Utente:Roberto.Amerighi/Sandbox 2
Bandini Piccolomini | |
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![]() Inquartato: nel primo e nel quarto d'argento, alla croce d'azzurro, caricata di cinque crescenti d'oro: nel secondo e nel terzo d'azzurro, alla banda d'argento, caricata di due teste d'aquila di nero, rostrate d'oro, affrontate e ingollanti una sfera dello stesso; il tutto abbassato sotto un capo d'oro, caricato di un'aquila spiegata di nero. | |
Stato | Repubblica di Siena, Stato Pontificio |
Casata di derivazione | Bandini |
Titoli | Patrizi di Siena, Conti Palatini |
Fondatore | Sallustio Bandini e Montanina Piccolomini Todeschini |
Data di fondazione | XVI secolo |
Etnia | Italiana |
La famiglia dei Bandini Piccolomini, con i suoi prestigiosi personaggi rappresentano la continuazione dell'antica ed autorevole famiglia dei Bandini di Siena. I suoi esponenti furono i discendenti di Montanina Piccolomini Todeschini, che permise, loro, di entrare nella cosiddetta consorteria dei Piccolomini, con la facoltà di aggiungere il loro cognome e le loro insegne.
Le origini
I componenti di questa famiglia, prima di far parte della casata dei Piccolomini, si distinsero nella Repubblica per aver ricoperto, ruoli politici e amministrativi importanti, fin dalla metà del XIII secolo. In particolare si distinsero nell'attività diplomatica, con Bartalo, che fu ambasciatore presso lo stato della chiesa sotto Callisto III e Pio II[1]. Nel XVI secolo il loro ultimo discendente, Sallustio, sposò Montanina Piccolomini Todeschini, figlia di Andrea e di Agnese Farnese, che le trasmise un' educazione colta e raffinata. Recava in sé il sangue di tre papi, oltre quello di Pio II e Pio III, anche quello di Paolo III, cugino della madre. Sallustio e Montanina ebbero diversi figli, di cui i più importanti furono Mario e Francesco, cresciuti sotto la protezione dello zio cardinale Giovanni. Adottati dai Piccolomini, assunsero il cognome di Bandini Piccolomini, fondando una famiglia che ebbe una breve discendenza, ma dalla vita intensa e storicamente ragguardevole.[2]
Mario Bandini Piccolomini
- Mario (1500 - † Montalcino 1558). Era il primogenito ed ereditò dal padre la signoria di Castiglioncello e un vasto feudo nel territorio di Massa di Maremma, dove la famiglia possedeva ampi territori fondiari e doveva la propria ricchezza allo sfruttamento delle miniere di argento e di rame della zona[3].
Duranre la giovinezza dovette assistere impotente alla tirannia della famiglia di Pandolfo Petrucci giunto al potere, dopo le lunghe ed estenuanti lotte intestine di Siena. Combattute, essenzialmente, tra popolari, di parte ghibellina ed i Noveschi, di parte guelfaLa vittoria di Porta Camollia - 1527 Pandolfo Petrucci entra a Siena - 1487
In questo periodo, Mario e la sua famiglia raggiunsero il massimo prestigio. Nel 1526 Carlo V lo nominò Cavaliere Aurato, gratificandolo anche con il titolo di Conte palatino.
Successivamente, la repubblica gli permise di acquisire il feudo della Marsiliana confiscato ai figli ribelli del Petrucci[3].
Il Bandini, divenuto uno degli uomini più potenti di Siena, dopo questi anni di successi, fu costretto a seguire le alterne vicende del declino della Repubblica. L'alleanza con gli Imperiali si rilevò un fallimento. Il Bandini con rammarico dovette assistere al rientro e reintegro dei Noveschi. Inoltre in sostituzione del deposto Petrucci si avvicendarono, inviati del Imperatore, ora in veste di agenti, ora di consiglieri o in alternativa come Capitani generali delle armi, personaggi che altro non erano, che una sorta di viceré di Carlo V. Ultimo di questa serie fu Don Diego Hurtado de Mendoza con il suo duro e repressivo governo[3]. Il Bandini, continuò a ricoprire incarichi militari e politici importanti, sia a Siena che all'estero. In patria, si impegnò per il ripristino della legalità e la sottomissione dei vassalli ribelli, dopo i guasti causati dalla guerra contro i Fiorentini. All'estero, si adoperò come agente diplomatico presso il Regno di Napoli, la corte di Carlo V, il Ducato di Milano e lo Stato Pontificio. Il suo entusiasmo, però, non era, più, quello giovanile di un tempo. Progressivamente si ritirò a vita privata curando gli interessi economici della famiglia.
