Repubblica Napoletana (1799)
La Repubblica napoletana del 1799, ufficialmente Repubblica napolitana ed impropriamente chiamata a volte Repubblica partenopea[1], fu una repubblica proclamata a Napoli nel 1799 ed esistita per alcuni mesi sull'onda della prima campagna d'Italia (1796-1797) delle truppe della prima repubblica francese dopo la Rivoluzione francese.
Repubblica Napoletana | |
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Dati amministrativi | |
Nome ufficiale | Repubblica Napoletana |
Lingue ufficiali | Italiano |
Capitale | Napoli |
Dipendente da | ![]() |
Politica | |
Forma di Stato | Repubblica sorella della Francia rivoluzionaria |
Nascita | 23 gennaio 1799 |
Causa | 20 gennaio 1799 conquista di Castel Sant'Elmo da parte dei rivoluzionari |
Fine | 8 luglio 1799 |
Causa | capitolazione di Castel Sant'Elmo |
Territorio e popolazione | |
Territorio originale | territorio dell'ex Regno di Napoli |
Religione e società | |
Religioni preminenti | cattolicesimo |
Classi sociali | nobiltà baronale, artigiani, piccoli proprietari |
Evoluzione storica | |
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Il contesto storico e la nascita della Repubblica
I giacobini a Napoli
Allo scoppiare della Rivoluzione Francese nel 1789 non vi sono immediate ripercussioni a Napoli; è solo dopo la caduta della monarchia francese e la morte per ghigliottina dei reali di Francia che la politica del Re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV e della sua consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (tra l'altro sorella di Maria Antonietta) comincia ad avere un chiaro carattere antifrancese e antigiacobino. Il Regno di Napoli aderisce alla I coalizione antifrancese e cominciano nel mentre le prime, seppur blande, repressioni sul fronte interno contro le personalità sospettate di "simpatie" giacobine.
Su ispirazione del farmacista Carlo Lauberg nascono due diverse prime società segrete rivoluzionarie: una fautrice di una monarchia costituzionale (LOMO - Libertà o morte) e un'altra fautrice di una Repubblica democratica (ROMO - Repubblica o morte). Seguono i primi arresti (52) e le prime condanne a morte (3):tra cui il ventenne patriota Emanuele De Deo.
Nel 1796 le truppe francesi, guidate dal generale Napoleone Bonaparte cominciano a riportare significativi successi in Italia; le armate napoletane, pur forti di circa 30.000 uomini, il 5 giugno sono costrette all'armistizio di Brescia, e a lasciare ai soli austriaci l'onere della resistenza ai francesi. Nei due anni successivi i francesi continuano a dilagare in Italia; l'una dopo l'altra vengono proclamate delle repubbliche "sorelle", filofrancesi e giacobine (la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina nel 1797, la Repubblica Romana nel 1798). Nel frattempo il generale Bonaparte ha lasciato l'Italia tentando la campagna d'Egitto.
Conquista francese del Regno di Napoli
Il 23 ottobre del 1798, nonostante l'armistizio di Brescia (poi ratificato nel Trattato di Parigi), con Napoleone in Egitto e i francesi a Roma, il Regno di Napoli entrava nuovamente in guerra con i francesi, con l'appoggio della flotta inglese comandata dall'ammiraglio Horatio Nelson, vincitore di Abukir. L'esercito napoletano, forte di 70.000 uomini reclutati in poche settimane e comandato dal generale austriaco Karl von Mack entrò nella Repubblica Romana con l'intenzione dichiarata di ristabilire l'autorità papale.
Dopo solo sei giorni Ferdinando IV arrivò a Roma, dove atteggiandosi a conquistatore fu oggetto delle ironie locali[2], ma una immediata e risoluta controffensiva dell'armata francese del generale Jean Étienne Championnet sbaragliò rapidamente l'esercito napoletano alla battaglia di Civita Castellana e i borbonici furono costretti alla ritirata che ben presto si trasformò in rotta. L'avanzata francese fu caratterizzata da devastazioni e saccheggi; il generale Championnet risparmiò solo Arpino, "patria di Cicerone e Caio Mario"[3].
