Endecasillabo

verso di undici sillabe
Versione del 17 gen 2007 alle 15:11 di .mau. (discussione | contributi) (La cesura: prosa e typos)

Cenni generali

Nella metrica italiana, l'endecasillabo è il verso nel quale l'accento principale si trova sulla decima sillaba metrica.

Salvo la sesta e/o la quarta sede (qui evidenziati in giallo e arancione) che sono obbligatori, gli altri accenti variano molto: tra i versi della poesia italiana, è quello in cui le sedi degli accenti sono più varie.
Per questa sua duttilità l'endecasillabo è stato a lungo il verso prediletto dei poeti italiani, nonché il più utilizzato.

Endecasillabi piani tronchi e sdruccioli

È bene chiarire subito che la nota distintiva dell'endecasillabo non è il numero effettivo di sillabe (Come appare chiaro dagli esempi seguenti), bensì il fatto che in tutti i casi l' ultimo accento del verso cade sulla decima sillaba (qui in verde).

  • Nella sua forma piana esso è costituito da undici sillabe metriche
«Nel mezzo del cammin di nostra vita»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
Nel Mez zo del cam min di no stra vi ta .
  • In quella tronca da dieci
«Ciò che 'n grembo a Benaco star non può»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
Ciò che'n grem bo a Be na co star non può . .
  • in quella sdrucciola da dodici.
«Ergasto mio, perché solingo e tacito»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
Er gas to mio per ché so lin go e ta ci to

Endecasillabi "estremi"

Gli endecasillabi più comuni sono gli endecasillabi piani, seguiti da quelli in uscita tronca e sdrucciola. I casi di endecasillabi maggiori di dodici sillabe sono assai rari, dovuti in genere allo sperimentalismo della poesia burlesco/ parodistica.

  • la forma bisdrucciola sarebbe composta da tredici sillabe.

Un endecasillabo bisdrucciolo Suonerebbe così:

«Se cadrò comattendo, amico, vendicami!»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12) (Sill 13)
se ca dro com bat te ndo a mi co ven di ca mi
  • In cui l' accento cada sulla sestultima ne avrà quindici .
«Ottima è l'acqua; ma le piante abbeverinosene»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12) (Sill 13) (Sill 14) (Sill 15)
ot ti ma è l'ac qua ma le pian te ab be ve ri no se ne


  • Nel caso limite in cui l' accento cada sulla settultima ne avrà sedici .
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12) (Sill 13) (Sill 14) (Sill 15) (Sill 16)
sot to la pen na ov ve ro sta lag mi ti fi ca no mi si


«Sì crudo e` il gelo che le rime sdrucciolanosene

Tremando, e in fondo al verso rincantucciolanosene;
Le gocciole d'inchiostro stalattitificanomisi
Sotto la penna, ovvero stalagmitificanomisi.»

Il caso dell'endecasillabo con accento sulla settultima è comunemente considerato il caso limite.


Storicamente ha tratto origine dal decasyllabe provenzale ed è l'equivalente del decasyllabe francese.

Endecasillabi "a maiore" e "a minore"

Per i motivi spiegati prima e formalizzati già da Pietro Bembo, l' endecasillabo "canonico" prevede un accento secondario sulla quarta o sulla sesta sede; come già spiegato nel primo caso l'endecasillabo si definisce a minori (ed il primo emistichio equivale ad un quinario), nel secondo caso si definisce a maiori (ed il primo emistichio equivale ad un settenario).

La definizione degli accenti di un verso è spesso un concetto soggettivo; un verso puo' anche avere più accentazioni diverse a seconda della lettura che si vuol dare; di regola si tende a considerare atone le particelle più piccole come i pronomi, preposizioni, articoli e congiunzioni, quando non siano in posizione evidentemente marcata.

 
Pietro Bembo, uno dei primi teorici della metrica italiana in un ritratto di Tiziano.

Un esempio di endecasillabo a maiore:

«La gloria di Colui che tutto move»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
la glo ria di Co lui che tut to mo ve

Un esempio di endecasillabo a minore:

«Mi ritrovai per una selva oscura»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
mi ri tro vai per u na sel va os cu ra

Questa versatilità rende l'endecasillabo uno dei versi principe della metrica italiana.

Tipi di endecasillabi "a maiori"

Nell’endecasillabo "a majori" generalmente è tonica almeno una sillaba prima della sesta, (tipicamente la 1a, la 2a o la 3a).


Molto più raro il caso in cui non ci siano accenti rilevanti prima della sesta sillaba come in questo caso:

«de la trasfigurata mia persona .»

Più raro ancora il caso in cui da un accento sulla prima si va subito all'accento sulla sesta:

«Sgombrimisi del petto ogni altra voglia.»

