Jacques-René Hébert
Jacques-René Hébert (Alençon, 15 novembre 1757 – Parigi, 24 marzo 1794) è stato un giornalista e rivoluzionario francese. Fondatore nel 1790 del giornale Le Père Duchesne e rappresentante, dopo gli arrabbiati, dell'ala più radicale della Rivoluzione francese, fu arrestato e giustiziato durante il Regime del Terrore.

Biografia
La giovinezza
Jacques-René fu il figlio di Jacques Hébert (1693-1766), e di Marguerite Bunaiche de La Houdrie (1724-1787). Suo padre, orafo di Alençon, era una « rispettabile » figura della città:[1] proprietario di due case nel centro di Alençon e di una fattoria a Condé-sur-Sarthe, era tesoriere della chiesa Saint-Léonard e aveva rivestito la carica di primo giudice-console, di scabino e di luogotenente della milizia borghese.[2] Rimasto vedovo nel 1751, si era risposato nel 1753 con Marguerite Bunaiche de La Houdrie, una ventinovenne di origini nobili che gli diede quattro figli: Jacqueline, nata nel 1755 ma morta in tenera età, Jacques-René nel 1757, Mélanie nel 1759 e Marguerite nel 1761.[3]
Bambino « birichino e grazioso »,[4] quando il padre morì nel 1766, fu mandato nel collegio di Alençon, da poco gestito, in luogo dei gesuiti, da preti secolari, in gran parte di scarse capacità.[5] Il suo compagno di scuola Desgenettes definì Hébert un allievo pigro, mentre un suo accanito nemico riconobbe che egli, dotato di « disposizioni abbastanza felici », ottenne « qualche successo nel corso degli studi ».[6] Terminati gli studi nel 1776 e deciso a diventare avvocato, s'impiegò in uno studio legale di Boissey.[7]
Dividendo con altri i favori di Mme Coffin, piacente vedova di un farmacista, si mise nei guai. La notte del 16 maggio 1776 Hébert affisse sui muri di Alençon più copie di un manifesto anonimo nel quale, imitando scherzosamente lo stile giudiziario, qualificava di assassino un suo rivale, il dottor Clouet, e lo condannava al bando. Riconosciutone autore, fu denunciato e dopo un lungo processo, nel 1779 fu condannato a mille lire di risarcimento a favore del diffamato dottore. La somma era notevole ed Hébert preferì non pagare e lasciare la città, sottraendosi così all'arresto.[8]
A Parigi
Dopo un breve soggiorno a Rouen, nel 1780 Hébert arrivò a Parigi. Rimase presto senza denaro e furono anni di miseria, alleviata un poco dall'amico Desgenettes che nella capitale studiava medicina, da qualche lavoro saltuario - fece salassi per conto di un barbiere - dalla generosità di due graziose proprietarie di una salumeria e dal credito di un albergatore.[9] Finalmente, Dorfeuille e Gaillard, direttori del Théâtre des Variétés,[10] ai quali Hébért aveva proposto certe sue commedie, nel 1786 gli offrirono un impiego in teatro.[11]
Lavorò come magazziniere, poi come addetto ai biglietti e infine alla locazione, accompagnando dame e signori ai palchi loro assegnati.[12] Il 28 agosto 1787, dopo la morte della madre avvenuta il 28 gennaio, ricevette la sua parte di eredità, consistente in 500 lire.[13] Se le sue condizioni economiche erano soddisfacenti, egli non doveva però amare il suo lavoro, perché dopo quasi due anni lo lasciò improvvisamente nel novembre del 1788.[14]
Sull'episodio interverrà alla fine del 1793 Camille Desmoulins, suo nemico politico, per sostenere che Hébert fu licenziato per aver rubato dei biglietti del teatro.[15] Hébert rispose con un opuscolo, nel quale citava un'amichevole lettera del direttore Gaillard che gli dichiarava la sua stima e il dispiacere per la sua improvvisa partenza.[16] Turbat afferma, sulla scorta della testimonianza rilasciata da Mme Dubois nell'istruttoria del processo del 1794 contro Hébert, che egli avrebbe sottratto 3.000 lire dalle casse del teatro.[17] La testimonianza non fu però ammessa al processo.[18]
La Rivoluzione. Primi scritti
