Polizeiregiment "Bozen"
Il Polizeiregiment "Bozen" (Reggimento di polizia "Bolzano"), poi SS-Polizeiregiment "Bozen"[1], era un reparto militare della Ordnungspolizei (polizia d'ordinanza) formato da coscritti altoatesini di lingua tedesca, reclutati nell'autunno 1943 in seguito all'occupazione tedesca dell'Alto Adige. È noto principalmente in quanto il suo terzo e ultimo battaglione fu impiegato nella Roma occupata, dove l'11ª compagnia venne colpita dall'attentato di via Rasella compiuto da partigiani gappisti il 23 marzo 1944, riportando 33 caduti e 55 feriti[2]. Per rappresaglia, i tedeschi perpetrarono l'eccidio delle Fosse Ardeatine, alla cui esecuzione i sopravvissuti della compagnia attaccata non parteciparono, nonostante in base alla consuetudine militare germanica spettasse a loro vendicare i commilitoni caduti.
Polizeiregiment "Bozen" (Reggimento di polizia "Bolzano") | |
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Descrizione generale | |
Attiva | 1943-1945 |
Nazione | ![]() |
Servizio | Ordnungspolizei |
Tipo | Reggimento di polizia |
Ruolo | Polizia interna e militare |
Guarnigione/QG | Comando Superiore della Ordnungspolizei a Bolzano |
Reparti dipendenti | |
tre battaglioni di quattro compagnie ciascuno | |
Comandanti | |
Degni di nota | colonnello Alois Menschik (comandante del reggimento); maggiore Hellmuth Dobbrick (comandante del III battaglione); tenente Wolgasth (comandante dell'11ª compagnia) |
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Le caratteristiche del "Bozen" rappresentano uno dei vari aspetti controversi dell'attentato di via Rasella: per questo motivo, nell'ambito delle decennali polemiche sull'argomento, sono state tratteggiate descrizioni del reggimento tra loro notevolmente difformi, in cui la capacità offensiva e il grado di adesione al nazismo dei suoi uomini sono enfatizzati[3] o al contrario minimizzati[4][5], rispettivamente per affermare o negare la legittimità morale e l'efficacia militare dell'azione partigiana.
Contesto storico
Dopo l'annuncio dell'armistizio italiano dell'8 settembre 1943, i tedeschi dettero avvio all'invasione dell'Italia. Sin dal 10 settembre le province di Bolzano (Alto Adige), Trento e Belluno furono sottoposte al diretto controllo del Terzo Reich venendo incluse nella Zona d'operazioni delle Prealpi (in tedesco Operationszone Alpenvorland – OZAV), territorio sul quale la Repubblica Sociale Italiana – entità statuale satellite della Germania – era titolare di una sovranità puramente formale.
Allo scopo di procedere con la creazione di unità militari, fu istituito a Bolzano l'Ufficio Centrale di Reclutamento, una commissione mista composta da membri dell'amministrazione civile, della Wehrmacht e delle SS, con il compito di sondare la disponibilità della popolazione a servire in armi il Terzo Reich. In un primo momento, l'attenzione delle autorità germaniche era limitata agli Optanten, cioè quegli altoatesini che, in base al sistema delle opzioni di cittadinanza risalente a un accordo italo-tedesco del 1939, avevano optato per la cittadinanza tedesca[6]. In seguito, visti gli scarsi risultati, il commissario supremo dell'Alpenvorland Franz Hofer, Gauleiter del Tirolo-Vorarlberg, emanò delle direttive che stabilirono i criteri per l'arruolamento coattivo della popolazione maschile della regione senza riguardo all'appartenenza etnica: la direttiva n. 30 del 6 novembre 1943 dichiarava che «per raggiungere la vittoria finale per una nuova Europa è necessario l'impiego totale di tutte le forze»[7]. In base a tale disposizione, tutti gli appartenenti alle classi 1924 e 1925 furono chiamati dalle autorità naziste ad assolvere il servizio di guerra nell'Organizzazione Todt, nel SOD (Servizio di Sicurezza e Ordine della Provincia di Bolzano), nel CST (Corpo di sicurezza trentino), nei Polizeiregimenter, nei corpi delle SS e nella Wehrmacht; mentre l'arruolamento in formazioni militari della Repubblica Sociale Italiana, pur formalmente previsto, venne ostacolato in tutti i modi[6].
La successiva ordinanza n. 41 del 7 gennaio 1944 specificava che «tutti i cittadini di sesso maschile delle classi dal 1894 al 1926 incluso, che hanno la residenza nel territorio della Zona di Operazioni delle Prealpi oppure vi risiedono non solo transitoriamente, sono obbligati alla prestazione del servizio di guerra»[8]. Il precedente regime delle opzioni fu quindi travolto, venendo obbligati all'arruolamento tutti gli uomini appartenenti alle classi di leva indicate, di lingua italiana o tedesca che fossero, compresi coloro che a suo tempo avevano optato per l'Italia anziché per la Germania, i cosiddetti Dableiber, i quali furono tacciati di tradimento, sottoposti a vessazioni e angherie, e in molti casi inviati al fronte orientale[9].