Tipi di endecasillabi "a minori"

L'endecasillabo a minori ha principalmente due tipi di accentazione rilevanti:

L' endecasillabo con accento sull'ottava, più comune:

«Non perciò d'ira al flagellar rovente»

Schema: 4a-8a-10a

«che 'l gran sepolcro liberò di Cristo»

Schema: 4a-8a-10a


L'endecasillabo a minori "di settima", piu' raro:

«ch’io mi sia tardi al soccorso levata,»

Schema:4a-7a-10a

«l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.»

Schema:4a-7a-10a

Nota: Pietro G. Beltrami vede una differenza di stile tra l'endecasillabo "'a minori'" di tipo 4a-7a-10a e quello "'a minori'" di tipo 4a-8a-10a.

Essendo quest'ultimo il più frequente nella storia della poesia italiana, il suo utilizzo non ha alcun tipo di connotazione stilistica particolare, mentre l'endecasillabo "'a minori'" di tipo 4a-7a-10a, molto meno usato rispetto all'altro, in Petrarca e nei petrarchisti è sentito come verso più “discorsivo”.

Computo delle sillabe

L' endecasillabo in realtà nasce dall' unione di un quinario ed un settenario; è quindi possibile dividerlo in due parti.
Quando un endecasillabo comincia con l'accentazione un settenario è detto "a majori" (perché appunto inizia col verso più grande) Quando invece inizia con l'accentazione di un quinario è detto "a minori" (vedi sezione seguente); questo appare chiaro guardando l'esempio:

«che nel pensier rinova la paura»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 . Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
che nel pen sier . ri no va la pa u ra
1 2 3 4 . 1 2 3 4 5 6 7 .

(questo tipo di "divisione" netta in due parti è detto Cesura Maschile (vedi apposito paragrafo). in questo caso la prima parte equivale ad un quinario tronco


Un po' piu' complessa è quest'altra situazione:

«sembiava carca ne la sua magrezza»
 
Dante Alighieri, col suo "De Vulgari Eloquentia" scrisse uno dei primi trattati di metrica italiana.
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 . Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
sem bia va car . ca nel la sua ma grez za
1 2 3 4 . 1 2 3 4 5 6 7 .

dove la sillaba atona "in eccesso" del quinario (la sillaba "ca" di "càr-ca") va contata nel computo del settenario seguente.

Analogo discorso va fatto per quei versi dove il settenario viene per primo:


«Questi la caccerà per ogne villa,»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 . Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
ques ti la cac ce . per o gne vil la
1 2 3 4 5 6 . 1 2 3 4 5 .


«Temp'era dal principio del mattino»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 . Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
temp e ra dal prin ci . pio del mat ti no
1 2 3 4 5 6 . 1 2 3 4 5 .

Anche in questo caso, la sillaba atona "pio" di "prin-ci-pio", va contata come parte del secondo emistichio.


Questa regola vale per tutti gli endecasillabi1. Quelli che non rispettano questo tipo di divisione (non sono formati cioè da un settenario ed un quinario insieme) sono detti endecasillabi non canonici e percio' ne viene deprecato l' uso (almeno dai poeti più classici).

1 Gli endecasillabi epici, gli unici per cui non vale questa regola, costituiscono un caso a parte (vedi sezione apposita).


La cesura

Il punto che separa i due emistichi si definisce cesura (dal latino caedo = taglio). Se la cesura è particolarmente forte spezza il verso in due parti, ma mai una parola a metà.

Tutti gli endecasillabi hanno una cesura, che può essere o no fatta sentire durante la declamazione del verso. Esistono vari tipi di cesura:

  • Si ha una cesura maschile quando cade dopo un verso tronco:
«Le donne i cavalier, l'arme gli amori»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 . Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
Le don ne i ca va lier . l'ar me gli a mo ri

l'incontro di due accenti consecutivi (cavalièr àrme) è possibile soltanto in presenza di cesura, che rende infatti obbligatoria una breve pausa.

  • La cesura femminile o italiana si verifica nel caso in cui l'accento cada su una parola piana. Dato che la cesura non tronca mai una parola, viene spostata alla fine della parola stessa:
«fu stabilita per lo loco santo»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 - Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
fu sta bi li ta - per lo lo co san to


  • La cesura lirica si ha quando la terza sillaba è tonica e la quarta atona:

«che nel lago del cor m'era durata»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 . Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
che nel la go . del cor m'e ra du ra ta

Tuttavia in italiano la cesura non è una regola matematica. È però buona norma sottolineare tale pausa metrica quando è in corrispondenza delle pause sintattiche (identificate dai segni di interpunzione), e quando è utilizzata volutamente ad hoc per creare un qualche tipo di effetto metrico.

Endecasillabi non comuni

Esistono una serie di endecasillabi "insoliti" che sono considerati canonici pur essendone al limite.

Endecasillabo epico

  • La cesura epica

Un tipo di cesura molto particolare è la cesura epica reintrodotta da Giovanni Pascoli per i suoi endecasillabi epici nell'800 sul calco del decasillabo francese.

File:Giovanni Pascoli.jpg
Giovanni Pascoli reintrodusse la cesura epica per la sua traduzione della Chanson de Roland.