Privo, come tanti, del diritto di voto, alla convocazione degli Stati Generali dovette contentarsi di partecipare alle riunioni popolari che si tenevano giornalmente nei giardini del Palais Royal e per qualche tempo, nei giorni della presa della Bastiglia, fece parte della guardia nazionale.[19] Sfrattato per morosità, fece la conoscenza del dottor Boisset, un suo conterraneo che viveva a pensione dalla vedova Dubois, editrice e libraia presso il boulevard du Temple, a condizione di fornirle periodicamente qualche suo scritto.[20]
Boisset gli mise a disposizione un suo appartamento a Belleville e gli propose di scrivere per suo conto una brochure, La Lanterna magica, che del resto fu pubblicata anonima. Recensita favorevolmente l'11 febbraio 1790 dall'Observateur di Feydel, in essa Hébert, che esalta la rivoluzione in corso, appare politicamente come un monarchico costituzionalista, pur essendo molto polemico nei confronti della nobiltà e del clero, che egli descrive come i cattivi geni della monarchia.[21]
Subito dopo aver consegnato all'editore il suo lavoro, Hébert scomparve, portandosi via due materassi e della biancheria appartenente al dottor Boisset, che impegnò al Monte di Pietà. Il legittimo proprietario si accontenterà, qualche settimana dopo, di un parziale risarcimento in denaro.[22] Può darsi che Hébert avesse giudicato insufficiente il compenso ricevuto per la sua prima fatica letteraria e si fosse risarcito a modo suo: è certo che egli si era scoperto scrittore e giornalista e già il 21 febbraio apparve il primo numero di un suo periodico, il Petit Carême de l'abbé Maury ou Sermons prêchés à l'Assemblée des enragés.[23]
Sono degli opuscoli che, utilizzando il tipico linguaggio dei predicatori, prendono di mira l'abate Maury, il brillante oratore, difensore della monarchia e degli ordini privilegiati. Nello stesso tempo, Hébert mostra di stare dalla parte dei più poveri, di coloro che a mala pena « mangiano un pane nero guadagnato col sudore della loro fronte e impastato dalle loro lacrime », a fronte dei piaceri che i nobili si godono dall'infanzia fino all'estrema vecchiaia.[24]
Il 4 aprile, nel decimo e ultimo numero dei suoi Sermons, Hébert annunciò la prossima uscita di un nuovo opuscolo, la Vie privée de M. l'abbé Maury, che vide la luce alla fine del mese. L'abate Maury è nato miracolosamente da una relazione della madre, Jacqueline la Pie, con la statua di san Guignolin,[25] mentre gli amori con Mlle Guimard, la celebre ballerina, gli hanno procurato un priorato. In un opuscolo di poco successivo, Suite de la Vie privée de l'abbé Maury, Hébert scherza sulle origini molto popolari dell'abate difensore dei privilegi di classe.[26]
Chiuso il Petit Carême, Hébert pubblicò un nuovo periodico, Le Chien et le Chat. L'idea era di mettere idealmente a confronto in ogni numero due politici di diverso schieramento: nel primo numero si confrontarono i fratelli Mirabeau, Honoré e André, nel secondo il deputato contadino Gérard venne opposto al nobile Cazalès. Cambiata formula, senza successo, con Le Gardien des Capucins, Hébert nel quarto e ultimo numero del Le Chien et le Chat dipinse un entusiastico ritratto di Rousseau.[27]
La nascita del Père Duchesne
Non si sa quando apparve il primo numero del nuovo giornale di Hébert. Sta di fatto che a settembre circolavano a Parigi tre testate che si rifacevano al Père Duchesne, una figura della commedia dell'arte perennemente in collera, pronto a denunciare vizi e abusi, e già erano stati pubblicati alcuni opuscoli con protagonista tale personaggio, nonché un giornale effimero, il Retour du Père Duchesne, premier poélier du monde.[28]
Le Lettres bougrement patriotiques du Pére Duchêne di Antoine Lemaire, il Père Duchesne dell'abbé Jean-Charles Jumel e quello di Hébert si contesero la legittima paternità del titolo, e ciascuno mantenne il proprio. Quelli dei giornali di Jumel e di Hébert erano molto simili. Campeggiava una figura incisa con la pipa in bocca, e una didascalia perentoria: Je suis le véritable père Duchesne, foutre.[29]