Il Re tornò precipitosamente a Napoli, e il 21 dicembre si imbarcò di nascosto sul Vanguard dell'ammiraglio Horatio Nelson con tutta la famiglia e John Acton, in fuga verso Palermo (portandosi dietro, tra l'altro, il denaro dei banchi e i tesori della corona). Venne affidato al conte Francesco Pignatelli l'incarico di vicario generale e da questi fu dato ordine di distruggere la flotta, che venne incendiata. Seguirono alcuni giorni di confusione e anarchia. Mentre gli eletti del popolo rivendicarono il diritto di rappresentare il re, l'11 gennaio del 1799 il conte Pignatelli concluse, a Sparanise, un gravoso armistizio col generale Championnet.
Alla notizia della capitolazione il popolo di Napoli e di parte delle province insorse violentemente in funzione antifrancese: è la rivolta dei cosiddetti lazzari, che oppose una forte resistenza all'avanzata francese. Il Vicario abbandonò la città, ormai in preda all'anarchia, il 17 gennaio. Nel frattempo nella città scesero però in campo anche i repubblicani, i giacobini e i filofrancesi e si giunse alla guerra civile: il 20 gennaio i filofrancesi riuscirono con uno stratagemma a entrare nella fortezza di Castel Sant'Elmo, da cui aprirono il fuoco sui lazzari che ancora contendevano l'ingresso della città ai francesi. Cannoneggiati alle spalle, furono costretti a disperdersi e il generale Championnet riuscì a schiacciare la resistenza. Circa 3.000 popolani antifrancesi furono uccisi negli scontri[4].
Proclamazione della Repubblica
Il 23 gennaio, con l'approvazione e l'appoggio del comandante dell'esercito francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana. Nasce un governo provvisorio di venti membri, poi portato a venticinque, tra cui Carlo Lauberg (il primo presidente), Ignazio Ciaia (suo successore dalla fine di febbraio), il giurista lucano Mario Pagano, Melchiorre Delfico, Domenico Cirillo e Pasquale Baffi, Cesare Paribelli. Il governo si articola in sei Comitati (Centrale, Militare, Legislazione, Polizia Generale, Finanza, Amministrazione Interna), che poi formano l'Assemblea Legislativa ed esercitano il potere esecutivo in attesa dell'organizzazione definitiva del governo. Il 2 febbraio si pubblica il primo numero del Monitore Napoletano, il giornale ufficiale del governo provvisorio, diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, una letterata in passato vicina all'ambiente di corte. Vedono la luce molti altri fogli, ma la loro fortuna sarà limitata anche a causa del diffuso analfabetismo.
La vita e la caduta della Repubblica
La vita della neonata Repubblica è difficile fin dagli inizi: manca l'adesione popolare e quella delle province non occupate dall'esercito francese; sebbene i repubblicani siano spesso personalità di grande rilievo e cultura, sono anche eccessivamente dottrinari e lontani dalla conoscenza dei reali bisogni del popolo napoletano. Inoltre la Repubblica ha un'autonomia estremamente limitata, sottoposta di fatto alla dittatura di Championnet e alle difficoltà finanziarie causate principalmente dalle richieste dell'esercito francese costantemente in armi sul suo territorio. Non si riuscirà mai a costituire un vero e proprio esercito ottenendo solo limitati successi nella democratizzazione delle province.
A questo si aggiunge una repressione spietata e sanguinaria contro gli oppositori del regime che certo non aiuta a conquistare le simpatie popolari; difatti durante i pochi mesi della repubblica moltissime persone vengono condannate a morte e fucilate dopo sommari processi politici.
Il primo governo provvisorio emana una sola legge importante, di cui fu promotore uno dei componenti dell'esecutivo, Giuseppe Leonardo Albanese, ed è quella per l'abolizione dei fedecommessi e le primogeniture (29 gennaio 1799). Il 1º aprile viene presentata una bozza di Costituzione, realizzata da Mario Pagano. Ricalcata sul modello della Costituzione francese del 1793, come tutte le altre costituzioni delle cosiddette "repubbliche giacobine" sorte in Italia tra il 1796 ed il 1799, la Costituzione partenopea presenta tuttavia alcuni caratteri di originalità. Il più lampante è l'istituto dell'eforato, una sorta di organo di legittimità costituzionale (una corte costituzionale ante litteram).[5] La carta elaborata da Pagano non troverà applicazione a causa della breve vita della Repubblica.
Il 25 aprile viene approvata la legge di eversione della feudalità, sulla base di criteri relativamente radicali, anch'essa non potrà avere un principio di attuazione in conseguenza del repentino crollo della Repubblica.
