Milano odia: la polizia non può sparare
Milano odia: la polizia non può sparare è un film del 1974, diretto da Umberto Lenzi. È considerato uno dei più violenti noir italiani.[1] Negli Stati Uniti uscì come Almost Human.
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|---|---|
| Paese di produzione | Italia |
| Durata | 100 min |
| Genere | thriller |
| Regia | Umberto Lenzi |
| Sceneggiatura | Ernesto Gastaldi |
| Fotografia | Federico Zanni |
| Montaggio | Daniele Alabisio |
| Musiche | Ennio Morricone |
| Costumi | Luciano Sagoni |
| Trucco | Fausto De Lisio |
| Interpreti e personaggi | |
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In Italia uscì l'8 agosto 1974,[2] mentre negli Stati Uniti uscì nel novembre 1975.[2]
Trama
Milano dei primi anni settanta Giulio Sacchi è un delinquente sadico, vigliacco e sessualmente ambiguo. Egli manda a monte una rapina, perché non riesce a mantenere i nervi saldi e uccide a bruciapelo un vigile urbano che vuole multarlo per divieto di sosta. Sacchi passa le giornate al bar, con i suoi amici Carmine e Vittorio, o con la fidanzata Jole, alla quale chiede continuamente dei soldi.
Ma Sacchi è anche ambizioso, e desidera diventare ricco e importante e far carriera nel mondo della malavita. Per ottenere questo, insieme a Carmine e Vittorio, decide di rapire Marilù, figlia del commendatore Porrino, il principale di Jole.
Rubata l'auto a Jole, il trio va da un commerciante di armi, e chiede 3 sten, che avrebbero dovuto pagare Lit 1.200.000, invece uccide il commerciante e la di lui compagna - una ex prostituta; poi segue l'auto sulla quale stanno viaggiando Marilù e il suo fidanzato Gianni. La coppietta si apparta nel bosco. Sacchi, per convincere i suoi amici, fa ingurgitare loro delle anfetamine, quindi i tre sorprendono la coppia. Sacchi inizia a fare delle boccacce sul finestrino della macchina, spaventando Marilù, quindi pesta a sangue Gianni, mentre Carmine e Vittorio bloccano Marilù. Gianni reagisce, ma viene ucciso dai colpi di mitraglietta sparati da Carmine. Marilù riesce poi a fuggire, inseguita da Sacchi, e raggiunge una villa dove, ancora sotto shock, chiede aiuto.
Tuttavia i ricchi borghesi che abitano la villa non capiscono subito la situazione, poiché Marilù è in uno stato confusionale e non riesce a spiegarsi bene, e i tre banditi irrompono a sorpresa nell'abitazione. Comincia allora una serie di sevizie perpetrate dai tre con efferata violenza; Sacchi, imbottito di alcool e droghe obbliga l'uomo a praticargli del sesso orale, quindi appende al lampadario le due donne e l'uomo, ed inizia a seviziarli. Infine, quasi impazzito li uccide a colpi di mitraglietta e uccide anche una bambina, che stava dormendo al piano superiore della villa.
Il commissario Grandi, accorso su tutte le scene dei delitti perpetrati da Sacchi e la sua banda mafiosa, realizza di avere a che fare con uno psicopatico, quindi si ricorda il volto di Sacchi, intravisto tra la folla raccolta attorno al cadavere di un metronotte che Sacchi aveva ucciso dopo essere stato sorpreso a scassinare un distributore di sigarette.
Intanto Sacchi contatta il padre di Marilù, e fissa il prezzo del riscatto. Porrino, preoccupato, si rivolge al commissario Grandi, che dice all'uomo di non cedere ai ricatti di Sacchi. Ma Porrino si prepara immediatamente a consegnare la cifra pattuita. Intanto la stampa riporta la notizia del rapimento di Marilù, e della tremenda strage accaduta nella villa.
Sacchi riesce a crearsi un alibi, con l'aiuto di Ugo Maione, proprietario di un bar, già complice di Sacchi. Maione, nonostante l'odio che nutre verso Sacchi, si convince a dichiarare alla polizia, qualora lo interrogasse, che Sacchi si trovava nel suo locale la notte del rapimento di Marilù.
Sacchi continua a mostrarsi come un pericoloso psicopatico, uccidendo anche Jole, dopo averle confessato che la strage nella villa è stata opera sua. Con una scusa la porta con la macchina su uno strapiombo e la getta in un lago insieme all'auto.
In un barcone abbandonato, intanto, Marilù è legata e spaventata. A nulla servono i tentativi di tranquillizzarla, da parte di Carmine, che sembra il più "umano" dei tre sequestratori. Sacchi irrompe nel relitto e insulta Marilù, che reagisce. Sacchi si scatena e la picchia, poi ordina a Vittorio di violentarla. Alla fine, incassato il riscatto, Sacchi uccide Marilù, e Carmine lo assale furioso; Sacchi, ormai impazzito, lo uccide. Vittorio va a recuperare le valigette con dentro il riscatto, e quando torna al casolare trova Carmine ucciso. Si scaglia quindi contro Sacchi, ma viene ucciso. Avendo esaurito tutti i caricatori degli sten, usa una pistola. Aveva deciso fin dal principio di uccidere i due compagni. Sacchi si impossessa di metà del riscatto - scappando dalla Polizia, gli cade un pesante borsone con 250 milioni, che viene recuperato dagli Agenti, ma, ormai, sembra aver vinto la sua folle battaglia contro l'intera società.