Nei suoi primi mesi di vita il Père Duchesne di Hébert si mostrò favorevole alla monarchia e in particolare a Luigi XVI: « Ah, foutre, quel Re merita tutta la nostra riconoscenza », scrisse il 26 settembre 1790 e a novembre Luigi era ancora un « brave homme ». Nel febbraio del 1791, quando le zie del re Vittoria e Adelaide si trasferirono in Italia per quella che apparve subito come una fuga, il tono cominciò a cambiare: « quelle vecchie sempiterne » erano « l'anima di tutte le cospirazioni », e solo Luigi si mostrava ancora « degno » della famiglia reale,[30] avvertendo Maria Antonietta che l'Assemblea Nazionale potrebbe anche decretare il suo divorzio dando « al nostro bravo re una brava compagna che pensi come lui e gioisca di essere la regina di un popolo libero ».[31]
Tutto cambiò con il tentativo di fuga della coppia reale, terminata a Varennes il 21 giugno 1791. Luigi XVI passò da « buon re » a « un porco fottuto che non fa che ubriacarsi », ed Hébert si chiese che cosa mai bisognasse fare di « quel grosso maiale », proponendo di « ficcarlo » in una cella di detenzione dei pazzi, dal momento che non esistevano più i conventi dove un tempo si rinchiudevano « i re imbecilli e fannulloni ».[32]
Il 15 luglio l'Assemblea nazionale costituente proclamò inviolabile il re e sostenne, per salvare la monarchia, che non era fuggito ma si era tentato di rapirlo e condurlo all'estero. Nessuno credette a questa menzogna. Il 16 luglio Hébert si scatenò: « Quel coglione di Capeto regnerà ancora; malgrado la nazione, lo spergiuro sta prendendosi i suoi diritti. Dov'è dunque quella libertà di cui ci culliamo? No, vaffanculo, no, noi non siamo liberi, non siamo degni di esserlo perché a sangue freddo ce lo lasciamo mettere in culo in questo modo ».[33]
Il giorno dopo ci fu la strage al Campo di Marte, dove anche Hébert era andato a firmare la decadenza del re. A causa di quell'articolo, Hébert e l'editore Tremblay furono convocati dal giudice di pace Buob, un banchiere tedesco introdotto a corte, che li minacciò d'arresto,[34] e per qualche tempo il Père Duchesne contenne l'abituale violenza verbale. Del resto, il 14 settembre re Luigi prestò giuramento sulla Costituzione e grandi feste celebrarono quella che sembrò una riconciliazione nazionale e la conclusione della stessa rivoluzione.[35]
Contro la monarchia
Il 1° ottobre 1791 s'insediarono i neo-eletti deputati dell'Assemblea nazionale, che egli invitò a « diminuire il prezzo del pane, schiacciare tutte le sanguisughe del popolo, impiccare i finanzieri e tutti quei pederasti di mercanti di carne umana che speculano sulle sostanze dei cittadini e s'ingrassano del sangue degli infelici ».[36] Ma le maggiori preoccupazioni dell'Assemblea erano rivolte all'ordine interno, minacciato dai nostalgici del vecchio regime, compresi i nobili emigrati e i preti refrattari. Contro questi ultimi, il 29 novembre fu emesso il decreto che imponeva loro il giuramento pena severi provvedimenti.
L'invito, rivolto al re da Talleyrand, dal duca de La Rochefoucauld e da altri, di opporre il veto al decreto, provocò l'ira del Pére Duchesne: « Mai ci si fotte più insolentemente del popolo », e quando il re oppose il veto nel febbraio 1792, Hébert si scagliò contro Luigi, « questo re tante volte spergiuro », il « Signor Veto, che se ne fotte del popolo e prende i calotins sotto la sua protezione ».[37]
Intanto, in febbraio Hébert sposò Marguerite Françoise Goupil, nata nel 1756, che era entrata verso il 1782 nel convento delle Dames de la Conception, in rue Saint-Honoré, uscendone all'inizio della Rivoluzione. Ufficialmente era figlia di un commerciante di biancheria, ma era forse la figlia naturale del visconte de Carrouges, un aristocratico normanno emigrato che le versava una rendita annuale di seicento lire. Hébert la conobbe frequentando la Société fraternelle des deux sexes, un club sostenitore della Rivoluzione che si riuniva nel convento dei Giacobini. Si sposarono in chiesa e si stabilirono in un piccolo appartamento di rue Saint-Antoine.[38] La loro camera da letto era ornata da un quadro del Cristo in Emmaus. Hébert vi appose un appunto: « Il sanculotto Gesù mentre mangia con due discepoli nel castello di un ex-nobile ».[39] Dalla loro unione nascerà Virginie (7 febbraio 1793-13 luglio 1830).
