo ambizioso progetto venne però criticato da altri generali austriaci; le forze disponibili non sembravano sufficienti, l'Italia sarebbe in ogni caso rimasta in guerra con il sostegno degli alleati occidentali; inoltre si prevedeva che i tedeschi si sarebbero opposti e avrebbero rifiutato un concorso di truppe così ingente. Il generale Borojevic invece propose un piano più limitato con un'attacco concentrato sull'alto Isonzo, per sfruttare l'importante testa di ponte di Tolmino, a ovest del fiume, minacciare le retrovie del nemico sul basso Isonzo e costringerlo a ripiegare sulla linea di confine[11].
Il 26 agosto il generale Arthur Arz von Straussenburg, capo di stato maggiore generale, presentò questo piano all'imperatore Carlo ottenendo la sua approvazione e il 29 agosto 1917 il generale Johann Freiherr von Waldstätten, primo aiutante di campo del generale Arz, si recò al quartier generale tedesco di Bad Kreuznach per illustrare il progetto e richiedere formalmente l'aiuto dell'alleato[12]. L'inviato austriaco illustrò la precaria situazione sul fronte italiano e descrisse in termini ottimistici le possibilità di un'offensiva limitata a partire dalla testa di ponte di Tolmino verso Cividale per aggirare da nord le posizioni nemiche sul basso Isonzo; lo stato maggiore austro-ungarico riteneva che sarebbero state necessarie per questa offensiva 13 divisioni di cui otto divisioni con artiglieria pesante sarebbero state fornite dalla Germania. Il generale Ludendorff si mostrò subito decisamente contrario a questo piano; egli riteneva dubbio che un attacco in un settore così ristretto avrebbe potuto avere successo e considerava molto rischioso dirottare divisioni tedesche sul fronte italiano mentre nelle Fiandre continuavano gli ostinati attacchi britannici[13]. Il generale, rimaneva chiaramente favorevole invece ad organizzare una nuova offensiva sul fronte orientale per conquistare la Moldavia. Il feldmaresciallo Paul von Hindenburg, capo di stato maggiore generale, si dimostrò meno ostile alle proposte presentate dal generale von Waldstätten; egli per il momento decise di inviare un alto ufficiale qualificato sul posto per una valutazione diretta della situazione prima di prendere una decisione[14].
Tra il 2 e il 6 settembre 1917 il generale Konrad Krafft von Dellmensingen, capo di stato maggiore di un gruppo d'armate sul fronte occidentale ed esperto di guerra di montagna, essendo stato al comando in precedenza dell'Alpenkorps tedesco, si recò sul fronte italiano ed esaminò accuratamente le posizioni e le caratteristiche geografiche del terreno. Il generale ritenne corrette le valutazioni strategiche del genrale von Waldstätten ma descrisse nel suo rapporto finale le grandi difficoltà geografiche dell'aspro territorio montuoso ed i grandi vantaggi tattici degli italiani. Egli concluse che un offensiva nel settore di Tolmino presentava notevoli rischi ed era un impresa "ai limiti del possibile", tuttavia egli aveva piena fiducia nelle superiori capacità e nell'aggressività delle truppe tedesche che riteneva nettamente superiori ai soldati italiani ed in grado di vincere nonostante le difficoltà. Il generale quindi espresse parere favorevole al piano di attacco[15].
Nella conferenza decisiva al quartier generale tedesco, il generale Krafft von Dellmensingen presentò il suo rapporto definitivo che impressionò gli alti ufficiali; alla fine il generale Ludendorff, pur conservando alcuni dubbi, si convinse e diede la sua approvazione all'offensiva con le parole "Io penso che l'impresa sia molto difficile e molto rischiosa...ma, in nome di Dio, noi vogliamo farcela!"[16]. Egli tuttavia richiese l'immediata sospensione dell'attacco in caso di mancato sfondamento iniziale. Il feldmaresciallo von Hindenburg invece mostrò la sua consueta tranquilla sicurezza, approvando il piano d'attacco ed espremendo la sua piena fiducia nel successo[17]. Si diede quindi subito inizio ai preparativi per l'offensiva sull'alto Isonzo denominata in codice Waffentreu, "fedeltà d'armi", per sottilineare la stretta alleanza dei popoli germanici contro l'infido ex-alleato della Triplice Alleanza, il das treulosen Italien[18].
L'alto comando italiano
Il generale Luigi Cadorna, capo di stato maggiore generale del Regio Esercito, aveva previsto inizialmente, in una direttiva diramata il 10 settembre 1917, di sferrare, nonostante il risultato deludente dell'Undicesima battaglia dell'Isonzo, un'ulteriore offensiva sull'altopiano carsico. Tuttavia, le notizie di movimenti di truppe nemiche, la segnalata presenza di reparti tedeschi dell'Alpenkorps in Trentino, le insuffucienze di munizioni ed effettivi dell'esercito e soprattutto le notizie provenienti dal fronte orientale che facevano temere un crollo della Russia e quindi il disimpegno di ingenti forze degli Imperi Centrali, indussero il generale a mutare completamente le sue decisioni ed a divulgare una nuova direttiva il 18 settembre[19].
