Nei primi due capitoli sono stati trattati tutti gli aspetti meno noti relativi al parametro intensità nel resistance training come viene convenzionalmente definito nel mondo scientifico. Questo terzo capitolo intenderà completare l'argomento intensità con ulteriori chiarimenti e nozioni utili.

Intensità di carico e intensità dello sforzo

Nella parte 1 di questa serie è stato detto che diverse scuole, filosofie e autori reinterpretano sempre il concetto di intensità nell'esercizio con i pesi ridefinendolo a piacimento. Il vero paradosso, è che all'interno del mondo scientifico la definizione del termine intensità è unica e convenzionale, mentre al di fuori del contesto scientifico questo parametro viene spesso definito in maniere differenti. Diversi autori hanno descritto questo conflitto tra definizioni[1][2][3][4]. La conclusione tratta può essere che, perlomeno nel bodybuilding, sia necessario trovare una definizione alternativa e complementare dell'intensità, poiché il concetto scientifico non riconosce altri aspetti che sfuggono a tale definizione per definire il grado di fatica. Per quanto alcuni abbiano cercato di mettere in discussione tale convenzione anche in letteratura[3], la definizione formale e scientifica di intensità nell'esercizio con sovraccarichi (resistance training) continua attualmente a rimanere quella relativa al carico, o alla percentuale del one-repetition maximum (1-RM)[5][6][7][8]. Sembra che l'intensità intesa in tal senso venne concepita negli anni cinquanta dal fisioterapista norvegese Oddvar Holten, che introdusse la Curva di Holten per riconsocere la relazione tra ripetizioni massime (RM) con un dato carico e la percentuale del 1-repetition maximum[9]. Tra i primi a mettere in discussione questa concezione di intensità fu probabilmente Arthur Jones nei primi anni settanta[10], il fondatore del High Intensity Training (HIT). L'HIT era un metodo di allenamento di bodybuilding che poneva l'accento sullo sforzo alla massima fatica, ovvero al raggiungimento del cedimento muscolare nelle serie. Contrariamente alla terminologia convenzionale e scientifica già all'epoca stabilita, Jones attribuiva all'intensità un significato completamente differente, intendendo l'alta intensità non in termini di carichi elevati (≥80% 1-RM), ma piuttosto come il compimento delle massime ripetizioni che il carico utilizzato rendeva possibile. A questo proposito alcuni autori in seguito hanno cercato di trovare un punto di incontro tra queste differenti denominazioni, riconoscendo l'esistenza di due tipi di intensità. L'intensità come riconosciuta dal metodo scientifico è stata chiamata in alternativa "intensità di carico" (intensity of load)[4]. Questa può essere suddivisa a sua volta in intensità relativa (% 1-RM) e in intensità assoluta (100% 1-RM). L'intensità come parametro che monitora lo sforzo applicato al carico utilizzato può essere chiamata invece "intensità dello sforzo" (intensity of effort)[3][4]. L'intensità dello sforzo può essere definita come "il livello di sforzo applicato ad un dato carico, definito come il numero di ripetizioni eseguite in relazione al numero possibile" (Fisher et al., 2011)[3]. In questo caso si prenderà in considerazione la descrizione esaustiva fornita da Lyle McDonald sulla questione[4].

