Generale Antonio Chinotto (cacciatorpediniere)

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Il Generale Antonio Chinotto è stato un cacciatorpediniere (e successivamente una torpediniera) della Regia Marina.

Generale Antonio Chinotto
La Chinotto in navigazione.
Descrizione generale
Tipocacciatorpediniere (1921-1929)
torpediniera (1929-1941)
ClasseGenerali
Proprietà Regia Marina
IdentificazioneCH
CostruttoriOdero
CantiereCantiere navale di Sestri Ponente, Sestri Ponente
Impostazione20 novembre 1919
Varo7 agosto 1921
Entrata in servizio26 settembre 1921
Destino finalesaltata su mine il 28 marzo 1941
Caratteristiche generali
Dislocamentostandard 635 o 730 t
in carico normale 832 t
a pieno carico 870-890 t
Lunghezzatra le perpendicolari 72,5 m
fuori tutto 73,2-73,5 m
Larghezza7,3 m
Pescaggionormale 2,70 m
a pieno carico 3,0 m
Propulsione4 caldaie Thornycroft
2 turbine a vapore Tosi
potenza 15.500-16.000 HP
2 eliche
Velocità30 (poi ridotta a 26) nodi
Autonomia2000 (o 1300) miglia a 14 nodi
Equipaggio105-118 tra ufficiali, sottufficiali e marinai
Armamento
ArtiglieriaAlla costruzione:

Dal 1939:

Altra fonte:

  • 3 pezzi da 102/45 Schneider-Armstrong Mod. 1917
  • 2 pezzi da 76/40 Ansaldo Mod. 1917
  • 7 mitragliere da 20/70 Mod. 1939 mm
Siluri
  • 4 tubi lanciasiluri da 450 mm
Altro
Note
MottoUna favilla gran sol della tua gloria
Warships 1900-1950, Navypedia,Sito ufficiale della Marina Militare
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Storia

Costruita tra il novembre 1919 ed il settembre 1921, la nave faceva parte della classe Generali. Negli anni venti e trenta il cacciatorpediniere prese parte a varie crociere e svolse intensa attività operativa[1].

Il 20 agosto 1923, durante la crisi di Corfù, il Chinotto lasciò Taranto insieme ai gemelli Generale Achille Papa, Generale Antonio Cantore e Generale Marcello Prestinari, ai cacciatorpediniere Giuseppe Sirtori e Giuseppe La Masa, alle corazzate Caio Duilio ed Andrea Doria, all'esploratore Augusto Riboty, ad un dragamine ed a due navi ausiliarie: tale forza navale, che raggiunse Portolago, nell'isola di Lero, fu posta a protezione del Dodecaneso da eventuali atti di ostilità da parte della Grecia[2].

Nei primi anni Venti prestò servizio sul Chinotto anche il guardiamarina Ugo Botti, futura Medaglia d'oro al valor militare[3]. Il 1º ottobre 1929 l'unità, come tutte le navi gemelle, fu declassata a torpediniera[4][5].

Nel 1931 il Chinotto, insieme al gemello Papa, alle torpediniere Nicola Fabrizi ed Enrico Cosenz ed all'esploratore Quarto, formava la Divisione Speciale al comando dell'ammiraglio Denti[6].

Nel 1936, in seguito a lavori di modifica, la Chinotto fu dotata di strumentazioni per effettuare il dragaggio di mine in corsa[5]. Nel 1939 la torpediniera venne sottoposta a lavori di rimodernamento dell'armamento: i 2 cannoni singoli da 76/40 Ansaldo Mod. 1917 furono rimpiazzati con due mitragliere binate Breda 20/65 Mod. 1935 e 2-4 mitragliere singole da 8/80 mm[1][7][8] (per altre fonti la nave venne dotata di mitragliere da 13,2 mm[9]).

 
La Chinotto all'ormeggio tra le gemelle Cascino (a sinistra) e Papa (a destra).

Nel corso del 1939 la torpediniera effettuò mensilmente intensa attività addestrativa[9]. All'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale, il 10 giugno 1940, la Chinotto faceva parte della II Squadriglia Torpediniere (che formava unitamente alle gemelle Generale Antonio Cascino, Generale Carlo Montanari e Generale Achille Papa), con base a La Maddalena. La nave fu impiegata in missioni di scorta convogli sulle rotte per la Libia[1][9], nonché in compiti antisommergibile, ma ebbe una vita operativa piuttosto breve.

