Continuità educativa

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Continuità educativa

La Continuità educativa è un insieme di strategie formative che mirano allo sviluppo armonico della persona, dall'infanzia fino all'età matura, mettendo in comunicazione pedagogica i vari stadi dell'età evolutiva e i corrispondenti progetti formativi elaborati per i singoli cicli scolastici. Per questa accezione della continuità si fa anche uso dell'attributo verticale, volendo distinguerla da quella orizzontale, la quale chiama in causa tutti i soggetti educativi presenti sul territorio, a partire dalle famiglie degli alunni.
Al di là dei nominalismi, il concetto pedagogico della continuità e le relative interpretazioni strategiche e curricolari si differenziano in modo sostanziale, a seconda del significato che si conferisce all'attributo educativo. Per chi ha una visione prevalentemente etero-guidata dell'atto educativo, la continuità è intesa come costruzione di progetti che mirano ad attenuare le distinzioni curricolari tra i vari segmenti scolastici e a creare grandi contenitori come quello della cosiddetta scuola di base.[1]Altri studiosi invece riconducono il problema alla promozione del pieno sviluppo della persona, rimarcando le peculiarità dei singoli stadi dell'età evolutiva, con relativi cambiamenti dei bisogni e delle risorse.[2]

Tra gli obiettivi fondamentali della continuità educativa, va considerata la riduzione del fenomeno della dispersione scolastica, mediante strategie mirate anche alla promozione dell'orientamento.

  1. ^ Cfr. ad esempio Paolo Calidoni, Continuità educativa, La Scuola, Brescia 1995.
  2. ^ Tra questi, Giuseppe Bertagna, Educazione, continuità e scuola, La Scuola, Brescia 1994, e Giuseppe Iadanza, Continuità, La Scuola, Brescia 1996.


Obiettivi

I soggetti convocati a cooperare per l'attuazione della continuità educativa sono i docenti e i dirigenti scolastici affiancati dalle famiglie degli alunni e dalle altre agenzie educative presenti sul territorio. Per raccordare tra di loro le linee di programmazione didattica, sia all'interno dei vari cicli scolastici, sia tra cicli contigui, occorre riferirsi a obiettivi generali e specifici. Tra i primi rientrano le seguenti finalità condivise o condivisibili:
- Sviluppo integrale della persona. (In altre concrete parole, questo obiettivo propone di valorizzare le potenzialità dei singoli e di promuoverne lo sviluppo non solo sul piano cognitivo, ma anche su quelli etico e socio-affettivo.)
- Incremento delle risorse pedagogiche. (Questo obiettivo chiama in causa il bagaglio culturale e professionale dei singoli docenti e il suo potenziamento, in rapporto alle differenziate esigenze dei vari livelli scolastici.)
- Miglioramento qualitativo dell'offerta formativa. (L'attributo "qualitativo" è da riferire all'incremento della produttività, anche al fine di contrastare il fenomeno dell'abbandono della frequenza. Quest'obiettivo comporta una riflessione sul rapporto tra contenuti e metodi d'insegnamento.)[1]
I principali obiettivi specifici sono invece così riassumibili:
- Rispetto delle peculiarità psico-pedagogiche dell'età evolutiva. (Con ovvie implicazioni sul piano metodologico e con reciproco impegno conoscitivo tra cicli contigui.)
- Cognizione dei rispettivi curricoli. (A tal fine occorre definire le competenze terminali in modo concreto e verificabile.)
- Conoscenza puntuale dei singoli percorsi formativi. (Lo strumento, istituzionalizzato da tempo, è il fascicolo personale dell'alunno.)

- Sviluppo della cultura della verifica. (Questa è da intendere come "misurazione" e "valutazione", ma anche come "autovalutazione" ed è riconducibile al concetto di produttività pedagogica.)[2]

  1. ^ Giuseppe Bertagna, "Selezione scolastica, continuità educativa e teoria della scuola", in AA. VV., "Dimensione attuale della professione docente", La Scuola, Brescia 1991, pp.146-148.
  2. ^ Giuseppe Iadanza, "Obiettivi della continuità educativa", in "Continuità", La Scuola, Brescia 1996, pp. 47-60