Intensità di carico

Probabilmente, la prima definizione di intensità è originata dagli scienziati dello sport e dai coach (soprattutto coach del weightlifting olimpico), i quali cercarono di definire e misurare dei parametri per loro importanti. In questo caso si intendeva definire l'intensità come la percentuale del massimo carico che veniva utilizzato. In questo schema, un carico del 75% (ad esempio, se potete usare 100 kg al massimo e state sollevando 75 kg), corrisponde ad una minore intensità rispetto ad un carico del 95% (state utilizzando 95 kg sui vostri 100 kg massimali). I vantaggi di questo metodo consistono nel fatto che è abbastanza facile da misurare e rende i paragoni concreti più semplici: il ragazzo che solleva il 95% del suo massimale sta lavorando ad un'intensità superiore al ragazzo che sta sollevando l'85% o il 75% del massimale. Ciò è particolarmente vero nel campo della ricerca, dove è relativamente facile testare il massimale di un soggetto e quindi determinare quale percentuale del massimale si sta testando in base al peso caricato. Purtroppo, guardare solo la percentuale del massimale tende a tralasciare alcuni aspetti cruciali del carico di allenamento. Sia nella pesistica olimpica che nel powerlifting, non è raro per gli atleti eseguire un numero di ripetizioni sub-massimale con un determinato carico [cioè un "buffer"]. Ovvero, in teoria, un carico che corrisponde al 85% del massimale permette all'atleta di compiere 5 ripetizioni, anche se alla fine sarà piuttosto affaticato. Molti atleti, e questo è particolarmente vero nella pesistica olimpica, sarebbero molto probabilmente più propensi a ripetere più serie con quello stesso 85% del massimale per garantire che la tecnica e la velocità del sollevamento rimangano elevate; anche alcuni powerlifter si allenano in questo modo. Dovrebbe essere ovvio che l'esecuzione di 2 ripetizioni al 85% del massimle e 5 ripetizioni al 85% del massimale consistono in un livello di sforzo/difficoltà molto diverso, anche se l'intensità del carico è identica. C'è un ulteriore problema, in quanto la vera forza massima può essere variabile di giorno in giorno. Basare l'allenamento sulle percentuali può essere fuorviante quando quello che dovrebbe essere un carico massimale del 90% è in realtà inferiore o superiore a causa delle variazioni della forma fisica o nello stato di affaticamento[4].

Intensità dello sforzo

I gruppi che sono di solito associati alla teoria del HIT (allenamento ad alta intensità [o Heavy duty]) tendono a definire l'intensità a modo loro, la quale ha a che fare con la relativa vicinanza al cedimento o semplicemente con lo sforzo durante la serie. Si potrebbe semplicemente guardare a questa definizione di intensità in termini di "difficoltà". Più dura da completare è la serie, maggiore è l'intensità e viceversa. Una serie portata al punto di cedimento concentrico è generalmente definita come il 100% dell'intensità, e mentre chi appartiene a questa 'fazione' di solito sostiene che niente al di sotto del 100% dell'intensità può essere valutato attendibilmente, alcuni usano altri metodi come la valutazione dello sforzo percepito (RPE), o semplicemente delle ripetizioni vicine al cedimento, per misurare l'intensità dello sforzo (intensity of effort).

Vorrei far notare che per riconoscere quanto si è vicini al cedimento spesso si necessita di un periodo di allenamento dove il vero cedimento viene raggiunto. Con la pratica, la maggior parte degli atleti sapranno riconoscere se avevano 1, 2, 4 o più ripetizioni nel "serbatoio". I principianti, che non hanno idea di cosa sia la vera incapacità muscolare, non ci arriveranno. Vorrei anche ricordare che un buon coach di solito può dire, guardando cose come la velocità del bilanciere e lo sforzo, quanto un atleta è vicino al cedimento; ancora una volta questo richiede una certa pratica e l'esperienza per farlo correttamnte. Per complicare ulteriormente la cosa si potrebbe esaminare la questione della velocità del lavoro, come spesso fatto da atleti e powerlifter. Tipicamente, un carico del 30-60% del massimale (bassa intensità di carico) può essere sollevato per un numero di ripetizioni molto sub-massimale. Ma la concentrazione nel sollevare il peso il più velocemente possibile/spingere più forte possibile potrebbe effettivamente rendere l'intensità dello sforzo piuttosto alta[4].

