Teramene
Teramene (Cos 455 a.C. – Atene, 404 a.C.) è stato un politico, oratore e militare ateniese.

Nato nell'isola di Cos da Agnone[1] ma cittadino ateniese, Teramene (in greco antico: Θηραμένης?, Theramenes, da θήρα, "caccia" e μένος, "forza") fu uno dei fautori del colpo di stato oligarchicoateniese del 411 a.C., che portò al governo la Boulé dei Quattrocento[2]. Successivamente, si oppose a tale forma di governo, favorendo la restaurazione democratica dell'assemblea dei Cinquemila[3].
Dopo aver ricoperto la carica di stratego, fu trierarca durante labattaglia delle Arginuse del 406 a.C., combattuta tra Atene e Sparta nelle fasi finali della guerra del Peloponneso. Nel conseguente processo, fu accusato assieme agli altri ufficiali di aver abbandonato i naufraghi al loro destino[4]. Teramene fu assolto a scapito degli strateghi suoi superiori, che furono invece condannati a morte[5].
Dopo la sconfitta ateniese nella battaglia di Egospotami (405 a.C.), fu inviato aSparta come ambasciatore per trattare la resa di Atene[6], alla quale seguì la demolizione delle Lunghe Murae la costituzione del regime oligarchico dei Trenta tiranni, del quale fece parte.
Venuto in contrasto con Crizia, il capo dei Trenta, per il suo governo repressivo e sanguinario, fu da questi costretto al suicidio (404 a.C.)[7].
Senofonte[8] ci tramanda che fu soprannominato dai contemporanei "Coturno" per il suo trasformismo politico nel passare con disinvoltura dalla fazione oligarchica a quella democratica e viceversa: il coturno, infatti, era un calzare utilizzato dagli attori di teatro che poteva essere indifferentemente indossato sia al piede destro che a quello sinistro.
Plutarco[9] ci testimonia invece come Giulio Cesare espresse nei suoi scritti la sua stima verso Teramene, paragonandolo a Pericle e a Cicerone, mentre secondo Aristotele[10], Teramene fu, assieme a Nicia e aTucidide uno dei tre soli ateniesi di nobili origini che abbiano nutrito affetto e benevolenza verso il popolo.
Origini
Le fonti antiche non ci hanno riportato molto sulle origini di Teramene. Plutarco[11] ci tramanda che nacque a Cos ma che era cittadino ateniese perché figlio di Agnone, il capo del gruppo di coloni che nel 437-436 a.C. fondarono Anfipoli[12]. Sappiamo da Tucidide[13][14][15]che Agnone militò nell'esercito ateniese come generale diverse volte e che fu tra i firmatari della pace di Nicia[16].
Secondo quanto ci riporta Lisia[17], la carriera politica di Agnone si incrociò con quella del figlio quando nel 411 a.C., assieme ad altri nove commissari, fu incaricato dal governo oligarchico dei Quattrocento, del quale Teramene faceva parte, di redigere la nuova costituzione ateniese.
Il colpo di stato oligarchico del 411 a.C.
Teramene iniziò la carriera politica nel 411 a.C. quando fu tra i fautori del colpo di stato che portò alla temporanea soppressione della democrazia ateniese a scapito di un governo oligarchico, la cosiddetta Boulé dei Quattrocento.
I motivi di questo cambiamento politico ad Atene sono da ricercarsi da una parte nell'esilio di Alcibiade (415 a.C.), dall'altra nella clamorosa disfatta nella spedizione in Sicilia (413 a.C.), che portò alla perdita quasi completa della flotta e dell'esercito ateniese.
Alcibiade, infatti, secondo quanto ci riporta Tucidide[18], persuase alcuni triearchi della flotta ateniese di stanza a Samo ed alcuni politici, tra i quali Pisandro e Teramene, a convincere l'assemblea dei cittadini a rinunciare al governo democratico, con la promessa che sarebbe riuscito a spingere il satrapoTissaferne, al cui seguito si trovava, a garantire l'appoggio persiano ad Atene nella guerra contro Sparta. Tissaferne, infatti, non avrebbe mai accettato, secondo Alcibiade, di allearsi con Atene se la città non avesse rinunciato al regime democratico.