Dopo la Cacciata degli Spagnoli, quando, nel 1553, una nuova guerra minacciava la libertà della patria, sollecitato dal fratello Arcivescovo, tornò attivamente nella vita politica e militare[3]. Fu del magistrato degli Otto della guerra e fu l'ultimo Capitano del Popolo della Repubblica di Siena. Nel giorno della sconfitta, denso di significato politico, quanto eroico, fu il gesto, di portare con se in esilio, il sigillo pubblico, simbolo del potere della Repubblica[6]. Dichiarato ribelle dal governo mediceo, dal 1555 fino al giorno della sua morte, fu al governo e alla difesa della Repubblica di Siena riparata in Montalcino. I suoi beni furono confiscati[3] e solo dopo la Pace di Cateau-Cambrésis del 1559, furono restituiti alla famiglia.
* Germanico (1532 - † 1569) di Mario divenne Cavaliere Ordine dello Speron d'oro e Conte del Sacro Palazzo Lateranense. Nel 1560 divenne Vescovo di Corinto[5].
* Sallustio (1544 - † 1570) di Mario. come il fratello fu Cavaliere Ordine dello Speron d'oro e Conte del Sacro Palazzo Lateranense. Inoltre fu gentiluomo del Granduca Cosimo I de' Medici. Morì senza lasciare discendenza[5].
Francesco Bandini Piccolomini
- Francesco (Siena 1505 - † Roma 1588). Fratello minore di Mario, ebbe una buona educazione letteraria, ma non completò un vero e proprio curriculum accademico. Nel 1525 concorse nella fondazione dell'Accademia degli Intronati a Siena, assumendo lo pseudonimo di Scaltrito. Fin dall'età di tredici anni, fu preso sotto la protezione dello zio cardinale Giovanni, che gli diede la facoltà di aggiungere il cognome Piccolomini, che Francesco accettò, per sé e la sua famiglia. Essendo molto forte l'attaccamento alle sue tradizioni familiari, non volle rinunciare allo stemma di famiglia. Il cardinale, gli diede allora la possibilità di inquartarlo con quello piccolomineo.[7]
Fu molto combattuto tra la scelta di una vita laica, per la quale si sentiva maggiormente portato, e una vita clericale, alla quale lo zio voleva introdurlo. Nel 1529, dopo le nefaste turbolenze del Sacco di Roma, il cardinale decise di ridurre la sua presenza, e, mediante resignazione, passò la propria arcidiocesi di Siena al nipote, ordinandolo frettolosamente sacerdote. Francesco, ancora una volta non sicuro delle sue scelte, accettò la consacrazione episcopale, solo dieci anni dopo, nel 1538, dopo aver ricevuto il pieno possesso della diocesi, alla morte dello zio cardinale. Non rinunciò, in questo periodo alla attività politica tesa a preservare la libertà della Repubblica, sempre più precaria negli equilibri internazionali dell'epoca.
Pur essendo stato ambasciatore presso Carlo V, progressivamente entrò in contrasto con gli interessi imperiali. Tale ritrosia fu manifestamente confermata quando l'imperatore, nel 1546 non volle riceverlo nella sua missione a favore di Siena. Tali rapporti irrimediabilmente incrinati, gli costarono, nel concistoro del 1551, la porpora cardinalizia[7].Il Concilio di Trento 1545 - 1564 Il Parco di Villa d'Este, Carl Blechen
Messo da parte ogni indugio, partecipò attivamente alle guerre contro gli spagnoli, promosse dai maggiorenti della Repubblica, partecipando manu militari al sostegno dell causa senese[8].
La convinta partecipazione alla vita politica della Repubblica lo portò ad occuparsi solo marginalmente della sua arcidiocesi e della vita clericale. Ciò nonostante, sollecitato dal cardinale Cervini, senese e futuro papa Marcello II, partecipò al Concilio di Trento, ma più di una volta se ne assentò per curare gli interessi in patria, perdendo una chiara occasione di rilancio nella vita ecclesiastica, offertagli dal futuro pontefice. A guerra ormai finita, difese la Repubblica di Siena ritirata in Montalcino insieme ai suoi compagni di lotta ed alleati più vicini. Con la morte del fratello Mario, si allontanò definitivamente dalla patria perduta, tornandovi solo saltuariamente.
Successivamente si trasferì a Roma dove visse per quasi trent'anni. Inizialmente per un lungo periodo fu ospite dei Cardinali d'Este, Ippolito e Luigi, stabilendo la sua residenza in Villa d'Este. Ormai ben introdotto nell'ambiente della società romana, si fece costruire un palazzo a Tivoli, con un ampio giardino all'italiana ed un monumentale portale attribuito a Sebastiano Serlio[9]. Ottenne il governatorato di Roma, assumendo diversi incarichi nella Curia romana e nello stato della chiesa.