In questo documento il generale Cadorna affermava di "ritenere probabile" che il nemico avrebbe sferrato "prossimamente un serio attacco", egli quindi aveva deciso di abbandonare i nuovi progetti offensivi e di organizzare le forze per "la difesa ad oltranza" delle posizioni raggiunte. A questo scopo il generale richiedeva ai suoi subordinati di predisporre le adeguate misure difensive per respingere il temuto attacco. Nel documento non era precisato il periodo in cui era atteso l'attacco nemico e sembrerebbe che il generale Cadorna temesse soprattuto un'offensiva decisiva nella primavera 1918 anche se da alcune lettere e da comunicazioni inviate agli alleati egli prendeva in considerazione la possibilità di attacchi "già in questo scorcio di stagione operativa"[20]. Gli alleati occidentali accolsero negativamente queste decisioni dell'alto comando italiano e il generale britannico William Robertson, capo di Stato maggiore Imperiale, il 24 settembre mostrò vivo disappunto in una lettera inviata al generale Cadorna in cui richiedeva anche la restituzione delle 16 batteria di artiglieria britannica inviate sul fronte italiano per scopi offensivi. Il comandante in capo italiano replicò seccamente il giorno dopo evidenziando la sua totale responsabilità, di fronte al Re e al Governo italiano, "nel giudicare della situazione su questo fronte"[21].
Schieramento degli eserciti
Le forze italiane
Preparativi delle forze tedesche e austro-ungariche
Gli alti comandi tedesco e austro-ungarico procedettero ad una completa riorganizzazione dello schieramento sul fronte italiano costituendo un gruppo d'armate del Trentino affidato al feldmaresciallo Conrad ed un fronte Sud-Occidentale guidato dall'arciduca Eugenio da cui sarebbero dipese le due armate dell'Isonzo del generale Borojevic, la 10ª Armata del generale Krobatin e soprattutto la nuova 14ª armata germanica che venne organizzata appositamente per costituire la massa d'urto principale dell'offensiva contro il fronte giulio. Affidata al comando del generale tedesco Otto von Below, ufficiale esperto, protagonista di molte vittorie in precedenza sul fronte orientale, la 14ª Armata venne attivata il 15 settembre 1917 e il suo quartier generale venne subito trasferito nella zona d'operazioni per coordinare i preparativi dell'offensiva[22]. Il generale von Below, dopo un colloquio l'11 settembre con il generale Ludendorff e il feldmaresciallo von Hindenburg, si recò a Vienna e quindi visitò a Postumia il posto di comando del generale Borojevic prima di raggiungere con i suoi ufficiali il bacino della Sava[23].
Lo stato maggiore della 14ª Armata, inizialmente stabilito a Kranj, venne costituito con personale particolamente qualificato ed esperto di guerra in montagna; il capo di stato maggiore del generale Otto von Below fu proprio il generale Krafft von Dellmensingen; il generale von Berendt ebbe il comando dell'artiglieria, il tenente colonnello Jochim e il maggiore von Willisen dirigevano i settori operativi e logistici del comando d'armata. L'alto comando tedesco assegnò alla 14ª Armata i quartier generali del III corpo d'armata bavarese del generale von Stein e del LI corpo d'armata del generale von Berrer[24]. Mentre venne disposto l'invio di notevoli quantità di artiglieria tedesca pesante e da campagna, di reparti di lanciamine e di truppe speciali, alla fine solo sei divisioni tedesche furono effettivamente trasferite alla 14ª armata per l'offensiva. Queste divisioni erano costituite da truppe scelte, in parte già addestrate alla guerra di montagna; una settimana divisione tedesca venne in seguito organizzata raggruppando alcuni battaglioni di cacciatori. Il generale von Below avrebbe anche avuto a disposizione anche alcune delle migliori divisioni austro-ungariche che, al comando del generale Alfred Krauss, sarebbero state impegnate a Plezzo per proteggere il fianco destro dell'attacco principale a Tolmino[25].
Il 15 settembre si svolse a Maribor, posto di comando del Fronte Sud-occidentale, una prima riunione tra il generale Konopicky, capo di stato maggiore dell'arciduca Eugenio, ed il generale Krafft von Dellmensingen. In questa occasione il generale tedesco criticò fortemente il piano d'operazioni proposto dall'ufficiale austriaco che prevedeva solo una modesta offensiva per il "miglioramento delle posizioni". Il generale Krafft von Dellmensingen propose invece un progetto molto più ambizioso che mirasse come obiettivo minimo al raggiungimento della linea del fiume Tagliamento. Dopo alcune discussioni, l'arciduca Eugenio condivise i piani del generale tedesco e venne deciso di ampliare il settore d'attacco coinvolgendo altre forze austro-ungariche a nord e a sud della 14ª Armata tedesca; l'ordine di operazioni prevedeva di "buttare gli italiani...se possibile, fin oltre il Tagliamento". Nonostante l'accordo, ancora il 27 settembre il generale Borojevic manifestò sarcasticamente il suo scetticismo sulla riuscita dell'offensiva durante un nuovo incontro con il generale von Below[26].