Alcuni giorni dopo è seduto al tavolino di un bar a bere Champagne, e racconta ad altri ragazzi le sue imprese mafiose. Ma ad un tratto arriva il commissario Grandi, claudicante a causa di Sacchi, che gli ha precedentemente sparato alle gambe, deciso a fare una volta per tutte giustizia. Gli amici di Sacchi si allontanano e lui rimane solo di fronte al commissario, iniziando a perdere la sua spavalderia, e scongiurando il commissario («Lei è un poliziotto! La polizia non può sparare!»). Ma Grandi non si commuove, e uccide Sacchi, che rotola a terra, tra un cumulo di rifiuti. Le ultime parole del poliziotto sono: "Avvertite il Procuratore della Repubblica e ditegli che l'ex commissario Grandi ha ucciso Giulio Sacchi".
Personaggio
Giulio Sacchi nasce a Milano ed è un malvivente sottoproletario sadico, sessualmente ambiguo, psicopatico e al tempo stesso codardo e vigliacco, i cui principali interessi sono lo stupro e l'ultraviolenza. Giulio non esita a sacrificare i suoi affetti più cari per il denaro. Vive come un divertimento spensierato le violenze che compie. Durante una rapina uccide a bruciapelo un vigile urbano che vuole multarlo, perché non riesce a mantenere i nervi saldi, poi un metronotte che lo sorprende a scassinare un distributore di sigarette. Sacchi passa le sue giornate al bar, insieme ai suoi amici Carmine e Vittorio, o con la fidanzata Jole, alla quale chiede continuamente dei soldi. Giulio si diverte a pestare e rapinare vittime senza alcuna colpa. Il suo unico scopo è esercitare l'amata ultraviolenza. Sacchi è ambizioso, vuole avere soldi facili. Per questo decide, insieme a Carmine e a Vittorio, di rapire la figlia di un commendatore, Marilù Porrino. Rapita la ragazza, mentre si trovava in macchina con il fidanzato che viene ucciso da Carmine (unica delle 14 vittime non uccisa direttamente da Sacchi), che sotto l'effetto di una anfetamina fattagli ingerire con prepotenza dallo stesso Sacchi, perde la testa e fa fuori a sangue freddo il ragazzo finendolo con un colpo alla faccia reo semplicemente di averlo guardato quando era a terra ferito. A quel punto la banda conduce la ragazza in un casolare abbandonato. Inseguiti dalla polizia, Sacchi e i suoi amici si introducono in una villa abitata da ricchi borghesi e iniziano a torturarli. Sacchi, sotto l'effetto delle droghe uccide tutti i presenti, compresa una bambina. Sacchi riesce a crearsi un alibi, con l'aiuto di un suo amico proprietario di un bar. Intanto elimina anche Jole, dopo averle confessato di aver attuato la strage nella villa. Jole viene gettata nel Lago di Como da uno strapiombo con la sua macchina. Nel casolare Marilù inizia a ribellarsi e Sacchi la picchia e incita i suoi amici a violentarla. Quando viene pagato il riscatto, Sacchi uccide Marilù e, quando Carmine si ribella per l'assassinio della ragazza di cui si era innamorato, uccide anche lui. Nel casolare torna Vittorio e scopre il cadavere di Carmine. Si scaglia contro Sacchi, che uccide anch'esso. Sacchi s'impossessa del riscatto del rapimento, spara alcuni colpi contro la polizia giunta sul luogo e si allontana. Diverse settimane dopo, seduto al solito bar, si vanta con un gruppo di ragazzi delle sue azioni criminose. Ad un tratto spunta il commissario Walter Grandi, rimasto zoppo per il colpo sparato da Sacchi la sera del pagamento del riscatto. Gli amici di Sacchi si allontanano e lui resta solo a fronteggiare il commissario. Inizia ad urlare e a piagnucolare e a gridare «Lei è un poliziotto! La polizia non può sparare!», ma Grandi non lo ascolta e gli spara a brucia pelo, uccidendolo accanto a un cumulo di rifiuti. Le ultime parole del poliziotto sono: «avvertite il Procuratore della Repubblica e ditegli che l'ex commissario Grandi ha ucciso Giulio Sacchi».
Inoltre il Sacchi ferisce alla gamba il commissario Grandi, ma la sesta vittima della serata del rapimento (a cui fa riferimento il "Corriere di Informazione" nel titolo di prima pagina) e che era stata la prima vittima della serata, cioè il ragazzo di Marilù, era stato ucciso da Carmine.
