Nato a Palermo nel 1826, è figlio di Mariano Cannizzaro, magistrato, il quale nel 1826 era direttore generale della Polizia Siciliana, e di Anna Di Benedetto. La sua famiglia era composta da dieci figli compreso lui, ultimo nato. Consegue i primi studi elementari in parte privatamente e in parte nelle prime classi del Ginnasio di Palermo, detto allora scuola normale. Perduto il padre il 21 marzo 1836, entra alla fine dello stesso anno nel Reale collegio-convitto Carolino Calasanzio. Ne esce durante l'epidemia colerica del 1837 nella quale perde due fratelli e nella quale lui stesso viene contagiato. Ripresi gli studi dopo una lunga convalescenza, si interessa di retorica, filosofia, lettere e matematica.

Nel 1841, all'età di appena 15 anni, si iscrive all'Università degli Studi di Palermo, allora avente medicina come unica facoltà scientifica, con l'intenzione di laurearsi in medicina. Presto però, avendo frequentato per tre anni un corso di fisiologiatenuto da Michele Foderà, lega un'intima amicizia con quest'ultimo ed esegue sotto la sua direzione alcune ricerche sperimentali nella propria abitazione e in quella del maestro. Fu proprio lo studio della fisiologia a spingere Cannizzaro verso la chimica, di cui apprese i rudimenti per mano di E. Caronia nel 1842. Anche in questo caso, la mancanza di strutture adeguate lo costrinse a tentare i primi esperimenti chimici in casa propria. Questo aspetto spiega l'impegno da lui in seguito profuso nel dotare l'università in cui prestò servizio di strutture moderne e funzionali, dove gli studenti potessero esercitarsi.

Nel 1845 e nel 1846 si ferma a Napoli prendendo parte al Congresso degli scienziati italiani. Alla fine del congresso, suscitate le attenzioni di illustri chimici, gli viene offerto da Raffaele Piria il posto di preparatore straordinario nel Laboratoriodi chimica dell'Università di Pisa, che accetta per due anni accademici 45-46 e 46-47. Durante il periodo dei due anni riceve l'intera educazione chimica accanto ad allievi come Cesare Bertagnini e Sebastiano De Luca, coi quali visse una meravigliosa stagione di comune lavoro e di ideali scientifici e patriottici, sotto la guida dell'illustre maestro «affidabilissimo nelle conversazioni serali, taciturno lavoratore nella giornata e severissimo giudice per qualsiasi negligenza dei preparatori.»[senza fonte]

Tornato in Sicilia nel 1847, durante il suo annuale periodo di vacanza, prende parte alla preparazione alla rivoluzione avvenuta nel gennaio del 1848. Le idee antiborboniche avevano attecchito gli intellettuali siciliani, che accusavano la casaregnante non solo di malgoverno, ma anche di tradimenti nei confronti della Sicilia, ridotta dopo il Trattato di Vienna a mera provincia del regno di Napoli, privata dell'indipendenza fino ad allora gelosamente custodita e defraudata non solo della costituzione del 1812, che le garantiva una certa indipendenza, ma anche dell'altra antichissima del tempo degli Aragonesi. Egli, nominato ufficiale d'artiglieria nel piccolo esercito del nuovo Stato siciliano, volente leggi proprie e propriacostituzione, è poi eletto alla Camera dei Comuni come Deputato di Francavilla. In questa sede prese più volte parola fra il 5 maggio e il 7 settembre 1848. Egli richiede una radicale riforma della costituzione del 1812 propendendo per un maggiore coinvolgimento del popolo nella vita dello Stato: «Uomini nuovi esigono nuovi ordinamenti.»

Seppe conquistarsi la fiducia del Governo rivoluzionario che lo inviò nel settembre del 1848 a Taormina per raccogliere forze cittadine contro l'avanzata delle truppe borboniche. Dopo l'armistizio del 13 settembre Cannizzaro rimase a Taormina come commissario del governo rivoluzionario siciliano. Quando nel marzo 1849 venne rotto l'armistizio e si dimostrò inutile ogni ulteriore forma di resistenza, Cannizzaro seguì le altre truppe rivoluzionarie nella ritirata fino a Palermo. Il suo nome venne iscritto, insieme a quello di uomini come Francesco Crispi, Giuseppe La Farina eVincenzo Errante, nelle liste di proscrizione, per cui il 23 aprile 1849, caduta la rivoluzione siciliana, viene condannato a morte e fu costretto ad imbarcarsi sulla fregata indipendente lasciando l'isola alla volta di Marsiglia. Nell'ottobre successivo raggiunge Lione dove studia le industrie. Alla fine di ottobre si reca a Parigi e qui opera presso il laboratorio di Michel-Eugène Chevreul, dove lavora con Francois Stanislas Clöez e riesce a ottenere nel 1851 la cianammide.