Nel frattempo erano in corso i complessi movimenti delle truppe e dei materiali assegnati alla 14ª Armata; le divisioni tedesche, provenienti dagli altri fronti di guerra, vennero raggruppate in un primo momento in Carinzia e Carniola, lungo la valle della Sava Dolinka. Per effetture i trasferimenti delle truppe fu necessario un grande sforzo logistico che richiese l'impiego in un mese di circa 2.500 treni[27]. Per ingannare i servizi di informazioni italiani, l'Alpenkorps venne inizialmente inviato in Trentino e solo ai primi di ottobre si trasferì a Bled; a nord di Lubiana si schierarono altre tre divisioni tedesche, mentre il comando del III corpo d'armata arrivò a Skofja Loka e il LI corpo si stabilì a Kamnik. Le divisioni austro-ungariche di rinforzo furono trasferite a sud-ovest di Lubiana; a Villach e nella valle della Drava si trovavano due divisioni scelte austriache, infine altre due divisioni tedesche arrivarono a Klagenfurt. Per mantenere nell'incertezza gli italiani le truppe destinate all'offensiva vennero trattenute in queste posizioni arretrate e effettuarono solo negli ultimi giorni la marcia verso le posizioni di attacco[28]; inoltre l'afflusso di uomini e mezzi avvenne lentamente con movimenti in gran parte di notte[27].
Con l'arrivo in rinforzo alle limitate unità aeree austriache di numerosi reparti di caccia tedeschi fu possibile riprendere il controllo dei cieli e proteggere la marcia delle truppe; l'aviazione da ricognizione germanica potè inoltre effettuare accurati rilevamenti fotografici che permisero di ottenere precise informazioni topografiche del terreno[29].
Molto difficile fu l'organizzazione del traffico sulle limitate vie di comunicazione disponibili e il miglioramento delle strade di accesso alla testa di ponte di Tolmino. Le vie di accesso più importanti che passavano per il valico di Piedicolle verso Tolmino e il passo del Predil in direzione di Plezzo, vennero potenziate e mantenute in efficenza. Importante fu anche il posizionamento delle batterie di artiglieria che venne mantenuto segreto e completato solo nell'imminenza dell'offensiva. Sorsero notevoli difficolta per il trasporto e l'equipaggiamento delle truppe; c'erano carenze nella disponibilità di animali da soma e di conducenti e si dovettero anche impiegare mezzi di fortuna; i soldati tedeschi dovettero essere riequipaggiati per la guerra in montagna nella stagione autunnale. Contemporanemante al trasporto dei materiali, le divisioni vennero addestrate per i nuovi compiti: si effettuarono esercitazioni di combattimento, marce in montagna, assalti di pattuglie a quote elevate[30]. L'artiglieria venne fortemente potenziata: sul fronte giulio furono schierati 3.300 cannoni e 650 bombarde, mentre solo la 14ª armata germanica diponeva di 1.600 pezzi di artiglieria, tra cui 300 bombarde[31].
Dal punto di vista tattico i tedeschi decisero di impiegare cannoni prevalentemente di medio e piccolo calibro, più facilmente utilizzabili sul terreno montuoso, per effettuare solo un breve e violento fuco di distruzione che, senza prolungarsi per molte ore, sarebbe stato seguito subito dall'assalto della fanteria. Si previde inoltre di sferrare anche un bombardamento preliminare con granate a gas che sarebbe continuato per quattro ore per saturare la zona e costringere gli artiglieri nemici ad abbandonare i loro cannoni, a cui sarebbe seguito il tiro di distruzione per circa un ora[32]. Dopo il bombardamento, la fanteria tedesca e austroungarica, ammassata in posizione molto ravvcinata alle trincee nemiche, avrebbe dovuto subito passare all'attacco; sarebbero state adottate le nuove tattiche tedesche, già utilizzate con successo dai tedeschi sul fronte orientale e dagli austriaci nei contrattacchi di Flondar e del monte Ortigara, imperniate sull'impiego delle cosiddette Stosstruppen, reparti d'assalto addestrati ad adottare le tattiche di mobilità, potenza di fuoco ravvicinato ed infiltrazione ritenute efficaci ad aprire varchi nelle linee nemiche, avanzando in profondità senza preoccuparsi della copertura sui fianchi e nelle retrovie[33].
Le truppe tedesche e austro-ungariche mostrarono di sopportare stoicamente le difficoltà del clima e del terreno e, pur non prive di dubbi sulla riuscita dell'offensiva e sulla capacità di resistenza dell'esercito italiano, accolsero con fiducia le notizie di una prossima avanzata. Ai reparti vennero distribuite razioni per soli quattro giorni, si prevedeva che i soldati avrebbero potuto impadronirsi dei depositi di materiali del nemico sconfitto[34]. Le divisioni impegnate erano in gran parte formate da soldati di lingua tedesca, reclutati in regioni di forti tradizioni militari, la Pomerania, la Slesia, la Sassonia, la Baviera, la Stiria, il Tirolo, la Carinzia; le truppe erano stanche della guerra ma decise a combattere soprattutto per appropriarsi, dopo la vittoria, di un ricco bottino materiale[35].
Schieramento finale
Mentre continuava il difficile movimento di truppe e materiali verso la zona di operazioni, era in corso negli alti comandi tedesco e austro-ungarico la definizione degli ultimi dettagli tattici e degli scopi operativi dell'offensiva. Venne ribadito in un ordine dell'arciduca Eugenio che obiettivo della operazione Waffentrue sarebbe stato "scacciare gli italiani fuori dai confini dell'Impero e, se possibile, anchee al di là del Tagliamento", inoltre il generale von Below pianificò di proseguire l'avanzata senza interruzione anche oltre quel fiume, sboccando in pianura e costringendo il nemico ad abbandonare anche la Carnia, il Cadore e parte del Trentino[36]; non mancavano ufficiali che ipotizzavano avanzate ancor più in profondità in Italia settentrionale.