La chiamata al servizio di guerra nell'Alpenvorland è stata definita da qualche autore come un vero e proprio «rastrellamento di sudtirolesi» nelle vallate, dovuto alla nota volontà dei tedeschi di impiegare tutte le risorse umane disponibili, tanto da arrivare a schierare nelle ultime fasi del conflitto anche i giovanissimi della Hitlerjugend e gli anziani del Volkssturm. Per la maggior parte, gli arruolati erano contadini, artigiani, pastori e mugnai, molti dei quali montanari. Ricevettero una cartolina indirizzata «All'obbligato al servizio di guerra»[10], che lapidariamente enunciava: «Vi viene dato l'ordine di presentarVi in base all'ordinanza del commissario supremo»[11]. Chi avesse tentato di rifugiarsi in montagna per sottrarsi all'arruolamento avrebbe rischiato la condanna a morte, nonché la persecuzione dei propri cari, come minacciava un manifesto in lingua italiana del gennaio 1944:
L'arruolamento forzato dei Dableiber e l'estensione nei loro confronti delle sanzioni per i renitenti costituiva violazione di almeno tre articoli della Convenzione dell'Aia del 1899, sottoscritta e mai abrogata dalla Germania:
- Art. 44: «È proibito forzare la popolazione di un territorio occupato a prendere parte alle operazioni militari contro il proprio paese»
- Art. 45: «È proibito costringere la popolazione di un territorio occupato a prestar giuramento alla potenza nemica»
- Art. 46: «L'onore e i diritti della famiglia, la vita degli individui e la proprietà privata, al pari delle convinzioni religiose e dell'esercizio dei culti, devono essere rispettati»[13]
Solo in provincia di Belluno questo tentativo di coscrizione obbligatoria fallì e – malgrado il rischio di condanne a morte e di ritorsioni sui famigliari – la gran parte dei giovani aderì con diverse modalità al movimento di liberazione, che in zona era già bene organizzato e operava anche per sabotare in vario modo il reclutamento da parte degli occupanti. A Trento e a Bolzano si registrarono invece solo sporadiche defezioni da queste milizie naziste costituite con giovani del posto, tuttavia non mancarono casi di diserzione e di partecipazione a forme di resistenza, specie quando fu chiaro che queste truppe venivano impiegate in azioni antipartigiane e di ritorsione sui civili, dentro e fuori il territorio dell'Alpenvorland. Per tutelare le loro famiglie, i disertori in genere dissimulavano la fuga, ad esempio inscenando in pubblico un arresto da parte di bande partigiane[14].
Costituzione
Un primo nucleo del reggimento fu costituito nell'ottobre 1943, sotto le direttive del colonnello Alois Menschick, con il nome di Polizeiregiment "Südtirol", successivamente cambiato in "Bozen" (il 29 ottobre[15] o nel corso di novembre[16][6]). Entro la fine del mese di ottobre raggiunse le 2000 unità venendo suddiviso in quattro battaglioni, poi ridotti a tre (il quarto, costituito nell'aprile 1944, già nel mese successivo fu scorporato dal "Bozen" per costituire il primo nucleo del Polizeiregiment "Alpenvorland"[17]), dei quali solo il terzo svolse il proprio servizio fuori dalla zona d'operazioni delle Prealpi[6]. Il Bozen venne affiancato da altri Südtiroler Rgter (reggimenti sudtirolesi, senza numero e col solo nome tedesco basato su riferimento geografico): Alpenvorland (Prealpi), "Schlandern" (Silandro) e "Brixen" (Bressanone)[18].
Durante la sua operatività tra le sue file vi fu temporaneamente anche personale spagnolo, proveniente dalla 24.Waffen-Gebirgs-Karstjäger-Division der SS. Il reparto prese il prefisso "SS" e quindi la denominazione di SS-Polizeiregiment Bozen il 16 aprile 1944.[19][20] L'aggiunta "SS" però era solamente formale, ed il reparto restò nei ranghi della polizia, senza transitare alle Waffen-SS.[21]
All'unità venne fornita una dotazione di mezzi blindati italiani catturati, come autoblindo AB41 e Lancia 1ZM[22].
Al reggimento venne aggregata dall'aprile al maggio 1945 una compagnia della Indische Freiwilligen Legion der Waffen-SS.
Gli uomini, inizialmente circa duemila optanti delle classi 1900-1912,[23] furono addestrati fino al febbraio 1944 prima di essere inviati in zona di operazioni. L'idea originaria di costituire un reggimento integralmente con volontari fu abbandonata a causa della scarsità degli stessi, e si procedette alla leva delle classi citate prima. [24] Al febbraio 1944 le dotazioni organiche del reggimento consistevano in 2357 uomini.
Impiego operativo
I battaglione
Il I battaglione fu inviato nel marzo 1944 in Istria, affiancando le truppe tedesche in operazioni antipartigiane, accerchiamenti e rastrellamenti, oltre a sorvegliare le linee ferroviarie e di trasporto per garantire i rifornimenti. L'arretramento del fronte balcanico lo costrinse in un primo momento a trasferirsi a Gorizia con gli stessi compiti, per poi ritirarsi fino al passo del Predil (oggi presso il confine italo-sloveno) nel vano tentativo di frenare l'avanzata dell'VIII Armata britannica, alla quale nella successiva ritirata si arrese a Törl-Maglern, in Carinzia, nel maggio 1945[25]. I prigionieri furono inviati in un campo di raccolta a Kötschach-Mauthen, da dove alcuni di loro riuscirono a fuggire per tornare in Alto Adige attraverso la Gailtal. Furono quindi trasferiti prima ad Udine e poi a Rimini-Bellaria, sorvegliati in modo più ferreo da guardie neozelandesi e polacche. Coloro che avevano eluso la sorveglianza ed erano tornati alle proprie case, essendo sprovvisti del foglio di congedo regolare, dovettero presentarsi presso la Caserma "Vittorio Veneto" di Bolzano, dove in breve tempo furono concentrati molti ex appartenenti ai corpi di polizia altoatesini, sottoposti a una sorveglianza piuttosto blanda. Tuttavia, in seguito i prigionieri furono per la maggior parte trasferiti presso il campo di Rimini e poi a Taranto, venendo rilasciati nel settembre 1946[6].
