Regio Esercito
Il Regio Esercito fu l'esercito del Regno d'Italia dal 4 maggio 1861 al giugno 1946. È stato impiegato in tutte le vicende belliche che hanno visto coinvolto il Paese, inclusa la terza guerra di indipendenza e soprattutto la prima e la seconda guerra mondiale. Fu inoltre protagonista del colonialismo italiano. Con la fine del regno dei Savoia cambiò nome in Esercito Italiano.
Regio Esercito | |
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Descrizione generale | |
Attiva | 4 maggio 1861 - 10 giugno 1946 |
Nazione | ![]() |
Servizio | Esercito |
Tipo | Fanteria Cavalleria Artiglieria Genio |
Dimensione | ~5.000.000 uomini (I G.M.) ~1.600.000 uomini (1940) ~3.500.000 uomini (1943) |
Sede Stato Maggiore dell'Esercito | Torino (1861-1864) Firenze (1864-1871) Roma (1871-1943) Salerno (1943-1945) Roma (1945-1946) |
Battaglie/guerre | Repressione del brigantaggio Terza guerra di indipendenza italiana Guerra d'Eritrea Guerra d'Abissinia Rivolta dei Boxer Guerra italo-turca Prima guerra mondiale Crisi di Corfù Guerra d'Etiopia Occupazione dell'Albania Seconda guerra mondiale |
Anniversari | 4 novembre (dal 1918) |
Reparti dipendenti | |
Comandanti | |
Capi di Stato Maggiore del Regio Esercito | Luigi Cadorna Armando Diaz Pietro Badoglio Alberto Pariani Rodolfo Graziani Vittorio Ambrosio Mario Roatta Raffaele Cadorna Jr |
Simboli | |
Stellette | ![]() |
Fonti citate nel corpo del testo | |
Voci su unità militari presenti su Wikipedia |
Storia
Le origini
L'Armata Sarda, subito dopo l'unità d'Italia assunse il nome di Regio Esercito Italiano, ai sensi del decreto Fanti (dal nome del ministro Manfredo Fanti), emanato in data 4 maggio 1861.
Tuttavia il neonato esercito assumerà però tale nome solo a partire dal 1884.[1]
1861 - 1914
Nel Regio Esercito la prima idea di soldati specializzati nei combattimenti in alta montagna nacque nel 1859: un consistente gruppo di volontari al comando di Giuseppe Garibaldi, e sostenuti dal primo ministro piemontese Cavour, assunse la denominazione di "Cacciatori delle Alpi"; in realtà i primi reparti specializzati hanno origine per l'Italia nel 1786[2]. Proprio questa nuova unità liberò Varese, Como e Brescia. Un'altra vittoria dei Cacciatori, sempre al comando dall'eroe dei due mondi, ottennero l'unico successo italiano nella terza guerra d'indipendenza il 21 luglio 1866 a Bezzecca, ritirandosi successivamente dietro ordine del sovrano con la famosa risposta Obbedisco che diventerà il motto del 52º battaglione Alpi[3].
Nel 1872 si unì un nuovo corpo specializzato: gli Alpini[4]. Questo corpo, nato da un'idea del capitano Giuseppe Perrucchetti, elaborata poi dal ministro della guerra Ricotti–Magnani, fu particolarmente utile durante la prima guerra mondiale[5][6].
La lotta al banditismo e al brigantaggio ( a torto chiamato brigantaggio, ma quelli erano i veri partigiani che combattevano contro l'invasore. La storiografia moderna sta rimettendo in discussione la versione secondo cui i briganti erano criminali ) e la terza guerra di indipendenza italiana (che causò 1.886 perdite[1]) furono gli impegni non facili dei primi anni del nuovo esercito, costituito prima dell'incorporazione degli eserciti degli altri stati preunitari su 5 Corpi d'armata, ognuno dei quali articolato su 3 divisioni di fanteria, ognuna delle quali era una unità poliarma con fanteria, cavalleria ed artiglieria[7]; i 320.000 soldati ed 11.000 ufficiali erano quindi raggruppati in 18 divisioni[8].
Il 20 settembre 1870, sotto il comando del generale Raffaele Cadorna, i bersaglieri del IV Corpo d'armata, entrando attraverso un varco aperto nelle mura della città nei pressi di Porta Pia (breccia di Porta Pia), occuparono Roma che divenne la capitale del Regno d'Italia[1].