Pisandro convinse quindi l'Ecclesia ad accettare la proposta, e fu inviato un emissario ad Alcibiade, per comunicargli che gli venivano attribuiti, nonostante si trovasse in esilio per una condanna a morte, pieni poteri per le trattative con Tissaferne[19].
Alcibiade, tuttavia, non riuscì a persuadere il satrapo, ma Pisandro e i suoi compagni, tra i quali Teramene[20], ormai determinati al cambiamento istituzionale, si recarano a Samo[21], dove si assicurarono l'appoggio della flotta e incoraggiarono alcuni cittadini dell'isola a rovesciare il governo locale e ad instaurarvi un regime oligarchico[22].
Nel frattempo, ad Atene, alcuni giovani aristocratici, cavalcando il malcontento generale per la sconfitta in Sicilia, presero il potere attraverso l'intimidazione e la forza, uccidendo chi si opponeva al colpo di stato[23], e preparando il ritorno da Samo di Pisandro e degli altri politici, tra i quali Teramene, che avevano appoggiato la rivolta[20].
Costoro convocarono l'assemblea ed annunciarono una serie di misure, tra le quali la formale abolizione della democrazia, che sarebbe stata sostituita dalla Boulé dei Quattrocento[2], composta da quattrocento ateniesi scelti da una lista più ampia di cinquemila cittadini. Successivamente, abrogarono le leggi in vigore e promulgarono una nuova costituzione di stampo oligarchico[24].
La restaurazione democratica dell'Assemblea dei Cinquemila
Il governo oligarchico non durò però a lungo. Innanzitutto, il colpo di stato a Samo fallì[25], e l'esercito di stanza nell'isola, una volta giunte le notizie, forse esagerate, delle intimidazioni e degli eccidi che venivano perpetrati ad Atene, giurò fedeltà alla democrazia[26].
Nel frattempo, ad Atene, il governo si divise tra i radicali, tra i quali Frinico, Antifonte di Ramnunte e Pisandro, che spingevano per la pace con Sparta ad ogni costo, e i moderati, tra i quali Teramene ed Antifonte, che intendevano invece allargare il potere ad un'assemblea di cinquemila cittadini[27], anche se quest'ultima ipotesi fu considerata da Tucidide pura propaganda[28].
La fazione radicale della Boulé dei Quattocento iniziò a costruire una fortificazione sullaEezioneia, il molo posto all'ingresso del Pireo, in modo che potesse affrontare un attacco sia dal mare che da terra. Gli oligarchi ammassarono inoltre all'interno della fortificazione grandi derrate di grano[29].
Teramene protestò veementemente contro la costruzione di questa fortificazione, adducendo che era stata preparata per essere consegnata agli Spartani e ai loro alleati quando avessero attaccato il porto[30].
La situazione precipitò quando una flotta peloponnesiaca si stava avvicinando al Pireo[31], e Frinico, uno dei capi della fazione radicale dei Quattrocento, fu assassinato senza che si riuscisse ad identificare i mandanti dell'omicidio.
A quel punto, Aristocrate, il comandante di un reggimento di opliti al Pireo, arrestò Alessicle, un generale fedele alla fazione radicale. Teramene, a sorpresa, si offrì volontario per guidare un gruppo di militari al Pireo per liberare il generale, e i Quattrocento acconsentirono ad affidargli questo compito. Teramene, giunto al porto, ordinò ai soldati che guidava di liberare Alessicle ma, quando gli opliti gli chiesero se la costruzione della fortificazione di Eezioneia fosse una una buona idea, rispose che abbatterla sarebbe stata una buona idea, e quindi esortò i militari a farlo[32].
Qualche giorno dopo, la flotta peloponnesiaca arrivò davanti al Pireo ma, trovando la fortificazione dell'Eezioneia distrutta e il porto ben difeso, ripiegò in Eubea[33] (410 a.C.).
Nei giorni successivi, la Boulé dei Quattrocento fu formalmente deposta e fu istituito un nuovo governo sostenuto dai moderati e guidato da un'assemblea di cinquemila cittadini[3].
