Emilio De Bono
Template:Membro delle istituzioni italiane Emilio De Bono (Cassano d'Adda, 19 marzo 1866 – Verona, 11 gennaio 1944) è stato un generale e politico italiano. Fu senatore del Regno d'Italia nella XXVI legislatura. Attivista fascista, Maresciallo d'Italia e membro del Gran Consiglio del Fascismo, De Bono si distinse nella Guerra italo-turca, nella Prima guerra mondiale e nella Seconda guerra italo-etiopica di cui fu il principale artefice.
| Emilio De Bono | |
|---|---|
| Ministro delle Colonie | |
| Durata mandato | 12 settembre 1929 – 17 gennaio 1935 |
| Monarca | Vittorio Emanuele III d'Italia |
| Predecessore | Benito Mussolini |
| Successore | Benito Mussolini |
| Commissario dell'Africa Orientale Italiana | |
| Durata mandato | 15 gennaio 1935 – 27 novembre 1935 |
| Predecessore | carica istituita |
| Successore | Pietro Badoglio |
| Governatore dell'Eritrea | |
| Durata mandato | 18 gennaio 1935 – 22 novembre 1935 |
| Vice | Ottone Gabelli |
| Predecessore | Riccardo Astuto di Lucchese |
| Successore | Pietro Badoglio |
| Governatore della Tripolitania italiana | |
| Durata mandato | luglio 1925 – 24 gennaio 1929 |
| Predecessore | Giuseppe Volpi |
| Successore | Pietro Badoglio |
| Dati generali | |
| Prefisso onorifico | |
| Partito politico | Partito Nazionale Fascista |
Biografia
I primi anni
De Bono nacque a Cassano d'Adda, figlio di Giovanni de Bono, discendente dei conti di Barlassina, e da Elisa Bazzi. La sua famiglia "aveva penato sotto il giogo austriaco".[1]. Suoi fratelli e sorelle erano Edmondo, Agostino, Constanza, Gerardo e Marella. Crebbe ateo e come egli stesso riporterà nelle sue memorie: "l'ateismo è illuminato e razionale, basato su principi scientifici. Io sono militare, ammiro la ragione e per questo sono ateo".
Figlio d'un ufficiale dell'Esercito, studiò al Collegio Militare di Milano, denominata oggi Scuola militare "Teuliè" e poi all'Accademia militare di Modena. Nel 1884 fu promosso Sottotenente dei Bersaglieri. Destinato in Eritrea, partecipò alla campagna del 1887. Nel 1900, ormai capitano, entrò nel Corpo di Stato Maggiore. Tenente colonnello, fu in Libia durante la Guerra italo-turca nel 1912 guadagnandosi la croce di cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia. Promosso colonnello dei Bersaglieri nel 1915, prese parte alla Prima guerra mondiale, dove ottenne una prima medaglia d'argento al valor militare sul Carso già nel 1915.
Passato a comandare la Brigata Trapani, nel 1916 fu promosso maggior generale (generale di brigata) e si distinse nella presa di Gorizia nel 1916, ottenendo una seconda medaglia d'argento. Ebbe poi il comando della Brigata Savona, della 38ª Divisione e, nel marzo del 1918, del IX Corpo d'Armata, incaricato della difesa del Monte Grappa. Fu allora che, per galvanizzare le truppe, compose il testo della celebre canzone "Monte Grappa, tu sei la mia patria", musicata da Antonio Meneghetti.
La vittoriosa resistenza contro gli Austriaci nella Battaglia del Solstizio del giugno 1918 gli fruttò la croce di commendatore dell'Ordine Militare di Savoia. Promosso Tenente Generale (generale di divisione, ma incaricato di Corpo d'Armata) nell'estate dello stesso anno, ebbe una terza medaglia d'argento al valor militare per il contributo dato alla vittoria finale mediante la difesa del Grappa. Dopo l'armistizio, nel 1919, ebbe il comando del XXII Corpo d'Armata e poi del Corpo d'Armata di Verona. Collocato in Posizione Ausiliaria nel 1920, cominciò a interessarsi alla politica e si unì al Partito Fascista.
Il supporto al fascismo
Al termine della Grande Guerra aderì al fascismo e fu incaricato di collaborare alla stesura del Regolamento nella Milizia fascista. Anche se non volle prendere parte in prima persona allo squadrismo, guidò, essendo il quadrumviro più anziano, la marcia su Roma delle camicie nere e poco dopo la nascita del governo Mussolini assunse le cariche di direttore generale della Pubblica Sicurezza e di primo comandante della Milizia.