I suoi attacchi contro i regnanti continuarono. Il 3 marzo accusò « la puttana austriaca » di aver cercato di comprarlo, offrendogli una pensione.[40] Ma lui, annunciò alla regina, non si sarebbe venduto: « Andate pure a farvi fottere dagli scellerati per addormentare il popolo; il Père Duchesne gli resterà fedele ».[41] Il giorno dopo fu nuovamente convocato dal giudice Buob, che lo accusò di incitare alla rivolta. Hébert respinse le accuse, e quanto al linguaggio grossolano dei suoi articoli, lo giustificò con la necessità di farsi ben comprendere dai lettori: quello non era il suo stile, e per questo non firmava mai gli articoli del giornale.[42] Tradotto immediatamente al tribunale di polizia correzionale, fu prosciolto in poche ore.[43]
L'episodio giovò a rafforzare la sua fama di patriota. Membro del club dei Cordiglieri, da aprile a giugno ne assunse la presidenza, quando le armate straniere invasero la Francia per soffocare la rivoluzione, assecondando le segrete speranze della corte. Dalle pagine del suo giornale Hébert gridò alla vigilanza e alla vendetta: « Bisogna sterminare tutti i traditori [...] Si levi in piedi tutta la nazione! Tremate, vile canaglia della Corte! Tremate, perfidi Foglianti! Fremete, preti debosciati! [...] Legislatori, dite una parola e noi purgheremo la Francia da tutti gli escrementi del dispotismo e dell'aristocrazia! [...] Legate braccia e mani a Madame Veto se non volete che lei v'incateni! ».[44]
Nella notte del 9 agosto, durante la quale ci fu l'assalto alle Tuileries, Hébert fu delegato alla Comune dalla sezione Bonne-Nouvelle. I novantatré rappresentanti convenuti furono i protagonisti della trasformazione del municipio in Comune insurrezionale. Tra le decisioni prese, vi fu l'arresto di due giudici di pace, il fogliante Bosquillon e il già noto Buob, che saranno tra le vittime dei massacri di settembre. In quelle sanguinose vendette Hébert non ebbe alcuna parte, anche se gli viene attribuita, con altri, una responsabilità morale per aver favorito, attraverso gli articoli del suo giornale, il generarsi di un clima che produsse quei massacri.[45]
Il 22 settembre fece parte della delegazione che annunciò alla famiglia reale, detenuta nella prigione del Temple, la decadenza dei loro poteri, e scrisse sul Père Duchesne dell'imperturbabilità di Luigi XVI, mentre la regina, « per nascondere il suo dolore, disse di avere le caldane ».[46] Il 29 settembre vi tornò per comunicare, a nome dei commissari della Comune, di separare Luigi dalla moglie e dalla sorella Élisabeth, trasferendolo nella torre del Temple: « Antonietta fu per svenire e s'appoggiò alla porta », e il re « parve turbato ».[47]
Il 22 dicembre 1792 Hébert fu nominato, con Pierre François Réal, sostituto procuratore della Comune.[48] Da settembre conduceva dalle colonne del Pére Duchesne una violenta battaglia per la condanna a morte di Luigi XVI e seguiva trepidando e imprecando il dibattito in seno alla Convenzione. Una settimana prima della sentenza scriveva: « Non ho più dubbi, cazzo, c'è un partito per salvare quell'ubriacone di Capeto. L'oro dell'Austria, della Spagna, della Russia, dell'Inghilterra ha fatto effetto »,[49] finché il 20 gennaio poté esprimere la propria « grande gioia » perché la Convenzione « sta per far provare la cravatta di Samson a quel cornuto di Capeto ».[50] Lo stesso giorno, in qualità di sostituto procuratore, accompagnò al Temple il presidente del Consiglio esecutivo provvisorio Dominique-Joseph Garat che notificò al re la sentenza di morte.[51] Il giorno dopo vi fu l'esecuzione, a cui Hébert non assistette.[52]
Contro i girondini
Prima ancora dell'esecuzione del re, Hébert iniziò una campagna di stampa contro i girondini, allora dominatori della politica francese. Nel dicembre del 1792 denunciò l'esistenza di una « nuova corte che fa il bello e il cattivo tempo nella Convenzione e nei dipartimenti ». Si trattava di Jean-Marie Roland e di sua moglie, che governa la Francia, scriveva Hébert, come fosse « una Pompadour o una Dubarry », mentre « Brissot è il gran scudiero di questa nuova regina; Louvet il ciambellano; Buzot il gran cancelliere; Fauchet il confessore; Barbaroux il capitano delle guardie che Marat chiama spioni; Vergniaud il gran maestro delle cerimonie; Guadet il coppiere; Lanthenas il maggiordomo ». Sdraiata sul sofà, « Madame Coco » discetta sulla guerra, la politica e le sussistenze, mentre certi giornalisti le allungano « le loro zampe adunche » per arraffare gli assegnati che « la sposa del virtuoso Roland distribuisce perché abbaino contro i giacobini e i sanculotti di Parigi ».[53]