Nel frattempo, nel resto delle province, la situazione comincia a precipitare. Il cardinale Fabrizio Ruffo è sbarcato il 7 febbraio in Calabria con l'assenso regio e pochi compagni, riuscendo a costituire in poco tempo un'armata popolare (l'Esercito della Santa Fede) e a impadronirsi rapidamente della regione e quindi della Basilicata e delle Puglie. Nell'esercito di Ruffo militarono anche diversi briganti come Fra Diavolo, Panedigrano, Mammone e Sciarpa, che si distinsero con metodi feroci e sanguinari, tant'è che lo stesso Ruffo ne rimase amareggiato e non riuscì a placare del tutto la loro efferatezza.[6]
Nel frattempo una squadra navale inglese tenta la conquista dal mare, ma dopo una breve occupazione dell'isola di Procida è costretta alla ritirata dalle navi comandate dall'ammiraglio Francesco Caracciolo, un ex ufficiale della marina borbonica.
Successivamente, nell'aprile, in seguito alle sconfitte subite dalle truppe francesi in Italia settentrionale a opera degli Austro-Russi (mentre Napoleone era bloccato in Egitto dalla distruzione della sua flotta per mano di Horatio Nelson nella baia di Abukir), i francesi sono costretti a ritirarsi prima dalle province e in seguito (il 7 maggio) da Napoli. I repubblicani tentano di difendersi da soli contro l'armata sanfedista che giunge da Sud, ma il 13 giugno la città è raggiunta e viene riconquistata dalle armate del cardinale Ruffo nell'ultima battaglia al Ponte della Maddalena e nonostante l'ultima strenua resistenza del Forte di Vigliena.
Restaurazione borbonica
Restava da decidere come trattare le centinaia di persone che avevano partecipato al governo di Napoli durante l'occupazione francese. Erano state diverse centinaia le persone che avevano prestato servizio alla Repubblica napoletana. Dal punto di vista giuridico la loro posizione era molto difficile. Siccome la Repubblica napoletana non era stata riconosciuta ufficialmente (lo stesso governo francese aveva rimandato indietro senza riceverla una delegazione inviata allo scopo di ottenerne il riconoscimento), essi non potevano essere considerati prigionieri di guerra (con tutte le garanzie connesse). Rischiavano pertanto di essere giudicati da un tribunale penale come traditori. Il reato di tradimento era punito con la condanna a morte.
Ai repubblicani trincerati in Castel Sant'Elmo, il Comandante Generale del Re, Fabrizio Ruffo offre un'"onorevole capitolazione", concedendo loro di optare per la fuga, imbarcandosi o seguendo le guarnigioni francesi, che avevano già abbandonato la città. Ma appena questo accordo fu sottoscritto ed accettato anche dai comandanti delle truppe regolari presenti all'assedio (comandanti delle navi inglesi e di alcuni contingenti russi e turchi), Ferdinando IV e la regina Carolina, sentendosi forti dell'appoggio inglese, lo esautorarono dal comando. I reali e il capo del gabinetto, Giovanni Acton, sapevano di poter contare sulla assoluta obbedienza dell'ammiraglio inglese Lord Orazio Nelson, notoriamente succube di Emma Hamilton e quindi della regina Maria Carolina. La repubblica è poi dichiarata decaduta l'8 luglio dal re Ferdinando IV di Borbone.
Nei mesi seguenti, con una giunta nominata da Ferdinando cominciano dunque i processi contro i repubblicani: su circa 8 000 prigionieri, 124 vengono mandati a morte (si veda l'elenco dei repubblicani napoletani giustiziati nel 1799), 6 sono graziati, 222 condannati all'ergastolo, 322 a pene minori, 288 alla deportazione e 67 all'esilio. Tra i condannati vi sono alcuni tra i nomi più importanti della classe borghese e intellettuale di Napoli, provenienti da diverse province meridionali, che hanno dato il loro appoggio alla Repubblica; tra questi Pasquale Baffi, Mario Pagano, Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Ignazio Ciaia, Domenico Cirillo, Giuseppe Leonardo Albanese, Vincenzio Russo, Francesco Caracciolo, Michele Granata, Gennaro Serra di Cassano, Niccolò Carlomagno, Michele Natale giustiziati, Giustino Fortunato senior, evaso dal carcere, e Vincenzo Cuoco, condannato all'esilio, pena cui incorre anche il vescovo Bernardo della Torre, vicario generale dell'arcidiocesi di Napoli.