Il 18 giugno 1924, a seguito dell'uccisione del deputato social-unitario Giacomo Matteotti, lasciò la carica di capo della polizia. Venne poi processato (e quindi costretto a rinunciare a tutti i suoi incarichi) con l'accusa di essere stato tra gli organizzatori del complotto, ma fu infine assolto.
In Africa
Terminato il processo per l'affare Matteotti, De Bono accettò la carica di Governatore della Tripolitania italiana dal 1925 al 1928, ove fu tra l'altro tra gli organizzatori del Gran Premio di Tripoli. Senatore del Regno dal 1925, ebbe tre anni dopo, grazie al suo operato in Tripolitania, la croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia per la preparazione e la direzione delle operazioni che avevano portato all'occupazione di tutta la Sirtica occidentale Già Sottosegretario di Stato al Ministero delle Colonie, nel 1929 Benito Mussolini lo nominò Ministro delle Colonie e nel 1932 visitò col re Vittorio Emanuele III l'Eritrea.
La guerra d'Etiopia
Nel novembre del 1932, su richiesta di Mussolini, De Bono preparò un piano per l'invasione dell'Etiopia. Il piano delineava un metodo tradizionale di penetrazione nell'entroterra: una forza relativamente piccola sarebbe gradualmente entrata nell'Eritrea meridionale, stabilendo una base di potenza contro gli oppositori disorganizzati. L'invasione progettata da De Bono era stata prevista come a basso costo, facile e sicura, ma molto lenta.[2]
Mussolini separatamente coinvolse l'esercito nelle pianificazioni e, nei due anni successivi, i generali stabilirono che per l'operazione prevista era necessario un numero di militari cinque o sei volte superiore a quello previsto da De Bono. Nel 1934, Mussolini aveva cercato di enfatizzare l'idea della Guerra totale accelerando i tempi.[3]
Nel 1935, De Bono, nella sua qualità di governatore dell'Eritrea, diventò automaticamente comandante delle operazioni italiane in Etiopia durante la Seconda guerra italo-etiopica e delle forze d'invasione dall'Eritrea, conosciuta anche come "Fronte nord" (il Fonte sud era la Somalia). De Bono ebbe, sotto il suo comando diretto, una forza di nove divisioni d'esercito in tre corpi d'armata: il I, il II ed il corpo eritreo.[4]
Il 3 ottobre le forze al suo comando passarono il confine. Il 6 ottobre presero Adua. Poco dopo De Bono entrò nella città di Axum, importante sotto il profilo storico e religioso. Dopo questi iniziali trionfi, ad ogni modo, la sua avanzata rallentò di molto a causa delle difficoltà d'approvvigionamento e del terreno aspro e privo di vie di comunicazione.
Ma Mussolini era impaziente e notava giorno per giorno come l'invasione fosse troppo lenta per i suoi gusti. Spronò De Bono, chiedendo un ampliamento del fronte e un'ulteriore avanzata sulla linea Macallé- Tacazzé, ordinandogli d'attaccare il 3 novembre. De Bono provò a protestare ma dové eseguire e l'8 novembre, il I corpo d'armata ed il corpo eritreo conquistarono Macallé e fu questo il limite dell'avanzata italiana sotto De Bono.[5]
Il 14 novembre 1935 ad Adua promulgò il bando che metteva fuori legge lo schiavismo nella regione del Tigrè[6][7].
Il 16 novembre, De Bono venne promosso Maresciallo d'Italia ma cercò di proseguire la sua tattica di avanzata prudente, ben sapendo che tutto il fronte ora si trovava in pericolo. L’ala sinistra era troppo sbilanciata verso l’esterno e quasi isolata. I rifornimenti, che dalla base di Senafè raggiungevano Adigrat dopo 80 chilometri di piste, ora dovevano superarne altri 120 per arrivare fino al II Corpo sul Tacazzè. In più, se gli Etiopici avessero attaccato in forze, avrebbero potuto sfondare, piombare su Macallè con tutti i suoi depositi, distruggerli ed accerchiare l’armata italiana. Per queste ragioni, ricevuto l'ordine d'occupare l’Amba Alagi, assolutamente indifendibile; ma legata all’eroica resistenza sostenutavi dal maggiore Toselli nel 1896, De Bono telegrafò a Mussolini muovendo parecchi obiezione e, di conseguenza, il 17 dicembre venne sostituito da Pietro Badoglio, con il Telegramma di Stato n.13181, nel quale si ribadiva che con la conquista di Macallé cinque settimane prima la sua missione poteva dirsi conclusa e pertanto veniva nominato Ispettore delle Truppe Oltremare.