II battaglione
Il secondo battaglione fu impiegato in operazioni di controguerriglia tra il marzo e il novembre 1944. Schierato in Veneto, per lo più in provincia di Belluno, prese parte ad operazioni antipartigiane, in particolare nel valle del Biois nell'agosto 1944 e sul monte Grappa nel settembre successivo. All'operazione nella valle del Biois presero parte oltre al II Battaglione anche unità delle Waffen-SS; furono uccisi 44 civili e distrutte 245 abitazioni. In un processo celebrato a Bologna nel 1979 i principali responsabili furono condannati all'ergastolo.[26]
Il battaglione si arrese ai partigiani a Cencenighe Agordino; i prigionieri furono consegnati agli americani e subirono la stessa sorte di quelli del primo battaglione.[27]
III battaglione
Il terzo battaglione giunse a Roma il 19 febbraio 1944. Teoricamente alle dipendenze del comandante delle SS e della polizia in Italia, generale Karl Wolff, nell'assolvimento dei compiti di sorveglianza a Roma seguiva le direttive del comandante militare della piazza, il generale della Luftwaffe Kurt Mälzer[28][29].
Il 23 marzo fu oggetto dell'attentato di via Rasella. Nel giugno dello stesso anno, con il ritiro delle truppe tedesche da Roma, il battaglione fu trasferito in Italia settentrionale, dapprima a Lecco, poi in Piemonte. Nel novembre 1944 era operativo a Bologna. Dalla fine del 1944 al maggio 1945 fu operativo in Trentino ed in Cadore. Negli ultimi giorni di guerra si arrese ai partigiani.[30]
Secondo Lorenzo Baratter il Bozen "aveva una consistenza di circa 2000 uomini. Il primo battaglione si distinse per la repressione della resistenza. Tra i partecipanti al massacro del Biois, in Cadore, con vittime anche fra i civili, c'erano anche uomini del Bozen. Il terzo battaglione del Polizeiregiment Bozen fu inviato a Roma il 12 febbraio 1944. Non si trattava di riservisti, ma di uomini perfettamente addestrati"[31].
Nel febbraio 1946, la delegazione italiana presso la Conferenza di Pace di Parigi presentò un memoriale[32], in cui circa il "Bozen" era scritto: «Unità di questo reggimento furono impiegate anche a Roma nei famosi rastrellamenti che ebbero luogo durante l'inverno 1943-44», in riferimento al celebre rastrellamento del ghetto di Roma dell'ottobre 1943, che portò alla deportazione di un migliaio di ebrei romani nei campi di sterminio. Tuttavia, in quei giorni gli uomini del "Bozen" si trovavano a mille chilometri di distanza, essendo appena iniziato il loro addestramento nella caserma di Gries. Lo storico Carlo Gentile ha individuato come possibile causa dell'errore la partecipazione al rastrellamento di unità che condividevano con il "Bozen" la denominazione di "Polizeiregiment", gli SS-Polizeiregimenter 12, 15 e 20, provenienti dalla Germania e dai territori orientali occupati, i quali non erano legati in alcun modo al "Bozen": l'ultimo dei tre era stato formato a Praga ed era composto da SS addestrate a Dębica. Nel dopoguerra l'errore dell'attribuzione al "Bozen" del rastrellamento è stato poi ripetuto da vari storici, che hanno citato la relazione diplomatica senza accertarne la veridicità[33].
L'11ª compagnia del terzo battaglione era infatti in addestramento fino al mese precedente[34] o ancora in addestramento[35], e si trovava a Roma nel suo primo impiego operativo.
La mancata partecipazione alla rappresaglia
Sebbene la consuetudine di guerra tedesca prevedeva che fosse il reparto colpito a dover eseguire la rappresaglia, in modo che i caduti fossero vendicati dai loro stessi camerati, gli uomini del "Bozen" non parteciparono all'eccidio delle Fosse Ardeatine. Secondo la sentenza emessa nel 1948 nell'ambito del processo al tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, intorno alle ore 12 del 24 marzo, mentre Kappler si trovava a colloquio con il generale Mälzer nell'ufficio di quest'ultimo, sopraggiunse il comandante del III battaglione, maggiore Hellmuth Dobbrick, convocato qualche ora prima. Dopo che Kappler presentò a Mälzer la lista con una parte dei nominativi dei prigionieri da fucilare, il generale si rivolse a Dobbrick affidandogli il compito di far eseguire la rappresaglia ai suoi uomini. Secondo le deposizioni di Kappler, Dobbrick «insistette che non poteva aspettarsi che i suoi uomini, che erano di sentimenti religiosi, avessero potuto procedere all'esecuzione nel breve tempo a disposizione», dichiarando: «I miei uomini sono anziani. In parte sono molto religiosi, in parte pieni di superstizione e vengono da remote provincie delle Alpi»; in breve, «Dobbrick mise avanti la questione che i suoi uomini non erano addestrati alle armi e che erano anche di età avanzata»[36]. Per questo, due giorni dopo Kappler protestò contro Dobbrick presso il generale Karl Wolff, comandante delle SS e della polizia in Italia. A causa delle difficoltà opposte da Dobbrick, Mälzer telefonò al comando della 14ª Armata e parlò con il colonnello Wolfgang Hauser affinché gli fornisse un reparto per l'esecuzione, ma l'ufficiale rispose testualmente: «la polizia è stata colpita, la polizia deve fare espiare». Solo a questo punto Mälzer ordinò a Kappler di provvedere personalmente alle fucilazioni[37][38].
