Straziami ma di baci saziami

film del 1968 diretto da Dino Risi

Straziami ma di baci saziami è un film del 1968 diretto dal regista Dino Risi.

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Marino innamorato geloso
Paese di produzioneItalia
Durata100 min
Generecommedia
RegiaDino Risi
SoggettoDino Risi, Age, Furio Scarpelli
SceneggiaturaAge, Furio Scarpelli
ProduttoreEdmondo Amati, Jacques Roitfeld, per Fida Cinematografica/Les Productions Jacques Roitfeld
FotografiaAlessandro d'Eva
MontaggioAntonietta Zita
MusicheArmando Trovaioli
ScenografiaLuigi Scaccianoce
CostumiGaia Rossetti Romanici
Interpreti e personaggi

Il titolo proviene da un verso, divenuto modo di dire, come l'altro: "creola dalla bruna aureola"[1], della canzone Creola, un tango del 1926 di cui è autore Ripp al secolo Luigi Miaglia, autore di commedie musicali degli anni venti. Il testo[2] fortemente, e forse involontariamente, kitsch, proprio per i toni esageratamente passionali ed erotici si adatta bene a fare da titolo al film dal contenuto comico popolare.[3]

Trama

Il destino ha fatto incontrare ad una manifestazione folklorista a Roma il barbiere ciociaro Balestrini Marino (Nino Manfredi) e la bella e prosperosa operaia marchigiana Di Giovanni Marisa (Pamela Tiffin, doppiata da Flaminia Jandolo). Si è trattato di un breve incontro, ma ormai il colpo di fulmine è scoppiato tra i due giovani. È questo il motivo per cui Marino, prima forbice ad Alatri, lascia il suo paese per andare a Sacrofante Marche (paese inesistente nella realtà), per incontrare di nuovo Marisa. Qui avviene il reciproco innamoramento dei due che vivono la loro passione citando e cantando i versi delle canzonette che ispirano il loro amore[4]. Ma il padre di lei, scultore di monumenti funebri, ritiene il barbiere non adatto alla figlia perché socialmente inferiore, e si oppone al matrimonio. I due allora, seguendo gli insegnamenti delle canzonette e dei fotoromanzi, rivivendo il dramma del film Il dottor Živago, decidono di por fine al loro disperato amore facendosi travolgere dal treno, che invece riesce a fermarsi e da dove scende un infuriato macchinista che li caccia a male parole dai binari. La prematura morte dello scultore libera però i due giovani, che si preparano ormai a sposarsi.

Ma ecco che scoppia il dramma: Adelaide (Moira Orfei), la padrona di casa che ospita Marino, vedova inconsolabile, lo tenta con le sue grazie che il barbiere, amante fedele alla sua bella, respinge. Adelaide offesa per il rifiuto si vendica insinuando il dubbio a Marino che Marisa, in una gita parrocchiale si sia comportata da "malafemmina" con un certo Scortichini Guido (Samson Burke). Marino vorrebbe che Marisa confessasse il suo "turpe" passato ma la ragazza, offesa dall'ingiusto sospetto, abbandona il paese per Roma. Conosciuta alla fine la verità, Marino, pentito, lascia tutto per inseguire Marisa e farsi perdonare da lei, che nel frattempo è svanita nella grande città. Dopo varie vicissitudini, il povero ex barbiere, senza più un soldo e ridottosi a fare il barbone, disperato poiché non riesce a rintracciare Marisa decide di suicidarsi gettandosi nel Tevere, ma viene salvato da mister Okay, famoso bagnino "fiumarolo" già autore di tanti salvataggi.[5]

L'accaduto viene pubblicato dai giornali e così Marisa, che nel frattempo ha sposato il sarto sordomuto Umberto (Ugo Tognazzi), va a visitare Marino degente in ospedale, a cui racconta la terribile verità: ormai è diventata la signora Ciceri. Su suggerimento di un vicino di letto, Marino, pur disperato, gioca al lotto i numeri della sua travagliata storia d'amore e vince una forte somma. Risolti così i problemi economici, Marino dapprima vorrebbe cinicamente vendicarsi dell'abbandono, poi però l'antica passione per Marisa prende il sopravvento e tra loro riscoppia l'amore. Ma c'è di mezzo il sordomuto, per cui i due decidono di eliminarlo facendo esplodere la stufa a kerosene non appena il sarto accenderà un ferro da stiro. L'esplosione, presa per un incidente, invece di uccidere il sarto gli fa riacquistare la parola e l'udito; per assolvere a un voto fatto anni prima, il sarto, per la grazia ricevuta, si farà frate con l'obbligo del silenzio, e sarà proprio lui a cantare, con voce angelica, alle nozze di Marino e Marisa.

Location

Il paese di Sacrofante Marche in realtà non esiste. La ___location utilizzata per ricostruire il paese di Marisa è Pescocostanzo, in Abruzzo. La sequenza iniziale dei titoli di testa è girata come dice lo speaker nel film nello stadio olimpico di Roma durante un raduno nazionale di gruppi folcloristici locali e dove Marisa e Marino s'incontrano per la prima volta.