Teramene stratego
Col governo dei Cinquemila, Teramene fu nominato stratego[34] e fu diverse volte al comando di una flotta ateniese di stanza nel Mare Egeo e nell'Ellesponto.
Dopo la vittoria ateniese nella Battagia di Abido (410 a.C.), Teramene, al comando della sua flotta, attaccò i ribelli dell'Eubea, soppresse alcune oligarchie che si erano formate nelle isole dell'Egeo e raccolse fondi per la madrepatria[35].
Si diresse poi verso le coste della Macedonia, dove aiutòArchelao I nell'assedio di Pidna e raggiunse infine inTracia la flotta del collega Trasibulo[36].
Successivamente, partecipò alla Battaglia navale di Cizico(410 a.C.), agli ordini di Alcibiade, che era stato nel frattempo fatto rientrare dall'esilio. In quell'occasione, la strategia dell'ammiraglio ateniese ebbe la meglio sulla flotta spartana, che, attirata in mare aperto, fu accerchiata dalle flotte di Teramene e di Trasibulo, che tagliarono ai lacedemoni la possibilità di ripiegare verso la terraferma. In quell'occasione, tutte le navi spartane furono distrutte o catturate e la vittoria ateniese fu completa[37][38].
Dopo questa battaglia, gli ateniesi costruirono a Cizico una fortificazione che controllava lo stretto del Bosforo, e dalla quale veniva richiesto a tutte le navi mercantili in transito di pagare un dazio del valore della decima parte del carico. Teramene rimase con trenta navi a Cizico per controllare la riscossione del tributo[39]. Nel frattempo, ad Atene il governo dei Cinquemila veniva destituito e ritornava la democrazia tradizionale.
Nel 408 a.C. partecipò, ancora al comando di Alcibiade, all'assedio di Bisanzio, vincendo l'esercito peloponnesiaco di Beozia e Megara presente nella città. Teramene guidò dell'ala sinistra dell'esercito ateniese, mentre Alcibiade comandava quella destra[40].
La battaglia delle Arginuse e il conseguente processo
Nel 406 a.C. Teramene partecipò come trierarca alla battaglia delle Arginuse, nella quale la flotta ateniese sconfisse quella spartana al prezzo di gravi perdite. Circa venticinque triremi ateniesi, infatti, affondarono o non erano in grado di navigare dopo la battaglia navale, e Teramene e il suo collega Trasibulo furono incaricati dagli strateghi (che nel frattempo stavano inseguendo la flotta nemica) di soccorrere i naufraghi, ma furono impossibilitati al salvataggio da una forte tempesta che era nel frattempo sopraggiunta. Un numero imprecisato di naufraghi, probabilmente superiore al migliaio[41], morirono annegati e ad Atene si istituì un processo contro gli otto strateghi che erano al comando della flotta per omesso soccorso[4][42]. Gli strateghi accusarono invece i loro sottoposti Teramene e Trasibulo di non aver eseguito i loro ordini, il che fu, secondo Diodoro[43], un errore molto grave, in quanto in questo modo si inimicavano due personaggi molto abili nell'arte oratoria, con molti sostenitori ad Atene, e che avevano direttamente partecipato alle fasi cruciali della battaglia navale. Senofonte ci tramanda che Teramene, in particolare, fece partecipare all'assemblea numerosi cittadini che avevano capelli rasati ed erano vestiti di nero, come se fossero tutti parenti delle vittime, mentre invece erano abbigliati in quel modo per la festa delle Apaturie che era in corso in quei giorni, e soprattutto convinse a sostenere l'accusa contro gli strateghi il politico Callisseno, che pretese ed ottenne la votazione per la pena di morte per tutti gli strateghi con scrutinio palese e non segreto[44].
Teramene e Trasibulo furono assolti, mentre gli otto strateghi, nonostante l'opposizione diSocrate, che in quell'occasione era stato sorteggiato come pritano, furono tutti condannati a morte e alla confisca dei beni[5].
La resa di Atene
Nel 405 a.C., ad Egospotami, la flotta ateniese fu duramente sconfitta e definitivamente e distrutta dalla flotta peloponnesiaca, al comando dell'ammiraglio spartano Lisandro.