Conclusioni

Nonostante al di fuori del mondo scientifico e della teoria dell'allenamento convenzionale esistano dei conflitti nella definizione dell'intensità, è necessario riconoscere l'esistenza di diversi metodi e interpretazioni per definirla in base al parametro che si vuole tenere sotto controllo, tra carico e sforzo percepito. Per tale motivo potrebbe essere più corretto riconoscere almeno due tipi di intensità principali, ovvero l'intensità di carico e l'intensità dello sforzo, le quali si potrebbero considerare come complementari piuttosto che contrapposte. Una serie da 10 ripetizioni a cedimento (10-RM) prevede solo il 75% dell'intensità di carico (moderata intensità di carico), ma risulta il 100% dell'intensità dello sforzo (cosa che potrebbe essere monitorata con la scala RPE). Una serie da 2 ripetizioni in "buffer" con un carico che permette 4 ripetizioni massime (4-RM), consiste in un'intensità di carico superiore (90% 1-RM, cioè alta intensità di carico), ma appena nel 50% dell'intensità dello sforzo.

L'intensità dello sforzo (intensity of effort) come è stata comunemente definita[3], presenta però delle evidenti limitazioni se il fine quello di riconoscere lo sforzo o la fatica globale effettivi. Infatti, questa definizione di intensità dello sforzo tralascia molte altre variabili che condizionano la fatica o lo sforzo globale, limitandosi a valutare solo la durezza o la fatica espressa nelle singole serie. Un allenamento ad alto volume o ad alta densità evitando il cedimento (buffer) può essere facilmente più duro e faticoso (quindi "intenso") di un allenamento a basso volume o a bassa densità, portato sempre al cedimento. Come si è detto anche nel primo capitolo, l'intensità dello sforzo può essere reinterpretata in maniera ancora differente da quanto proposto originariamente dalla scuola del HIT/Heavy duty. Secondo altri autori e coach, l'intensità (dello sforzo) è una denominazione ancora più ampia e complessa, in quanto andrebbe a riconoscere non solo lo sforzo impiegato nella singola serie, ma piuttosto nell'intera sessione, e secondo teorie più complesse, anche nell'intero microciclo o mesociclo[2][11][12]. A questo proposito, anche i tempi di recupero, il time under tension, lo speed of movement, il volume, la densità, la frequenza e molti altri parametri, sarebbero fattori condizionanti sull'intensità dello sforzo[2][11][12]. Tutte queste variabili però rischiano di esasperare l'astrattezza di questa definizione e complicarne ulteriormente il riconosciumento e il monitoraggio. Nel prossimo capitolo verranno approfondite le controversie e i paradossi che riguardano le varie concezioni dell'intensità nell'esercizio con sovraccarichi.

Controversie

Senza dubbio l'intensità dello sforzo rappresenta un'interpretazione del tutto complementare all'intensità di carico tradizionalmente usata in ambito scientifico, necessaria quindi per riconoscere un aspetto dell'intensità non contemplato dalla prima. Esistono però molti altri aspetti in grado di sollevare delle controversie nel riconoscimento della cosiddetta "intensità dello sforzo".

