«...Il più visionario, il più turbinoso, disperatamente solitario, luciferino, è Enrico Colombotto Rosso, puro spiritualista estraneo a ogni contaminazione con la realtà, in nome di un aristocratico distacco di una pittura dell'anima nella quale, come spiegava Bataile, c'è spazio anche per il male, per gli abissi dove l'uomo rischia di perdersi senza possibilità di riscatto.»
(Vittorio Sgarbi, Surrealismo Padano, Da De Chirico a Foppiani, 1915-1986, Palazzo Gotico, Piacenza, marzo-giugno 2002)
Enrico Colombotto Rosso nasce a Torino (con il fratello gemello Edoardo)[1] il 7 dicembre 1925 da madre toscana e padre ligure. La sua scuola è stata la vita. Fin da bambino manifesta la propensione per il disegno e studia da autodidatta le tecniche espressive. Fra i 15 e i 19 anni frequenta una piccola cerchia di poeti e letterati, scrive poesie e segue da vicino l'ambiente artistico e culturale torinese.
Il mancato ingresso all'Accademia Albertina
All'età di quindici anni, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, il padre di Enrico Colombotto Rosso decise che il figlio poteva fare l'artista se avesse preso il diploma all'Accademia Albertina. Purtroppo venne bocciato subito all'esame di ammissione.
«Ho provato a sostenere l’esame per entrare all’Accademia, ma Casorati mi ha bocciato in disegno e mio padre, allora, mi ha obbligato a caricare e scaricare sacchi di ferramenta nella fabbrica di famiglia. È un miracolo che io abbia ancora la schiena dritta.»
(Enrico Colombotto Rosso, Gli 85 anni di Colombotto Rosso, di Renato Rizzo, in La Stampa, 9 dicembre 2010.)
In seguito alla delusione per il mancato ingresso all'Accademia, iniziò a lavorare nella fabbrica di famiglia, successivamente fece svariati lavori, tra i quali: l'elettricista, il magazziniere, lavorò al tornio, in Fiat e per ultimo in banca. In seguito alla morte del padre ereditò una piccola somma che gli permise di fare della pittura il suo mestiere. Tentò per la seconda volta l'ingresso all'Accademia, ma fu nuovamente bocciato.
«Poi, a vent’otto anni ho deciso che ci avrei riprovato, a fare l’artista. Ritentai all’Accademia. All’esame c’erano una mela e una bottiglia di Barbera vuota da dipingere: un esercizio accademico. Ma io non ho dipinto in modo accademico, il dramma è stato quello: l’ho fatto un po’ da artista. Tutti facevano lo sfumato, ma io disegnavo già, avevo una certa abilità con l’inchiostro, appunto. In commissione c’era Felice Casorati, che io amo e stimo molto. Ma mi bocciarono di nuovo. Poi ho rivisto Casorati, che mi disse che voleva vedere come disegnavo. Sono andato a casa sua con un carnet di miei lavori, e lui mi disse che erano cose straordinarie, e che dovevo illustrare libri. Lui non sapeva che mi aveva bocciato, a quell’esame per l’Accademia, e io sono stato ben zitto: non era il caso che facessi la lagna.»
(Enrico Colombotto Rosso, Vite in Mostra - Venti maestri piemontesi si raccontano per i dieci anni di Sala Bolaffi (1998-2008), di Federico Faloppa, Giulio Bolaffi Editore, 2009)
Diventa uno dei protagonisti di spicco dell'ambiente pittorico torinese. Attraverso un'arte difficile da comprendere, fortemente influenzata dagli ambienti tristi e plumbei della Torino del primo Novecento; neosurrealista, si richiama ad influenze secessioniste e neo-Liberty rifugiandosi nel minuzioso e sontuoso decorativismo che fa da sfondo a figure esili e macabre. I soggetti dei suoi quadri sono pervasi da inquietudine e tensione, da una ricerca tesa verso tematiche di morte che, nella raffigurazione di scheletri, figure esanimi, camere a gas e campi di concentramento, rimanda alla più grande tragedia della storia, seppur mantenendo un accenno di vita, riproposto nei volti infantili di neonati e bambole. Molti dei suoi personaggi appartengono ad un'umanità tetra e deforme, quasi sicuramente provenienti da una realtà disperata quale quella più volte incontrata nei corridoi della Casa d'Accoglienza del Cottolengo di Torino[2] e alle frequenti visite al Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso.