Dopo l'opera di riorganizzazione promossa dall'allora ministro della guerra Cesare Francesco Ricotti-Magnani, il colonnello Tancredi Saletta sbarcò meno di 1.000 uomini a Massaua, in Eritrea. Inizia così, il 5 febbraio 1885, la campagna per la conquista del paese africano, dando inizio al periodo coloniale italiano che subirà una battuta d'arresto nel 1896 con la disastrosa battaglia di Adua avvenuta nell'ambito della guerra di Abissinia[1]. Parte importante in questa campagna e in quelle che seguiranno fino alla dissoluzione dell'impero coloniale avranno le truppe coloniali, costituite in Eritrea, Somalia e Libia per coadiuvare le truppe italiane nel controllo del territorio; queste truppe dovevano formare anche una classe media coloniale legata agli interessi italiani[9] e seguiranno le sorti delle colonie fino alla fine, che per l'Etiopia, la Somalia e l'Eritrea corrispose alla battaglia di Cheren (che precedette di poco la resistenza del duca d'Aosta all'Amba Alagi.
L'anno successivo iniziarono gli impegni internazionali, nell'ambito della collaborazione con il Corpo interalleato per la pacificazione della rivolta contro la dominazione turca, a cui l'Italia collaborò con un corpo di spedizione sbarcato a Suda, nell'isola di Creta, il 25 aprile 1897. Il 14 luglio 1900 venne costituito a Napoli un ulteriore corpo di spedizione per contrastare la rivolta dei Boxer in Cina e difendere i protettorati europei[1].
Il 29 settembre 1911 iniziò la guerra italo-turca, con il Regio Esercito che entrò il 5 ottobre a Tripoli, nella primavera 1912 occupò il Dodecaneso e finì di conquistare il Fezzan nel 1914[1].
La prima guerra mondiale
Il 24 maggio 1915 l'esercito italiano avanzò oltre il confine austro-ungarico segnando l'apertura delle ostilità anche per l'Italia nella prima guerra mondiale. L'inizio del conflitto aveva accresciuto a 12 i corpi d'armata e a 25 le divisioni, e l'esercito italiano aumentò fino a raggiungere le 900.000 unità. Anche le iniziali 600 mitragliatrici 3.000 bocche da fuoco di vari calibri si moltiplicarono enormemente durante la ostilità[senza fonte]. Nel corso della guerra inoltre presero vita gli Arditi, venne potenziato il Servizio Aeronautico e fece la sua comparsa il carro armato.
Nell'estate del 1916 si concluse la conquista di Gorizia, grazie anche alla presa del Monte Sabotino ad opera della 4ª Divisione agli ordini di Pietro Badoglio. La 12ª ed ultima battaglia dell'Isonzo segnò invece, il 24 ottobre 1917, la catastrofica sconfitta di Caporetto. Le forze austro-tedesche sfondarono proprio nel settore del XXVII Corpo d'armata comandato dal "fuggiasco di Tolmezzo" (Pietro Badoglio), ma la resistenza delle truppe sul Piave e sul monte Grappa dal 10 novembre al 4 dicembre 1917 posero fine alla fase negativa della guerra. L'anno successivo, il 1918, le battaglie sul Piave (15 - 22 giugno) e a Vittorio Veneto (23 ottobre - 3 novembre) segnarono la definitiva vittoria italiana[10].
Nel 1918 il Regio Esercito fu impiegato anche all'estero: in Francia con il II Corpo d'armata combatté a Bligny (15 - 23 luglio) e lungo la Chemin des Dames (10 - 12 ottobre); in Albania vinse la battaglia di Malakastra (6-9 luglio). Proprio in Albania e in Macedonia le truppe italiane occuparono Durazzo il 29 dicembre 1915 e Bitola il 18 novembre 1916[10].
Il conflitto mobilitò circa 4.000.000 di militari, fece circa 600.000 caduti e 1.500.000 tra feriti e invalidi[10].
1919 - 1939
Dopo la conclusione vittoriosa della Grande Guerra, il Regio Esercito venne ridimensionato congedando la maggior parte dei reggimenti di cavalleria e fanteria e sciogliendo gli Arditi.