Etimologia del termine intensità: carico vs sforzo

La prima controversia nasce sulla base del differente fine per cui vengono usate queste le due definizioni di intensità. L'intensità di carico infatti è stata coniata per riconoscere una variabile calcolabile, la percentuale del 1-RM o il carico, ma non strettamente e dichiaratamente il grado di fatica. L'intensità dello sforzo invece nasce con l'intento di riconoscere il grado di fatica espressa nella singola serie indipendentemente dal carico utilizzato, sulla base delle ripetizioni eseguite su quelle eseguibili[3]. In altri casi, l'intensità dello sforzo può rappresentare una concezione più ampia e complessa, e tendenzialmente più astratta e soggettiva. Essa quindi non considera il carico, ma solo lo sforzo o la fatica. L'accusa più comune verso la definizione convenzionale di intensità (% 1-RM) è quella di essere limitata al monitoraggio del solo carico non potendo riconoscere lo sforzo o la fatica effettivi[3]. Tuttavia, il fatto che il termine intensità debba essere considerato sinonimo di sforzo o fatica espressa nella serie a prescindere dal carico, è un'interpretazione che potrebbe essere definita come arbitraria. Nella prima parte è stato detto che, da dizionario, l'intensità può essere descritta come "una grandezza che rappresenta la quantità di un fenomeno" o il "valore di alcune grandezze", niente che alluda così chiaramente e palesemente al concetto sforzo/fatica. Infatti è possibile notare che il termine intensità usato nel contesto dell'attività fisica possa essere usato più frequentemente come sinonimo di forza o potenza[13], ancora niente che alluda chiaramente al significato di sforzo o fatica. Detta in altro modo, si da per scontato che il concetto di intensità debba essere interpretato come sinonimo di fatica o sforzo, ma questa associazione sembra essere frutto di un ragionamento deduttivo altamente interpretabile. Infatti, prendendo in considerazione le altre principali variabili dell'allenamento, lo sforzo o la fatica globali non vengono riconosciuti solo dall'intensità di carico, ma anche dal volume e dalla densità, le quali offrono una valutazione complementare su questo aspetto, permettendo quindi il vero monitoraggio della durezza dell'allenamento in tutte le sue componenti. Se poi si ragiona sul lungo termine, va presa in considerazione anche la frequenza. In altri termini, secondo i critici verso l'intensità intesa come "carico", questa variabile non prende in considerazione molti ulteriori aspetti che condizionano il grado di sforzo/fatica[3], ignorando però che il metodo scientifico e la teoria dell'allenamento convenzionale prevedono l'uso concomitante di altre variabili complementari che colmano questa sua presunta lacuna, ovvero il volume, la densità (indirettamente, poi si vedrà perché) e la frequenza. Al contrario, l'intensità di carico come stabilita in letteratura non sembra essere intesa come variabile nata con la pretesa di calcolare il livello di sforzo o di fatica assoluti, anche perché di fatto, da sola non può permetterlo.

Volume

Il volume è una delle principali variabili dell'allenamento con sovraccarichi. Esso misura il lavoro totale nella singola sessione, ma anche sul lungo termine[5]. In questo caso si prenderà in considerazione il volume della singola sessione. Pur essendo normalmente meno associato al grado di fatica/sforzo, il volume è in realtà un parametro strettamente complementare all'intensità di carico (% 1-RM) per regolare e monitorare questo aspetto, in quanto misura della mole di lavoro. Infatti, a parità di intensità di carico, senza dubbio un allenamento ad alto volume è generalmente più faticoso e "intenso" (notare l'uso arbitrario del termine come sinomino di fatica/sforzo generale) di un allenamento a basso volume. Non è un caso che alcuni autori ritengano il volume come variabile condizionante l'intensità[11][12], a significare che maggiore è il volume e maggiore è il grado di fatica generale. All'interno della singola sessione, il volume è per definiizione regolato essenzialmente dal carico utilizzato (cioè, dall'intensità di carico) e dal numero di ripetizioni eseguite, secondo l'equazione "kg x ripetizioni totali" o "kg x ripetizioni x serie"[5].

A questo punto è chiaro che:

  • secondo le variabili convenzionali che riconoscono l'intensità come carico, l'intensità condiziona direttamente il volume, ma il volume non condiziona direttamente l'intensità;
  • secondo le variabili reinterpretate che riconoscono l'intensità come sforzo, l'intensità non perforza condiziona direttamente il volume, ma il volume condiziona direttamente l'intensità;

L'errore potrebbe essere ancora quello di non considerare che a misurare il grado di fatica/sforzo globale secondo il metodo convenzionale non è solo l'intensità di carico (che da principio non nasce con questo scopo), ma è l'insieme delle diverse variabili dell'allenamento. Per far comprendere il perchè già le variabili esistenti siano in grado di riconoscere il grado di fatica/sforzo, anche tralasciando l'"intensità dello sforzo", è necessario fare un esempio:

  • Un'atleta usa un'intensità di carico del 75%, che corrisponde a 15 kg e alle sue 10-RM. In questa occasione egli compie tutte le ripetizioni che gli sono consentite con tale carico (15 kg), ovvero 10 ripetizioni massime (15 kg = 75% 1-RM = 10-RM). L'atleta si è allenato con un'intensità di carico del 75% 1-RM, e un volume, riconosciuto dall'equazione carico x ripetizioni totali (15 x 10), relativo ad un tonnellaggio di 150 kg.
  • Lo stesso atleta in un'altra occasione si allena alla stessa intensità di carico (15 kg = 75% 1-RM = 10-RM), con la differenza però che non raggiunge le massime ripetizioni possibili, compiendone solo 8 su 10. Secondo i detrattori dell'intensità di carico, questo esempio non permette di riconoscere il fatto che l'atleta si è allenato meno "intensamente" (inteso come fatica o sforzo) rispetto all'esempio precedente, quindi non avrebbe senso dire che in entrambi gli esempi si è allenato alla stessa intensità[3]. Nonostante questa differenza non venga riconosciuta dall'intensità di carico (% 1-RM), si ignora che questa è stata riconosciuta dal volume, che infatti è risultato inferiore: 15 x 8 = 120 kg. Quindi, le differenze nel grado di fatica o sforzo dovute ad un minore numero di ripetizioni nella serie, sono state monitorate riconoscendo le differenze di volume (anche questo indicatore della fatica globale), pur essendo l'intensità (di carico) rimasta uguale.

Densità

La densità è praticamente la quarta variabile dell'allenamento assieme ad intensità (di carico), volume e frequenza[2]. Quest'ultima tuttavia sarebbe da ritenere un capitolo a parte, in quanto non riguarda strettamente la singola sessione. Al contrario delle altre variabili citate, va detto che la densità non è riconosciuta come terminologia in ambito scientifico[5][7][8]. Nella ricerca si parla indirettamente della densità valutando le variazioni dei tempi di recupero, delle ripetizioni a serie e del time under tension (e indirettamente, dell'intensità di carico). Infatti, al contrario delle altre variabili, questo termine nasce in ambito extra-scientifico, e sembra essere stato popolarizzato da Charles Staley con il suo celebre protocollo Escalating Density Training (EDT)[14], proposto appena nei primi anni duemila. La densità è stata definita come "la quantità di lavoro muscolare è che possibile svolgere in uno specifico periodo di tempo"[14] o "il legame tra carico e recupero all'interno della stessa unità allenante"[2]. In altre parole, un allenamento che prevede sforzi di maggiore durata e recuperi brevi, è più denso di un allenamento della stessa durata totale, ma con sforzi brevi e pause lunghe. Un circuit training è quindi un classico esempio di allenamento ad alta densità, mentre un protocollo di forza massimale o di power bodybuilding è l'emblema dell'allenamento a bassa densità. La densità è quindi un indicatore del lavoro muscolare totale all'interno della sessione. Si potrebbe riconoscere in alternativa come la differentra tra la somma dei time under tension e la somma dei tempi di recupero[2]. Ad ogni modo, la densità può essere riconosciuta come la terza variabile necessaria per monitorare l'intensità dello sforzo in combinazione col volume e l'intensità di carico. Non a caso, alcuni autori hanno proposto la densità come una delle interpretazioni dell'intensità nel culturismo[14][15]. A parità di volume e intensità di carico, un allenamento più denso è anche più intenso (cioè, faticoso) rispetto ad un allenamento meno denso[14]. L'intensità di carico e il volume da soli infatti non erano sufficienti per poter monitorare il grado di fatica o intensità di sforzo imposta dall'esercizio, una necessità soprattutto nel culturismo, dove il cosiddetto stress metabolico (associato a maggiori densità), è ritenuto uno dei principali fattori responsabili dell'ipertrofia muscolare[8]. Per tanto l'inclusione di questa terza variabile, per quanto formalmente non riconosciuta in ambito scientifico, è necessaria per riconoscere l'intensità intesa come sforzo o fatica in termini globali.