Per raggiungere questi obiettivi la 14ª Armata del generale von Below avrebbe esteso il suo fronte d'attacco da Tolmino verso nord, trasferendo la sua linea di avanzata principale a nord-ovest di Cividale e proseguendo lungo le direttrici Gemona-Tarcento e Cornino-Pinzano. L'ala destra dell'armata sarebbe stata potenziata e, passando per la stretta di Saga, avrebbe collaborato con le truppe tedesche in marcia lungo l'Isonzo da Tolmino verso Caporetto e Robič. Questa parte della armata dipendeva dal I corpo austro-ungarico del generale Alfred Krauss che era costituito da tre esperte divisioni austriache: la 3ª Divisione Edelweiss, posizionata dal Monte Rombon alla strada del Plendil, la 22ª Divisione Schützen, schierata nel settore di Plezzo, la 55ª Divisione fanteria, dal Monte Javoršček al Monte Nero[37]; in riserva era disponibile anche la divisione di cacciatori (Jäger) tedesca.
Operazione Waffentreu
Marcia di avvicinamento e primi attacchi
L'attacco austro-ungarico nella zona di Plezzo
Nella zona di Plezzo, il generale Alfred Krauss, comandante del I corpo d'armata austro-ungarico che aveva ordine di attaccare in questo settore, aveva assegnato il compito decisivo alla 22ª Divisione Schutzen del generale Rudolf Müller, che avrebbe dovuto penetrare rapidamente le linee nemiche, avanzare verso il varco strategico di Saga e conquistare Monte Stol. Questo attacco principale sarebbe stato sostenuto sulla sua destra della 3ª Divisione fanteria Edelweiss del generale von Wieden, che avrebbe dovuto conquistare il settore da Čuklja e Plužna, mentre sulla sinistra sarebbe entrata in azione la 55ª Divisione austro-ungarica del generale Felix Schwarzenberg che in un primo tempo avrebbe avuto il difficile compito di conquistare le due vette dello Jama Planina e del Krasnij Vrh e quindi avrebbe dovuto marciare sud in direzione di Caporetto. Il generale Krauss disponeva inoltre in riserva della divisione Jäger tedesca del generale von Wodtke che secondo i piani avrebbe dovuto seguire l'avanzata della divisione Edelweiss.
L'attacco austro-ungarico ebbe successo in questo settore sopratutto grazie alla potenza distruttiva del fuoco d'artiglieria e all'intervento massiccio dei reparti tedeschi addetti al lancio di gas che colsero di sorpresa gli italiani e inflissero perdite elevatissime in alcuni settori delle linee difensive. La preparazione d'artiglieria ebbe inizio alle ore 02.00 del 24 ottobre e venne effettuata in condizioni ambientali poco favorevoli con pioggia e nebbia nella conca di Plezzo e pioggia ghiacciata e neve sulle quote più elevate; i cannoni spararono granate a gas per circa due ore mezza concentrando il bombardamento sulle artiglierie italiane e sui ricoveri in caverna. Nella fase iniziale entrò in azione il battaglione di lanciagas tedesco che utilizzò fosgene compresso in bombole; gli artiglieri tedeschi avevano a disposizione 1.000 bombole di gas e riuscirono ad impiegarle simultaneamente circa novecento con un meccanismo di accensione elettrica. In totale il I corpo austro-ungarico aveva a disposizione 433 cannoni, ma nel settore del Monte Rombon e del monte e del monte Vrsic il tiro d'artiglieria non ebbe molta efficacia; mentre fu il fosgene impiegato dai Gaswerfer tedeschi che ottenne effetti distruttivi nella conca di Plezzo; la brigata Friuli ebbe forti perdite nella sua ala sinistra, in particolare l'87° reggimento fu decimato; molte centinaia di soldati italiani morirono soffocati dal gas all'interno dei loro ricoveri. Anche l'artiglieria italiana che in un primo tempo aveva risposto al fuoco, venne ben presto soppressa dall'azione dei gas.
Dopo una sospensione alle ore 04.30 l'artiglieria iniziò il fuoco di distruzione alle ore 06.30 con il concorso di bombarde e mortai; i danni furono gravi, le comunicazioni furono interrotte, le prime linee e molte postazioni sui moti e a fondo valle furono colpite pesantemente.
Il "miracolo di Caporetto"
Inizio dell'attacco nella testa di ponte di Tolmino
La 12ª Divisione di fanteria tedesca del generale Arnold Lequis, reclutata in Slesia e proveniente dal fronte occidentale, era stata ammassata nella testa di ponte di Tolmino a nord e a sud dell'Isonzo: mentre il 63° reggimento e il I battaglione del 23° reggimento erano schierati a Dolje e sul Pan di Zucchero, gli altri due battaglioni del 23° reggimento erano passati a sud del fiume attraverso una passerella e si erano ammassati alle spalle di alcuni reggimenti dell'Alpenkorps. Il terzo reggimento della divisione, il 62°, erano in ritardo a causa di difficoltà di marcia e solo alle ore 05.00 del mattino raggiunse la sua posizioni di riserva a Ljubini[40].