Nel periodo compreso tra il 6 giugno ed il 10 luglio 1940 la Chinotto, insieme a Papa, Cascino e Montanari, ai posamine Durazzo e Pelagosa ed agli incrociatori ausiliari Attilio Deffenu e Caralis, partecipò alla posa di 30 campi minati, 12 dei quali antisommergibile, nelle acque della Sardegna, per un totale di 2196 mine[10]. Nella notte del 10 giugno, in particolare, la nave posò uno sbarramento di mine nelle acque di Ajaccio[9].

Il 28 marzo 1941 la Chinotto, al comando del tenente di vascello Lelio Campanella, ed un'altra vecchia torpediniera, la Giuseppe Missori, salparono da Palermo per dare la caccia ad un sommergibile (secondo alcune fonti l'HMS Rorqual[11]) individuato in tale area[1][12], al largo di Capo Gallo[11]. Mentre le due navi, senza aver colto risultati, dirigevano per Palermo per rientrare alla base, avvicinandosi alla costa, la Chinotto urtò una mina (per altre fonti due[11]) appartenente ad uno sbarramento di dieci ordigni posato tre giorni prima dal sommergibile britannico Rorqual (e sul quale erano già andati perduti il piroscafo Verde e la cisterna militare Ticino[13]): nel volgere di breve tempo la torpediniera, spezzata in due, s'inabissò quattro miglia a nordest (per altre fonti ad ovest) di Capo Gallo[1][12][11][14][15].

Perirono con la nave 48 tra ufficiali, sottufficiali e marinai[12]. La Chinotto aveva effettuato in tutto, dal giugno 1940 al marzo 1941, 37 missioni di guerra, tra cui 17 di scorta e nove antisommergibile[11].

Nel 2002 il relitto della Chinotto è stato individuato a 103 metri di profondità, coricato sul lato sinistro, venendo esplorato e fotografato l'anno successivo[12][8][16][11].

Nel febbraio 2013 il figlio del comandante Lelio Campanella, Bruno, aggiunge alcuni particolari sull’affondamento della nave. Dopo l’esplosione della mina, il comandante era riuscito a far calare in mare le scialuppe dove si erano imbarcati i superstiti, ma lui non era riuscito ad imbarcarsi ed aveva cominciato ad affondare insieme con la nave. Un settimanale dell’epoca, la Tribuna Illustrata, riportava l’episodio dell’affondamento e le testimonianze dei superstiti:« mentre la nave affondava si era verificata una seconda esplosione, presumibilmente dovuta allo scoppio di una seconda mina, ed hanno visto il comandante venire quasi proiettato fuori dalle onde, così come rappresentato sulla prima pagina della rivista». All’epoca le riviste settimanali riportavano a tutta pagina sulla prima di copertina un disegno a colori degli avvenimenti della guerra in corso. Il disegno rappresentava un ufficiale sollevato al di sopra delle onde con le braccia aperte e nel testo del resoconto veniva riportato che era stato raccolto da una scialuppa e ripulito delle ferite con del whisky. Il figlio del comandante riporta che, a seguito del comportamento in quell’episodio gli fu riconosciuta una decorazione di bronzo al valor militare, la prima di altre due medaglie al valor militare concessegli nel corso del conflitto, ed anche la croce di cavaliere del regno. Il comandante non ha mai voluto ritornare in vita sul tragico episodio che certamente conservava nel cuore con dolore per la perdita di tanti amici e commilitoni. Il figlio Bruno e la sorella Paola, nati in anni precedenti l’affondamento, hanno conosciuto soltanto qualche anno dopo la morte del padre ed in seguito ad una confidenza di una sorella del comandante ancora in vita, di non essere rimasti orfani e di aver avuto altri due fratelli per l’intervento di una grazia della Madonna. Infatti il comandante aveva confidato a questa sorella che mentre veniva trascinato sott’acqua dalla nave, aveva affidato la sua anima alla Madonna di Pompei. La moglie del comandante quella stessa notte ed in quello stesso momento dell’affondamento si era svegliata di soprassalto gridando: “ Lelio! Lelio! E’accaduto qualcosa a Lelio”.

Note

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