Anche in questo caso, per far capire il perchè già le variabili esistenti siano in grado di riconoscere il grado di fatica/sforzo, anche tralasciando l'"intensità dello sforzo", è necessario fare un semplice esempio:

  • Un atleta si allena con un'intensità di carico del 75%, che corrisponde a 15 kg e alle sue 10-RM. Il volume scelto corrisponde ad un totale di 50 ripetizioni totali (15 x 50 = 750 kg), che ipoteticamente porterà a termine con un totale di 7 serie. In questo caso i tempi di recupero ammontano a 2 minuti tra le serie.
  • Lo stesso atleta in un'altra occasione si allena alla stessa intensità di carico (75% 1-RM = 10-RM = 15 kg) e con lo stesso volume corrispondente a 50 ripetizioni totali (750 kg). In questo caso però i tempi di recupero tra le serie sono dimezzati a 1 minuto, con il risultato che la densità di allenamento è molto aumentata rispetto alla precedente. Questo aumento della densità si traduce in un aumento della fatica e quindi dell'intensità dello sforzo, perché le pause più brevi impediscono un recupero fisico paragonabile, e le serie vengono progressivamente affrontate con più difficoltà riuscendo a compiere sempre meno ripetizioni massime a serie. Questo aumento della densità e della fatica richiederà un aumento delle serie totali per riuscire ad equiparare il volume dell'esempio precedente con le ripetizioni totali stabilite, perché il cedimento muscolare si presenta molto prima nelle serie.

In questo esempio è stato possibile osservare che la variabile densità riesce a riconoscere quella componente dell'intensità dello sforzo che sfuggirebbe all'intensità di carico e al volume. Secondo i critici dell'intensità di carico (% 1-RM), quest'ultima non riesce a monitorare il grado di sforzo/fatica, ma in questo caso è stato possibile farlo tramite la valutazione della densità di allenamento, anche se i carichi e i volumi erano identici.

Il paradosso del rapporto "volume/intensità"

Nella teoria dell'allenamento del resistance training esiste una relazione inversa tra volume e intensita o una "ratio volume/intensità", dove ad un aumento dell'intensità deve corrispondere una riduzione dei volumi e viceversa. Considerate le controversie ampiamente trattate riguardanti le varie interpretazioni dell'intensità, questo rapporto viene valutato in modi differenti a seconda di come si intenda il significato di tale variabile. Le organizzazioni di riferimento come l'American College of Sports Medicine (ACSM)[16] e la National Strength and Conditioning Association (NSCA)[17], così come la letteratura scientifica in genere[9][18][19], intendono questo rapporto indicando naturalmente l'intensità come carico (% 1-RM). Il classico esempio di modulazione di questo rapporto può essere osservato nel modello di periodizzazione lineare, dove i primi cicli si caratterizzano da allenamenti dal maggiore volume e da intensità (di carico) inferiori, mentre con l'avanzamento del programma viene progressivamente aumentata l'intensità e ridotto il volume[9][19]. Questo rapporto, comunque, è valido anche per altre forme di periodizzazione come il modello ondulato o lineare inverso. L'esistenza di questo rapporto è motivata dal fatto che volume e intensità (di carico) sono stati riconosciuti dalla ricerca sul resistance training come le principali cause della sindorme da sovrallenamento (OTS, overtraining syndrome), anche se per motivi diversi[19][20]. Ad esempio, il sovrallenamento indotto da un alto volume può risultare in un rapporto sfavorevole tra testosterone e cortisolo, compromettendo gli adattamenti e i guadagni muscolari, mentre il sovrallenamento indotto da alte intensità (di carico) può causare un aumento dell'attività del sistema nervoso simpatico per compensare la perdita di forza muscolare[20]. Comunque, al fine di prevenire il fenomeno del sovrallenamento è stato determinato che le due variabili debbano essere modulate in maniera che all'aumento dell'una si compensi una riduzione dell'altra[19]. Tuttavia, al di fuori del contesto scientifico e della teoria dell'allenamento convenzionale, lo stesso rapporto è stato spesso inteso valutando l'intensità come sforzo o fatica globale, e non come carico, portandone ad uno stravolgimento del significato.