Al processo contro i girondini Hèbert dirà che Madame Roland cercò di corromperlo offrendogli, tramite Gonchon, un sanculotto suo amico passato ai girondini, 1.500 abbonamenti per il Père Duchesne, e al suo rifiuto, Gorsas, il redattore del Courrier des quatre-vingt-trois départements eletto alla Convenzione tra i girondini, anch'egli già amico, iniziò contro di lui una campagna di stampa, del resto ricambiata: « non si sa per quale porta Gorsas sia entrato alla Convenzione, ma si dice che sia per il salottino della vecchia giumenta del tenero Roland ». All'atteggiamento di Hébert non fu forse estranea la delusione di non essere riuscito, diversamente da Gorsas, a far parte della Convenzione.[54]
Così si possono spiegare gli attacchi che egli riservò anche a Marat, nuovo convenzionale: « La nazione non vuole essere governata né dai Brissottini né dai Maratisti. Gli uni la vogliono addormentare per sgozzarla, gli altri l'abbracciano teneramente, ma per soffocarla meglio »,[55] e se la prese anche con Robespierre, reo di aver favorito il successo elettorale di Marat, scambiandolo per « un'aquila », mentre Marat non è che « un gufo ».[56] Quando però, alla fine d'ottobre, i girondini associarono Robespierre ai loro continui attacchi contro l'« Amico del popolo », Hébert cessò ogni polemica contro Marat e riservò alla Gironda tutta la sua forza delle sue invettive.
Per mesi Hébert attaccò i capi girondini accusandoli di preparare la guerra civile attraverso i loro progetti federalisti,[57] e lamentandosi perché la massa del popolo rimaneva inerte: « non abbiamo dunque più sangue nelle vene, per vederci così traditi da un pugno di scellerati che morderanno la polvere quando vorremo dare il minimo segno di vita? ».[58] Il 24 maggio 1793 il Pére Duchesne denunciava « i complotti formati dai brissottini, girondini, rolandini, buzottini, pétionisti e tutta la fottuta sequela dei complici di Capeto e Dumouriez per far massacrare i bravi montagnardi, i giacobini, la Comune di Parigi, al fine di dare il colpo di grazia alla libertà e ristabilire la monarchia ». E incitava i sanculotti: « Svegliatevi, cazzo, sollevatevi! ».[59]
Quel giorno stesso Hébert fu condotto alla Convenzione e interrogato dalla Commissione dei Dodici, che gli contestò di aver incitato il popolo all'insurrezione. Dopo sei o sette ore d'interrogatorio, fu rinchiuso nel carcere dell'Abbaye. Conosciuta la notizia del suo arresto, le sezioni si mobilitarono e una delegazione della Comune si recò a protestare alla Convenzione, chiedendo il suo rilascio. Il presidente di turno dell'Assemblea, il girondino Isnard, rispose con una frase minacciosa rimasta famosa, e che sollevò un diluvio di urla tra i deputati e il pubblico: « Se si arrivasse a portare offesa alla rappresentanza nazionale, io vi dichiaro in nome della Francia intera che Parigi sarebbe annientata e ben presto si cercherebbe invano sulle rive della Senna se essa sia mai esistita ».[60]
Mentre in carcere Hébert preparava il nuovo numero del Pére Duchesne e faceva uscire un resoconto della sua vicenda, invitando i sanculotti a chiedere la soppressione della Commissione dei Dodici, continuavano le manifestazioni e gli appelli alla Convenzione per la sua liberazione. Il 27 maggio il ministro degli Interni Garat, pur affermando che il linguaggio di Hébert era « indegno d'un uomo », riconobbe che la legge garantiva comunque la libertà di stampa.[61] La mozione, presentata dal deputato montagnardo Legendre, che prevedeva la liberazione di Hébert e lo scioglimento della Commissione, fu approvata a grande maggioranza dalla Convenzione. Il giorno dopo, la Convenzione ristabilì la Commissione dei Dodici, ma non revocò la liberazione di Hébert.[62]
Hébert poté così presentarsi al Consiglio generale della Comune, dove ricevette grandi festeggiamenti da una folla numerosa che lo portò in trionfo. Molto emozionato, scoppiò in un pianto dirotto, poi ringraziò gli astanti e li sollecitò ancora una volta alla vigilanza. Alla fine del discorso, una donna cercò d'incoronarlo quale « martire della libertà », ma Hébert volle deporre la corona su un busto di Rousseau che si trovava nella sala. Un'altra corona fu posta su un busto di Bruto.[63]