Nel 1922 fu necessario intervenire in Libia dove i ribelli avevano approfittato della prima guerra mondiale per sottrarre territori agli italiani, e un anno dopo il Servizio Aeronautico viene scisso dal Regio Esercito per diventare l'indipendente Regia Aeronautica. In questi anni inoltre videro la luce i primi reparti corazzati e paracadutisti, il cui primo reparto fu una compagnia di fanti libici inquadrati da ufficiali e sottufficiali italiani che effettuò il primo lancio il 28 marzo 1938 a Castel Benito, in Libia[11]. Negli anni trenta le truppe coloniali italiane coadiuvarono quelle nazionali durante il completamento dell'occupazione della Somalia, fino ad allora controllata solo parzialmente dalle truppe italiane nelle zone attorno alla capitale Mogadiscio e a pochi presidi lungo la costa. Il 1935 fu l'anno d'inizio della guerra d'Etiopia a cui il Regio Esercito partecipò varcando il Mareb il 3 ottobre ed entrando in Addis Abeba il 5 maggio 1936[12].
Con lo scoppio della Guerra civile spagnola nel 1936, venne inviato in Spagna in aiuto dei Nazionalisti di Francisco Franco il Corpo Truppe Volontarie, mentre nell'aprile del 1939, in seguito all'annessione dell'Albania, l'esercito presidiò le più importanti città dell'ex regno di Zog I[12].
Seconda guerra mondiale
La situazione all'entrata in guerra
Nel settembre 1939, quando la Germania invase la Polonia, l'Italia dichiarò la propria "non belligeranza". Benito Mussolini, conscio del fatto che i conflitti di Etiopia e di Spagna avevano pesantemente intaccato le scorte dell'esercito e bloccato il suo ammodernamento, decise dunque di non intervenire.
I folgoranti successi tedeschi e l'impressione che il conflitto sarebbe durato poco indussero però il Duce a bruciare le tappe e ad entrare in guerra il 10 giugno 1940. Il Regio Esercito, forte di 75 divisioni, presentava gravi carenze nell'armamento. L'artiglieria risaliva al primo conflitto mondiale, i carri armati erano leggeri con corazza ed armamento inadeguati. Mancavano gli automezzi, le mitragliatrici erano insufficienti, le divise erano di pessima qualità e mancavano equipaggiamenti e attrezzature adatte alle aree dove si sarebbe operato (Libia, Unione Sovietica, Albania, Grecia).
Tuttavia, negli anni trenta le ricerche nel campo militare avevano dato buoni frutti: l'Italia possedeva bocche da fuoco di ottima qualità, inserite tra le migliori del conflitto (cannone 90/53 Mod 39 - simile al tedesco 8,8 cm FlaK - Obice 149/19 e il mortaio Obice 210/22) ma pochissimi esemplari furono prodotti e distribuiti. Anche l'armamento individuale era degno di nota con il "moschetto automatico Beretta" (usato da truppe speciali come la 185ª Divisione paracadutisti "Folgore"), la mitragliatrice Breda Mod.37 o la pistola Beretta M34 per ufficiali. All'entrata in guerra i carri armati disponibili erano il carro L3, leggero e con armamento fisso, e l'M11/39, carro medio costruito con l'armamento principale in casamatta e armamento secondario in torretta, decisamente inferiore a quelli avversari. Nel corso del conflitto vennero prodotti i carri leggeri L6/40 e la serie di carri medi iniziata dall'M13/40. Per quello che riguarda i carri pesanti, praticamente il solo P26/40, ne fu prodotto un solo esemplare prima dell'8 settembre 1943. Invece del semovente 75/18 ne vennero prodotti molti esemplari, che dimostrarono potenza e affidabilità anche dopo il 1943, nonostante l'arrivo di nuovi carri da parte dell'Asse e degli Alleati.
1940 - 1943
La battaglia delle Alpi Occidentali combattuta contro la Francia fu la prima operazione in cui venne impiegato il Regio Esercito nel corso della seconda guerra mondiale, si risolse con una vittoria tattica italiana bilanciata dall'occupazione italiana di alcuni comuni lungo il confine (armistizio di Villa Incisa).
Si concluse con la sconfitta invece l'iniziativa in Africa orientale dove, nonostante il successo ottenuto con la conquista della Somalia Britannica, i reparti del Regio Esercito ivi stanziati rimasero fin dall'inizio isolati dalla Madrepatria subendo, nel maggio 1941, un'inevitabile disfatta nella seconda battaglia dell'Amba Alagi. Ai soldati italiani sconfitti venne comunque tributato da parte delle vittoriose truppe britanniche l'onore delle armi. L'ultima disperata resistenza in questo teatro di operazioni fu attuata dalle unità al comando del generale Guglielmo Nasi nel corso della Battaglia di Gondar, che ebbe termine con la resa degli ultimi presidi nel novembre 1941[13].