L'offensiva a sud dell'Isonzo a partire dalla testa di ponte di Tolmino ebbe inizio alle ore 07.55 con l'attacco del reggimento della Guardia bavarese dell'Alpenkorps che, seguito subito dietro dal battaglione da montagna del Württemberg, entro trenta minuti superò dopo un breve combattimento l'avamposto italiano di San Daniele, difeso da due compagnie, e proseguì a nord di Volzana in direzione della Costa Rauza, aprendo la strada ai battaglioni del 23° reggimento che poterono avviarsi lungo la valle dell'Isonzo[41].
Secondo i piani, intorno alla città di Tolmino erano state raggruppate ingenti forze tedesche, oltre 50.000 soldati, teoricamente esposti ad un bombardamento distruttivo da parte dell'artiglieria nemica; in pratica invece i cannoni italiani non intervennero contro le truppe ammassate a valle limitandosi a colpire la cima delle montagne e in questo modo non ostacolarono affatto la concentrazione nemica e la fase di avvicinamento alla linea d'attacco[42]. Il mancato intervento massiccio dell'artiglieria italiana, in particolare di quella del XXVII corpo d'armata del generale Pietro Badoglio costituita da 733 pezzi[43], ha provocato in sede storiografia grandi polemiche riguardo alle cause ed alle responsabilità; secondo i piani stabiliti dal generale Montuori e confermati dal generale Capello il pomeriggio del 23 ottobre, i cannoni italianni avrebbero dovuto intervenire quasi subito dopo l'inizio dell'offensiva nemica con un massiccio fuoco di contropreparazione dalle ore 02.00 per almeno quattro ore[44]. In realtà sembra che il generale Badoglio non applicò queste disposizioni e prescrisse al colonnello Cannoniere, comandante dell'artiglieria del XXVII corpo, di attendere ordini e risparmiare le munizioni. La mancanza di decisione del generale Badoglio, che diede finalmente l'ordine alle ore 06.30, e la successiva interruzione delle comunicazioni tra il suo quartier generale a Kosi e il posto di comando del colonnello Cannoniere a Ostry Kras, resero impossibile sferrare un efficace fuoco di artiglieria. Anche la nebbia ostacolò il tiro dei cannoni italiani[45].
Secondo le fonti tedesche l'intervento dell'artiglieria italiana in posizione sui declivi delle montagne mancò soprattutto per le avverse condizioni climatiche che impedirono l'ossevazione dall'alto degli sviluppi della situazione a fondovalle dove marciavano le colonne tedesche[46]. Si è anche parlato di un possibile piano segreto del generale Badoglio che avrebbe previsto di far avanzare inizialmente le truppe nemiche nella piana di Volzana prima di colpirle di sorpresa con il fuoco concentrato della sua artiglieria. Questa ipotetica "trappola di Volzana" non si realizzò mai; a causa della mancanza di adeguati preparativi e della interruzione delle comunicazioni i cannoni italiani potero solo effetture un tiro sporadico ed inefficace; alle ore 11.00 finalmente il colonnello Cannoniere riuscì a riferire al generale Badoglio che tutte le comunicazioni con le batterie erano interrotte, che era impossibile un'azione di comando e che non si avevano notizie precise[47].
Avanzata dei tedeschi nella valle dell'Isonzo
Sulla riva destra dell'Isonzo a partire dalle ore 09.00 i due battaglioni tedeschi del 23° reggimento, seguiti dietro dal 62° reggimento, poterono quindi avanzare sul fondo valle senza difficoltà sfruttando il varco aperto a San Daniele dai soldati del reggimento bavarese della Guardia. Le difese italiane in questo settore erano particolarmente deboli: due compagnie del 208° reggimento della Brigata Taro erano verso Volzana, un plotone del 147° reggimento della Brigata Caltanissetta si trovava a Osteria, mentre mancavano altri reparti fino a Caporetto; era stato previsto che una compagnia mitraglieri si trovasse di fronte a Gabrie e che l'intera Brigata Napoli difendesse l'importante posizione di Foni ma al mattino del 24 ottobre 1917 nessuno dei due reparti si trovava sul posto: solo un battaglione del 76° reggimento della Brigata Napoli era sul monte Pleza e appena una compagnia occupava il settore di Foni fino al fondovalle[48].
L'avanzata degli slesiani del 23° reggimento lungo la riva destra fu agevole e rapida, protetta anche dalla fitta nebbia. I soldati tedeschi marciavano inquadrati sul fondovalle superando con facilità alcuni deboli sbarramenti[49]; la marcia di queste colonne non passò del tutto inosservata; alcuni reparti italiani sulle alture videro queste truppe sconosciute avanzare senza opposizione; anche dal Kolovrat e dal Vodil si osservò la fitta colonna in marcia; si credette impossibile che si trattasse di nemici, quindi si pensò che fossero prigionieri ricondotti nelle retrovie dalle truppe italiane[50].
L'avanzata sulla riva sinistra del 63° reggimento tedesco fu maggiormente ostacolata ma anche queste truppe, che avevano iniziato l'avanzata alle ore 08.00, raggiunsero rapidamente il successo, sopraffacendo uno dopo l'altro i reparti italiani presenti lungo la strada completamente colti di sorpresa dal loro arrivo[51]. Alle ore 09.00 gli slesiani aveano già superato la prima linea dopo aver vinto la resistenza di due compagnie del 156° reggimento italiano della Brigata Alessandria; negli scontri cadde il comandante del I battaglione tedesco, capitano Silcher[52], ma la cittadina di Gabrie venne conquistata e venne catturato il comando del 156° reggimento[53]; un'interruzione stradale già preparata dagli italiani non venne attivata e alle ore 10.00 i tedeschi entrarono a Volarje dove, utilizzando una passerella sul fiume, il I battaglione del 23° reggimento passò a sud dell'Isonzo per ricongiungersi, mentre il 63° reggimento proseguiva lungo la riva sinistra, con gli altri reparti del reggimento che marciavano lungo la riva destra[54].