Il giorno dopo si presentò al club dei Giacobini, del quale era socio dal 4 gennaio.[64] Accolto da un'ovazione, pronunciò un discorso nel quale denunciò la Commissione dei Dodici, voluta dai girondini, quale espressione di un potere dittatoriale: « è chiaro che ogni membro di quel comitato è fuori dalla legge, non è più un rappresentante del popolo, perché la legge che colpisce tutti coloro che aspirano al potere supremo, non fa eccezione per i delegati del popolo ».[65]
La liberazione di Hébert coincise con la fine politica dei girondini. il 31 maggio il Comitato del Vescovado (Comitè de l'Évêché), animato da Dobsen e Guzmán, prese l'iniziativa dell'insurrezione, presentando alla Convenzione una petizione richiedente l'esclusione dall'Assemblea dei capi della Gironda, l'arresto dei sospetti, la creazione di un esercito rivoluzionario, il diritto di voto ai soli sanculotti, una tassa sui ricchi, il ribasso del prezzo del pane e la soppressione dei Dodici. Solo quest'ultima richiesta fu accolta, ma il 2 giugno migliaia di guardie nazionali comandate da Hanriot circondarono la Convenzione e imposero l'arresto a domicilio di ventinove deputati girondini.[66]
Il Père Duchesne trionfava, esprimendo la sua « grande gioia a riguardo della grande rivoluzione che ha abbattuto l'infame cricca dei Brissottini e dei Girondini che a loro volta vanno a siffler la linotte ».[67] Il Comitato di salute pubblica lo gratificò acquistando mille abbonamenti da destinare, insieme ad altri giornali, alla propaganda rivoluzionaria per i soldati dell'Armata del Nord, comandata dal generale Custine, sul quale cominciavano a circolare sospetti di tradimento.[68]
Vincent, segretario generale del Ministero della Guerra, si accordò con Hébert per far denunciare da Marat la condotta di Custine. L'intesa con l'« Amico del popolo » fu raggiunta la mattina del 13 luglio,[69] ma nel pomeriggio Marat veniva ucciso da Carlotta Corday. Il 21 luglio Hébert, dalla tribuna dei giacobini, accusò di tradimento Custine, « questo serpente talmente insidioso che, se non gli tagliamo la testa, moriremo certamente per le sue ferite » e i deputati che lo sostenevano: « andiamo alla Convenzione, ricordiamo i loro attentati e dichiariamoci riuniti in permanenza finch'essa non ci accordi la loro destituzione ».[70]
Tutto il club acclamò la proposta di Hébert. Una delegazione, composta da Hébert, Drouet e Desfieux, si recò immediatamente al Comitato di salute pubblica, dove fu ricevuta da Couthon, Jeanbon Saint-André, Prieur de la Marne e Thuriot. Con la sola opposizione del dantonista Thouriot, fu deliberato l'arresto di Custine, che da alcuni giorni si trovava a Parigi.[71] Il 28 agosto il generale Moustache salì sulla ghigliottina con « grande gioia » del Père Duchesne, che aveva atteso con fremente impazienza la fine del processo: « Che dente da strappare, cazzo! Come la testa degli uomini ricchi e potenti si tiene sulle spalle! Quante smancerie per condannare il più traditore, il più scellerato degli uomini! ».[72]
Campagne contro la Regina e contro la Chiesa
La campagna che condusse contro Maria Antonietta non fu completamente estranea alla condanna a morte della regina.
Con Chaumette e i suoi amici, fu anche uno dei principali animatori della politica di decristianizzazione. Nonostante fosse violentemente anticlericale e ostile al cattolicesimo, si difendeva contro l’accusa di ateismo, chiamando Gesù "il miglior Giacobino che ci sia mai stato in terra" e riscrivendo i vangeli a modo suo in le père Duchesne: "quando il bravo sanculotto di nome Gesù apparve, predicò la benevolenza, la fratellanza, la libertà, l’uguaglianza, il disprezzo della ricchezza. Tutti i sacerdoti bugiardi (...) caddero nel disprezzo generale. È vero che gli scellerati si vendicarono proprio bene, d'accordo con i giudici e l'Ugo Capeto dell'epoca, facendo perdere il povero sanculotto Gesù." Hébert fa marcia indietro davanti a Maximilien de Robespierre, quando quest'ultimo, il I frimaio del II anno, denunciò l'ateismo, pur decretando la libertà di culto. Nei primi mesi del 1794, Hébert sfruttò il malcontento popolare, nato dall'aumento generale dei prezzi.