Nel frattempo, in Africa settentrionale, le poco numerose ma molto mobili e ben equipaggiate forze della Western Desert Force sconfissero e fecero prigionieri decine di migliaia di soldati italiani, distruggendo inoltre le dieci divisioni della 10ª Armata (tra cui Cirene, Marmarica, Catanzaro) e conquistando le piazzeforti di Bardia e Tobruk oltre che l'intera Cirenaica. Per sostenere il Regio Esercito in questo teatro i Tedeschi inviarono in aiuto un gruppo di divisioni raggruppate nell'Afrika Korps al comando del generale Erwin Rommel. Negli anni che seguirono l'Armata Corazzata Italo-tedesca riuscì a spingersi sino a circa 80 km da Alessandria d'Egitto ma in conseguenza della sconfitta di El Alamein anche la Libia dovette essere abbandonata alle forze britanniche, mentre le ultime resistenze ebbero termine nel maggio 1943 in Tunisia, dopo che questo territorio era stata occupato dalle forze Italo-Tedesche come reazione all'Operazione Torch.
Nell'ottobre 1940 ebbe invece inizio la campagna italiana di Grecia. L'operazione risultò essere mal pianificata e mal preparata, con i soldati italiani che si ritrovarono quasi subito in inferiorità numerica e in una difficile situazione logistica rispetto ai Greci e che vennero conseguentemente respinti fin dentro i confini albanesi. Il lento ma continuo affluire dei rinforzi italiani permise poi di fermare l'avanzata ellenica ma l'elemento determinante per l'esito del conflitto fu l'intervento tedesco. Contemporaneamente all'azione in Grecia reparti tedeschi, italiani e ungheresi invadevano la Jugoslavia, piegandone la resistenza in undici giorni.
Nel luglio 1941 Mussolini decise l'invio al fronte orientale di un corpo di spedizione italiano raggruppato nel CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) e ampliato un anno dopo fino a creare l'ARMIR (ARMata Italiana in Russia). L'Armata Rossa e il rigore dell'inverno sovietico misero a dura prova i soldati italiani al fronte, travolti dall'operazione Piccolo Saturno e dall'offensiva Ostrogorzk-Rossoš. Circa 80.000 militari non tornarono mai in Italia[13].
1943 - 1945
Nel luglio 1943 gli Alleati diedero il via all'invasione della Sicilia e in poco più di un mese presero il completo controllo dell'isola. Nel frattempo il maresciallo Badoglio prese la guida del governo e iniziò a intavolare le trattative di resa con gli anglo-americani, l'armistizio venne firmato il 3 settembre 1943 e reso pubblico dagli Alleati l'8 settembre, poco dopo anche Badoglio confermava la notizia.
All'annuncio dell'armistizio, la Wehrmacht diede il via alla già preparata Operazione Achse, le truppe tedesche intimarono ai reparti italiani di scegliere se continuare a combattere al loro fianco o di deporre le armi, le unità del Regio Esercito che rifiutarono queste intimazioni vennero attaccate e generalmente sopraffatte, in alcuni casi si ebbero fucilazioni di massa dei prigionieri come durante l'eccidio di Cefalonia, in altri casi alla resa seguì la decimazione degli ufficiali. Solo in Sardegna e Corsica il Regio Esercito ebbe la meglio sui tedeschi. Nei Balcani alcuni di coloro che riuscirono a fuggire all'internamento entrarono a far parte dei movimenti partigiani locali, creando anche proprie unità nazionali come le divisioni partigiane Garibaldi e Italia[14].
In Italia invece al Governo Badoglio fu permesso di dar vita al Primo Raggruppamento Motorizzato per combattere insieme agli anglo-americani. Il battesimo del fuoco di questa unità si ebbe nel dicembre 1943 con la positiva battaglia di Montelungo. Il Primo Raggruppamento Motorizzato diventò Corpo Italiano di Liberazione fino all'ottobre 1944, quindi furono organizzati cinque Gruppi di Combattimento che risalirono l'Italia, sempre insieme agli Alleati, fino a Milano e Venezia[14].
La seconda guerra mondiale costò al Regio Esercito 161.729 tra morti e dispersi fino all'8 settembre 1943, 73.277 nel periodo settembre - ottobre 1943, circa 12.000 nella lotta di liberazione e circa 60.000 periti nei campi di concentramento[14].
