Decadimento beta
Template:Cappello Il decadimento β è uno dei principali successi della fisica italiana. Fu infatti Fermi che per primo, con l'articolo Tentativo di una teoria dell'emissione dei raggi "beta", insieme a Pauli, provò a spiegare questo particolare processo, legato all'interazione debole, da allora in poi storicamente terreno di successi per i Fisici italiani, che hanno avuto in anni recenti in Cabibbo e Rubbia due grandissimi esponenti.
Cenni storici
Negli anni successivi alla scoperta della radioattività è stato osservato un diverso comportamento delle particelle emesse dalle sostanze radioattive durante il decadimento. Le particelle emesse lasciavano negli strumenti di rivelazione delle tracce simili a delle scie. Quando era presente alcune un campo magnetico le scie di alcune sostanze radiattive veniano deviate da un lato, altre restavano inalterate e altre venivano deviate dalla parte opposta. Alle scie deivate da una parte è stato convenzinalmente dato il nome di raggi alfa (oggi si utilizza più comunemente il termine radiazione alfa parlando delle particelle emese in questo caso e dei suoi effetti), a quella deviata dall'altra parte il nome di raggi beta (oggi radiazione beta) e a quelle lasciate inalterate raggi gamma (oggi radiazione gamma). La natura delle particelle emesse e la natura dei decadimenti sono radicalmente diversi nei tre casi. La scoperta dei processi che avvengono all'interno del nucleo per dar luogo a questi decadimenti ha richiesto notevoli ricerche agli inizi del ventesimo secolo. Queste ricerche hanno portato alla conoscenza del fatto che la scia emessa nel caso dei raggi beta è dovuta al fatto che viene emesso un elettrone nel corso del decadimento beta. Il motivo per cui i tre tipi di raggi sono deviati in modo diverso dipende dalla diversa carica elettrica che hanno le perticelle emesse: positive (si tratta di particelle alfa) nel caso decadimento alfa, negative (elettroni) nel caso del decadimento beta e neutro (si tratta di fotoni) nel caso del decadiemento gamma.
Oggi i decadimenti (e le radiazioni) vengono classificati come beta (β) non più in base carica negativa della particella emessa bensì in base al particolare tipo di processo nucleare che avviene tramite interazione debole.
In natura l'unico decadimento che si osserva spontaneamente è quello
in cui un neutrone si trasforma in un protone e viene emesso un elettrone ed un anti-neutrino.
Normalmente il neutrone coinvolto si trova in un nucleo atomico nucleo di un atomo e qullo che si verifica, oltre alla emissione delle due particelle, è che l'atomo si trasforma in quello di un altro elemento (in quello con numero atomico (Z) successivo). La somma dei protoni e dei neutroni (A) all'interno del nucleo rimane invariata.
A questo decadimento, per distinguerlo con quello descritto appena qui sotto, ci si riferisce con il nome di decadimento beta meno (β-) (si parla di meno perché l'elettrone emesso ha carica negativa)
Tuttavia viene osservato anche il seguente decadimento quando si analizzano alcuni elementi artificiali o nel caso di interazione tra particelle libere
in cui un protone si trasforma in un neutrone e un positrone ed un neutrino. Il positrone, che è l'antiparticella dell'eletrone ha carica positiva, pertanto questo decadimento viene indicato con il termine beta più (β+).
Un altro processo correlato, anche se non si tratta di decadiemnto, ma di cattura è
chiamato cattura elettronica. Per certi versi quest'utlimo processo è del tutto simile a quello del decadimento beta più.
Nel seguito per semplicità si parlerà solo del decadimento beta meno (che è quello molto più frequente rispetto agli altri, a tal punto che spesso ci riferisce a questo con il solo nome di decadimento beta). Tuttavia gli stessi ragionamenti, con le dovute modifiche, valgono anche nel caso del decadimento beta più e in alcuni casi anche per la cattura elettronica
Cenni teorici
Il problema è abbastanza complesso e si cercherà di trattarlo in maniera qualitativa. Il decadimento che si osserva è quello del neutrone, che apparentemente decade in un protone ed in un elettrone:
- n → p + e-
In questo caso, lo spettro dell'elettrone uscente dovrebbe essere una riga, poiché
- mec2 (0,5 MeV) << mpc2 (938,3 MeV) circa mnc2 (939,6 MeV)
Supponendo che il neutrone sia fermo, si può ragionevolmente ritenere che anche il protone creato sia immobile, quindi l'unica particella a muoversi è l'elettrone. Quindi, per la conservazione dell'energia si ha:
- mnc2 = Ep + Ee
con
Trascurando il rinculo del protone si ha:
dove l'unica incognita è l'impulso dell'elettrone e quindi lo spettro risulta una riga (in pratica si sarebbe dovuto osservare un picco).