Nel 1575, ormai rassegnato e provato dagli eventi, volle riconciliarsi con i Medici, incoronando Giovanna d'Austria, Granduchessa di Toscana. Negli anni che seguirono, con nomina da parte del pontefice Paolo IV e coadiuvato dai nipoti Ascanio e Alessandro Piccolomini, tenne una serie ininterrotta di sinodi diocesani, per l'applicazione dei decreti conciliari, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1588. Dal punto di vista bibliografico, non lasciò però una visibile traccia del suo operato. Dal punto di vista culturale, però, non mancò di lasciare il suo erudito ricordo. Fondò, nel 1571, sul modello della sua vecchia accademia senese, l'Accademia degli Agevoli, che ben presto divenne palestra di idee, di studi e di sapere. Tuttora sopravvive, sebbene ne sia mutato il nome.[10]
Ottenne la sepoltura nella Basilica di San Pietro in Vaticano, vicino alla tomba dei due papi Piccolomini
Il fedecommesso Bandini e la successione Piccolomini Naldi Bandini
I Bandini, appartenenti ad una delle più antiche e illustri famiglie senesi, come accennato, entrarono nella Consorteria Piccolomini, per effetto del matrimonio tra Montanina Piccolomini Todeschini e Sallustio Bandini, i cui figli maggiori furono Mario e Francesco.
Nel 1570, i due figli maschi di Mario, erano ormai morti senza lasciare discendenza e tutto il cospicuo patrimonio della famiglia si concentrò nelle mani dell'Arcivescovo Francesco[5]. Le figlie superstiti Berenice e Montanina, che recava lo stesso nome della nonna, erano entrambe sposate con prole.
L'epilogo più logico sarebbe stato di farle entrare, con le loro famiglie, nella consorteria Piccolomini, come auspicato dallo zio, ma l'arcivescovo, prese una decisione, che comunque era già maturata qualche anno prima.
La nipote Montanina era, a suo tempo, rimasta vedova del suo primo marito Cerbone Bourbon del Monte Santa Maria, per cui il prelato aveva deciso il suo ingresso in convento, onde poter disporre dell'intero patrimonio a favore dell'altra figlia del fratello, Berenice. In questo modo Montanina doveva rinunciare oltre alla sua parte di eredità, anche alla sua vita mondana. Soluzione questa che non la vide completamente d'accordo. Infatuatasi di un amico e alleato della famiglia, il Cav. Amerigo Amerighi, nel 1562, decise di sposarlo segretamente, in condizioni burrascose e disdicevoli per l'Arcivescovo e l'ambiente aristocratico, al quale entrambi gli sposi appartenevano. Tale evento fu contrastato, in tutti i modi, da Francesco, che vedeva compromessi i suoi piani per la successione. Minacciò sanzioni severe e dispose l'annullamento del matrimonio. Ne nacque una controversia, che divenne pubblica, con l'intervento del governatore di Siena che ne informò il Granduca[11]. Alla fine vinsero le ragioni di Montanina, ma i rapporti con lo zio furono definitivamente compromessi. Il prelato si limitò a liquidare la nipote con una dote di oltre seimila fiorini[12]. Importo che, se riferito alle dame del suo rango, era notevolmente superiore all'uso corrente del tempo[13]. Rimase, tuttavia, fermo nelle sue decisioni, escludendo Montanina dall'asse ereditario. Quindi, al fine di preservare la continuità del nome, uscì dalla consorteria Piccolomini e adottò nella famiglia Fedro, figlio di Agostino Bardi e della nipote Berenice, costituendo un fedecommesso, in cui fare confluire tutto il patrimonio Bandini, con l'obbligo di sostituire il cognome e lo stemma[14]. Al fine di evitare, qualsiasi contraddittorio legale, allegò, nel testamento, la copia autentica di tutte le bolle, con le quali, l'arcivescovo aveva avuto dal papa facoltà di testare[7]. Tale scrupolosa stesura era motivata dal fatto che, la nipote esclusa, con l'istituzione del fedecommesso, si trovava ad essere l'ultima della famiglia a portare il cognome e lo stemma Piccolomini. Per questo motivo era possibile l'introduzione del nuovo coniuge nella consorteria. Circostanza, questa, che avrebbe potuto inficiare la validità del fedecommesso e smembrare il patrimonio della famiglia Bandini.
Nonostante tutte le precauzioni prese, tuttavia, due secoli dopo, sebbene in modo diverso, le aspettative dell'Arcivescovo andarono deluse.