Nel corso del processo al capitano delle SS Erich Priebke, subordinato di Kappler e organizzatore dell'eccidio, il rifiuto di Dobbrick di far eseguire la rappresaglia ai suoi uomini, insieme al successivo «autentico rimbalzo di responsabilità che si verificò tra i vari Comandi militari tedeschi», è stato utilizzato come argomento per dimostrare l'esistenza della possibilità di non obbedire all'ordine, in modo da smontare la linea difensiva dell'accusato, mirante a invocare lo stato di necessità sostenendo che fosse impossibile sottrarsi a un comando che veniva direttamente da Hitler, pena la propria condanna a morte. Secondo i giudici «gli imputati, per loro stessa ammissione, hanno ottemperato all'ordine di partecipare all'eccidio delle Cave Ardeatine non perché convinti della sua legittimità, ovvero perché non consapevoli della sua manifesta criminosità, ma solo perché preferirono anteporre il proprio personale interesse all'esecuzione di centinaia di innocenti»[39][40][41].
È stato ipotizzato che dietro il rifiuto di eseguire la rappresaglia vi fosse la volontà del Gauleiter Franz Hofer di evitare che i «suoi uomini sudtirolesi» si macchiassero di un crimine tale da aggravare le sue responsabilità, compromettendo le sue speranze di conservare il governo della regione in seguito a una futura trattativa di pace con gli Alleati[42]. Hofer credeva infatti di poter sopravvivere politicamente alla sconfitta della Germania nazista, creando con il favore degli Alleati – con i quali era in contatto tramite il colonnello delle SS Eugen Dollmann – una repubblica tirolese indipendente che avrebbe messo fine alle pretese austriache e italiane sulla regione e sarebbe servita agli americani come baluardo verso l'Est[43].
Vicende successive
Sulla denuncia, Katz scrive che si fermò senza conseguenze per Dobbrik sulla scrivania di Wolff e che anzi: «Dobbrik rimase al suo posto, trasferendo poi le sue due restanti compagnie del suo terzo battaglione nell'Italia del Nord, dove continuarono le attività antipartigiane, compiendo oltre che operazioni militari, anche atrocità contro i civili»[44].
Secondo lo storico tedesco Joachim Staron i giudizi espressi da Katz si baserebbero sul saggio della giornalista Elisabeth Wiskmann The Rome-Berlin Axis. A Study of the Relations between Hitler and Mussolini, pubblicato a Londra nel 1966, che a pagina 390 parla genericamente di "crudeltà" senza addurre né motivazioni né prove.[45]
Caratteristiche
Relazione con le SS
Il Polizeiregiment "Bozen" era un reparto della Ordnungspolizei (polizia d'ordinanza)[46], subordinata come tutte le forze di polizia del Reich al comando delle SS sin dal 17 giugno 1936, allorché Heinrich Himmler, già capo delle SS, fu nominato anche capo della polizia, suddivisa in Ordnungspolizei (al comando di Kurt Daluege) e Sicherheitspolizei (servizi speciali, al comando di Reinhard Heydrich)[47].
Generalmente trascurato dalla storiografia sull'attentato di via Rasella, per anni il "Bozen" è stato oggetto di descrizioni inesatte e contraddittorie, venendo erroneamente identificato come un reparto di SS formato da volontari, tanto che la frase «Transitava per via Rasella un plotone di SS» è stata – come ha notato lo storico Lorenzo Baratter, autore di numerosi studi sui reggimenti di polizia altoatesini – «ricopiata dal 1944 ad oggi con la stessa, sorprendente, caparbietà degli antichi amanuensi»[48]. Nel comunicato con cui il Comitato di Liberazione Nazionale denunciò l'eccidio delle Fosse Ardeatine era scritto che a via Rasella il nemico «aveva perso trentadue dei suoi SS»[49]. Il giornalista americano Robert Katz ha descritto il reparto come un «battaglione SS» composto da optanti per la Germania che, «di fronte all'obbligo del servizio militare, avevano compiuto l'ulteriore scelta di arruolarsi nelle SS piuttosto che nella Wehrmacht»[50]. Da uno dei lavori di Katz, Morte a Roma (prima edizione 1967), è stata tratta la sceneggiatura del film Rappresaglia (1973) di George Pan Cosmatos, nel quale gli uomini del "Bozen" sono rappresentati come SS, in divisa grigia con le tipiche mostrine con la doppia S dell'alfabeto runico.
Giorgio Amendola e Mario Alicata, comandanti dei GAP a Roma, non hanno mai parlato di SS nei loro scritti, definendo l'obiettivo dell'attentato "polizia tedesca", "plotone di gendarmi"[51] o "reparto di gendarmeria tedesca"[52]. Rosario Bentivegna, nel suo libro Achtung Banditen!, edito per la prima volta nel 1983, non specifica il corpo di appartenenza dei militari attaccati, scrivendo che «venivano su, verdi nelle loro divise come ramarri»[53][54], laddove l'uniforme di servizio delle SS era di colore grigio, mentre le divise verdi erano caratteristiche della polizia d'ordinanza, nota infatti colloquialmente come Grüne Polizei (polizia verde)[55]. In un'intervista realizzata nel 1994 nell'ambito di un'inchiesta su via Rasella[56], rispondendo all'osservazione dell'intervistatore «si è insistito molte volte, ed anche Lei lo ha affermato in questa sede, che i Tedeschi uccisi in Via Rasella fossero delle SS, invece non è vero», Bentivegna ha dichiarato:
Anche Carla Capponi ha parlato di «SS di Bolzano, gruppi speciali»[58]. Nel corso della stessa inchiesta, il reduce del reggimento Arthur Atz, interrogato su quale fosse il suo corpo di appartenenza, ha risposto: «Polizia tedesca. Polizia. [...] Non abbiamo fatto parte delle SS, quella era una pura bugia che hanno detto, eravamo sempre poliziotti, mai delle SS, credevano soltanto loro che eravamo delle SS»[59]. Sulla questione, lo storico Giorgio Angelozzi Gariboldi ha invece affermato: «La definizione che fossero SS è incongrua... perché non avevano la divisa grigia delle SS, una divisa con le mostrine delle SS nel bavero, ma una divisa verde vivace [...] questi del Bozen con le SS non avevano nulla a che fare»[60].