Sperimentalmente, però, si osserva qualcosa di diverso: uno spettro completo che parte da 0 per salire, raggiungere un massimo e quindi ritornare ad annullarsi in corrispondenza di un valore massimo che è circa 5 volte e mezza la massa dell'elettrone.
Questo risultato portò enorme scompiglio nella comunità scientifica, e il primo a riprendersi fu Bohr, che suggerì la presenza di una violazione nella conservazione dell'energia. In realtà sia Fermi, sia Pauli supponevano che il decadimento non fosse a due corpi, come osservato, ma a tre: ovvero i prodotti della reazione ci fosse una terza particella, piccolissima, di carica neutra e non rilevabile con le strumentazioni usuali: il neutrino.
La reazione, allora, deve essere corretta nel modo seguente:
mentre la conservazione dell'energia diventa:
dove si trascura la massa del nuetrino.
Appare evidente come, in questo caso, le variabili siano due e viene pertanto ovviamente spiegato lo spettro osservato come di un processo a tre e non a due corpi. Tra l'altro, ponendo nullo l'impulso del neutrino, si riesce a calcolare l'impulso massimo dell'elettrone che risulta consistente con il valore sperimentalmente trovato.
Il decadimento β è esotermico: avviene, cioé, spontaneamente, senza necessità di energia esterna per attivarsi. La vita media del neutrone è τn=887 s, e, ovviamente, si riferisce al neutrone libero: esso, infatti, all'interno del nucleo atomico, è assolutamente stabile.
Stima della rapidità di decadimento e della costante d'accoppiamento debole
Il numero di elettroni che si misurano nel decadimento β può essere teoricamente stimato calcolando la rapidità del decadimento stesso. Si parte dalla regola d'oro di Fermi:
dove Ef è l'energia finale ed Ei quella iniziale, mentre h è la costante di Planck.
L'elemento di matrice per l'interazione debole, posto gβ il potenziale, è:
e questo perché, poiché protoni e neutroni sono praticamente immobili e lo spazio a loro disposizione è dell'ordine del fermi, è necessario che r sia inferiore alla lunghezza d'onda Compton del protone:
e poiché l'impulso dell'elettrone è di molto inferiore alla massa del protone in energia (mpc) è facile vedere che
Ora, il modo migliore per stimare la costante d'accoppiamento debole, è conforntarla con quella elettromagnetica, e quindi si scriverà:
Poiché il numero di stati finali è
dove c è la velocità della luce e Ωe e Ων sono gli angoli solidi rispettivamente di elettrone e neutrino uscenti.
Poiché la rapidità è definita dall'integrale della wfi sugli stati finali
il numero di elettroni rilevati sarà
dove
e la funzione trovata è compatibile con lo spettro sperimentale rilevato (il calcolo, però, non è perfetto in quanto si sarebbe dovuto integrare anche sull'angolo solido, ma per questo studio qualitativo si è interessati solo a stime di ordine di grandezza).
Alla fine, comunque, la rapidità di transizione sarà una costante moltiplicata per l'integrale del prodotto degli impulsi al quadrato di elettrone e protone, valutabile come una potenza 5 della massa dell'elettrone:
ottenendo
In questa equazione si conosce tutto, a parte fβ, la costante d'accoppiamento debole (la rapidità, infatti, è l'inverso della vita media) e sostituendo i valori di tutte le costanti si ottiene:
che è tre ordini di grandezza inferiore rispetto a quella elettromagnetica:
Bibliografia
- Fermi, E., Tentativo di una teoria dell'emissione dei raggi "beta", La Ricerca Scientifica, anno IV, vol. II, N. 12, 31 dicembre 1933