Pertanto, secondo le due interpretazioni dell'intensità:

  • nel primo caso, la "ratio volume/intensità" intende: ad un aumento dei carichi va ridotto in maniera proporzionale il tonnellaggio totale e viceversa;
  • nel secondo caso, la "ratio volume/intensità" intende: ad un aumento della fatica o dello sforzo nella serie o in generale, va ridotto in maniera proporzionale il tonnellaggio totale e viceversa;

Il secondo caso rappresenta un evidente paradosso, in quanto si è cercato di validare un principio stabilito su base scientifica anche interpretando l'intensità in maniera completamente differente da come era intesa dal principio originale stesso. Il caso più esemplare a riguardo di questa incongruenza è rappresentato dalla teoria del HIT/Heavy duty, la quale ripropose questa relazione inversa tra volume e intensità, sebbene secondo i suoi principi l'intensità non fosse riconosciuta come carico, ma bensì come sforzo espresso nella singola serie[21]. Di fatto, secondo la terminologia convenzionale, l'HIT/Heavy duty non riduceva il volume aumentando l'intensità, ma riduceva allo stesso tempo entrambe le variabili in quanto prevedeva sia un basso volume che una bassa intensità, intesa come carico (TUT molto lunghi possono essere compiuti solo con carichi a bassa intensità[5]). Inoltre, se anche il volume, secondo altre teorie, è un fattore che condiziona direttamente l'intensità intesa come fatica globale[11][12], la reinterpretazione di questo rapporto apparirebbe ulteriormente paradossale, poiché aumentare il volume aumenta la fatica globale, e di conseguenza rende la sessione più intensa. Si nota quindi che anche la ratio volume/intensità assuma significati diversi e in alcuni casi contraddittori in base a cosa si intende per intensità. Si presume che l'origine della teoria alla base del rapporto volume/intensità sia da riconoscere nelle prime forme di periodizzazione emerse negli anni cinquanta nell'Europa dell'est, dove per intensità veniva inteso il carico[22]. Essa è stata poi studiata e validata dalla letteratura scientifica fino a i giorni nostri, dove si è continuato a considerare il concetto di intensità come convenzionalmente stabilito. In conclusione, è evidente che il rapporto volume/intensità abbia motivo di essere interpretato con il significato che gli è stato attribuito dalle origini, laddove per intensità viene inteso il carico utilizzato, e non lo sforzo o il livello di fatica.

Conclusioni finali

Sebbene esistano delle correnti che si oppongono al riconoscimento del termine intensità come carico o percentuale del one-repetition maximum (% 1-RM), i motivi di questo disaccordo sembrerebbero essere inconsistenti. E' stato osservato infatti che il termine "intensità" di per sè non per forza debba essere sinonimo di sforzo nella serie o sforzo globale, e da dizionario la sua etimologia non sembri essere così chiaramente associabile a questo significato. Pur sfidando le terminologie convenzionali e scientifiche, l'intensità è stata utilizzata e popolarizzata in alternativa come indicatore della fatica o nello sforzo espressi nella singola serie, o nell'intera sessione. Ciò nonostante, sembra che dal principio l'intensità come intesa da convenzione non sia nata per misurare il grado di fatica di una serie o di un allenamento, cosa che per essere monitorata impone l'uso di tutti i parametri, e non solo uno tra questi. Infatti è stato osservato che ciò possa essere riconosciuto valutando l'intensità (carico) in concomitanza col volume e alla densità. Per risolvere questi conflitti al di fuori del contesto scientifico, alcuni autori hanno proposto due denominazioni differenti di intensità, ovvero "intensità di carico" e "intensità dello sforzo". Quest'ultima è stata però a sua volta interpretata in maniere differenti da diverse scuole e filosofie, anche se il suo significato riconosciuto ufficialmente farebbe riferimento alle ripetizioni eseguite su quelle eseguibili in base al carico utilizzato, in linea con quanto proposto dal HIT/Heavy duty. In questo senso, l'intensità dello sforzo potrebbe essere riconosciuta come una variabile ulteriore su quelle già esistenti, sebbene sia possibile notare che anche il solo l'uso di intensità di carico, volume e densità siano capaci di monitorare il grado di sforzo e fatica nella serie o nella sessione. Secondo i critici dell'intensità di carico, questa non avrebbe motivo di essere riconosciuta come tale, ma piuttosto semplicemente come "un carico corrisponendente alla percentuale del 1-RM".

Note

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