Assiste anche ad alcune sperimentazioni effettuate da Edmond Fremy nel laboratorio di Gay-Lussac e frequenta regolarmente le lezioni di Henri-Victor Regnault sulla calorimetria, al Collège de France. Nello stesso anno ottiene la cattedra di chimica e fisica al Collegio Nazionale diAlessandria. Qui nell'autunno del 1855, disponendo di un piccolo laboratorio per le dimostrazioni sperimentali, scopre quella che ora è nota come reazione di Cannizzaro: le aldeidi aromatiche, in una soluzione alcolica di idrossido di potassio, dismutano in una miscela di acidi e alcolicorrispondenti: ad es. la benzaldeide si decompone in acido benzoico e alcol benzilico.

Nel 1855 viene chiamato dal ministro della pubblica istruzione Giovanni Lanza alla cattedra di chimica dell'Università degli Studi di Genova. In quegli anni sente la pressione del maestro Piria e di tutta la comunità scientifica italiana, che attende il giovane scienziato al varco di una prova che potesse testimoniare le sue doti di chimico. La realtà è però sconfortante, a Genova si scontra con l'usuale assenza di strutture per la ricerca scientifica e la cronica indifferenza della burocrazia ministeriale a tali problemi. Soltanto nell'anno successivo riesce ad ottenere un nuovo locale per poter continuare le proprie ricerche. La sua produzione però si mantiene molto scarsa fino al 1857; solo alla fine di quell'anno compare una breve nota sulla rivista «Nuovo Cimento», unico indizio delle meditazioni di Cannizzaro poi sfociate nella stesura del suo fondamentale Sunto di un corso di filosofia chimica.

Quest'opera nasce sostanzialmente dall'esigenza didattica di chiarire a sé stesso e ai propri studenti concetti e principi sui quali fino ad allora regnava la più assoluta confusione. Non è un caso che abbia affermato: «Io non ebbi veramente l'ambizione di proporre una riforma, non ebbi altro scopo che quello pedagogico». È proprio la validità didattica della sua teoria a spingerlo a comunicarne i risultati al mondo scientifico. L'opera, pubblicata nel 1858, costituisce un fondamentale contributo ai fondamenti della chimica. Infatti per la prima volta viene formulata una precisa teoriaatomica: basandosi sul principio di Avogadro, viene enunciata la regola, ora nota come regola di Cannizzaro, che permette la determinazione del peso atomico di un elemento chimico. Cannizzaro espone in seguito queste sue idee sull'atomo e sulla costituzione dei corpi al Congresso di Karlsruhe (1860), dove era presente anche Mendeleev.

Nel 1865 diviene socio dell'Accademia nazionale delle scienze. Dopo aver insegnato a Pisa e Napoli, occupa la cattedra di chimica organica e inorganica all'Università degli Studi di Palermo. Qui, per dieci anni, fino al 1871, studia i composti aromatici e le ammine. Dal 1866 al 1868 ricopre l'incarico di rettore della Università di Palermo[1]. Nel 1871 ottiene una cattedra di chimica all'Università di Roma e diventa senatore per i suoi meriti scientifici; del Senato diventa vicepresidente. In seguito, come senatore e come membro del Consiglio per la pubblica istruzione rende importanti servigi alla causa dell'educazione scientifica in Italia.

Fu tra i fondatori, nel 1870, della rivista scientifica Gazzetta Chimica Italiana. Nel 1891 vinse la Medaglia Copley per i suoi lavori scientifici.

Il cratere Cannizzaro, sulla Luna, è stato così battezzato in suo onore. La frazione Cannizzaro nel comune di Aci Castello prende il nome dalla omonima e facoltosa famiglia locale, che nella prima metà del Settecento acquistò in feudo gran parte dell'attuale territorio.

La regola di Cannizzaro detta anche regola degli atomi, è il metodo per calcolare il peso atomico di un elemento.

La regola afferma che: "le varie quantità in pesi diversi l'uno dall'altro di uno stesso elemento, contenute nelle molecole di sostanze diverse, sono tutte multipli interi di una stessa quantità, la quale deve ritenersi il peso atomico dell'elemento". Scegliendo quindi la più piccola quantità in peso di ogni elemento contenuta nei pesi molecolari dei vari composti, fu possibile ottenere i pesi atomici relativi di quasi tutti gli elementi conosciuti.

Illustrazione della regola

Composto Peso molecolare Massa di ciascun elemento contenuta in una massa pari al peso molecolare Formula
C H Cl
Metano 16 12 4 - CH4
Etano 30 24 6 - C2H6
Benzene 78 72 6 - C6H6
Cloroformio 119,5 12 1 106,5 CHCl3
Cloruro di etile 64,5 24 5 35,5 C2H5Cl
Tetracloruro di carbonio 154 12 - 142 CCl4
Peso atomico degli elementi 12 1 35,5
  Portale Chimica: il portale della scienza della composizione, delle proprietà e delle trasformazioni della materia