Riorganizzazione nel dopoguerra
Il 14 novembre 1945 gli Alleati stabilirono la struttura del Regio Esercito che doveva rimanere in vigore fino alla stipulazione del trattato di Parigi. Le forze italiane vennero dunque ripartite in quattro sezioni:
- forze mobili e locali (90.000 soldati) organizzate in tre divisioni per la sicurezza interna (28ª Divisione fanteria "Aosta", 31ª Divisione fanteria "Calabria" e divisione "Reggio" (originariamente Sabauda), 10 reggimenti di fanteria (di cui 3 Alpini) e cinque divisioni binarie (cioè con due soli reggimenti) di fanteria (44ª Divisione di fanteria "Cremona", 58ª Divisione fanteria "Legnano", Divisione meccanizzata "Folgore", 20ª Divisione fanteria "Friuli" e Divisione meccanizzata "Mantova");
- organizzazione centrale e 11 comandi territoriali con giurisdizione simile agli ex comandi di corpo d'armata (9.000 unità);
- amministrazione (31.000 uomini);
- addestramento e complementi (Centro Addestramento Complementi di Cesano e scuole) su 10.000 uomini[15]
Lo Stato Maggiore diramò disposizioni in tal senso nel marzo 1946. Ognuno degli 11 comandi territoriali disponeva di un centro addestramento reclute a livello reggimentale e di un reggimento fanteria autonomo, tranne la Sicilia che poteva avvalersi di due divisioni. Una divisione, due battaglioni e sei raggruppamenti rimasero invece alle dirette dipendenze degli Alleati. Nel corso del 1946 le tre divisioni di sicurezza interna si tramutarono in brigate su due reggimenti di fanteria e un gruppo di artiglieria, mentre la cavalleria riprese vita tramite l'assegnazione ad ogni divisione di un gruppo di squadroni dotati di veicoli cingolati[14].
Con la nascita della Repubblica Italiana e la decisione di Umberto II di lasciare il paese, dopo aver sciolto l'esercito dal giuramento di fedeltà al Re, ma non alla Patria, il Regio Esercito prese la denominazione delle forze di terra italiane e cambiò nome in Esercito Italiano.
Gradi
Note
- ^ a b c d e f La Storia > 1862 - 1914, su esercito.difesa.it. URL consultato il 23 ago 2011.
- ^ http://www.associazionenazionalecacciatoridellealpi.it/storia/originestorica.aspx Origine Storica del Termine "Cacciatori delle ALPI" - accesso 24 aprile 2011
- ^ http://www.associazionenazionalecacciatoridellealpi.it/storia/giuseppegaribaldi.aspx Cacciatori delle Alpi - Giuseppe Garibaldi - accesso 24 aprile 2011
- ^ Storia degli Alpini, www.esercito.difesa.it, su esercito.difesa.it. URL consultato il 3 dicembre 2010.
- ^ G. Morandi, p. 34
- ^ Anche combattendo in condizioni estreme come sulla catena montuosa dell'Ortles-Cevedale in Alta Valtellina, dove si svolse la battaglia più alta sul San Matteo a 3.678 m s.l.m.
- ^ http://www.esercito.difesa.it/root/storia/storia150.asp La Storia - 1861 Centocinquant'anni fa - accesso 24 aprile 2011
- ^ http://www.ilgiornaledellazio.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1773:150d-anniversario-costituzione-esercito-italiano&catid=88:notizie-dalla-capitale-&Itemid=193 150º Anniversario costituzione esercito italiano - accesso 24 aprile 2011
- ^ Domenico Quirico, Lo squadrone bianco
- ^ a b c La Storia > 1915 - 1918, su esercito.difesa.it. URL consultato il 23 ago 2011.
- ^ Regio Esercito - Recensioni editoriali
- ^ a b La Storia > 1919 - 1939, su esercito.difesa.it. URL consultato il 23 ago 2011.
- ^ a b La Storia > 1940 - 1943, su esercito.difesa.it. URL consultato il 23 ago 2011.
- ^ a b c d La Storia > 1943 - 1945, su esercito.difesa.it. URL consultato il 23 ago 2011.
- ^ La Storia > 1946 - 1947, su esercito.difesa.it. URL consultato il 23 ago 2011.
Bibliografia
- Giovanni Morandi, Alpini, dalle Alpi all'Afghanistan, Bologna, Poligrafici editoriali, 2003.
- Domenico Quirico, Lo squadrone bianco, I edizione, Milano, Mondadori, settembre 2002, ISBN 88-04-50691-1.
- Annuario dell'Italia militare per il 1864 tip. scolastica di S. Franco e figli, 1864, originale alla Harvard University
Voci correlate
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