Gli ateniesi, privati della flotta e con gli spartani accampati alle porte della città pronti all'assedio, mandarono ambasciatori prima al re lacedemone Agide II, che si trovava nell'accampamento, e poi direttamente a Sparta dagli efori, offrendo la resa della città in cambio del mantenimento del Pireo e delle Lunghe Mura. Gli spartani rifiutarono però l'offerta[45].
Teramene chiese ed ottenne dall'assemblea di essere inviato come ambasciatore prima da Lisandro, che si trovava a Samo, e poi direttamente a Sparta[46], dove negoziò la resa di Atene alle seguenti condizioni: abbattimento delle Lunghe Mura, limitazione del numero di triremi che potevano essere ricostruite, amnistia per gli ateniesi in esilio, che avrebbero potuto quindi tornare in città, e subordinazione di Atene a Sparta per ogni decisione riguardante la politica estera[47]. In cambio, Teramene ottenne che la città fosse risparmiata, e che potesse mantenere la costituzione democratica[6].
Teramene tornò ad Atene esponendo le condizioni della resa, e Plutarco ci racconta che quando il demagogo Cleomene gli rimproverò che stava consegnando ai Lacedomoni le mura cheTemistocle aveva eretto per difendere la città dei Lacedomoni stessi, Teramene rispose:
«Ma io non faccio nulla che contrasti con l'opera di Temistocle: quelle stesse mura che egli eresse per la salvezza dei cittadini, per la loro salvezza noi le abbatteremo. Se poi fossero le mura a rendere prospera una città, Sparta dovrebbe essere la più malmessa di tutte, visto che non ha mura»
Messe ai voti le condizioni di resa, l'assemblea accettò, e le Lunghe Mura furono abbattute sotto il controllo spartano. La guerra del Peloponneso era dunque terminata con la vittoria di Sparta (404 a.C.)[48].
I Trenta tiranni e la morte di Teramene
Pur mantenendo formalmente la costituzione democratica, i politici ateniesi fautori del'oligarchia, tornati ad Atene dall'esilio ed appoggiati dagli spartani, imposero alla città il governo di trenta arconti, detti i "trenta tiranni". Teramene inizialmente aveva avversato questa decisione[4], ma poi fu convinto da Lisandro. Dieci dei trenta tiranni furono scelti dagli oligarchi, dieci da Lisandro e dieci da Teramene, che incluse se stesso nel gruppo[49].
Ben presto Teramene si scontrò con la politica repressiva ed autoritaria dei suoi colleghi, in particolare di Crizia, capo indiscusso del gruppo[50], che instaurò un vero e proprio regime di terrore, mandando a morte parecchi cittadini col solo motivo di essere stati popolari durante il periodo democratico[51].
Teramene, visto che non poteva opporsi a Crizia con la forza, tentò di allargare il potere decisionale ad una cerchia più ampia di cittadini[52]. Crizia, col timore che Teramene si guadagnasse il consenso cittadino, lo prevenne scegliendo tremila ateniesi che furono associati al governo. Teramene obiettò che questo numero era troppo eseguo, e Crizia, per tutta risposta, fece confiscare le armi di tutti gli ateniesi che non facevano parte di questa lista[53].
Successivamente, Crizia ordinò che ognuno dei Trenta arrestasse e facesse uccidere unmeteco al solo scopo di confiscargli i beni. Teramene si rifiutò di eseguire l'ordine[54].
Crizia allora intuì che Teramene era troppo pericoloso e decise di eliminarlo. Fattolo condurre davanti all'assemblea dei tremila, lo accusò pubblicamente di seguire la fazione politica che gli convenisse a seconda delle circostanze, ricordando, come ci testimonia Senofonte[55], il suo soprannome "Coturno", ovvero il calzare degli attori di teatro, che può essere indossato indifferentemente sia al piede destro che a quello sinistro.