Tale verso, benché rientri in questa categoria, non è propriamente un endecasillabo. La sua forte cesura non permette in nessun caso la sinalefe, ed è caratterizzato da una forte pausa tra il primo e secondo emistichio.

Contrariamente a quanto succede nell'endecasillabo canonico, le ultime sillabe atone del primo emistichio non si contano nel computo del secondo indipendentemente se sia tronco, piano o addirittura sdrucciolo.

Esempio:

«ché pur a retro sempre il guida il suo remo»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 ... ... . Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
ché pur a re tro . sem preil gui dail suo re mo

Di fatto perciò l' endecasillabo epico equivale alla semplice giustapposizione di un quinario e un settenario insieme.

Endecasillabo crescente

Un ultimo tipo di endecasillabo a metà tra il canonico e il non canonico è quello detto "crescente". Questo tipo di metrica, già presente in epoca precedente, è stata resa famosa da Pascoli che ne fa uso in diversi casi e non solo usando l'endecasillabo. Grazie a questo espediente il verso riesce in qualche modo a rientrare nella categoria dei "canonici" pur essendone al limite, come si può vedere in questo caso:

«E non vedeva che a sé stesso il fiato

cerulo, ognuno, e s'ascoltava il gemito
arido, nel silenzio inabitato.
A pini e cerri i pionieri estremi
davan la scure per la lor capanna
e i nuovi aratri, e per la nave e i remi.»

Nonostante il secondo verso sdrucciolo dell'esempio (gemito) sembri apparentemente una rima ipermetra, in fase di lettura diviene una rima perfetta con gli altri due (estremi e Remi) perché l'ultima sillaba "-to" di “gemito” è assorbito per episinalefe dalla a- di “arido” nel secondo verso.

Un altro caso è quello in cui la sillaba atona del verso precedente va a colmare la sillaba mancante nel verso ipometro seguente: questa tecnica è stata ripresa dai crepuscolari, e poi anche da Montale.

Endecasillabi non canonici

Esistono poi una serie di endecasillabi considerati "errati" dai teorici. Non sono ammessi nella poesia classica tutti quei tipi di versi dove non è possibile riconoscere i due emistichi principali del quinario e del settenario; che abbiano cioè sia la quarta che la sesta sede atone. Endecasillabi non canonici si possono trovare nei primi esperimenti di poesia italiana e in alcuni poeti successivi volutamente "stravaganti" (Pietro Aretino ad esempio), ma ne viene generalmente deprecato l'uso.

Un esempio di endecasillabo con la quarta e la sesta atone, accentato sulla seconda e sull'ottava:

«la vipera che Melanesi accampa,»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
la vi pe ra che Me la ne si ac cam pa


Endecasillabi di quinta

Gli endecasillabi di Dante sono quasi tutti canonici. Quelli di Petrarca lo sono tutti. Ciò non toglie che, soprattutto nel Novecento e nella versificazione precedente Petrarca (più di un caso si riscontra anche nella Commedia dantesca), si trovino endecasillabi con entrambe queste posizioni atone. Relativamente comuni, tra gli endecasillabi non canonici, sono i cosiddetti "endecasillabi di quinta", che presentano appunto la quinta sillaba tonica e sia la quarta che la sesta atone. Ecco un esempio di endecasillabo di quinta in Dante

«vestito di novo d'un drappo nero»
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11 (Sill 12)
ve sti to di no vo d'un drap po ne ro

Endecasillabo rolliano

Nel Settecento Paolo Rolli tentò di traspondere l'endecasillabo falecio dalla metrica classica.
Ne uscì un quinario doppio, con uscita sdrucciola nel primo emistichio, e piana nel secondo:

«E ella, veggendolo cotanto saggio.»

Questo tipo di endecasillabo non è considerato canonico, benché abbia l'accento sulla quarta sillaba, ed è detto endecasillabo rolliano.

Forme poetiche in versi endecasillabi

La maggior parte della poesia classica italiana è formata da endecasillabi.

In genere i versi sono riuniti in gruppi (strofe) di un numero pari di versi variamente rimati. Oltre alla terzina (l'unica strofa italiana dispari, per questo in genere ne vengono accoppiate due, come nella costruzione del sonetto, o si ricorre all' uso di un verso "rilevato" per porre fine alla concatenazione di rime che altrimenti sarebbe virtualmente infinita, come nel caso dell'ultimo verso "scempio" che chiude ogni canto della Commedia Dantesca) abbiamo:

Sporadici sono i casi di strofe diverse da quelle qui elencate: in alcuni casi è possibile trovare anche stanze con un numero dispari di versi, tuttavia queste forme sono molto rare nella poesia italiana.

Metrica classica

Nella metrica classica esistono alcune varietà di endecasillabo:

Bibliografia

  • Aldo Menichetti, Metrica italiana, Antenore, Padova 1993 (vedi indice, p. 663) - ISBN 88-8455-073-4
  • G.Beltrami Gli strumenti della poesia, il mulino

Voci correlate

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