Arresto, condanna ed esecuzione
Imprudentemente, non si accontentò di attaccare gli Indulgenti, gli ex-membri del partito dei Cordiglieri, chiamati così da Robespierre, tra cui vi erano Georges Jacques Danton e Camille Desmoulins, ma se la prese anche con Robespierre, ormai troppo moderato ai suoi occhi: con il suo governo rivoluzionario, il cui eccessivo protrarsi escludeva, necessariamente e in antitesi con i principi di repubblica, diritti politici e dunque sovranità popolare. Il governo rivoluzionario decise infine di agire e fece arrestare, nella notte dal 13 al 14 marzo, il 24 ventoso del II anno, Hébert e i capi principali dei Cordiglieri. Furono tutti condannati a morte e ghigliottinati dieci giorni dopo, il 4 germinale del II anno.
Hébert venne inumato nel Cimitero della Madeleine.
Opere
Scritti vari
- La Lanterne magique, ou Fléaux des aristocrates, Berne [ma Parigi], [Dubois], 1790
- Vie privée de l'abbé Maury, Paris, J. Grand, 1790
- Suite de la Vie privée de l'abbé Maury, Paris, Chez les marchands de nouveautés, 1790
Periodici e giornali
- Petit Carême de l'abbé Maury, ou Sermons prêchés à l'Assembée des enragés, 10 numeri non datati pubblicati dal 21 febbraio al 4 aprile 1790, Paris, Laurens Jr [nn. 1-5], Grand [nn. 6-10]
- Le Chien et le Chat, 4 numeri (il terzo col titolo Le Gardien des Capucins, ou L'Apôtre de la Liberté) non datati pubblicati da aprile a maggio 1790, Paris, Tremblay
Note
- ^ « Uomo onestissimo e buon cattolico »: lettera dell'intendente di Alençon al segretario di Stato, conte de Saint-Florentin, in L. Duval, Hébert chez lui, « La Révolution Française », XII, 1887, p. 968.
- ^ L. Duval, cit., XII, pp. 967 e 979.
- ^ L. Duval, cit., XII, pp. 978-979.
- ^ L. de la Sicotière, Histoire du collège d'Alençon, 1842, p. 26.
- ^ R. N. Desgenettes, Souvenirs de la fin du XVIIIe et du commencement du XIXe siècle, 1835, I, pp. 1-2. René-Nicolas Dufriche, creato barone Desgenettes da Napoleone I, fu un medico che servì nella Grande Armée.
- ^ P. Turbat, Vie privée et politique de J.-R. Hébert, auteur du père Duchesne, 1794, p. 8. Il Turbat pubblicò anonimamente questo pamphlet subito dopo la morte di Hébert.
- ^ G. Walter, Hébert et le Père Duchesne, 1946, p. 14.
- ^ G. Walter, cit., pp. 14-18 e 323-326. Dettagli sull'affaire Hébert-Clouet anche in L. Duval, cit., XII, pp. 1077-1084 e XIII, p. 43. La lettera di addio alla madre è in D. Mayer, J.-R. Hébert, l'auteur du « Pére Duchesne », avant la Journée du 10 Août 1792, 1888, pp. 14-15. Il risarcimento sarebbe stato pagato dalla madre nel 1784: cfr. G. Walter, cit., p. 326.
- ^ R. N. Desgenettes, cit., p. 248.
- ^ Che allora si trovava al Palais Royal: [1].
- ^ P. Turbat, cit., p. 11.
- ^ P. Turbat, cit., p. 11.
- ^ G. Walter, cit., p. 327.
- ^ G. Walter, cit., p. 22.
- ^ Le Vieux Cordélier, n. 5, p. 76.
- ^ J.-R. Hébert, auteur du Pére Duchesne, à Camille Desmoulins et compagnie, 1794, pp. 4-5.
- ^ P. Turbat, cit., p. 12.
- ^ G. Walter, cit., p. 23.
- ^ J.-R. Hébert, À Camille Desmoulins et compagnie, cit., pp. 7-8.
- ^ P. Turbat, cit., p. 16.
- ^ G. Walter, cit., pp. 28-30.
- ^ P. Turbat, cit., pp. 17-18.