Alle ore 10.30 le truppe tedesche lanciarono razzi bianchi per segnalare all'artiglieria le posizioni già raggiunte ed evitare errori di tiro, quindi dopo una pausa, ripresero ad avanzare sul fondo valle. Le fonti tedesche descrivono l'avanzata della divisione slesiana lungo le due rive dell'Isonzo: le truppe dimostrarono eccellenti qualità militari e grande slancio superando i vari deboli sbarramenti e raggiungendo alle ore 11.00 la seconda linea di difesa italiana da Foni a Selisce[55]. A Selisce i tedeschi del 63° reggimento dovettero combattere per superare la resistenza del III battaglione del 156° reggimento; in questa fase giunsero da nord i reparti bosniaci della 15ª brigata austroungarica appartenente alla 50ª divisione, che scendevano a valle dopo aver superato la resistenza sul monte Mrzli[56]. Gli italiani furono soppraffatti e l'avanzata lungo la riva sinistra riprese verso Kamno.
A sud del fiume il varco strategico di Foni era praticamente indifeso e gli slesiani del 23° reggimento poterono passare quasi senza incontrare resistenza; il III battaglione del 76° reggimento, schierato sul monte Pleza non si accorsero neppure del passaggio di queste truppe e rimase inattivo[57]. I tedeschi superarono Foni e attaccarono le postazioni dell'artiglieria pesante italiana ai piedi del Kolovrat; le batterie di artiglieria, totalmente soprese dall'arrivo dei soldati tedeschi, furono sbaragliate e numerosi cannoni di grosso calibro furono catturati[58]. Infine il 23° reggimento si avvicinò a Osteria, posta sulla riva destra di fronte a Kamno, e qui i tedeschi finalmente furono scorti dalla riva sinistra[59].
Dal posto di comando di Kamno, il colonnello Piscitelli, comandante del II battaglione del 147° reggimento della Brigata Caltanissetta (46ª Divisione fanteria), e i suoi ufficiali osservarono verso mezzogiorno, mentre la fitta nebbia finalmente si diradava, folte colonne di soldati marciare lungo la riva destra dell'Isonzo in direzione di Osteria e Idersko. In un primo momento gli ufficiali e le truppe del battaglione credettero che si trattasse di soldati italiani in ritirata, ma subito dopo sorsero dubbi e inquietanti incertezze. I soldati sconosciuti avanzavano compattamente lungo la riva, indossavano lunghi cappotti e portavano grandi elmetti da oplita; ben presto tra gli italiani si diffuse la sconcertante notizia: si trattava del nemico, truppe tedesche in marcia in profondità oltre la linea del fronte senza incontrare alcuna opposizione[60].
Le truppe tedesche individuate all'ultimo momento dai soldati del 147° reggimento, appartenevano al 23° reggimento della 12ª Divisione slesiana e stavano avanzando in massa verso Osteria difesa solo da un plotone del II battaglione. Nonostante il fuoco delle mitragliatrici impegnate subito dal colonnello Piscitelli per battere dalla riva sinistra le colonne nemiche, i tedeschi dopo un attimo di sosta attaccarono Osteria e sgominarono facilmente il plotone italiano. Subito dopo fu attaccato anche il II battaglione sulla riva sinistra: le truppe tedesche del 63° reggimento, provenienti da Selisce, avanzavano in file compatte sbucando da un gruppo di alberi; dopo un'aspra resistenza il battaglione italiano, attaccato da tutte le parti, venne sbaragliato, il colonnello Piscitelli rimase ucciso negli scontri, i resti ripiegarono su Smast. I tedeschi avanzarono ancora in "perfetto ordine" lungo la riva destra verso Idersko e catturarono quasi al completo un'altro battaglione italiano che, completamente demoralizzato si ritirava da Libussina; il suo comandante preferì arrendersi senza combattere. Poco dopo gli slesiani del 63° reggimento attaccarono lungo la riva sinistra il quartier generale del 147° reggimento italiano: il posto di comando fu travolto e il colonnello Raimondo fu ferito e catturato[61].
Alle ore 13.00 i due battaglioni di punta del 23° reggimento slesiano raggiunsero e conquistarono Idersko dopo aver facilmente superato la resistenza improvvisata di due compagnie del 282° reggimento, appartenenti alla Brigata Foggia, inviate dalla riva sinistra dell'Isonzo dal generale Amadei comandante della 46ª Divisione; il posto comando di questa divisione era già stato trasferito precipitosamente alle notizie dell'arrivo dei tedeschi, da Smast a Ladra e poi a Caporetto[62]. A Idersko gli slesiani sopraffecero anche il locale reparto di carabinieri[63]. La crescente confusione tra i reparti italiani in ritirata rallentò l'afflusso delle riserve della Brigata Foggia; numerosi sbandati entrarono disordinatamente a Ladra e solo con grande difficoltà si riuscì ad instradarli verso Caporetto, dove secondo i testimoni, c'era un "terribile, impressionante" spettacolo di "sfacelo"[64].