«Mio padre andava a caccia, e quando non andava a caccia, andava a trovare un suo amico che il sabato e la domenica era il guardiano del museo Lombroso. Io passavo delle ore lì. Mio padre parlava di caccia, di cose noiosissime; io andavo su e guardavo tutte queste teste mozze, cadaveri... Poi andavo sovente al Cottolengo... L’attrazione era plastica: come vedere dei quadri... Mi sono sempre interessato alle cose che borghesemente si dicono macabre, ma per me non sono macabre: è una realtà. È diverso dal macabro che tu componi, a livello descrittivo. A livello di immagine plastica per me è diverso. Quando disegno un cadavere... per me è come disegnare una figura bellissima... Ho fatto anche della gente abbastanza bella nella pittura, ma sono rarissime, anche perché mi annoia. Ci deve essere una ragione del perché sono attratto da questo. È certamente molto occulta, perché non è nel mio carattere, perché non ho incubi, dormo benissimo, non sono alcolista, non so cos’è la droga se non l’aspirina.»
(Enrico Colombotto Rosso, Vite in Mostra - Venti maestri piemontesi si raccontano per i dieci anni di Sala Bolaffi (1998-2008), di Federico Faloppa, Giulio Bolaffi Editore, 2009)
L'amicizia con Leonor Fini e il movimento Surfanta
Nel 1948 incontra Mario Tazzoli, con il quale aprirà a Torino la Galleria Galatea, dove verranno trattati artisti del calibro di Giacometti, Bacon, Balthus.[3]
«Un incontro importante, in gioventù, è stato sicuramente quello con Mario Tazzoli. Insieme abbiamo messo su una galleria perché io avevo un po’ di soldi: però lasciai dopo un po’ di anni. È stato comunque un avvenimento, avere insieme quella galleria, perché poi andavamo a Londra e a Parigi a vedere gli artisti. Nel 1962 siamo andati anche a New York. Ricordo che nella 42° strada c’era una galleria che aveva dei disegni di Schiele a cinquanta dollari l’uno, che non era niente. Li abbiamo comperati, ma come galleria. Avrei dovuto comprarne due o tre per me, non tanto per avere uno Schiele, ma perché adesso avrei da vivere senza problemi. Avevo un Klimt, al tempo, ma l’ho dovuto vendere.»
(Enrico Colombotto Rosso, Vite in Mostra - Venti maestri piemontesi si raccontano per i dieci anni di Sala Bolaffi (1998-2008), di Federico Faloppa, Giulio Bolaffi Editore, 2009)
I temi dominanti della sua pittura sono anticipati dalla "Piccola storia per un bambino che aveva grandi orecchi e piccole zampe", scritta in questo periodo che sarà edita da Giorgio Tacchini solo nel 1981 con il titolo di "Storie di Maghe per adulti".
Leonor Fini insieme a Enrico Colombotto Rosso che finge di imitarla nel dipinto di un gatto
Sul finire degli anni '40, Colombotto Rosso inizia a viaggiare e, a Parigi, entra nella cerchia di amicizie di Leonor Fini, Stanislao Lepri, Max Ernst, Dorothea Tanning, Konstanty A. Jeleński, personaggi padroni già della scena internazionale e molto vicini a lui per la loro espressione artistica; queste amicizie dureranno tutta la vita e in particolare con Leonor Fini che individuando in lui un talento unico lo sprona a dedicarsi esclusivamente all'arte.[4]
«La conobbi per la prima volta nel 1948. Andai a Parigi da lei perché una mia amica le aveva parlato di me dicendole che disegnavo bene (allora non dipingevo). Mi colpì Parigi per la sua vastità e l'appartamento di Leonor che aveva ben cinque gatti persiani in una grande stanza. La sua camera da letto era coperta di bellissimi vestiti, molti dei quali però rovinati dai felini. Ricordo una sera al ritorno dall'Operà che lei si tolse l'abito gettandolo a terra ed il giorno dopo fu ritrovato fatto a brandelli dai gatti: senza irritazione disse alla sua "tata" di gettarlo...»