Seconda guerra mondiale
Nel 1940, De Bono comandò le difese meridionali aquartierandosi in Sicilia e si oppose all'entrata in guerra dell'Italia nella Seconda guerra mondiale, ma mantenne un profilo basso sulla questione e nel 1942 venne nominato ministro di stato. Durante questi anni, secondo alcuni storici, De Bono supportò i nazisti concedendo loro armi senza il permesso esplicito di Mussolini.
Influenzato da Giuseppe Aganetti, sostenitore della politica nazista, De Bono trasformò diverse piccole fabbriche di armi in vere e proprie industrie pesanti per l'armamento, acquistando a spese del governo degli aeroplani per il trasporto dei materiali. Si stima che tra il 1935 ed il 1943, Emilio e Giuseppe avessero esportato armi per 308.000 soldati tedeschi. A favore dell'Italia, i due importavano anche tungsteno dal Portogallo per venderlo poi ai nazisti.
Membro del Gran Consiglio del Fascismo, durante la riunione del 25 luglio 1943 fu il primo a prendere la parola dopo il Duce: pronunciò nell'occasione un discorso in difesa delle forze armate ma apparve, visto il clima fortemente teso che caratterizzò quella seduta, "confuso" e privo di concentrazione[8]. Successivamente intervenne un'altra volta e poi, alla fine, votò in favore della sfiducia a Mussolini.
Nei giorni successivi alla caduta del Regime, godette di forte autonomia e gli venne permesso persino di visitare il Ministero della Guerra; non inviso ai badogliani, De Bono era convinto che Mussolini - nonostante tutto - non gli avrebbe fatto alcun male e fu per questa ragione che il vecchio militare non tentò una fuga all'estero, alla quale comunque aveva pensato nei giorni precedenti all'arresto[9]. Catturato a Roma il 4 ottobre dalle truppe della neonata Repubblica Sociale Italiana, fino al gennaio 1944 rimase a Cassano d'Adda in attesa di essere processato a Verona; una volta condotto nel capoluogo scaligero, venne separato dagli altri prigionieri per motivi d'età e di salute[9].
Durante il processo di Verona, venne condannato alla pena capitale per alto tradimento: il generale Renzo Montagna, uno dei nove giudici, rivelò che il quadrumviro fu inizialmente salvato dalla fucilazione per 5 voti a 4 (esattamente come era successo a Cianetti); tuttavia il capo fascista della provincia di Ferrara Enrico Vezzalini minacciò i magistrati accusandoli di "debolezza" e, a quel punto, il giudice Riggio cambiò parere schierandosi per la colpevolezza[10][11]. De Bono, stanco e malato, commentò così la sua condanna a morte: «Mi fregate di poco, ho settantotto anni»[12]. È sepolto al cimitero di Cassano d'Adda.
Onorificenze
Note
- ^ E. De Bono, La Guerra, pag. 302
- ^ Baer, Test Case: Italy, Ethiopia, and the League of Nations, p. 12
- ^ Baer, Test Case: Italy, Ethiopia, and the League of Nations, p. 13
- ^ Barker, A. J., The Rape of Ethiopia 1936, p. 33
- ^ Barker, A. J., The Rape of Ethiopia 1936, p. 36
- ^ Arrigo Petacco, "Faccetta nera", storia della conquista dell'impero pag. 90 " Il primo atto ufficiale compiuto da De Bono subito dopo l'inizio del conflitto fu la liberazione degli schiavi. E non poteva non farlo: l'abolizione della schiavitù era il principale motivo con cui l'Italia giustificava l'aggressione all'Etiopia davanti alla Lega delle Nazioni".
- ^ Ezio Colombo a cura, Abissinia, l'ultima avventura, pag 85: "Nell'Impero etiopico esisteva ancora la schiavitù: il 14 ottobre, subito dopo l'occupazione di una parte del Tigrai, il comando italiano ne proclamò l'abolizione..."
- ^ Carlo Scorza, La notte del Gran Consiglio, Palazzi, 1968, p. 38
- ^ a b DE BONO, Emilio in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 33 (1987)
- ^ Oggi Illustrato, n. 27, 1958
- ^ Gian Franco Verrè, Il processo di Verona, Mondadori, 1963, p. 168
- ^ Carlo Borsani jr, Carlo Borsani: una vita per un sogno (1917-1945), ISBN 88-425-1819-0 (pag. 80)
- ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
Voci correlate
Bibliografia
F. Fucci Emilio De Bono Mursia, Milano ISBN 9788842502005
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Ulteriori informazioni nella scheda sul database dell'Archivio Storico del Senato, I Senatori d'Italia.
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