Esaminando i documenti personali e le uniformi degli uomini del "Bozen", vari autori ne hanno confutato l'appartenenza alle SS. Hermann Frass ha scritto: «Non si parlava assolutamente di SS, nemmeno sul libro paga, che era redatto dal comando del reggimento e che riportava il suo sigillo di servizio. Né sull'uniforme, né sull'elmetto, né sul cinturone compariva il simbolo delle SS. Gli ufficiali venivano chiamati con le definizioni di rango della Wehrmacht e non con quelle delle SS»[61]. Lorenzo Baratter ha rilevato l'assenza del distintivo delle SS sulle divise, mentre ha definito «del tutto formale» l'uso di libretti personali con il logo delle SS, esteso dal 1944 a tutti i reparti di polizia e loro ausiliari. Lo stesso autore ha fatto notare che tra l'Ordnungspolizei e le SS potevano esistere relazioni funzionali – ad esempio, per gli ufficiali subalterni e superiori il grado ricoperto valeva in entrambi i corpi, mentre i generali avevano un doppio grado assegnato automaticamente a partire dal 1942-43 – ma tra l'appartenere all'uno o all'altro corpo vi era una differenza sostanziale, dimostrata dal fatto che, mentre la SS fu dichiarata «organizzazione criminale» dal Tribunale Internazionale di Norimberga, i componenti dell'Ordnungspolizei poterono rimanere in servizio anche nel dopoguerra[62].
Il prefisso "SS-" associato alla denominazione del reggimento derivava da un provvedimento di Himmler del 24 febbraio 1943, con il quale fu disposto che tutti i reggimenti di polizia – in segno di riconoscimento per il loro valido impiego sul fronte orientale – fossero rinominati in SS-Polizeiregimenter, senza tuttavia modificarne l'appartenenza alla Ordungspolizei[63]. I reggimenti non furono quindi inquadrati nelle Waffen-SS: in particolare, per le unità sudtirolesi ciò non avvenne grazie al diretto intervento a Berlino del commissario supremo dell'OZAV Franz Hofer[64]. Dal bollettino dei comandanti della polizia relativo all'anno 1944 risulta inoltre che il nome del "Bozen" fu cambiato in SS-Polizeiregiment ventiquattro giorni dopo via Rasella, il 16 aprile. Quindi secondo Baratter «A prescindere dalle considerazioni che riguardano l'uso del termine SS associato ai Polizeiregimenter, è dunque dimostrato che il 23 marzo il "Bozen" non apparteneva nemmeno sotto il profilo formale alle SS»[65]. Anche nel caso del Polizeiregiment "Alpenvorland" il provvedimento fu applicato con molto ritardo, il 29 gennaio 1945, mentre il "Brixen" e lo "Schlanders" nacquero direttamente come SS-Polizeiregimenter[6].
Per la persistenza dell'errore nelle ricostruzioni storiche, Baratter ha incolpato «storici militanti che nel dopoguerra hanno commesso delle strane "sviste", evitando di ammettere che a Via Rasella furono colpiti dei soldati che non appartenevano nemmeno formalmente alle SS, non erano dei volontari e che, per la loro stessa origine, sudtirolese, avevano subito da fascismo e nazismo per almeno vent'anni quello che i partigiani romani nemmeno lontanamente potevano intuire»[66].
Nazionalità
Esistono versioni discordanti su quale fosse l'effettiva nazionalità dei componenti dell'11ª compagnia attaccata a via Rasella. Una parte delle fonti afferma che era formata interamente da uomini che in seguito alle opzioni di cittadinanza avevano deciso per la Germania (Optanten). Secondo Robert Katz erano uomini che «al tempo dell'unione con la Germania, avevano scelto la cittadinanza tedesca»[50]. La Corte suprema di cassazione, all'interno della sentenza di condanna inflitta nel 2007 al quotidiano Il Giornale per diffamazione ai danni dei gappisti, ha dichiarato che «facendo parte dell'esercito tedesco, i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica»[67].
Tuttavia, è storicamente comprovato che le autorità tedesche dell'Alpenvorland, dopo un primo insoddisfacente tentativo di limitare l'arruolamento agli optanti per la Germania volontari[68][6], effettuarono varie chiamate di leva obbligatoria – minacciando severe pene per i renitenti – rivolte a fasce della popolazione maschile sempre più ampie, fino a includere tutti gli abitanti della regione, compresi quindi coloro che avevano optato per l'Italia (Dableiber)[69]. In questo quadro altre fonti delineano una situazione più complessa. Secondo Michael Wedekind nel reggimento "Bozen", il primo reparto di polizia sudtirolese formato, militavano «perlopiù politicamente affidabili Optanten»[70], mentre i reggimenti costituiti in seguito – l'"Alpenvorland", lo "Schlanders" e il "Brixen" – erano composti prevalentemente da Dableiber[71]. Lutz Klinkhammer afferma che i militari del "Bozen" in servizio a Roma erano «in parte Optanten, ma perlopiù Dableiber [...] costretti, contro ogni norma internazionale, al servizio militare»[72]. In riferimento al contesto in cui fu costituito il reggimento, Alessandro Portelli scrive che «Fino al settembre 1943, sono reclutati solo gli "optanti" [...]. Dopo l'8 settembre, vengono richiamati anche cittadini formalmente italiani, la cui la [sic] volontarietà è poco più che una finzione, ma che comunque preferiscono questo servizio che è meglio pagato e li tiene lontani dal fronte»[73]. Per Claus Gatterer il reggimento era composto per la maggior parte da quei filo-austriaci descritti dal prefetto italiano Mastromattei come animati da sentimenti di «ostilità pregiudiziale e irriducibile contro il nazismo»[6].