Continuità nell'età evolutiva

È pur vero che la formazione della persona si sviluppa lungo tutta la sua vita, da cui deriva l'istanza dell'educazione continua o permanente. Tuttavia la complessità psicopedagogica dell'età evolutiva comporta la necessità di concentrare l'impegno educativo nel periodo della preadolescenza e dell'adolescenza. Con tutte le note problematiche che accompagnano la turbolenza di questa età difficile.[1]
Ne consegue intanto l'esigenza e l'opportunità di raccordare tra di loro i progetti educativi da elaborare per le varie fasce scolastiche, con particolare attenzione alle classi iniziali di un ciclo e a quelle terminali del precedente. Tale raccordo è ovviamente irrealizzabile senza un minimo di dialogo tra i gradi contigui. Esso va perseguito - come rilevano gli studiosi più attenti al fattore cambiamento che è implicito nel concetto di continuità - non tanto sul piano metodologico, quanto su quello dell'informazione reciproca. Le metodologie, infatti, non possono che differenziarsi in rapporto ai bisogni e alle risorse dei singoli stadi dell'età evolutiva.

Non è ragionevole ignorare i precedenti percorsi formativi dei singoli allievi. Cancellare o sottovalutare le esperienze pregresse equivarrebbe, tra l'altro, a rinunciare a un minimo di individualizzazione dell'intervento didattico. Si aggraverebbero così le sofferenze scolastiche, notoriamente concentrate nelle classi iniziali. In definitiva, sembra ampiamente dimostrato che il non tener conto di questo aspetto centrale del problema porti al naufragio di qualunque progetto educativo.[2]

  1. ^ Guido Petter, Problemi psicologici della preadolescenza e dell'adolescenza, La Nuova Italia, Firenze 1972
  2. ^ Giuseppe Iadanza, Continuità nell'età evolutiva, in Continuità, Editrice La Scuola, Brescia 1996, pp.13-17



Continuità e dispersione scolastica

Il fenomeno dei drop out, ossia dei ragazzi che abbandonano la scuola anzitempo, è in Italia particolarmente allarmante. Siamo infatti agli ultimi posti in Europa, con picchi di abbandono del 22-26% nel Mezzogiorno e con percentuali preocupanti anche nel resto del Paese.[1] Ciò vuol dire che ogni anno due o tre ragazzi su dieci non tornano sui banchi di scuola. È stato calcolato tra l'altro che il costo economico di questo fenomeno in termini di PIL si aggirerebbe teoricamente intorno ai 70 miliardi di euro all'anno.[2]
È invece molto difficile trovare dati statistici di fonte attendibile sui risultati dell'attività di prevenzione e di recupero, al di là di iniziative locali e sporadiche che si affidano, oltre che alla scuola, anche ad agenzie educative presenti sul territorio. Dal momento che le percentuali dell'abbandono coincidono con quelle dell'insuccesso scolastico e si concentrano soprattutto nelle classi iniziali della scuola secondaria di primo e di secondo grado (in breve, scuole medie e superiori), salta agli occhi l'esigenza del raccordo tra i rispettivi cicli.

Non mancano gli strumenti normativi, come quello che istituì, in data ormai remota, il Fascicolo dell'alunno che dovrebbe correttamente accompagnarlo lungo tutto il percorso formativo.[3]. Tuttavia il contrasto al fenomeno della dispersione e la sua conseguente riduzione non può limitarsi all'uso più o meno corretto del fascicolo personale, ma richiede un dialogo basato più sulla sensibilità pedagogica che non sui vincoli normativi. Ad esempio, mentre è abbastanza diffuso l'uso delle prove d'ingresso e di uscita, sembra si badi assai meno a coinvolgere gli alunni nel progetto, a motivarli nell'apprendimento e ad individualizzare in qualche misura gli interventi in rappporto ai bisogni dei singoli.[4] Qualche studio recente si sofferma opportunamente sul problema del disagio scolastico in età adolescenziale.[5]

  1. ^ Fonte: Servizio Statistico MIUR, La dispersione scolastica (giugno 2013), pp. 5-6.
  2. ^ La dispersione scolastica costa 70 miliardi, in Il Corriere della sera, 1 ottobre 2013. Ricerca basata su dati della Banca d'Italia e dell'ISFOL.
  3. ^ Il "fascicolo personale dell'alunno" fu istituito con Decreto Ministeriale 16.12.1992, in applicazione della legge 5 giugno 1990, n. 148. Veniva così istituzionalizzata la continuità come processo educativo.
  4. ^ Giuseppe Iadanza, Tempi, procedure e strumenti, in Continuità, cit., pp. 61-105.
  5. ^ Giovanni Mancini, L'intervento sul disagio scolastico in adolescenza, Angeli, Milano 2006.