Il meridionalista Giustino Fortunato ricorda così i giustiziati della Repubblica Napoletana:
Nel 1801 le truppe napoletane che tentano di raggiungere la Repubblica cisalpina sono sconfitte a Siena da Gioacchino Murat; segue l'armistizio di Foligno il 18 febbraio 1801 e in seguito la pace di Firenze che prevede, tra l'altro, l'amnistia per i repubblicani filofrancesi. Il Regno di Napoli rimarrà governato dalla dinastia borbonica fino al 1806, quando le truppe Napoleoniche apriranno a Napoli una nuova "parentesi francese", monarchica, di circa dieci anni, dando vita al cosiddetto periodo murattiano.
Note
- ^ «Partenopeo» significa relativo alla città di Partenope, che è il nucleo originario della città di Napoli. Per estensione l'aggettivo viene riferito all'intera città di Napoli. «Napolitano», invece, modernizzato in «napoletano», vuol dire riferito all'intero popolo napolitano, cioè il popolo che storicamente insiste sul territorio che è stato del Regno di Sicilia citra faro, del Regno di Napoli e infine della parte continentale del Regno delle due Sicilie, detta «il Napolitano». D'altro canto, il termine è rimasto in uso sino a ben oltre l'unità d'Italia: il plebiscito promosso da Garibaldi si chiamava «plebiscito delle province napolitane» e così venivano chiamate le province annesse dalle modifiche alla legge Rattazzi relative alla parte continentale del Regno delle due Sicilie annessa al Regno di Sardegna, poi chiamato Regno d'Italia.
- ^ Dopo la rapida ritirata dei borbonici si diffuse a Roma la battuta riferita a re Ferdinando: "in pochi dì, venne, vide e fuggì"; in I.Montanelli/M.Cervi, Due secoli di guerre, vol. II, p. 82.
- ^ I.Montanelli/M.Cervi, Due secoli di guerre, vol. II, p. 82.
- ^ AA.VV., Storia d'Italia, vol. 6, p. 98.[senza fonte]
- ^ Maria Rosa Di Simone, Istituzioni e fonti normative in Italia dall'Antico Regime al fascismo, p. 111, Giappichelli, Torino, 2007.
- ^ Benedetto Croce, La riconquista del regno di Napoli nel 1799, Laterza, 1943, p.227
Bibliografia
- Carlo De Nicola, Diario napoletano. Dicembre 1798-dicembre 1860, Milano, Giordano Editore, 1963.
- Alberto Consiglio, La rivoluzione napoletana del 1799. Fine di un regno, Milano, Rusconi Libri, 1998.
- Mariano D'Ayala, Vite degl'italiani benemeriti della libertà e della patria, Napoli, Libreria Editrice Lombardi, 1999.
- Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Milano, Rizzoli (BUR), ristampa del 1999.
- Benedetto Croce, La rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti e ricerche, Bari, Laterza, 1912, 1961
- Benedetto Croce, Aneddoti di varia letteratura, II ed., Bari, Laterza, 1953
- Enzo Striano, Il resto di niente. Storia di Eleonora de Fonseca Pimentel e della rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, 1986; Milano, Rizzoli, 2001, 2004
- Maria Antonietta Macciocchi, Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel, Rizzoli 1993
- Maria Antonietta Macciocchi, L'amante della rivoluzione. La vera storia di Luisa Sanfelice e della Repubblica napoletana del 1799, Arnoldo Mondadori Editore 1997
- Mario Forgione, I Dieci anni che sconvolsero Napoli, Edi, Napoli 1991
- Mario Forgione, Eleonora Pimentel Fonseca, Newton & Compton, Roma 1999
- Mario Forgione, Luisa Sanfelice, Newton & Compton, Roma 1999
- Mario Forgione, Donne della rivoluzione napoletana del 1799, Tempolungo, Napoli 1999
- Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Sellerio, Palermo 2000 ISBN 8-83892-141-5
- Marina Azzinnari (a cura di), La repubblica Napoletana. Memoria e mito, Gaetano Macchiaroli, Napoli 1999
- Augusto Placanica, Maria Rosaria Pelizzari (a cura di), Novantanove in idea. Linguaggi miti memorie, ESI, Napoli 2002
- Anna Maria Rao (a cura di), Napoli 1799 fra storia e storiografia, Vivarium, Napoli 2002
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