Giuseppino Càmpana
Giuseppino Càmpana (Orune 1935-2013) è stato uno dei più famosi esponenti del banditismo sardo.
La vita
Giuseppino Càmpana detto Rubinu (rubino), nasce ad Orune nel 1935. Nel 1965 per vendicarsi di un'offesa subita, durante una festa uccide in pieno centro un suo cugino, Ignazio Chessa di 22 anni e si dà alla latitanza.
Subito si vede piovere addosso una condanna a trent'anni per omicidio e una taglia di 10 milioni di lire dal Ministero degli Interni, il doppio dei 5 milioni per Graziano Mesina [1].
La mattina del 6 febbraio 1966 nelle campagne di Sa 'e Matta a tre chilometri da Lollove, una pattuglia di carabinieri guidata dal capitano Francesco Delfino, circonda l'ovile dove si nasconde Càmpana.
Lui riesce a sfuggire all'accerchiamento sparando contro i militari. Nel conflitto a fuoco rimane ucciso un carabiniere, Giuseppe Piu originario di Pozzomaggiore. Càmpana è condannato all'ergastolo.
Nella stagione dei sequestri viene accusato di aver preso parte ai rapimenti di Giovanni Campus e Nino Petretto entrambi di Ozieri, sequestrati nel 1968. Il suo nome circolò ancora per il sequestro dell'ingegnere olbiese Francesco Palazzini. Lui intanto non dava più notizie di sé.
L'ispettore Antonio Serra diceva di lui <<Da latitante era defilatissimo. Solitario. Non se ne sentiva un granché>>.
Ruppe la sua proverbiale riservatezza solo quando venne sospettato di aver preso parte al sequestro di Assunta Gardu Calamida avvenuto nelle campagne di Oliena nel 1970. Il bandito, infatti, mandò degli ambasciatori per far sapere alla famiglia della sequestrata di non essere coinvolto nel rapimento e di non saperne assolutamente nulla.
Fu proprio in questa circostanza che fece dire ad uno dei suoi emissari la famosa frase: <<Un latitante è un coperchio buono per tutte le pentole!>>
Sarebbe a dire che un latitante può essere accusato anche di cose che non ha commesso[2]. La sua vita in latitanza non gli impedì di costruirsi una famiglia.
Si racconta che la moglie Cecilia Baragliu (detta Zizzilla), più volte avesse tentato di convincerlo a costituirsi, ma che lui non avesse voluto sentire ragioni [3]. Insieme ebbero sei figli, cinque femmine e un maschietto, il piccolo Pasquale che morì in un incidente nel 1981 quando aveva quattro anni.[4].
La sua latitanza finisce il 2 giugno del 1971 nella zona chiamata Tichineddu, nelle campagne di Orune.
Quella mattina, intorno alle cinque, si apprestava ad aiutare il pastore che lo ospitava nel suo ovile a mungere le pecore. Intanto una pattuglia dei carabinieri si era appostata dietro un macchione e aveva circondato l'ovile. Campana si accorse della presenza dei carabinieri e si diede alla fuga tenendo in mano una pistola calibro 7,65. Un militare fece fuoco con la sua carabina sul bandito e lo colpì ad una spalla.
Il latitante cadde e fu subito circondato. Implorò i carabinieri di non ucciderlo e di portarlo in ospedale [5].
Molti non credettero a questa versione della sua cattura e avanzarono il sospetto che lui stesso, stanco della vita da latitante, avesse avuto l'intenzione di costituirsi alla polizia.
Tuttavia questa sua trattativa, aveva dato fastidio ai carabinieri perché sulla fedina penale del bandito c'era ancora la morte del brigadiere Piu.
Perciò si dice che i carabinieri decisero di passare all'azione prima che Càmpana si consegnasse alla polizia [6].
Nel 1982 gli viene concesso un permesso di dieci giorni per fare da intermediario per il sequestro di persona dell'ex consigliere regionale del Partito Repubblicano Peppino Puligheddu avvenuto la sera del 3 dicembre di quello stesso anno, nel centro di Nuoro. Càmpana è un detenuto modello; nel 2002 presenta la prima istanza di grazia che viene bocciata, così come la seconda presentata l'anno seguente.
Nel 2003 però gli è concessa la semilibertà.
La mattina va a lavorare in campagna e la sera rientra nel carcere. Nel 2005 è il Consiglio di Disciplina del carcere di Badu 'e Carros a sollecitare un atto di clemenza tuttavia senza successo [7].
Fino al 2010 Giuseppino Càmpana è in semilibertà finché a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute gli viene concesso di vivere nel suo paese fino alla sua morte avvenuta il 20 gennaio del 2013.
Il suo avvocato Bruno Bagedda lo definiva <<il più straordinario uomo dei boschi che abbia mai conosciuto!>> [8].
Note
- ^ Marilena Orunesu,L'Unione Sarda martedì 22 gennaio 2013
- ^ Piero Mannironi, La Nuova Sardegna, martedì 22 gennaio 2013
- ^ Piera Serusi, L'Unione Sarda, martedì 22 gennaio 2013
- ^ Piera Serusi, L'Unione Sarda, martedì 22 gennaio 2013
- ^ Piero Mannironi, La Nuova Sardegna, martedì 22 gennaio 2013
- ^ Piero Mannironi, La Nuova Sardegna, martedì 22 gennaio 2013
- ^ Marilena Orunesu,L'Unione Sarda martedì 22 gennaio 2013
- ^ Piero Mannironi, La Nuova Sardegna, martedì 22 gennaio 2013