Battaglia del Monte Gindaro

battaglia combattuta tra l'esercito romano e l'esercito partico (9 giugno 38 a.C.)

La battaglia del monte Gindaro fu combattuta il 9 giugno del 38 a.C. fra i Romani guidati da Publio Ventidio Basso e i Parti comandati dal re Pacoro I e dal suo generale Franapate.

Battaglia del Monte Gindaro
parte delle guerre romano-partiche
nell'ovale rosso i monte Gindaro
Data9 giugno 38 a.C.
LuogoMonte Gindaro, Siria
EsitoVittoria romana
Schieramenti
Comandanti
Perdite
EsigueIngenti
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Publio Ventidio ottenne una schiacciante vittoria e vendicò in parte la sconfitta di Crasso a Carre del 53 a.C.

Antefatti

Sfruttando le divisioni interne di Roma, i Parti invasero la Siria romana durante il secondo triumvirato. L'attacco fu dapprima efficace, poiché la maggior parte delle forze capitoline era impegnata su altri fronti.

Marco Antonio spedì nel 39 a.C. in Oriente il luogotenente Publio Ventidio Basso, il quale ottenne subito importanti vittorie, sia contro gli invasori orientali sia contro le truppe di Labieno. In particolare, nella battaglia del monte Tauro, Ventidio sconfisse separatamente la cavalleria partica e l'armata di Labieno, dimostrando grandi capacità tattiche. Successivamente vicino al Monte Amanus (l'attuale Giaour Dagh, che separa la Cilicia dalla Siria), prestando soccorso al comandante Pompedio Silo, il luogotenente di Marco Antonio respinse nuovamente i Parti.

Ma il Regno dei Parti era lungi dall'essere sconfitto. Il re Pacoro I, insieme al comandante Franapate, attraversò l'Eufrate con una numerosa armata composta dai temibili arcieri a cavallo e dalla cavalleria pesante catafratta. Egli aveva avuto la meglio pochi mesi prima sul governatore romano Saxa, e confidava di recuperare le posizioni perdute.

La battaglia

Ventidio Basso decise di non attaccare subito i Parti, ma di attendere l'arrivo dei nemici trincerato nel proprio accampamento sulle pendici del Monte Gindaro. Ciò indusse gli orientali a credere che i romani fossero timorosi e passivi e che temessero di affrontare la battaglia[1]. Pacoro marciò con tutto l'esercito verso il Monte Gindaro per attaccare subito il nemico.

File:Legionari in battaglia (campo di Magonza).JPG
Legionari romani armati di gladius, pilum e scutum. Il legionario in primo piano mantiene la classica posizione d'attacco della fanteria pesante romana con lo scudo sulla sinistra a protezione del corpo e il gladio impugnato con la mano destra.

Il mattino della battaglia Ventidio parlò alle legioni; egli apparve risoluto e fiducioso; affermò che i parti stavano per cadere in una trappola e che "Marte, dio della guerra, avrebbe dato i propri favori a loro". I legionari veterani, ottimisti ed esperti, entrarono in battaglia con piena fiducia nella vittoria; le legioni uscirono dagli accampamenti e si schierarono in ordine serrato sui versanti del declivio del monte Gindaro.

Lo svolgimento tattico della battaglia fu simile a quello dello scontro del Monte Amano; Ventidio, solidamente schierato sui versanti del Monte Gindaro, potè attendere in posizione dominante, l'attacco della cavalleria dei Parti che si concluse con un disastro per le forze del re Pacoro.

Protetti dagli archi degli arcieri montati, i cavalieri catafratti iniziarono a salire verso le postazioni di Ventidio, il quale aspettò il momento giusto per ordinare l'attacco. I legionari romani lanciarono un'improvvisa carica di corsa (oltre 500 passi, sostiene Frontino) al fine di ridurre al minimo il lasso di tempo in cui si sarebbero trovati sotto tiro, piombando sui cavalieri. Nel corpo a corpo che scaturì l'addestramento romano ebbe la meglio sui combattenti parti, i quali furono sospinti giù per il pendio dai gladi e dal lancio dei pila. I Parti subirono perdite pesanti e si dettero alla fuga, tuttavia non riuscirono a sfuggire alle micidiali pietre dei funditores di Ventidio, che colpirono mortalmente i cavalieri orientali.

Pacoro I trovò così la morte, mentre il suo esercito fu annientato dai romani. Era il 9 giugno del 38 a.C.: Roma aveva vendicato la sconfitta di Carre proprio nel giorno del suo anniversario.

Riferendosi alla battaglia, così scrive Plutarco:

«Il suo successo, che diventò uno dei più celebrati, diede ai Romani piena soddisfazione per il disastro subito con Crasso, e colpì i Parti ancora fino ai confini con la Media e la Mesopotamia, dopo averli sconfitti in tre successive battaglie. Ventidio decise comunque di non inseguire ulteriormente i Parti, perché temeva di suscitare la gelosia di Antonio; e così decise di attaccare e sottomettere le popolazioni che si erano ribellate a Roma, e di assediare Antioco I di Commagene nella città di Samosata [...] Ventidio è l'unico generale romano che ad oggi abbia celebrato un trionfo sui Parti.»

In seguito a questo nuovo disastro, i Parti furono costretti a riportare il confine al fiume Eufrate, rinunciando così alle sponde del mar Mediterraneo, mentre Ventidio fu mandato a Roma per celebrare il meritato trionfo.

Bibliografia

Voci correlate

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  1. ^ Dione Cassio, Storia romana, XXXXIX, 19.