Nel 1777 l'ultimo Bandini del ramo primogenito di Berenice, l'arcidiacono Giuseppe, moriva, riaprendo la successione nel fedecommesso[1]. L'Arcivescovo aveva indicato, come beneficiario alternativo, la famiglia Piccolomini. La consorteria scelse, un discendente della linea secondogenita dei Salamoneschi, Fabio, che in virtù del matrimonio del nonno Niccolò con Barbara Naldi, aveva assunto il cognome Naldi Piccolomini[1]. Per adempiere alla volontà del testatore, avrebbe dovuto abbandonare la consorteria, il cognome e lo stemma Naldi Piccolomini, per assumere quello dei Bandini[1]. In caso di mancato adempimento delle clausole fedecommissorie, il patrimonio, avrebbe avuto un'altra destinazione, non ultima la Mensa Arcivescovile di Siena. Flavio, non essendo la sua famiglia dotata di grandi beni di fortuna[1], decise a favore della successione, assicurandosi, il patrimonio, così, come deciso dalla assemblea consortile. Tuttavia, con l'abolizione dell'istituto fidecommissorio, avvenuta alla fine del XVIII secolo i discendenti di Flavio, non avendo più vincoli, che potessero mettere in pericolo i beni ereditati, ottennero dalla consulta la possibilità di assumere nuovamente il cognome e lo stemma Piccolomini a danno di quello Bandini[1]. Il nuovo assetto che ne scaturì, fu una nuova linea familiare che ebbe il cognome Piccolomini Naldi Bandini, che tuttavia non fu omologata dalla consorteria, che non ne legittimò il reintegro. Circostanza singolare, in quanto questi Piccolomini, a tutti gli effetti, sono da considerare, insieme ai Piccolomini Clementini Adami, come originari[1] e ultimi rappresentanti della più ampia famiglia dei Piccolomini nel XXI secolo.
Tavole genealogiche
-
Ramo di Pio II e delle Papesse
-
Ramo dei Piccolomini Todeschini - Signori del Giglio e di Castiglione della Pescaia
-
Ramo dei Bandini Piccolomini e dei Piccolomini Naldi Bandini
Note
- ^ a b c d e f g Vittorio Spreti - Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana 1928-1936 (Ristampa Anastatica Forni Editore Bologna -1981) . Vol. V, pag. 332. Errore nelle note: Tag
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non valido; il nome "FedecommessoBandini" è stato definito più volte con contenuti diversi - ^ Archivio di Stato di Firenze, Raccolta Ceramelli Papiani, Famiglia BANDINI (fasc. 5058), nelle note - Fonte.
- ^ a b c d e f g Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani - Mario Bandini - Volume 5 (1963) - Fonte
- ^ Alessandro Sozzini, Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 al 28 giugno 1555. Firenze, 1842 pag. 20 Fonte
- ^ a b c d Vittorio Spreti - Op. cit. Vol. VII, pag. 271
- ^ D'Addario, Il Problema Senese nella Storia Italiana della prima metà del cinquecento (La guerra di Siena),Firenze-Empoli 1958(pag.386)
- ^ a b c Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani - Bandini Piccolomini, Francesco - Volume 5 (1963) - Fonte
- ^ Alessandro Sozzini, Diario delle cose avvenute in Siena: dai 20 Luglio 1550 ai 28 Giugno 1555. - Pag.298 -Gio.Pietro Vieusseux, 1842 - Firenze - Fonte
- ^ Camillo Pierattini, Tivoli dall'Accademia degli Agevoli alla Società Tiburtina passando per gli Arcadi Sibillini (sec.XVI-XX) - Articolo on line su Società Tiburtina di Storia ed Arte - Fonte
- ^ Camillo Pierattini, Tivoli dall'Accademia degli Agevoli alla Società Tiburtina passando per gli Arcadi Sibillini (sec.XVI-XX). Ed. Domenico Piolato 1708 - Tivoli - Fonte
- ^ Carlo Carnesecchi, La nipote dell'arcivescovo - 1895, in Miscellanea storica senese (A cura della cassa mutua assistenza del personale del Monte Paschi di Siena). Lalli Editore, Siena - 2004. Vol. II, pp.170-174 (ristampa). Fonte. Trascrizione fonte
- ^ Galgano Bichi - Serie Manoscritti della biblioteca dell'Archivio di Stato di Siena ("Famiglie Nobili Esistenti" - Matrimoni)- Fonte
- ^ Rosalia Tornabene, Dote, matrimonio e vita coniugale a Viterbo, nel XV Secolo. Rivista 2000 1-2. Pag. 8 - Biblioteca di Viterbo - Fonte
- ^ Vittorio Spreti - Op. cit. Vol. VII, pagg. 270, 271
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