- ^ G. Walter, cit., p. 31.
- ^ J.-R. Hébert, Petit Carême de l'abbé Maury ou Sermons prêchés à l'Assemblée des enragés, n. 1, p. 3.
- ^ Guignolin, da guignol, equivale a marionetta, pulcinella.
- ^ G. Walter, cit., pp. 33-35.
- ^ G. Walter, cit., pp. 35-36.
- ^ G. Walter, cit., p. 45.
- ^ G. Walter, cit., pp. 47-49.
- ^ Le Père Duchesne, n. 35.
- ^ Le Père Duchesne, n. 36.
- ^ Le Père Duchesne, n. 59.
- ^ Le Père Duchesne, n. 64.
- ^ E. Biré, Le juge de paix Buob, 1889, pp. 319-320.
- ^ F. Furet, D. Richet, La Rivoluzione francese, p. 170.
- ^ Le Père Duchesne, n. 83.
- ^ Le Père Duchesne, n. 102. I calotins, spregiativamente, sono i preti che portano la calotte, lo zucchetto.
- ^ G. Walter, cit., pp. 63-68.
- ^ R. N. Desgenettes, cit., II, p. 240.
- ^ Le Père Duchesne, n. 110.
- ^ Le Père Duchesne, n. 115.
- ^ Il processo verbale dell'interrogatorio è in Ch. Brunet, Le Père Duchesne d'Hébert, 1859, pp. 53-56.
- ^ G. Walter, cit., pp. 79-82.
- ^ In G. Walter, cit., p. 85. Madame Veto è la regina.
- ^ G. Walter, cit., pp. 86-89.
- ^ Le Père Duchesne, n. 173.
- ^ Rapporto di Hébert pubblicato ne La Révolution de 1792, n. 14.
- ^ F. Braesch, La Commune du 10 août, p. 303.
- ^ Le Père Duchesne, n. 204.
- ^ Le Père Duchesne, n. 210.
- ^ Procés de Louis XVI, II, 1814, p. 147 e ss.
- ^ G. Walter, cit., p. 99.
- ^ Le Père Duchesne, n. 202. Virtuoso è ironico.
- ^ G. Walter, cit., pp. 103-104.
- ^ Le Père Duchesne, n. 181.
- ^ Le Père Duchesne, n. 186.
- ^ P. Turbat, cit., p. 26.
- ^ Le Père Duchesne, n. 235.
- ^ Le Père Duchesne, n. 239.
- ^ G. Walter, cit., pp. 115-123.
- ^ D.-J. Garat, Mémoires, p. 119.
- ^ G. Walter, cit., pp. 125-129.
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- ^ Journal des Jacobins, n. 423.
- ^ R. Monnier, Journées de Mai-Juin 1793, in Dictionnaire historique de la Révolution française, 2006, pp. 699-700.
- ^ Le Père Duchesne, n. 242. Siffler la linotte, lett. fischiare al fringuello, nel linguaggio di Hébert sta per galeotto e più in generale indica il comportamento del malavitoso che si mette d'accordo con i suoi complici: cfr. CNRTL, siffler.
- ^ G. Walter, cit., pp. 131-132.
- ^ Le Père Duchesne, n. 325.
- ^ Journal des Jacobins, n. 455.
- ^ G. Walter, cit., pp. 136-137.
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- Pierre Turbat, Vie privée et politique de J.-R. Hébert, auteur du Père Duchesne, Paris, Franklin, 1794
- Gérard Walter, Hébert et le Père Duchesne, Paris, J. B. Janin, 1946
- Gérard Walter, Procès instruit et jugé au tribunal révolutionnaire: contre Hébert et consorts, Paris, Edhis, 1969 ISBN 2-7152-2591-1
Voci correlate
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Collegamenti esterni
- P. Turbat, Vie privée et politique de J.-R. Hébert, auteur du Père Duchesne, 1794
- J.-R. Hébert, auteur du Père Duchesne, à Camille Desmoulins et compagnie, 1794
- D.-J. Garat, Mémoires, 1795
- Ch. Brunet, Le Père Duchesne d’Hébert, Notice historique et bibliographique sur ce journal, 1859
- D. Mayer, J.-R. Hébert, l'auteur du « Pére Duchesne », avant la Journée du 10 Août 1792, 1888
- C. Desmoulins, Le Vieux Cordélier, n. 5, 5 nevoso anno II
- P. d'Estrée, Le Père Duchesne. Hébert et la Commune de Paris (1792-1794), 1908
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