Alle ore 14.00, sulla riva sinistra dell'Isonzo, i tedeschi del 63° reggimento dopo aver distrutto il 147° reggimento, occuparono anche intatto l'importante ponte sul fiume tra Ladra e Idersko ed in questo modo stabilirono un solido collegamento con i reparti del 23° reggimento. A questo punto le forze della 12ª Divisione slesiana riorganizzarono il loro schieramento: sulla riva sinistra rimase solo il I battaglione del 63° reggimento, mentre gli altri due battaglioni passarono il ponte e si portarono sulla riva destra per rafforzare la marcia su Caporetto[65]. A sua volta il 23° reggimento spinse avanti lungo il fondo valle solo il II e III battaglione mentre il I battaglione, al comando del capace maggiore Eichholz, deviò a sud per coprire il fianco sinistro della forza principale, e avanzò verso il valico di Luico[66].
Il battaglione del maggiore Eichholz procedette con difficoltà sul terreno impervio e impiegò tre ore per sbucare a nord di Golobi lungo la strada per Luico; alle ore 15.30 le avanguardie tedesche raggiunsero il villaggio e catturarono alcuni piccoli reparti di bersaglieri e colonne di rifornimento italiane colte di sorpresa. Le truppe tedesche furono presto rinforzate dall'arrivo prima di un gruppo di mitraglieri bavaresi e poi del III battaglione del 23° reggimento che, dopo aver lasciato la 11ª compagnia a Idersko, discese a sua volta a sud e arrivò a Golobi. Le forze nemiche si stavano però rinforzando; da Luico erano in arrivo forti reparti italiani, tra cui il 20° bersaglieri, e si temeva un imminente un contrattacco. Il maggiore Eichholz decise quindi di fermare l'avanzata e stabilire la difesa a Golobi; i tedeschi organizzarono le posizioni di copertura ma per il resto della sera e durante la notte non si verificarono attacchi italiani[67].
Nel frattempo durante il pomeriggio del 24 ottobre il grosso della 12ª Divisione slesiana, ormai concentrato sulla riva destra dell'Isonzo, riprese l'avanzata da Iderska puntando decisamente verso Caporetto per completare la vittoria; il II battaglione del 23° reggimento al comando del capitano Illgner guidò la marcia, rafforzato dalla 11ª compagnia distaccata dal III battaglione. In questa fase secondo le fonti tedesche, furono catturati automezzi, cannoni e animali abbandonati dal nemico e alcune centinai di soldati italiani, completamente demoralizzati, si arresero senza opporre resistenza. I tedeschi dovettero tuttavia combattere per raggiungere Caporetto, mentre sulla riva opposta del fiume erano visibili colonne nemiche che ripiegavano confusamente dal Monte Nero[68].
Conquista di Caporetto
L'attacco a Caporetto ebbe inizio alle ore 15.30 da parte del II battaglione del capitano Illgner e dalla 11ª compagnia del tenente Kuttner, appoggiati da una batteria di artiglieria da montagna austro-ungarica[69]. In questa posizione nelle retrovie avrebbe dovuto essere dislocata la 34ª divisione del generale Basso, costituita principalmente dai tre reggimenti di fanteria della Brigata Foggia del generale Pisani ma a causa della confusione e di ordini contrastanti durante la mattinata questi reparti vennero dispersi tra Saga, Luico e Caporetto[70]. Nonostante il crescente disordine e la grande confusione, il posto di comando della 34ª divisione del generale Basso cercò di organizzare la difesa della città di Caporetto con parte del 282° reggimento del colonnello Vigna richiamato d'urgenza, mentre altri reparti della Brigata Foggia si schierarono nella zona del cimitero[71]. I tedeschi dovettero combattere nelle strade di Caporetto per superare la resistenza; dopo una serie di scontri all'interno dell'abitato, in cui distinsero i soldati del sottufficiale Birchel, la città alle ore 16.00 era ormai in mano della 12ª Divisione. Furono catturati oltre 2.000 prigionieri tra cui il generale Angelo Farisoglio, comandante della 43ª Divisione fanteria, colto di sorpresa dai soldati guidati dal maresciallo Becker mentre cercava insieme ad altri due ufficiali di fuggire in auto verso ovest[69]; anche il generale Pisani, comandante della Brigat Foggia fu fatto prigioniero[72]. Caddero in mano degli slesiani molti veicoli, cavalli, magazzini di viveri ed equipaggimento[69]. Il capitano Platania in precedenza, disorientato e intimorito dall'arrivo dei tedeschi, aveva fatto saltare in aria il ponte sull'Isonzo di propria iniziativa; in questo modo tutte le truppe che rifluivano in disordine da nord-est, in particolare i resti delle brigate Alessandria, Caltanissetta e Foggia, si trovarono tagliate fuori e isolate a nord del fiume[73].
I tedeschi si trovavano, dopo la conquista di Caporetto, oltre 15 chilometri all'interno del territorio nemico ed avevano raggiunto un successo decisivo scardinando completamente la linea del fronte; nonostante la stanchezza, i soldati della 12ª Divisione non si arrestarono nella città ma ripresero subito l'avanzata per sfruttare la favorevole situazione. Il II battaglione del 23° reggimento, rinforzato dalla 11ª compagnia, guidò ancora una volta la marcia, seguito subito dietro dall'intero 63° reggimento[69]. Nel frattempo infatti anche il I battaglione del 63° reggimento si era trasferito a sud dell'Isonzo attraversando, dopo aver trovato distrutto il ponte di Caporetto, al ponte di Idersko; tutta la 12ª Divisione slesiana si trovava ormai sulla riva destra del fiume[74]. L'avanzata procedette anche nella crescente oscurità della sera e della notte, rischiarata a tratti dagli incendi di deposti e villaggi abbandonati dagli italiani[69].