(Enrico Colombotto Rosso, LEONOR FINI, BELLEZZA ED EROS SURREALISTA, La vetrina dell'Arte, 2007)
La sua irrequietezza ed il desiderio di conoscenza lo conducono attraverso l'Europa, da Madrid a Vienna a Londra a Stoccolma fino agli Stati Uniti, a New York, dove ha occasione di conoscere e stringere nuove importanti amicizie nell'ambiente artistico che si chiamavano John Huston, Jean Genet, Eugène Jonesco, Andy Warhol, Albrecht Becker, Federico Fellini, Anna Magnani.[5]
Nel frattempo espone, con mostre personali, nelle più prestigiose sedi pubbliche e private. Considerato tra i Maestri del Surfanta, un movimento artistico torinese “Surrealismo e Fantasia” nato dall’idea del pittore surrealista Lorenzo Alessandri[6] di riunire, per fronteggiare la paura e il vuoto culturale determinati dalla guerra, pittori ed amanti dell’arte attorno ad un luogo simbolico e di lavoro denominato Soffitta Macabra. Colombotto è regolarmente presente con le sue opere agli appuntamenti d'arte più noti, sia in Italia che in altri Paesi europei e negli Stati Uniti. All'estero la sua arte è molto apprezzata, espone a Sydney in occasione dell' "Italian Parade", a Parigi, presso la Galerie de Seine, ad Amburgo per il "Kongress Für die Freiheit der Kultur", a Madrid, presso la Sala de Exposiciones de la Dirección General de Bellas Artes, a Londra per la Seven Arts Gallery, a Tokyo per il "3rd International Young Artists Exibition" e a Zurigo, presso la Galleria Alessandro Roesle.[7]
La sua «corte dei miracoli», il suo «mondo stravolto», come li definisce Testori, affascinano il pubblico e la critica. Quello del Maestro è un universo caratterizzato da un onirismo grottesco, drammatico e sensuale. Elementi macabri e visionari si ritrovano anche nelle scenografie teatrali, realizzate per "Le jeu du massacre" di E. Jonesco, per "Salomè" di O. Wilde e per la "Danza di morte' di A. Strindberg: qui la vena decorativa e neosecessionista dell'artista ha modo di esprimersi in realizzazioni in cui la decadenza e la morte si trasfigurano nel segno di una preziosa raffinatezza.[8]
«Un artista vero, che non ha tradito la propria vocazione vendendosi al mercato e assumendo l’obbligo periodico e vincolante di creare squallidi prodotti commerciali. Quindi, anche per questo, un diverso, un anticonformista, un ribelle. E si sa che la... folla solitaria che si esprime nel collezionismo di massa non ama la devianza, ma l’uniformità, l’omologazione collettiva, la firma, solamente la firma. Enrico Colombotto Rosso, che io deliberatamente voglio oggi qui tirar fuori dall’oblio nel quale è tenuto in Italia, non è mai stato indulgente con questo tipo facile di collezionismo.»
(Claudio Malberti, Quanta sofferenza umana in quei presagi di morte, il Sole-24 ore, 24 novembre 1985.)
Un particolare di una delle camere della casa-museo di Camino
Camino e il Monferrato
Nel 1991 lascia Torino per stabilirsi definitivamente a Camino, in provincia di Alessandria, dove inizia una nuova vita di intenso lavoro artistico, mentre si occupa meno del mercato e dell'attività espositiva. Crea le sue opere nella misteriosa ed affascinante casa tra le splendide colline del Monferrato, coltivando il suo fantastico giardino sempre colmo di fiori bianchi e nuove piante, cimitero di ricordi e di gatti che lo hanno accompagnato nell'arte e nella vita quotidiana, celebri i suoi gatti disegnati a china.[9] Realizza opere molto grandi, come il disegno intitolato "Ossessione" iniziato nel 1992 e terminato nel giro di un anno, alto due metri e lungo un chilometro. E' in questo momento che si libera totalmente dalle esigenze del mercato ed ha così la possibilità di creare solo opere di carattere museale, non solo per le grandi dimensioni, ma soprattutto perché sono totalmente e autenticamente quelle che la sua immaginazione crea senza condizioni: sono immagini molto forti e spesso crude, se non violente per i colori, gli accostamenti (rossi sanguinei, neri, argenti) e le espressioni delle figure che "urlano" tutto il dramma interiore inconfessato dell'umanità. La casa di Camino è diventata un museo visitabile grazie alla Fondazione Enrico Colombotto Rosso.[10]
«Chi non ricorda il bene passato è vecchio già oggi e il ricordo delle persone che abbiamo amato è l'unico giardino del paradiso dal quale non possiamo venir cacciati»
(Enrico Colombotto Rosso)
Nel 2000 la Regione Piemonte organizza una sua grande mostra antologica a Torino, presso la Sala Bolaffi. Nel 2002 è invitato da Vittorio Sgarbi a partecipare alla mostra Surrealismo padano - Da De Chirico a Foppiani, 1915-1986. Nel 2003 un'altra importante antologica ordinata presso il Panorama Museum a Bad Frankenhausen in Germania. Nel 2005 partecipa alla mostra Il Male - Esercizi di pittura crudele, curata da Vittorio Sgarbi presso la Palazzina di caccia di Stupinigi.
