Sufismo
Il Sufismo è una forma della religione islamica.
Il termine arabo "sufi"' forse deriva dalla lana (in arabo suf) con cui erano intessuti gli umili panni dei primi mistici musulmani. Il tasawwuf (termine che, più che misticismo, implica il concetto di esoterismo, da cui andranno però respinti i cascami che spesso al termine impropriamente s'accompagnano) è fenomeno diffusissimo nell'Islam e questo per la mancanza di un sacerdozio islamico che si arroghi il compito di mediare fra Dio e le Sue creature umane.
È dunque perfettamente normale e legittimo (forse anche doveroso per il musulmano) ricercare Dio personalmente, e l'ambizione di tentare di mettersi in contatto con Lui prevede per il sufismo un processo di ascesi che obbliga a una lunga disciplina interiore per la quale è necessaria l'opera di un Maestro che funga da "guida" spirituale.
La grande diffusione del sufismo è interpretato dai massimi storici delle religioni come una forma di reazione alla inevitabile e strutturale massiccia "giuridicità" dell'Islam ufficiale. Partendo dall'idea che il Bene non è qualcosa di esterno a Dio ma è Dio stesso, ne deriverebbe che fare il Bene è ubbidire alla Sua volontà (e infatti il muslim, il musulmano, è chi si assoggetta a Dio senza questionare). Fare il Male, di conseguenza, sarebbe disubbidirGli.
Per conoscere quale sia la volontà divina, vista l'assoluta incapacità umana di capirLo, l'Islam deve riferirsi alle Sue parole. Alla Sua Rivelazione che, per eccellenza, è il Corano, considerato vera e propria "parola di Dio" (kàlimat Allàh).
Il Corano, tuttavia, non è sempre facile da capire e da interpretare. Da qui la necessità per l'Islam di profondi studi e da qui deriva anche il ruolo ineluttabilmente egemonico assunto dai sapienti ['ulamà' ) che a questa opera ritenuta assai meritevole si dedicano. Il loro responso sarà però un'opinione puramente personale, per quanto autorevole, e diventa consigliabile, o addirittura cogente, seguirla da parte dei fedeli solo quando essa abbia raccolto un consenso maggioritario o unanime del mondo dei dotti più qualificati.
Ne deriverebbe un certo qual timore per il fedele musulmano di interpretare in modo scorretto il dettato coranico e da qui deriverebbe la sua tendenza a seguire alla lettera le disposizioni fornite dai dotti, accettando un certo qual formalismo degli atti esteriori. Il rischio di sbagliare e di commettere quindi peccato - in quanto un atto di disobbidienza a Dio - è sempre presente nella coscienza di un credente musulmano e questo comporta conseguenze tutt'altro che astratte e una certa pedissequità nell'assolvere al dettame coranico che però mette il singolo non esperto al riparo da un eccesso di arbitrio interpretativo. Il tutto sembra avvenire - a dire degli stessi storici delle religioni - in modo assolutamente analogo, anche nell'Ebraismo che, al pari dell'Islam è una religione fortemente ritualistica, basata su un Testo Sacro direttamente rivelato da Dio e da seguire quindi alla lettera.
Per il pensiero islamico ufficiale, il percorso autonomo di avvicinamento a Dio comporta tuttavia il rischio di antinomismo, con la tentazione di non ottemperare con esattezza al dispositivo dettato dalla Legge islamica e a comportarsi in modo che potrebbe essere visto come arbitrario e deviante. Da qui l'ostilità di alcuni ambienti teologico-giuridici islamici ufficiali - e innanzi tutto di alcune propaggini del hanbalismo - al sufismo. E questo malgrado il fondatore della scuola giuridico-teologica Ahmad ibn Hanbal fosse tutt'altro che ostile all'ambiente della Qadiriyya, la maggiore delle confraternite sufi (tariqa, pl. turuq). Sono anche note in proposito alcune dure prese di posizione di Ibn Taymiyya contro il sufismo ma proprio questo hanbalita, vissuto in età mamelucca e considerato oggi come il massimo ispiratore dei movimenti "fondamentalistici" islamici, fu anch'egli non sfavorevole a un'equilibrata pratica sufi, esente cioè da quelle esagerazioni comportamentali (shatahàt) che scandalizzavano e scandalizzano ancor oggi i benpensanti musulmani.