Le truppe tedesche raggiunsero nel buio Staroselo dove incapparono in fortificazioni difese da alcuni reparti italiani che opposero resistenza; grazie alla determinazione del reparto di avanguardia guidato dal tenente Schaffranek anche questa debole opposizione venne superata e furono catturati altri prigionieri. Infine la 12ª Divisione completò la sua missione raggiungendo e occupando alle ore 22.30 Robič in precedenza sede del comando del IV corpo d'armata italiano; il II battaglione del 23° reggimento e il 63° reggimento si fermarono finalmente per la notte e si stabilirono nelle case e nei baraccamenti nemici, mentre nel vicino villaggio di Kred furono sorpresi e catturati altri sbandati italiani. Dietro i reparti di punta, il 62° reggimento era nel frattempo avanzato fino ad Idersko da dove uno dei suoi battaglioni nella notte raggiunse Golobi per rinforzare la posizione tenuta dal I battaglione del 23° reggimento[75]. A Robič i reparti italiani in ritirata diedero segno di collasso e si diffusero voci disfattiste di "fine della guerra" tra i soldati demoralizzati e confusi[76].
Alla fine della giornata del 24 ottobre la 12ª Divisione slesiana, esausta dopo la continua avanzata, schierava tre battaglioni a Golobi, I e III del 23° reggimento e II battaglione del 62° reggimento, mentre due altri battaglioni del 62° erano ancora a Idersko; i reparti di punta erano a Robič: il II battaglione del 23° reggimento e i tre battaglioni del 63° reggimento[77]. La divisione aveva sfondato il fronte italiano e, dopo una avanzata di 27 chilometri in sedici ore, aveva agirato con la sua audace penetrazione lungo l'Isonzo lo schieramento italiano tra Plezzo e Tolmino e inoltre si era portata a distanza d'attacco della valle del Natisone che avrebbe dato accesso alla pianura del Friuli[78].
Durante la marcia i tedeschi catturarono circa 10.000 prigionieri e notevoli quantità di armi ed equipaggiamenti abbandonati dagli italiani in ritirata[78]; la maggior parte dell'artiglieria e dei depositi del IV corpo d'armata erano infatti stazionati nella valle dell'Isonzo e, a causa del disordine, della confusione e della sorpresa, fu impossibile evacuarli in tempo e quindi furono travolti dall'avanzata nemica[79]. Oltre cento cannoni caddero in mano degli slesiani. Le fonti tedesche esaltano l'abilità e la tenacia degli ufficiali e dei soldati tedeschi e parlano di "incomparabile aggressività delle truppe"[80]. Il generale Arnold Lequis che alle ore 13.00 aveva trasferito il suo posto di comando tattico da Rauna, ad est di Tolmino, ad una cascina ad un incrocio a nord di Volzana, era deciso a sfruttare la favorevole situazione e proseguire l'avanzata il 25 ottobre; durante la notte stessa il quartier generale del Kaiser assegnò al generale Lequis la croce Pour le Mérite, la piu alta decorazione al valore, in riconoscimento dei risultati raggiunti dalla sua divisione[80].
L'avanzata dell'Alpenkorps
Note
- ^ Sostituito dal generale Luca Montuori il 25 ottobre
- ^ a b M.Silvestri, Caporetto, p. 202.
- ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 202.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917', p. 454.
- ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 166.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 286-287.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 280-281.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 286-287.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 287.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 288.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 288-289.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 50.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 50-51.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 51.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 52-55.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 42.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 43.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 290.
- ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 376-377.
- ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 377-378.
- ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, pp. 378-379.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 51.
- ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 374.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 55-56.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 56-57.
- ^ G.Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 375.
- ^ a b M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 296.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 58-59.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 63.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 60-64.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 293.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 293-295.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 295.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 297-298.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 298.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 65-66.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, Lo sfondamento dell'Isonzo, pp. 67 e 79.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 43.
- ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 195.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 88-89.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 89 e 95.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 399-400.
- ^ M.Silvestri, Caporetto, p. 117.
- ^ P.Pieri/G.Rochat, Pietro Badoglio, pp. 206-207.
- ^ P.Pieri/G.Rochat, Pietro Badoglio, pp. 207-209.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 89.
- ^ P.Pieri/G.Rochat, Pietro Badoglio, pp. 209 e 226-228.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 400-401.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 89.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 402-403.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 402.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 89.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 94.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 90.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 89-90.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 92 e 95.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 402-403.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 95.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 403.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 403.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 403-404.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 404.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 95.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 404-405.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 95.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 90.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 90-91.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 91-92.
- ^ a b c d e K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 92.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 392-394.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 95.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 396.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, pp. 396-397.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, p. 96.
- ^ K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 92-93.
- ^ M.Silvestri, Isonzo 1917, p. 405.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 96-97.
- ^ a b K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, p. 93.
- ^ A.Monticone, La battaglia di Caporetto, pp. 96-98.
- ^ a b K.Krafft von Dellmensingen, 1917 lo sfondamento dell'isonzo, pp. 93-94.