Produzione
Regia
Umberto Lenzi era reduce dai suoi gialli erotici, con protagonista Carroll Baker, ma aveva intuito che il filone si stava esaurendo. Luciano Martino, produttore fratello del regista Sergio, cominciò a investire sul poliziottesco, genere che rispecchiava i tempi (terrorismo, rapine, violenze sessuali), e commissionò una sceneggiatura a Ernesto Gastaldi, proponendo a Lenzi di dirigere il film. Lenzi accettò e accentuò la connotazione sociale di Giulio Sacchi.
Lenzi si era già cimentato con il genere poliziottesco, nel 1973 diresse infatti Milano rovente, ambientato nel mondo della prostituzione.
Cast
Per interpretare la parte dei sequestratori furono scelti Richard Conte e Gino Santercole, mentre per la parte del commissario fu scelto Ray Lovelock.[1] Mancava solo il ruolo del terzo sequestratore, fino a quando fu scelto Tomas Milian, che però quando lesse il copione scelse di interpretare Giulio Sacchi, il sadico protagonista. Così Ray Lovelock interpretò l'altro sequestratore, quello "buono", l'alter ego di Giulio Sacchi.[1]
Henry Silva, inoltre, si ritrovò a interpretare il commissario, che fu il suo primo ruolo da "buono", dato che fino ad allora aveva interpretato sempre ruoli da antagonista.[1]
Riprese
Il film fu girato a Milano, Lugano, Bergamo e Roma (gli interni).
Durante la lavorazione del film, per interpretare meglio il personaggio, Tomas Milian faceva uso di alcolici e stupefacenti, come ammesso da lui stesso.[1]
Considerazioni
Il film è considerato da molti un poliziottesco, ma in realtà i legami col genere allora emergente sono marginali: l'inseguimento iniziale e il commissario tutto d'un pezzo, dal volto inespressivo, interpretato da Silva, che però rimane in secondo piano. Il film ha anche echi horror, nella scena delle sevizie nella villa, ed è piuttosto un noir metropolitano.[3]
Il messaggio del film è considerato molto ambiguo, o addirittura nichilista, poiché sembra voler affermare che a violenza risponde necessariamente altra violenza. Allo stesso tempo nella scena finale del film la violenza sembra avere una valenza catartica, dove il pubblico trova una soluzione all'efferatezza della vicenda.[1]
Il film, inoltre, offre un disincantato ritratto dell'Italia degli anni settanta, lacerata da scontri di classe e pervasa da un clima di insicurezza e disordine. La figura del commissario Grandi, che, seguendo l'esempio di Clint Eastwood in Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo,[4] decide di fare giustizia fuori dalla legalità, pone l'accento sulla difficoltà che la polizia aveva in quegli anni nel fermare l'ondata di violenza, secondo una parte dell'opinione pubblica a causa di leggi troppo permissive e garantiste. Rimane celebre la frase pronunciata da Sacchi a tale proposito: "Per condannare qualcuno all' ergastolo ci vogliono prove alte come il grattacielo Pirelli". Anche su questo punto però il film è ambiguo, in quanto la figura del commissario, interpretato da Silva, non emerge chiaramente come quella dell'eroe, anche a causa dell'incisività con cui è rappresentato l'"antieroe" Sacchi.[4]
Collegamenti ad altre pellicole
- Il finale del film verrà ripreso da Luca il contrabbandiere, diretto da Lucio Fulci nel 1980.
- Alcune scene di inseguimento in auto provengono da Milano trema: la polizia vuole giustizia, diretto da Sergio Martino nel 1973[5].
Omaggi
- John Zorn, i Sikitikis e i Calibro 35 hanno reinterpretato il tema principale della colonna sonora (di Ennio Morricone), come omaggio al genere cinematografico e a quello musicale tipico delle soundtrack dei poliziotteschi dell'epoca.
- La Dogo Gang nella persona di Ted Bundy ha composto la canzone Milano Odia, in cui viene in parte citato il titolo del film: Milano odia e la pula non può sparare.
- Il finale del film viene ripreso nel video musicale di Max Pezzali Il mio secondo tempo dove lo stesso cantante interpreta Giulio Sacchi mentre tenta la fuga dal commissario Grandi che lo vuole giustiziare personalmente.
Note
- ^ a b c d e f Manlio Gomarasca, Monnezza e i suoi fratelli. Guida al cinema poliziesco di Tomas Milian, Milano, Nocturno, 2005.
- ^ a b Date di uscita for Milano odia: la polizia non può sparare (1974), su italian.imdb.com. URL consultato il 12 gennaio 2008.
- ^ Roberto Curti, Italia odia. Il cinema poliziesco italiano, Torino, Edizioni Lindau, 2006, ISBN 978-88-7180-586-3..
- ^ a b Paolo Mereghetti, Dizionario dei film 2006, Milano, Edizioni Baldini Castoldi Dalai, 2005, ISBN 88-8490-778-0..
- ^ Mauro D'Avino, Lorenzo Rumori, Simone Pasquali, Roberto Giani e Andrea Martinenghi Milano, si gira!, 2012, Roma, Gremese, ISBN 9788884407450.
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- I luoghi milanesi del film
- La scheda del film su Pollanet
- (EN) 0071840, su IMDb, IMDb.com.