L'appuntamento che Marino dà a Marisa tramite un semplice annuncio sul giornale viene girato davanti all'obelisco di Axum in quanto a quell' epoca si trovava ancora a Roma mentre adesso è stato restituito all' Etiopia da dove era stato prelevato nel 1936 dal fascismo per celebrare le conquiste coloniali.Naturalmente all' appuntamento non si presenta la vera Marisa ma un' altra donna zitella (interpretata da Donatella Della Nora) nella speranza di trovare un marito.

Critica

Il film ripropone in chiave moderna un classico romanzo dì appendice ottocentesco i cui protagonisti non sono però eteree fanciulle tradite e abbandonate da cinici avventurieri ma ingenui e spontanei paesanotti che vivono un dramma d'amore ciociaro-marchigiano trasformato in un fotoromanzo[6] e accompagnato da canzonette, in un ambiente urbano moderno indifferente ad ogni sentimento. Nino Manfredi ripropone le movenze e il linguaggio del personaggio del ciociaro che lo aveva portato al successo in una trasmissione televisiva, Pamela Tiffin fa bene la parte di una sentimentale e talvolta svampita innamorata, formidabile l'interpretazione muta di Ugo Tognazzi che con una parrucca rossiccia sembra un Harpo Marx redivivo.[7] Il regista Dino Risi amalgama con sobrietà i personaggi della vicenda e meglio di Ettore Scola (Dramma della gelosia), di Salvatore Samperi (Malizia) e di Luigi Comencini (Mio Dio, come sono caduta in basso!) riesce a rendere l'atmosfera di una cultura sentimentale popolare[8] esaltata dai dialoghi dei bravissimi sceneggiatori Age e Scarpelli.[9] Se vogliamo, la pellicola presenta piuttosto più evidenti analogie con altre coeve pellicole farsesche di tema sentimental-popolare, quali per esempio Bruciati da cocente passione o Basta guardarla.

Curiosità

Note

  1. ^ Nella versione cantata popolarmente il termine aureola, riferito probabilmente all'aureola dei "bruni capelli", veniva storpiato pronunciandolo come "bruna reola" confondendosi con "areola" sembrando più logico che della creola, di solito rappresentata seminuda, si notasse più il colore scuro del capezzolo (areola) che un'improbabile santità (aureola).Cfr. Giuseppe Barbieri, Per Libera nos a malo: a 40 anni dal libro di Luigi Meneghello : atti del Convegno internazionale di studi "In un semplice ghiribizzo" (Malo, Museo Casabianca, 4-6 settembre 2003, ed. Terra ferma, 2005 p.37
  2. ^ Che bei fior carnosi/son le donne dell'Havana/hanno il sangue torrido,/come l'Ecuador./Fiori voluttuosi/come coca boliviana/chi di voi s'inebria/ci ripete ognor: /Creola/dalla bruna aureola/per pietà sorridimi/che l'amor m'assal./Straziami ma di baci saziami/mi tormenta l'anima/uno strano mal. /La lussuria passa/come un vento turbinante/che gli odor più perfidi/reca ognor con sè/ed i cuori squassa/quella raffica fragrante/e inginocchia gli uomini/sempre ai nostri piè.
  3. ^ La canzone Creola divenne molto diffusa nel ventennio fascista nella versione di Isa Bluette. Ebbe nuovo successo negli anni cinquanta e sessanta per l'interpretazione di cantanti "nazional-popolari, reduci dalle glorie sanremesi", come Nilla Pizzi, Milva, Achille Togliani, Claudio Villa.
  4. ^ Dice lo stesso regista: «Marino e Marisa sono due stupidi che vivono citando i versi, non di Leopardi, ma di Mogol e Vito Pallavicini, i grandi parolieri delle canzonette italiane utilizzando fra l’altro un linguaggio storpiato da un generico idioma campagnolo centroitalico (con vaghe risonanze piceno-maceratesi): “e un giorno droverò un bo’ d’amore anghe per me…” (lui), “per me che sono nullidà…” (lei), “nell’immenzidà…” (insieme)»
  5. ^ Il personaggio di Mister OK è veramente esistito: si chiamava Rick De Sonay, un italo-belga che salutava il 1º gennaio di ogni anno tuffandosi, con un cilindro in testa, da un ponte nel Tevere. Ancora oggi emuli di mister OK celebrano l'arrivo del nuovo anno tuffandosi dallo stesso ponte nel fiume.
  6. ^ Il film è un grande fotoromanzo comico. C’è l’amore e il tradimento, il dramma e la disperazione. Tutto in marchigiano stretto (Walter Veltroni,Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale di film, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1994)
  7. ^ ... interpretato con giusta misura da un Nino Manfredi in buona forma, da un Tognazzi irresistibile nella macchietta del sordomuto, da una Pamela Tiffin proprio caruccia, il film trova infine in una fitta schiera di bravi caratteristi freschi motivi di critica di costume che contribuiscono all’equilibrio dei toni e al sapore del raccontino. (G.Grazzini, Corriere della Sera, 9 ottobre 1968).
  8. ^ cfr.M.Morandini, Dizionario dei film ed.2007,Zanichelli)
  9. ^ La sceneggiatura è di Age e Scarpelli, che hanno messo allegria a un intero paese, per generazioni, facendoci anche pensare. (W.Veltroni op.cit.)

Collegamenti esterni

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