Utente:Gcaresio/Sandbox
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Biografia
Inizia a dipingere ancora bambino e riceve i primi insegnamenti dai pittori tradizionali che all'epoca frequentavano il Circolo degli Artisti, antica istituzione torinese.
Nel 1958 consegue la laurea in giurisprudenza e da allora esercita la professione d'avvocato.
Dal 1960 è allievo di Filippo Scroppo, pittore astratto nonché docente all'Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, collaboratore di Felice Casorati e membro del Movimento Arte Concreta o MAC .
Il dibattito sulla pittura, che negli anni '60 si sviluppa sulle ceneri dell'informale e si snoda attraversando la pop-art americana e l'arte concettuale, vedrà entrare Giorgio Griffa fra i protagonisti della scena italiana.
Proprio nel corso di quel decennio Griffa procede infatti a una spogliazione progressiva di elementi figurativi e rappresentativi dalle sue tele per arrivare a quei "segni primari" che danno inizio a quella che sarà la parabola personale della sua pittura.
Fin dagli esordi, e sono passati più di 40 anni, ha lavorato sempre con continuità a Torino, dove vive e dipinge tuttora.
Opera
La pittura di Giorgio Griffa La critica d'arte americana Roberta Smith ha scritto: «La sua arte merita un posto nella storia mondiale dell'astrattismo»[1]
Otto cicli di pittura
si è sviluppata e articolata nel tempo a partire dagli anni '60, dando vita a una serie di cicli pittorici che sono tutti caratterizzati da una data di inizio, ma nessuno da una data finale. Come scrive Griffa stesso «essi convivono l’uno accanto all’altro, in conseguenza del fatto che non si tratta delle tappe di un progresso o regresso, bensì semplicemente delle continue variazioni del divenire».
Segni primari
Inizia alla fine del 1967.
Dopo alcune tele monocrome in cui il colore non è steso su tutta la superficie del quadro (“quasi dipinto”), le stesure di colore sono sostituite dal ripetersi sulla tela di un medesimo segno, sempre lo stesso e sempre diverso per via delle imperfezioni della mano.
Tale sistema intende raccogliere i ritmi e la variabilità del divenire costruendo delle società di segni, tutti con gli stessi caratteri e tutti diversi l’uno dall’altro, similmente a quanto accade nella società degli uomini, o negli animali di una stessa razza, nelle foglie di una stessa pianta, ovvero nei cristalli.
In questo ciclo sono presenti le costanti di tutto il lavoro successivo: il non finito e la scelta di segni anonimi, che appartengono alla mano di tutti, anziché alla mano privilegiata dell’artista.
Connessioni o contaminazioni
L’attenzione all’imponente memoria della pittura anziché a quella singola del pittore ha determinato nella seconda metà degli anni ’70 la necessità di Griffa di aprire il lavoro a suggestioni più vaste.
Così hanno incominciato a dialogare fra di loro segni differenti. Da una società di segni si è passati alla convivenza di diverse società di segni sulla stessa tela, segni orizzontali e segni verticali, segni larghi e segni sottili, ciascuna organizzata sui ritmi interni del ciclo dei segni primari e tutte compresenti in grazia di quella memoria immensa della pittura.
Nel tempo questo ciclo è andato modificandosi in considerazione del movimento, della mobilità del divenire, una sorta di passaggio dal mondo tolemaico a quello copernicano sino alla modernità di Einstein.
Frammenti
Alla fine degli anni ’70 inizia il ciclo dei frammenti.
Le diverse tele sono tagliate in piccoli frammenti irregolari, sui quali viene posata la pittura.
I frammenti vengono esposti disseminati nello spazio.
Sono le stesse tele, non più supporto neutro della pittura ma parti integranti di essa, a divenire immagini, figure, unitamente alla pittura che esse contengono.
Segno e campo
Negli anni ’80 viene introdotta nel lavoro di Griffa una memoria più specifica della pittura, l’antica questione della convivenza del segno che disegna e del colore che colora: segno e campo.
Non un’analisi dei rapporti fra di loro, né una ricerca sui possibili loro diversi modi di essere. Semplicemente l’introduzione, accanto al divenire dei segni, di momenti di pausa e di variazione del divenire portati dalle campiture di colore. Un po’ come i buchi neri dell’universo, che non danno segni propri ma portano un’enorme energia che influisce sugli altri segni.
Tre linee con arabesco
All’inizio degli anni ’90 si pone la questione di costituire una nuova compagine sociale in cui i soggetti fossero le opere stesse, di modo che alla convivenza delle varie sequenze di segni si accompagnasse la sequenza dei lavori.
Le tre linee con arabesco furono scelte come criterio unificante. Ogni opera doveva contenere tre linee ed un arabesco e fissare la sue identità secondo il proprio divenire interno che è ogni volta inevitabilmente diverso.
Ogni opera porta un numero, che non è un elemento decorativo aggiunto, ma sta a indicare la posizione di quell’opera all’interno del ciclo, la prima il numero 1, la secondo il numero 2, eccetera.
Numerazioni
Nella seconda metà degli anni ’90 nasce il ciclo delle numerazioni, che mira a dare un’informazione sul modo in cui si è realizzato il divenire di quell’opera.
I numeri indicano l’ordine in cui i vari segni o colori sono stai depositati su quella tela.
Alter ego
I lavori di questo ciclo si riferiscono a memorie specifiche nell’ambito di quell’immensa memoria della pittura con cui ogni segno si trova ogni volta a far di conto.