Teramene ribatté che si era sempre comportato da politico moderato, cercando di conciliare le tradizioni democratiche con una forma di governo che includesse nel potere decisionale i cittadini ateniesi che avessero almeno il grado militare di oplita. Il discorso di Teramene fece presa sull'assemblea e, secondo quanto ci riporta Senofonte[56], Crizia intuì che, se si fosse andati al voto, Teramene sarebbe stato assolto. Il capo dei trenta Tiranni fece quindi schierare dei soldati armati davanti all'assemblea, impedendo quindi ai cittadini di intervenire, e ordinò agli Undici, gli ufficiali addetti alle condanne a morte, ad arrestare Teramene, negandogli la possibilità di difendersi in un regolare processo[57].
Senofonte ci testimonia che Teramene invocò gli dei a testimonianza del crimine che veniva commesso e, quando Satiro, uno degli addetti degli Undici, gli rimproverò che se non fosse stato zitto, gli sarebbe capitato qualcosa di male, Teramene, mantenendo un certo senso dell'umorismo, rispose:
«E se invece starò zitto, andrà tutto bene?»
Fu quindi costretto a bere la cicuta. Dopo aver vuotato quasi completamente la tazza, ebbe la presenza di spirito, negli attimi prima di morire, di parodiare il gesto del gioco delcottabo, secondo il quale si doveva centrare un piatto con le gocce di vino rimaste nel bicchiere, e lanciò le ultime gocce del veleno a terra esclamando:
«Alla salute del bel Crizia.»
Note
- ^ Plutarco, Vita di Nicia, 2.
- ^ a b Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,67.
- ^ a b Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,97-98.
- ^ a b c Diodoro, Bibliotheca historica, XIII,98-100. Errore nelle note: Tag
<ref>non valido; il nome "Diodoro-13-98-100" è stato definito più volte con contenuti diversi - ^ a b Senofonte, Elleniche, 1, 7,1-34.
- ^ a b Diodoro,Bibliotheca historica, XIV,3.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,56.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,31.
- ^ Plutarco, Vita di Cicerone, 39.
- ^ Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 28,5.
- ^ Plutarco, Vita di Nicia, 2.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 4,106.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 1,117.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 2,58.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 2,95.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 5,19.
- ^ Lisia, Contro Eratostene, 65.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,47-48.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,53-54.
- ^ a b Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,68.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,56.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,63.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,65-66.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,69-70.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,73.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,74-76.
- ^ Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 29.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,89.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,90.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,90-91.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,91.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,92.
- ^ Tucidide, La Guerra del Peloponneso, 8,94.
- ^ Senofonte, Elleniche, I, 7,5.
- ^ Diodoro, Bibliotheca historica, XIII,47.
- ^ Diodoro, Bibliotheca historica, XIII,49.
- ^ Diodoro, Bibliotheca historica, XIII,50-51.
- ^ Senofonte, Elleniche, 1, 1,11-18.
- ^ Senofonte, Elleniche, 1, 1,19-22.
- ^ Plutarco, Vita di Alcibiade, 31.
- ^ Kagan, The Peloponnesian War, 459.
- ^ Senofonte, Elleniche, 1, 6,29-35.
- ^ Diodoro, Bibliotheca historica, XIII,101.
- ^ Senofonte, Elleniche, 1, 7,8-9.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 2,1-14.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 2,16-20.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 2,1-14.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 2,21-23.
- ^ Lisia,Contro Eratostene, 6
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,11-14.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,15.
- ^ Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 36.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,17-20.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,21-22.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,23-34.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,35-49.
- ^ Senofonte, Elleniche, 2, 3,50-56.
Bibliografia
- Fonti antiche
- Tucidide, La guerra del Peloponneso
- Senofonte Elleniche
- Lisia, Contro Eratostene
- Plutarco, Vite parallele: Vita di Nicia, Vita di Alcibiade, Vita di Cicerone
- Aristotele, Costituzione degli Ateniesi
- Diodoro Siculo, Bibliotheca historica
- Fonti moderne
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- Fine, John V.A. The Ancient Greeks: A critical history (Harvard University Press, 1983) ISBN 0-674-03314-0
- Harding, Phillip. "The Theramenes Myth", Phoenix, Vol. 28, No. 1 (Spring 1974), pp. 101–111
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- Harry Thurston Peck, Harper's Dictionary Of Classical Literature And Antiquities, 1898.
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