Umberto Gandini evidenzia la loro stessa incertezza in merito: «Quelli che persero la vita erano sudtirolesi, quasi tutti già anziani, arruolati per forza appena tre mesi prima, partiti malvolentieri e scaraventati come tanti altri nella bolgia di una guerra non voluta né capita, incerti pure sulla loro cittadinanza al punto che non avrebbero saputo dire con sicurezza se dovevano considerarsi, per la burocrazia, italiani o tedeschi. [...] Avevano tutti documenti d'identità italiani in tasca ma parlavano tedesco; indossavano la divisa della polizia tedesca ma erano stati in precedenza, quasi tutti, soldati italiani»[74]. Le ricerche storiche hanno infatti documentato che, a prescindere dalla cittadinanza acquisita in seguito alle opzioni, coloro che furono inviati a Roma avevano in gran parte già prestato servizio militare nel Regio Esercito italiano, essendo stati molti di loro fanti a Torino, artiglieri di montagna a Merano e a Rovereto, alpini a Brunico, genieri a Casale Monferrato. Johann Kaufmann, caduto nell'attentato, era stato fante a Palermo. Il sopravvissuto Peter Putzer, originario di Varna, era stato artigliere da montagna italiano, compiendo l'addestramento al passo del Tonale con i cannoni austro-ungarici catturati durante la prima guerra mondiale[16]. Arthur Atz, di Caldaro, dichiarò di aver svolto il servizio militare italiano nel 1939 in Sardegna, venendo reclutato nel "Bozen" dopo aver optato per la Germania nel 1943. Le risposte di Atz su quale fosse la nazionalità sua e dei suoi ex commilitoni appaiono confuse, anche a causa del suo italiano stentato:
Nelle polemiche su via Rasella, il fatto che i militari attaccati fossero altoatesini e non propriamente tedeschi è stato uno degli aspetti che hanno maggiormente diviso: i critici dell'azione partigiana, ritenendo i caduti cittadini italiani costretti a indossare quell'uniforme dalle circostanze della guerra, dunque anch'essi vittime dei tedeschi, hanno accusato i gappisti di aver commesso un inutile fratricidio; viceversa, nell'ottica dei partigiani l'essere italiani in divisa tedesca era un'aggravante, come dimostra l'episodio riferito da Pasquale Balsamo della telefonata da lui ricevuta dalla madre di uno dei militari uccisi, intenzionata a difendere la memoria del figlio rivendicandone l'italianità. Alla domanda «Capisce, Balsamo, che mio figlio era italiano?», l'uomo rispose: «Signora, non lo dica a nessuno! Perché sennò è pure alto tradimento! Suo figlio non solo era italiano: vestiva la divisa tedesca, occupava un paese italiano e perseguitava gli italiani in divisa tedesca, quindi era un traditore»[75][9].
Età
"L'età dei caduti del Bozen andava dai 26 ai 42 anni compiuti. La testimonianza di un portinaio raccolta da Raleigh Trevelyan in «Roma '44» secondo cui si trattava di «vecchi, padri di famiglia» è abbastanza forzata"[31] Altre fonti fanno comunque notare che la maggioranza del reggimento proveniva da uomini delle classi 1900-1912,[76] uomini quindi tra i 31 e 43 anni, che vengono definiti proprio "ältere Familienväter".[77]
Commemorazioni e controversie
Dopo la guerra, ogni cinque anni a marzo i reduci del "Bozen" si sono riuniti presso il Santuario di Pietralba, dove tra gli ex voto è custodito un quadretto con i nomi dei caduti di via Rasella[40]. Nel 1981 si svolse al cimitero militare di Bolzano, innazi a una lapide in bronzo dedicata ai militari uccisi, una cerimonia che vide la presenza di circa quattrocento persone, durante la quale fu intonato il canto Ich hatt' einen Kameraden, che in Germania e in Austria accompagna tradizionalmente le esequie con onori militari e le commemorazioni dei caduti, essendo ufficialmente incluso nei cerimoniali delle forze armate. Tra i partecipanti, oltre a rapprestanze di associazioni dei reduci e degli Schützen, vi erano il presidente della provincia autonoma di Bolzano Silvius Magnago, leader della Südtiroler Volkspartei (SVP), e il parlamentare dello stesso partito Karl Mitterdorfer. Nell'annunciare la cerimonia sull'organo di stampa della SVP, l'ex senatore Friedl Volgger definì l'azione partigiana un gesto di «folli fanatici», suscitando dure proteste da parte dell'ANPI[78].
Nel 1984 il quotidiano Dolomiten, principale giornale in lingua tedesca dell'Alto Adige, criticò l'allora presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini per non aver reso omaggio, in occasione delle sue visite a Bolzano, alla lapide posta nel cimitero militare cittadino in memoria dei «sudtirolesi che furono uccisi nel proditorio attentato di via Rasella [...] arruolati e utilizzati semplicemente come corpo di guardia non facendo del male a nessuno»[79]. Pertini replicò domandando al direttore del quotidiano se si fosse «mai recato, nelle sue visite a Roma, alle Fosse Ardeatine, ove sono raccolte le salme di 335 innocenti uccisi dai tedeschi per rappresaglia dell'attentato di via Rasella»[80].
In diverse occasioni a via Rasella sono state apposte senza autorizzazione lapidi in memoria dei caduti del "Bozen", poi rimosse dalla polizia: nel 1996 dal gruppo di estrema destra Movimento Politico[81] e nel 2000 da sconosciuti[82].