Il noto critico Vittorio Sgarbi, nel 2011, durante la conferenza stampa che annunciava l'apertura di Torino Esposizioni, atto conclusivo della 54esima edizione della “Biennale di Venezia – Padiglione Italia“[11], da lui curata, disse: "...mi spiegate perché ovunque vada debba trovare Kounellis, Anselmo e Paolini? E perché c'è sempre Pistoletto e non Colombotto Rosso? Ecco, a Torino Esposizioni ci sarà Colombotto Rosso e non Pistoletto".[12]
Alcune delle opere raccolte in una delle camere della casa-museo di Camino
Numerose sue opere si trovano esposte a Villa Vidua di Conzano, nella sala consigliare del comune di Camino e al Deposito Museale di Pontestura dove ha lasciato più di 150 opere storiche che formano una collezione museale unica.[13]
La morte
Si è spento il 16 aprile 2013, all'età di 87 anni, all'ospedale Santo Spirito, di Casale Monferrato. I funerali si sono celebrati, presso la chiesa parrocchiale di Camino, nel paese in cui da anni risiedeva, nel cui cimitero il corpo è stato tumulato.[14]
«La vita è quello che hai quando non pensi alla morte. La morte è la soluzione di tutto quello che hai fatto e lasci agli altri. Se non lasci nulla vuol dire che non hai fatto nulla. Per un artista produrre è come allargare la propria famiglia, il mondo che non c’è.»
(Enrico Colombotto Rosso)
Aneddoti e curiosità
Colombotto Rosso è l'autore dei quadri con i volti appesi in casa della sensitiva Helga Ullman (Macha Méril) nel famoso film "Profondo rosso" del regista Dario Argento.[15][16] I quadri utilizzati nelle scene del film sono delle copie delle opere di Colombotto Rosso.[17]
Colombotto Rosso era cittadino onorario di Conzano.[20]
Nel 2012 Colombotto Rosso propose di trasferire la sua fondazione (con oltre 100 dipinti e varie sue opere) nel comune di Mathi (TO). Ma il Consiglio Comunale declinò la proposta con una delibera in cui viene evidenziata la causa del rifiuto per "La crisi economica che ha avuto ripercussioni negative sul bilancio comunale".[21]
Opere
Tra le opere più famose del maestro si possono elencare:
Chiesa della Confraternita dei Battuti Bianchi, Carignano (TO)
Bottega d'Arte, Carrù (CN)
1999
Sala Palazzo del Municipio, Camino Monferrato (AL)
Il Triangolo Nero, Alessandria
2000
Sala Bolaffi, Torino
2002
Enrico Colombotto Rosso, Psychè - Rerum Simulacra, Galleria d'Arte contemporanea di Palazzo Guasco, Alessandria[22]Alcune opere di Colombotto Rosso esposte al Teatro Sociale di Bergamo in occasione della mostra del 2005 Angeli e Diavoli.
Enrico Colombotto Rosso, Una vacanza con Leonor Fini, Torino, AntonioAttini, 2009
Janus, Lezione di tenebre: casa di Enrico Colombotto Rosso, Torino, Antonio Attini, 2008
Federico Faloppa, Vite in Mostra - Venti maestri piemontesi si raccontano per i dieci anni di Sala Bolaffi (1998-2008), Giulio Bolaffi Editore, 2009, ISBN 978-88-88406-52-7
Maria Luisa Caffarelli (a cura di),Enrico Colombotto Rosso : psyché, Alessandria, Impressioni Grafiche 2002, ISBN 88-87409-24-2
Janus, M. Cristina Rodeschini Galati, Angeli e diavoli. Vannetta Cavallotti - Enrico Colombotto Rosso, Lubrina, 2005, ISBN 9788877663061
G. Barbero, A.M. Razzoli Roio, Gli inganni di Curzio Gonzaga. Narrazione visiva di Enrico Colombotto Rosso e Camillo Francia, Verso L'Arte Edizioni, 2003