La battaglia di Antium[3] del 468 a.C. si svolse tra l'esercito romano, guidato dal console Tito Quinzio Capitolino Barbato ed i Volsci e gli Equi loro alleati. I Romani ebbero la meglio.

Battaglia di Antium
Il Latium vetus
Data468 a.C.
LuogoAntium (oggi Anzio e Nettuno)[1]
EsitoVittoria romana[2]
Schieramenti
Comandanti
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Antefatto

Nell'ambito dello scontro tra Romani da una parte, Volsci ed Equi dall'altra, durante il consolato dell'anno precedente, Roma aveva distrutto il Cenone, il porto della città di Antium (oggi Anzio e Nettuno)[4], senza però neppure tentare di assediarla; all'interno delle mura anziate si erano rifugiati i Volsci.[5].

Nel 468 a.C. i Romani decisero di continuare lo scontro, e il comando dell'eservito fu affidato al console Tito Quinzio Capitolino Barbato[6].

La battaglia

Lo scontro ebbe luogo a trenta stadi[7] di distanza da Antium, con l'esercito romano che, affrontava in inferiorità numerica quello congiunto di Volsci ed Equi. I Romani, dopo essersi accampati in un luogo più in basso rispetto all'accampamento nemico, il giorno stesso, a mezzogiorno, si presentarono in formazione di battaglia al nemico[8].

Lo battaglia iniziò immediatamente, con i combattenti che si equivalevano. Quando il console si accorse che la propria ala destra iniziava a cedere, più per l'inferiorità numerica che per il valore del nemico, con i cavalieri corse in soccorso della fanteria riuscendo, non solo a riequilibrare le sorti del combattimento, ma addirittura a far piegare lo schieramento nemico. Piegata l'ala sinistra nemica, sulle ali dell'entusiasmo i Romani riuscirono a piegare anche l'ala destra nemica, che riparò nel proprio accampamento[9][10].

Quindi i due eserciti rimasero per diversi giorni nei propri accampamenti, dove ritemprarsi dalle fatiche e curare i feriti. In quel frangente il campo nemico ai Romani ricevette il soccorso di altri soldati, tanto che, contando su di una notevole superiorità numerica, i Volsci e gli Equi, si decisero ad attaccare l'accampamento romano[11] durante la notte, nella speranza di indurli ad abbandonare l'accampamento[12].

I Romani invece, dopo aver respinto gli attacchi nemici dall'interno delle strutture difensive, verso mezzogiorno, quando il nemico appariva ormai stanco e disorganizzato, uscirono in formazione compatta, riuscendo a cogliere di sorpresa Volsci ed Equi, che iniziarono a rinculare verso il colle dove sorgeva il proprio accampamento[13].

Ma i Romani non concedettero quartiere, seguendo ed attaccando il nemico, anche a costo di perdere i cavalieri[14], affinché non potesse riorganizzarsi e sfruttare la posizione favorevole; il combattimento durò per tutto il resto della giornata, alla fine della quale i Romani riuscirono a conquistare l'accampamento nemico[15][16].

Conseguenze

Il giorno dopo gli Anziati, non fidandosi della volontà degli Equi di sostenere l'assedio della città, decisero di arrendersi ai romani. Tito Quinzio, dopo aver preteso dal nemico sconfitto, il soldo per i propri soldati, lasciato un presidio in città, tornò con l'esercito a Roma, dove gli fu concesso il trionfo[17]

Note

  1. ^ Brandizzi Vittucci Paola, Antium. Anzio e Nettuno in epoca romana, Scienze e Lettere, 2000 e Don Vincenzo Cerri, Nettuno, Nettuno, Collana Caritas, 1986
  2. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.
  3. ^ Brandizzi Vittucci Paola, Op.cit e Don Vincenzo Cerri, Op.cit.
  4. ^ Brandizzi Vittucci Paola, Op.cit., Scienze e Lettere, 2000 e Don Vincenzo Cerri, Op.cit.
  5. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 56.
  6. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 57.
  7. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.
  8. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 57.
  9. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.
  10. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, II, 64
  11. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.
  12. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, II, 64
  13. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.
  14. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, II, 65
  15. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.
  16. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, II, 66
  17. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.