Ordine di battaglia
- I/SS-Polizei Regiment Bozen
- II/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Schroder)
- III/SS-Polizei Regiment Bozen (Major Dobbrick)
- Polizei Ersatz Bataillon Bozen (battaglione rimpiazzi)
Comandante: Oberst der Schutzpolizei (colonnello della polizia) Alois Menschik
Aiutante: Hauptmann der Schutzpolizei (capitano di polizia) Ullbrich
Note
- ^ Il prefisso "SS-" fu aggiunto il 16 aprile 1944. Cfr. Baratter 2005, p. 190.
- ^ Subito dopo l'attentato si contarono 32 morti e 56 feriti, essendo incluso tra questi ultimi il soldato Haller, morto la notte stessa a causa delle ferite riportate. Non si è ancora in grado di stabilire se tra i feriti vi furono altri decessi nei mesi successivi. Cfr. Lanzette 2011, p. 34.
- ^ «famigerato battaglione Bozen, specializzato nella repressione di partigiani, più nazista dei nazisti». Cfr. Giorgio Bocca, L'intransigenza maestra di vita, in L'Espresso, 6 novembre 2006.
- ^ «Nemmeno un vero e proprio reparto militare, più comparse che guerrieri». Cfr. Silvio Bertoldi, Ore 15 del 23 marzo 1944: un carrettino da spazzini carico di morte, in Corriere della Sera, 29 giugno 1997.
- ^ «probabilmente la meno nazista delle formazioni tedesche presenti a Roma». Cfr. Sergio Romano, Attentato di via Rasella L'orrore delle rappresaglie, in Corriere della Sera, 11 febbraio 2011.
- ^ a b c d e f g h Il Polizeiregiment "Bozen", da historiamilitaria.it.
- ^ Baratter 2005, p. 187.
- ^ Letteralmente «sind zur Ableistung des Kriegsdienstes verpflichtet». Cfr. Baratter 2005, pp. 187-188.
- ^ a b Baratter 2005, p. 189.
- ^ «An den Kriegsdienstpflichtigen».
- ^ «Sie werden hiermit aufgefordert, sich auf Grund der Verordnung des Obersten Kommissars...».
- ^ Baratter 2005, p. 188.
- ^ Lanzette 2011, p. 23.
- ^ Giuseppe Sittoni, Sudditi fedeli e contro. Durante l'occupazione nazista, Pergine Valsugana (Trento), Publistampa, 2011, ISBN 8890250658, p. 288.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ a b Baratter 2005, p. 186.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ lexikon-der-wehrmacht.de Zur Geschichte der Ordnungspolizei, su lexikon-der-wehrmacht.de. URL consultato il 15 marzo 2014.
- ^ Staron 2002, p. 38.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ http://memoriablau.foros.ws/t367/i-batallonss-polizei-regiment-bozen/ Immagini di blindati e mezzi del reggimento
- ^ Wedekind 2003, p. 328.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ Wedekind 2003, p. 330.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ Goetz 1983, p. 166 ss., cit. in Staron 2002, p. 38.
- ^ Gianni Oliva, L'ombra nera. Le stragi nazifasciste che non ricordiamo più, Mondadori, Milano, 2007, pp. 118-119.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ a b Dino Messina, E i superstiti del battaglione decimato non vollero vendicarsi, in Corriere della Sera, 23 febbraio 2004.
- ^ Intitolato Participation in the war on the side of Germany of Austrians and of German-speaking Alto Atesini (South Tyrolians) after the 8th of September 1943.
- ^ Baratter 2005, p. 193.
- ^ Wedekind 2003, p. 329.
- ^ Staron 2002, p. 38.
- ^ Varie deposizioni di Kappler citate in Portelli 1999, pp. 201-202.
- ^ Sentenza n. 631, del Tribunale Militare Territoriale di Roma, in data 20.07.1948, dal sito del Ministero della Difesa.
- ^ Katz 2003, pp. 280-281.
- ^ Sentenza della Corte Militare di Appello di Roma, in data 07.03.1998, dal sito del Ministero della Difesa.
- ^ a b Scampati alla strage di via Rasella rifiutarono di fucilare gli ostaggi, in La Stampa, 24 marzo 1979.
- ^ Priebke: I superstiti del "Bozen", poteva rifiutarsi come noi, Adnkronos, 28 maggio 1996.
- ^ Lanzette 2011, p. 30.
- ^ Baratter 2005, p. 292.
- ^ Katz 2003, p. 444.
- ^ Staron 2002, p. 38.
- ^ Rapporto della Commissione storica italo-tedesca insediata dai Ministri degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e della Repubblica Federale di Germania il 28 marzo 2009, luglio 2012, pp. 30 e 110.
- ^ Franz Leopold Neumann, Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, Milano, Mondadori, 2004, p. 79.
- ^ Baratter 2005, p. 206.
- ^ Katz 2003, p. 312.
- ^ a b Katz 2003, p. 240.
- ^ Amendola 1973, pp. 291 e 296 ss., cit. in Staron 2002, p. 38, n. 32.
- ^ Lettera di Giorgio Amendola a Leone Cattani sulle vicende di via Rasella.
- ^ Bentivegna 1983, p. 199.
- ^ Anche Portelli 1999, p. 199, scrive: «Non portano l'uniforme grigia delle SS combattenti, ma quella verde ramarro degli addetti ai rastrellamenti».
- ^ Si veda il lemma "Grüne Polizei" del glossario in Werner Warmbrunn, The Dutch under German Occupation, 1940-1945, Stanford University Press, 1963, p. 313.
- ^ Realizzata dal regista Enzo Cicchino e andata in onda per il programma della Rai Mixer di Giovanni Minoli.