Qui sono state scelte specifiche suggestioni tratte dal lavoro di altri artisti di ogni epoca.
È in qualche modo il rischio di una scommessa con se stesso e con gli altri.
Sezione aurea
Questo ciclo ha il suo precedente nella grande opera “Dioniso” su tela tarlatana (garza), esposta alla Biennale di Venezia del 1980, che si avvaleva delle trasparenze di quel tessuto per cercare un ordine mutevole e dinamico dei segni.
Nei primi anni 2000 l’attenzione si è posata sull’aspetto matematico della sezione aurea, l’antica divina proporzione, anziché sul suo aspetto formale che era in uso da ben prima che Euclide lo formalizzasse in un calcolo matematico.
Il rapporto aureo produce un numero che non finisce mai.
1,618033988749894848204586834365638117720309179… eccetera, procede per sempre, senza fine, sino alla fine dei secoli, sino alla fine del tempo. E non procede neppure di un millimetro nello spazio, infatti 1,618 non diventerà mai 1,619 e cosi via.
Si avvita nell’ignoto. Senza fondo.
È una straordinaria metafora del compito lasciato all’arte figurativa, alla poesia ed alla musica sin dai tempi di Orfeo, conoscere l’inconoscibile, dire l’indicibile.
Il ciclo comprende opere su frammenti di tela tarlatana sovrapposti, che vengono incorniciate secondo la misura aurea. Si compone inoltre di opere su altri tessuti, libere da ogni misurazione, nelle quali è rappresentato, insieme al divenire dei segni, l’inizio del divenire di quel numero infinito.
Libri
La sua partecipazione al dibattito delle arti si esplica negli anni anche attraverso la pubblicazione di numerosi testi che affiancano e dialogano con la sua pittura, spesso arricchendosi di disegni, incisioni e acquerelli. Ne ricordiamo i principali:
- Non c'è rosa senza spine, Torino, Martano Editore, 1975. [italiano/inglese]
- Cani sciolti antichisti / Loose antiquist dogs, Torino - Genova, Martano Editore e Samanedizioni, 1980. [italiano/inglese]
- Drugstore parnassus, Torino-Aachen, Martano Editore - Ottenhausen Verlag, 1981. [italiano/tedesco/inglese]
- In nascita di Cibera, Chieri, Studio Noacco, 1989.
- Di segno in segno (con Martina Corgnati), Fumagalli Editore, 1995.
- 60 schizzi da opere 1968/2000 e un testo, Torino, Franco Masoero, 2000. [italiano/inglese]
- Nelle orme dei Cantos, Milano, Libri Scheiwiller, 2001
- Post scriptum, Torino, Hopefulmonster, 2005. ISBN 978-8877571922
Attività espositiva
Nel 1970 espone nelle gallerie di Ileana Sonnabend a New York e Parigi.
Partecipa a molte rassegne nazionali e internazionali le quali, nel confronto con il proliferare degli strumenti extra-pittorici, attestano la forte persistenza della pittura nell'esperienza artistica contemporanea, quale strumento idoneo agli eventi in corso anziché quale mezzo di conservazione o restaurazione o di nostalgia del passato.
Si ricorda la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1978 e del 1980; Prospekt a Düsseldorf nel 1969 e nel 1973; la fondamentale esposizione curata da Michel Claura nel 1973 a Parigi, Mönchengladbach, Anversa, dal titolo significativo: Une expositson de peinture réunissant certains peintres qui mettraient la peinture en question.
Nel 1970 al Kunstmuseum di Lucerna partecipa ad altra mostra, dal titolo Processi di pensiero visualizzati, che vede la convivenza della pittura con altri aspetti della contemporaneità, arte concettuale, arte povera, land art, ecc...
Ha tenuto circa 150 personali, e partecipato a una lunga serie di mostre collettive, esponendo in spazi pubblici e privati, italiani e stranieri.
Tra le personali degli ultimi anni vanno ricordate:
- nel 2001 UNO | Opere 1968/1973 e DUE | Rosa e violetto 2001 alla GAM di Torino,
- nel 2010 Canone Aureo | Golden ratio al MACRO di Roma,
- nel 2012 Fragments 1968-2012 presso la Casey Kaplan Gallery di New York, chiusa a causa dell'uragano Sandy e riaperta in una nuova versione nel gennaio 2013.
Giorgio Griffa nei musei
I suoi lavori fanno parte di numerose collezioni di privati e musei.
- GAM, Galleria_civica_d'arte_moderna_e_contemporanea, Torino
- Castello di Rivoli, Rivoli, Turino
- Galleria d'Arte Moderna, Roma
- Museo del Novecento, Milano
- Museo_di_arte_contemporanea_(Roma) (MACRO), Roma
Cataloghi
- II principio di indeterminazione, Milano, Maestri Incisori Editore, 1994
- Come un dialogo, Lorenzelli,1997
- Approdo a Gilania, 1998
- Intelligenza della materia, 2000
- Nota sulla rappresentazione dello spazio, 2003
- Fragments 1968-2012, New York, Casey Kaplan, 2013
Note
- ^ Roberta Smith, Giorgio Griffa: Fragments, 1968-2012, The New York Times, February 7, 2013
Bibliografia
- Paolo Fossati e Mario Bertoni, Griffa, Ravenna, Essegi, 1990. ISBN 978-8871891453
- Alberto Fitz, Giorgio Griffa. Segnando Pittura, Milano, Silvana, 2008. ISBN 978-8836612413
Collegamenti esterni
- Casey Kaplan Gallery, New York
- Giorgio Griffa, Wikipedia English