- ^ Adattamento ed elaborazione dell'intervista originale a Rosario Bentivegna
- ^ Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale a Carla Capponi.
- ^ a b Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale ad Arthur Atz.
- ^ Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale a Giorgio Angelozzi Gariboldi.
- ^ Hermann Frass, Das Drama der 11. Kompanie in Rom vor dreissig Jahren, in «Südtirol in Wort und Bild», 18 (1974), Heft 3, in Baratter 2005, p. 189.
- ^ Baratter 2005, pp. 189-190.
- ^ «Mit Erlaß des RFSS und Chef des Deutschen Polizei vom 24.Februar 1943 erhielten die Pol.-Rgter, auf Grund der engen Verbindung von Polizei und SS und in Anerkennung ihres Einsatzes an der Ostfront in Krisenzeiten die Bezeichnung "SS-Polizei-Regimenter", blieben aber unverändert Bestandteil der Ordnungspolizei». Traduzione: «Con provvedimento adottato da parte del RFSS e Capo della polizia tedesca [Himmler] il 24 febbraio 1943 i Polizei-Rgter [reggimenti di polizia], in virtù della stretta connessione tra la polizia e le SS e in riconoscimento del loro impiego sul fronte orientale in tempi di crisi, hanno ricevuto l'appellativo "SS-Polizei-Regimenter", ma è rimasta invariata la loro appartenenza alla Ordnungspolizei». Cfr. Zur Geschichte der Ordnungspolizei, lexikon-der-wehrmacht.de.
- ^ Lanzette 2011, p. 25.
- ^ Baratter 2005, p. 190.
- ^ Nicola Spagnolli, Le guerre mondiali viste dalle Dolomiti. Incontro con lo storico Lorenzo Baratter, in Il Popolo Veneto, 26 febbraio 2006.
- ^ Nel 1996 Il Giornale aveva invece scritto, tra altre affermazioni giudicate diffamatorie, che era formato interamente da cittadini italiani. Cfr. Corte di cassazione, Sezione III civile, Sentenza 6 agosto 2007, n. 17172.
- ^ Wedekind 2003, p. 328.
- ^ Baratter 2005, pp. 187-189.
- ^ «zumeist politisch zuverlässige Optanten».
- ^ Wedekind 2003, pp. 328-329.
- ^ Klinkhammer 1997, p. 12.
- ^ Portelli 1999, p. 198.
- ^ Umberto Gandini, Quelli di via Rasella. La storia dei sudtirolesi che subirono l'attentato del 23 marzo 1944 a Roma, ricerca pubblicata dal quotidiano «Alto Adige» nel 1979, cit. in Paolo Piffer, Le voci di quelli del "Bozen", in «Altre Storie», anno quarto, numero dodici, novembre 2003, p. 9.
- ^ Portelli 1999, p. 200.
- ^ Wedekind 2003, p. 328.
- ^ Goetz 1983, p. 168 ss., citato in Staron 2002, p. 38. Si noti che il comparativo "älter" si può usare nel senso di "reif", cioè maturo; si parla quindi di "maturi padri di famiglia", ad ogni buon conto "più vecchi" di coscritti ventenni.
- ^ Giuliano Marchesini, Hanno ricordato i caduti al canto di «Kameraden», in La Stampa, 30 marzo 1981.
- ^ Da Bolzano un attacco a Pertini, in la Repubblica, 27 settembre 1984.
- ^ Secca replica di Pertini al quotidiano Dolomiten, in La Stampa, 2 ottobre 1984.
- ^ Giuliano Gallo, Una lapide a Roma in via Rasella, provocazione fascista sulla strage, in Corriere della Sera, 17 gennaio 1996.
- ^ Via Rasella, sequestrata lapide che ricorda i Bozen uccisi, in La Repubblica, 19 agosto 2000.
Bibliografia
- Memorie dei partigiani
- Giorgio Amendola, Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945, Roma, 1973.
- Rosario Bentivegna, Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella, Milano, Mursia, 2004 [1983].
- Carla Capponi, Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista, Milano, Il Saggiatore, 2009 [2000].
- Saggi storici
- Lorenzo Baratter, Dall'Alpenvorland a Via Rasella, Trento, Publilux, 2003.
- Lorenzo Baratter, Le Dolomiti del Terzo Reich, Milano, Mursia, 2005, ISBN 88-425-3463-3.
- (DE) H. Goetz, Das Attentat in Rom und die Fosse Ardeatine (1944), in Innsbrucker Historische Studien 6, 1983, pp. pp. 161-178.
- Robert Katz, Roma Città Aperta. Settembre 1943 - Giugno 1944, Milano, Il Saggiatore, 2003, ISBN 88-428-1122-X.
- Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Roma, Donzelli Editore, 1997, ISBN 88-7989-339-4.
- Michele Lanzette, L'Alto Adige di Hitler. Collaborazione e resistenza durante l'occupazione nazista dell'Alto Adige 1943 - 1945 (PDF), Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2010-2011.
- Alessandro Portelli, L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma, Donzelli Editore, 1999, ISBN 88-7989-457-9.
- (DE) Joachim Staron, Fosse Ardeatine und Marzabotto: Deutsche Kriegsverbrechen und Resistenza, Paderborn, Verlag Ferdinand Schöning, 2002, p. 392, ISBN 3-506-77522-7.
- (DE) Michael Wedewind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik in Norditalien 1943 bis 1945. Die Operationszonen "Alpenvorland" und "Adriatisches Küstenland", München (Monaco di Baviera), Oldenbourg Verlag, 2003, ISBN 3-486-56650-4.
Collegamenti esterni
- Il Polizeiregiment "Bozen", da historiamilitaria.it